CAPITOLO 39
Marco continuò ad accarezzarmi la schiena, in silenzio. Il suo respiro era inquieto, nonostante cercasse di essere calmo. Agitato. Aveva bisogno di sapere ed io dovevo in quel momento dirgli tutto. Ogni cosa... Non potevo più tacergli nulla. A poco a poco le mie lacrime si fermarono e il singhiozzo si spense, rimanendo sospeso. Marco non mi parlò subito, ma poi non riuscì più a trattenersi e provò a capire.
"Cosa c'è, Lizzy? Ti va di parlarmene?"
Non potevo indugiare oltre. Sapevo di dovermi ormai arrendere e raccontargli la verità, anche se mi avrebbe odiato. E forse era meglio, perché non avrebbe avuto più freni a lasciarmi...
Per sempre.
Mi voltai e incontrai il suo viso, troppo vicino al mio per non alzarmi quel poco per baciarlo.
Probabilmente per l'ultima volta...
Mi guardò confuso. Non lo avevo mai baciato con quello strazio. Le sue labbra calde mi sfiorarono ancora, tentando di interrompere la pena che percepiva in me.
"Mi odierai, Marco... Lo so" – gli dissi annientata, accarezzandogli il viso con una mano.
"Non potrei mai..." – la prese e ne baciò il palmo. La strinse forte tra le sue ed io tremai. Non mi tolse gli occhi di dosso, provando a rassicurarmi.
Mi feci coraggio e mi alzai a sedere sul letto, accanto a lui. Incrociai le gambe e lui si sistemò meglio. Entrambi avevamo l'angoscia nel cuore, ma per motivi diversi: nell'attesa di sapere lui... nell'ansia di dire io.
Marco tenne ancora le mie mani tra le sue ed aspettò, senza forzarmi, con espressione il più possibile rasserenante.
Sospirai, abbassai gli occhi e preso animo feci uscire il dolore che nascondevo dentro di me, senza tacergli più niente...
"Sai già che sono cresciuta per lo più in un collegio..." - lui annuì senza proferire parola con espressione seria - "Quello che non sai è quello che è successo dopo: quando sono uscita per andare in una famiglia... Ero una ragazzina arrabbiata, delusa, ferita, allora... ma con un sogno che speravo potesse realizzarsi ora che qualcuno mi aveva voluto accogliere... avere una casa. Qualcuno che mi volesse bene e a cui volere bene, che mi aiutasse a crescere e a sperare di nuovo..." – feci una breve pausa e continuai - "Gli Esposito non erano nuovi ad accogliere ragazzi come me e pensavo sarebbero stati capaci di farlo, regalandomi quell'amore che tanto mi era mancato..." - con la mente andai lontano e un groppo mi strinse la gola - "Ma non fu così... Per loro ero semplicemente un ospite del loro bellissimo albergo e basta... Mai un gesto d'affetto, mai una domanda personale, mai nemmeno un rimprovero... Quello che facevo non gli importava. Ho addirittura pensato che mi avessero preso con loro per un tornaconto economico, tanto erano freddi e distanti..."
Marco mi ascoltava senza interrompermi.
"Vagavo per le strade tutto il giorno. A loro importava solo che rientrassi a dormire, poi ero libera di muovermi come volevo... Lena e Diego erano i genitori perfetti!" – sbottai con un sorriso amaro - "Alex mi notò e mi avvicinò. Era un ragazzo più grande di me ed era gentile. Si interessava a me, mi lasciava parlare, mi riempiva di complimenti... Ero la sua piccola Beth. E così cominciai a frequentarlo tutti i giorni... Era la guida che cercavo, ne ero sicura".
Marco mi strinse le mani più forte, percependo qualcosa di sinistro in quella mia ammissione. Non alzai lo sguardo, però, ma proseguii.
"Non so come sia successo... ma mi ritrovai con lui a fumare marijuana negli angoli delle strade... Mi sentivo bene... Avrei potuto fare qualsiasi cosa... Avevo il coraggio di sfidare il mondo! E così finii per fare piccoli furti nei supermercati... Rubavo portafogli nelle stazioni, scippavo borse... Per lui ero fantastica! Ero brava! Non faceva che elogiarmi e io ho creduto di aver finalmente trovato qualcosa per cui essere amata... Quando riuscivo a compiacerlo... Dio! come mi sentivo felice!..."
Deglutii a fatica. Sapevo di essere arrivata alla parte più penosa del mio racconto.
"Poi un giorno mi chiese di fare qualcosa di diverso, anche meno rischioso, sembrava... Dovevo consegnare della roba a dei ragazzi che me l'avrebbero pagata... i ragazzi della mia scuola. Non avevo idea di cosa fosse e in quale guaio mi stessi infilando, ma lo feci. Lui sembrava anche più contento di me... "ci faremo una fortuna piccola e ce ne andremo da qualche parte insieme" - mi diceva. Potevo passare inosservata tra i ragazzi... Ero una di loro, insospettabile..." - la rabbia nelle mie parole si mescolò all'angoscia per non poter cancellare quell'orrore dalla mia vita - "Gli servivo a quel bastardo, ora lo so! Mi ha usato! Ha sfruttato una ragazzina indifesa... Perché è questo che ero! Ma non potrò mai perdonarmelo... mai... lo stesso"
Marco mi posò un palmo sul viso. Senza parole. Cercando di digerire quello che avevo appena detto. Frastornato. Incapace di giudicarmi.
Feci un respiro profondo, decisa a raccontargli il resto e ripresi. Marco fissò frastornato le mie mani, che vedeva tremolare.
"Una notte, in un vicolo... una ragazza... la conoscevo... aveva quasi la mia stessa età allora... vent'anni... C'era una festa e io..." - gli occhi tornarono a riempirsi di lacrime – "Gliela avevo passata io, capisci... Lei neanche la voleva. Avevo insistito io. L'avevo convinta! E' stata tutta colpa mia!" - la sofferenza che avevo addosso mi strozzò la voce - "Non ho potuto fare niente per salvarla... niente... I suoi occhi sbarrati... lei distesa a terra... senza più vita... La vedo quasi tutte le notti. Anche se sono passati anni da allora è come se fosse successo eri"
Il suo sguardo si spalancò incredulo. Non parlò, sconvolto da quella parte di me che non immaginava. Che faticava ad accettare.
Mi coprii il viso con le mani, mi alzai per fuggire al suo sbigottimento e mi rifugiai nell'angolo opposto della stanza. Non ce la facevo a reggere il suo sguardo. Ormai sapeva... Il suo amore per me si era annullato in un istante. E se non lo era ancora... sarebbe svanito presto...
Non mi voltai a guardarlo. Non avrei sopportato i suoi occhi pieni di risentimento nei miei confronti, quando avessi continuato.
"Non potrò mai perdonarmelo! E non te ne vorrò se non potrai mai perdonarmelo anche tu, Marco! Mi ha convinto a fare delle cose orrende per lui e purtroppo..." – doveva sapere tutto ormai. Non volevo tacergli più nulla - "... mi ha persuaso a farne altrettante... con lui"
Chiusi gli occhi, conscia del male che gli stavo arrecando. Le parole si soffocarono in gola. A quell'ammissione lo sentii alzarsi e respirare a fatica. Come se lottasse contro se stesso, contro quello che avevo appena detto e che gli spaccava la testa e gli frantumava il cuore.
"Che significa con lui?" - era basito, costernato. Tutto quello che gli avevo confessato sembrava essere svanito di fronte a quell'ultima rivelazione - "Che significa, Lizzy! Dimmelo, maledizione!" - trattenne a stento la rabbia, la disperazione - "Dimmelo!"
"Non doveva finire così, Marco" - sussurrai.
Volevo che conoscesse anche quella parte della mia vita. Glielo dovevo ormai. Alex mi aveva consumata, umiliata ed io... avevo lasciato che accadesse. Non c'erano scusanti per questo. Non serviva dirmi che ero una ragazzina ingenua. Sola. Avevo lasciato che mi plagiasse in tutto... ero io la sola responsabile. Scoppiai di nuovo a piangere distrutta, coprendomi il viso. Non ero la ragazza semplice di cui si era innamorato. Non lo ero affatto...
Non lo avvertii muoversi. Nessuno avrebbe potuto cancellare quella sofferenza e quella vergogna.
Mi odiava! Ne ero sicura!
"Perchè non me ne hai parlato? - la sua voce era dura.
Non avevo il coraggio di voltarmi.
"Guardami, cazzo!" - urlò più forte - "Perchè?"
A fatica mi girai, stringendomi nelle braccia quasi a cercare conforto in quel gesto.
Marco era in piedi, i pugni chiusi, gli occhi lucidi, carichi di tormento e di rancore nei miei confronti. Ne ero certa.
"Perchè, Lizzy?" - si portò le mani alla testa, quasi strappandosi i capelli, tirandoli indietro. Quasi a volersi risvegliare da quell'incubo così reale. Quasi a volere che fosse tutto falso... che gli avessi mentito. Eppure non era così...
L'avevo ferito, tradito... Nella maniera più orrenda. Il suo viso me ne dava la conferma.
"Ci ho provato. Tu non sai quante volte sono stata sul punto di dirtelo, ma poi... volevo sentirmi amata, come mi amavi tu... Per la prima volta amata davvero... Sapevo che mi avresti odiato se lo avessi scoperto... E ho sempre rinunciato... Ho sempre taciuto..." - con tutta me stessa trattenni il fiato, lottando di nuovo contro le lacrime.
Marco non disse nulla.
"Perdonami, Marco... Ti prego..."
Lui mi trafisse con lo sguardo, alzò le mani ed indietreggiò, scuotendo la testa. Sul volto il disprezzo, lo sdegno... Non poteva esserci altro.
"Mi dispiace, Marco..." - mi scusai, nel tentativo di lenire il suo tormento. Sapevo che era inutile, ma volevo perdutamente che lo sapesse. Non sarebbe servito... ma non potevo non dirglielo. Non c'era che rincrescimento in me... per tutta la sofferenza che stava vivendo a causa mia. Per tutto il male che avevo fatto e che mi avrebbe condannato a patire per sempre. Un rincrescimento che era inutile pentimento, rammarico, desolazione... devastazione.
Per tutta risposta aprì la porta. Rimase fermo un istante, crollando il viso a terra, poi se ne andò e la sbatté dietro di sé. Senza dire altro. Lontano da me... che non meritavo il suo perdono, il perdono di nessuno. Neppure di me stessa.
Sola, di fronte alla finestra lo vidi uscire, disperato. Piegarsi sulle ginocchia e piangere. Il suo petto rotto dagli spasmi, mi strappò del tutto l'anima. Non ce la facevo a sopportare oltre quella vista. Mi feriva gli occhi, arrivando sino al cuore.
Cosa avevo fatto! Che cosa?
Mi allontanai e sprofondai sul letto, abbracciando il cuscino. Quasi nell'illusione di trovare in quel gesto quella consolazione che non sarebbe arrivata mai. Liberai il respiro, scoppiando di nuovo in un pianto a dirotto... che mi devastava, mi distruggeva... mi uccideva.
Era tutto finito ormai... finito... E non avrei più potuto tornare indietro...
Adesso non più...
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