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CAPITOLO 44

Il giorno dopo, come stabilito, Emma stette con me dalla mattina, sino alla sera. Dovetti insistere per mandarla a casa a prepararsi per il ballo. Non voleva lasciarmi... non voleva che la lasciassi, che partissi senza fare più ritorno. In tutti i modi cercò ancora di dissuadermi dal farlo. Il suo dolore era il mio. Chiuse in camera, anziché occuparci di farci belle per la serata, finimmo per piangere tutto il tempo.

Quando se ne andò rimasi sola con il mio tormento. Quel tormento che seguì il mio sguardo quando vagò per la camera, dove avevo trascorso tante giornate felici. Mi parve di scorgere Marco, con la coda dell'occhio, sdraiato sul mio letto col libro aperto a studiare... Poi vidi me accanto a lui... noi due insieme a scherzare e ridere come se quello fosse stato il nostro ultimo sorriso. Noi abbracciati stretti... Le nostre labbra che si accarezzavano...

Per un breve istante mi parve di sentire persino il calore delle sue braccia che mi cingevano la vita e il suo respiro caldo sul collo. Mi strinsi nella braccia, quasi bramassi le sue e mi voltai come a cercarlo, ma lui non era lì... Non ci sarebbe stato più... mai più...

Lì dentro c'era troppo di noi... troppo di lui... Lui, che era tutto quello che di più bello mi sarebbe rimasto. Che avrei portato via con me, ma che forse non mi sarebbe servito a continuare a vivere la vita che mi attendeva...

Così, in quella stanza fermai ogni ricordo, lasciandolo dov'era, perché rimanesse fuori da tutti i miei errori. Perché niente potesse avvelenarlo. Potesse rovinarlo... distruggerlo...

Il mio tempo era terminato. Non ne avevo più per cercare di recuperare la mia vita. Ormai era finito...

Con fatica provai a vestirmi per andare al ballo. Non avevo quasi toccato cibo quella sera. Un nodo in gola mi impediva mi mandare giù qualsiasi cosa.

Prepararmi fu uno strazio. Quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei rivisto tutti... che sarei stata con lui. Sarebbe stato l'addio più difficile.

Presi a malincuore dall'armadio il vestito corto, con sfondo nero, leggero, a piccoli fiori e lo indossai. Lo scollo a V metteva in risalto il mio decolté già abbronzato, lasciando scoperta in parte la piega che formavano i miei piccoli seni sodi incontrandosi. Lasciai che scendesse morbido sui fianchi, a scoprire quel tanto che serviva a darmi un'aria piacevole nell'insieme. Una parvenza di serenità che non avevo dentro. Lisciai i capelli come sempre, senza raccoglierli. Diedi appena un velo di trucco agli occhi e misi un paio di sandali comodi, neri, coi tacchi non troppo alti. Presi una piccola borsa di corda nera, vi posai dentro la patente e il cellulare e la misi a tracolla. Afferrai al volo un maglioncino bianco, nel caso mi fosse servito per il ritorno, quindi scesi a salutare Margherita e Luigi. Per loro avevo ancora un po' di tempo e non volli pensare troppo a come avrei fatto a congedarmi.

"Io vado allora" – dissi entrando in cucina. Fortunatamente li trovai lì insieme, intenti nei preparativi per organizzare il dopo cena. Margherita si voltò a guardarmi col suo sorriso radioso.

"Sei uno splendore, cara! Marco rimarrà di stucco!" – le sue parole mi fecero arrossire. Non credevo di essere poi così uno splendore, ma lo sguardo compiaciuto che mi diede Luigi, appena si girò verso di me, mi convinse che probabilmente mi ero sottovalutata.

Sorrisi timidamente, quindi li abbracciai salutandoli ed uscii all'aperto.

Il bagliore del sole di quella giornata quasi estiva, ormai stanco e vicino a spegnersi del tutto dietro l'orizzonte, sembrava attardarsi ancora un poco nel cielo, per rischiarare un'ultima volta le campagne e le case con una carezza di luce. Le poche nuvole in cielo sbiadivano l'arancione per trasformarlo in un rosa pallido. Respirai a fondo con gli occhi chiusi il dolce profumo che emanava la terra appena bagnata del giardino. Volevo imprimermelo nella mente per ricordarmene ancora. Non era solo un profumo che intendevo conservare, era il ricordo di Luigi che rievocava e che volevo mi rimanesse. Annaffiava i fiori tutte le sere prima di rientrare in casa e tante volte lo avevo aiutato anch'io, trovando un briciolo di spensieratezza nel farlo. Desideravo fermare quegli attimi per sempre dentro di me... portarmeli anche loro dentro, nell'illusione che potessero in qualche modo, almeno aiutarmi a sopportare l'inferno che mi attendeva.

La twingo grigia era già girata verso il cancello aperto, pronta per uscire. La sua carrozzeria pulita luccicava. Luigi l'aveva lavata apposta per prestarmela ancora quella sera. Era una brava persona, pensai... erano entrambe brave persone e quello che più contava, mi volevano bene. Una morsa mi strinse il cuore e una fitta si accese in petto. La sofferenza che gli avrei inflitto sarebbe stata insopportabile. Non avrei voluto finisse così, ma ormai era troppo tardi... troppo tardi.

Salii in macchina, accesi il motore restando con la portiera aperta per alcuni secondi. Ero angosciata come mai. Quelli che stavo per affrontare erano gli ultimi attimi con Marco. Cercai di ricacciare indietro le lacrime a fatica.

Dovevo andare... non potevo più indugiare.

Inspirai profondamente, ancora una volta e la richiusi sbattendola. Le ruote dell'auto presero a percorrere lente lo sterrato del vialetto, per poi svoltare sulla strada principale, dirette a Villa Turchina.

Quando arrivai il posteggio era già pieno di macchine e faticai a trovare posto. L'imbrunire si era fatto più deciso adesso e i lampioncini sulla via che conduceva alla villa, erano già accesi. Sistemai la macchina e scesi. Aggiustai il vestito sui fianchi e mi guardai attorno. Era affollato di persone. Alcuni dei ragazzi che mi passarono accanto erano visi ormai conosciuti. Ma di Emma, Tony o Marco non c'era traccia. Aspettai un po', sperando di vederli arrivare. Mi infastidiva entrare da sola nel locale. Era assurdo, ma conservavo quella riservatezza di carattere nonostante la vita che avevo condotto e non ne potevo fare a meno.

La sera cominciò gradualmente a farsi scura e alla fine mi decisi ad entrare anch'io. Salii la scalinata di marmo bianco e dopo aver attraversato la veranda mi ritrovai all'interno, nel salone. Palloncini e ghirlande di carta crespa pendevano dal soffitto al cui centro era appeso un grande lampadario di gocce di vetro. Le note di Ed Sheeran riempivano l'aria, risuonando forti, sulla musica di Shape of you. Guardai al centro dove si era formato uno spazio vuoto, che faceva da pista da ballo. Alcuni ragazzi stavano già ballando ritmicamente, mentre altri restavano ai margini a chiacchierare. Vagai con lo sguardo tutta la pista, ma niente... di loro non c'era ancora traccia.

Possibile?! C'erano oramai quasi tutti.

Appoggiata al muro di fronte all'entrata scrutai gli ultimi ragazzi che entravano, con un certo nervosismo. Ero certa di vederli arrivare da un minuto all'altro. Non poteva mancare molto, erano le nove ormai... - mi ripetevo.

Il respiro mi si bloccò all'improvviso.

Stefano in compagnia di alcuni studenti si guardò intorno indeciso, prima di fare il suo ingresso. Se mi avesse notato, non avevo dubbi, sarebbe venuto dalla mia parte. Marco non avrebbe preso la cosa serenamente e non volevo assolutamente scenate proprio quella sera. Mi spostai, nascondendomi dietro alcune ragazze vicino ad uno dei grossi tendoni bordeaux che separavano la sala dal corridoio che aveva intorno. Di fronte ad una delle porte laterali di sicurezza, pronta ad uscire se fosse stato necessario.

Fu allora che il suono familiare di una voce femminile alle mie spalle mi colpì...

"Non ho potuto... Cerca di capire! Non me lo ha permesso. Ho cercato di farla ragionare, te lo giuro!"

"Si può sapere che aspettavi a dirmelo"

"Me lo ha fatto giurare, Marco. Io sono la sua migliore amica. Si fida di me! Come potevo tradirla?"

"Non hai scuse. Dovevi dirmelo subito comunque! Ma ti rendi conto di quello a cui va incontro?"

"Lo so... E' per questo che la dobbiamo aiutare!"

"E sì che qualcosa non mi tornava! Stupido! Sono stato solo uno stupido!" - ringhiò rabbioso.

"La tiene in pugno, Marco! Ha paura... Paura che possa fare qualcosa a noi! Ha minacciato di farci del male con lei..."

"Stronzate!" - rise nervoso - "L'ammazzo prima io! E' solo un bastardo, Emma! Non può averla vinta! Te lo giuro l'ammazzo piuttosto! E non può avere lei!" - sbraitò furioso - "Se lo può scordare stavolta!".

"Non sai quanto mi dispiace!"

"Lo hai già detto a Tony?"

"No. E' per quello che non vedovo l'ora mi andasse a prendere da bere e si allontanasse. Ho voluto parlare prima con te" - la sua voce era affranta - "Dobbiamo fare qualcosa, Marco! ... Subito! O non me lo perdonerò mai"

"Quando hai detto che partirà?"

"Domani. Ma stasera sarà l'ultima occasione per stare con lei e per fermarla. Domani non si farà più trovare da nessuno di noi!"

"Emma!!"

"E' così Marco... Questo ballo per lei è un addio a noi... Per sempre!"

Il sangue mi si gelò nelle vene. Tutto quello che avevo cercato di fare si frantumò e cadde a terra.

Come aveva potuto? Mi aveva dato la sua parola!

Non volevo crederci! Emma!

Si sarebbe fatto uccidere! Si sarebbe messo in pericolo!

Come aveva potuto non capirlo!?

Dovevo andarmene senza che mi vedessero. Immediatamente!

La porta anti-panico si spalancò all'improvviso, ruotando rumorosamente sui cardini che la reggevano e sbattendo all'indietro contro il muro.

Mi precipitai fuori sconvolta e confusa, correndo senza sosta. Raggiuntolo, scesi il lungo scalone di marmo bianco davanti a me, senza fermarmi, decisa ad andarmene al più presto da quel luogo.

Avevo le guance in fiamme e una volta in fondo continuai la mia fuga in mezzo al prato del cortile, incurante del vialetto e dei suoi lampioni accesi, che mi invitavano a seguirlo.

I grilli cessarono il loro canto al mio passaggio e la luna, ora timida in cielo, parve seguirmi per illuminarmi la strada.

Pensieri diversi ribollirono caoticamente nella mia testa.

Avevo cercato di proteggerli con tutta me stessa ed era stato inutile... inutile. Tutto inutile!

Corsi fino alla recinzione che mi separava dal parcheggio, dove avevo lasciato l'auto. Nell'angolo più nascosto, cercando di celarmi alla vista degli altri e lì mi fermai col fiato in gola. Appoggiai le mani esausta alle fredde sbarre di ferro e mi lasciai ancora vincere dalle emozioni.

Emma la mia migliore amica! Perché? Non potevo crederci! Me lo aveva promesso! Ed ora... aveva messo tutti loro in pericolo!

Una lacrima spuntò. Non ce la fece a trattenersi nascosta e mi segnò la guancia, come seguendo quel solco che avevano già tracciato le altre. Quella spaccatura che mi squarciava il cuore Una leggera brezza calda mi accarezzò, quasi volesse calmarmi ed io, disperata, scoppiai, a quel punto, in un pianto liberatorio.

Era una serata limpida ed il cielo ignaro di tutta quella sofferenza, sfoggiava il suo più bel vestito stellato adesso. Le bianche siepi fiorite, che avevo intorno, emanavano un profumo intenso e un senso di nausea mi scosse bruscamente. Come preannunciando qualcosa di inquietante... Qualcosa di maligno che stava per accadere...

"Ehi...! Non mi sembra che ti diverta poi molto stasera!" - una voce nota mi sorprese alle spalle.

Mi girai di scatto e lo distinsi all'istante, nonostante fosse buio, con le braccia incrociate e le gambe accavallate, appoggiato al tronco di un albero... Con aria spavalda, sfrontata...

Come se mi stesse aspettando, come se stesse aspettando me...

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