CAPITOLO 38
Presto arrivò la primavera. Passavo ormai ogni giorno con Marco ed ogni sera che ci salutavamo era una pena per entrambi. Avevo confessato a Margherita e Luigi il mio rapporto con lui e ne erano entusiasti, soprattutto Margherita. Lo conoscevano da tanto e gli erano affezionati, come lo erano a me. La loro approvazione mi aveva tolto l'ultimo timore di sbagliare stando con lui. E ora, per la prima volta, mi sentivo profondamente libera di poter vivere e amare davvero.
Era un sabato qualunque quando mi svegliai e mi sentii bene, come non mi era mai capitato. Fuori il tempo era meraviglioso. Splendeva un sole incantevole e tirava una leggera brezza intenzionata a far dimenticare i freddi mesi invernali appena trascorsi. Mi affacciai alla finestra piena di gioia a guardare il panorama, accompagnato da un lieto ed armonioso canto degli uccelli. Il delicato profumo delle margherite che spuntavano qua e là per il giardino mi stuzzicò dolcemente il naso, mentre i raggi ora più decisi del sole, mi scaldarono il viso. Il cielo limpido, azzurro, mi diede una sensazione di libertà e pace indescrivibili e mi sentii felice.
Il ronzio del cancello che scattava per aprirsi richiamò subito la mia attenzione. Marco spuntò in fondo al viale e il mio viso divenne radioso. Non immaginavo sarebbe stato lì quella mattina così presto, ma ne fui compiaciuta. Balzai in un lampo giù dalle scale precipitandomi alla porta prima di Margherita e la aprii, trovandomelo davanti. Gli gettai di botto le braccia al collo e lo baciai con foga sulle labbra, sorprendendolo.
"Buon giorno!" - gli dissi, continuando a baciarlo.
"Mmmm... Davvero un buon giorno... Indiscutibilmente!" – mi disse cingendomi per i fianchi e baciandomi ancora.
"Mi sei mancato stanotte!" – gli sussurrai seducente.
"Sta attenta... E' rischioso! Potrei anche prenderti sul serio per la prossima e passarla con te! Ho in mente alcune cosette... in effetti" – mi baciò il collo, facendomi sfuggire un risolino.
Dio! Si poteva essere più felici di così? - mi chiesi estasiata.
"Che facciamo oggi? Hai già sentito Emma e Tony?" – gli domandai impaziente.
"Sì... Studiano un po' oggi. Si avvicinano gli esami... Abbiamo la giornata per noi! Che ne dici se andiamo a fare un pic-nic? Conosco un posto perfetto!"
Ero al settimo cielo.
"D'accordo! Lo dico a Margherita"
Ottenuto il permesso, presi la felpa e lo seguii. Ci saremmo fermati a comprare qualcosa e poi saremmo partiti. Non mi importava per dove, l'unica cosa che mi interessava era che ci fosse lui con me.
Viaggiai appoggiata alla sua spalla tutto il tempo, tenendogli una mano e lasciandogliela libera solo quando doveva cambiare marcia. Lui ogni tanto mi baciava la fronte, guidando lento per prolungare il tempo. Un tempo che ormai non aveva più limiti per noi.
Posteggiò vicino ai negozi e decisi di aspettarlo in macchina. Appoggiata al finestrino semi-aperto ascoltavo la musica che rimandava la radio, osservando distratta la gente che andava e veniva in continuazione, come faceva tutti gli altri giorni. Indifferente, ignara dell'amore che provavamo io e Marco, l'uno per l'altra. Quell'amore che era solo nostro e che nessuno avrebbe potuto rovinare... Mi sentivo così innamorata! Avrei voluto fermare il tempo in quell'istante... Non chiedevo altro.
Ero così felice, così...
Qualcuno che non avrei mai voluto vedere, occupò inaspettatamente il mio campo visivo. Guardai meglio e all'improvviso il gelo mi bloccò il sangue nelle vene. Il respiro si fermò e gli occhi si sbarrarono, annullando quella gioia in un solo secondo. Una maschera di terrore mi coprì il viso, che perse ogni colore all'istante. L'adrenalina prese a scorrere nel mio corpo, agitando i battiti del mio cuore. Cercai di nascondermi tra i capelli e mi abbassai il più possibile per non farmi notare.
Non aveva più i capelli lunghi, ma era lui! Lo avrei riconosciuto tra mille! Non era possibile!!!
All'angolo di un palazzo si guardava intorno, smarrito, decidendo che strada prendere. Indossava un paio di jeans strappati sulle ginocchia e già una maglietta dalle maniche corte bianca. La vista del pacchetto delle sigarette nascosto da una di queste arrotolata, mi diede un brivido lungo la schiena, rimandandomi l'immagine di me che lo guardavo farlo, prima di uscire per strada. Scrutò a destra, poi a sinistra ed infine decise ed attraversò.
In quel preciso momento Marco uscì dal negozio e incontrò il suo sguardo. Si guardarono appena senza notarsi, ma quello bastò lo stesso per farmi cadere nel panico.
"Ho preso due panini a testa. Che dici basteranno?" – mi chiese Marco con disinvoltura, mentre si avvicinava alla macchina.
Non risposi intenta com'ero a seguire dove sarebbe andato l'altro. Nascondendo il viso con una mano, posata sulla fronte a schermare gli occhi. Questi svoltò nuovamente e si fermò, tirando qualcosa fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni... Che poi mostrò ad alcuni passanti.
Era una foto! Era la mia foto, ci avrei giurato!
"Stai bene? Hai una faccia strana..." - disse Marco entrando in macchina e sedendosi al mio fianco.
Mi voltai verso di lui, cercando di riprendere il coraggio di parlare.
"Voglio tornare a casa, Marco!" – deglutii a fatica con aria grave.
Quel repentino cambio di umore lo allarmò alquanto.
"Perchè?"
Rimasi in silenzio a seguire le mosse di quell'incubo vivente. Marco seguì il mio sguardo e si voltò, proprio nel momento in cui questi girò l'angolo.
"Mi stai facendo impensierire, Lizzy. Che cosa c'è?" – mi chiese preoccupato.
Scossi la testa, senza rispondere e chiusi gli occhi.
"Non mi sento bene... Ti prego... portami a casa!"
"D'accordo..." - la sua voce restò per un attimo dubbiosa - "Sta tranquilla!" – mi posò una mano sul ginocchio e mise in moto, provando a capire, senza riuscirci.
Non doveva vedermi! Non doveva accorgersi che ero lì!
Ero sconvolta. Marco studiò il mio volto, senza proferire parola, riprendendo la strada. Di colpo un silenzio insopportabile calò su di noi. Marco si girò ancora a osservarmi, sovrappensiero. Non mi voltai, la mia mente era troppo affollata di domande e di immagini inquietanti per dargli importanza. Restai aggrappata al finestrino, assorta...
Che diavolo ci faceva lì? Come c'era arrivato?
Chiusi gli occhi, ricacciando indietro la risposta, che conoscevo bene ormai. Erano stati loro... Solo loro avrebbero potuto farlo... Avevo la gola asciutta, secca, bloccata.
Avevo creduto che stargli lontana avrebbe lenito il dolore che avevo dentro ed invece... Lacrime amare e sienziose scesero dai miei occhi.
Sarebbe successo, prima o poi... Era stato inutile, cercare di costruirmi una nuova vita... Non avrei mai potuto sfuggirgli... Avrei dovuto saperlo...
Strinsi la mascella e le asciugai col dorso della mano. Lo sguardo di Marco guizzò immediatamente su di me, ma evitai di prestargli attenzione.
Arrivati di fronte al cancello scesi veloce, voltandomi per salutarlo. Volevo stare sola e decidere cosa fare.
"E' meglio che lasciamo perdere per oggi. Ci vediamo domani Marco. Mi spiace..." – lo guardai fuggente attraverso il vetro abbassato, dirigendomi verso casa, senza aggiungere altro.
In un istante Marco mi fu appresso - "Stai scherzando!"- aprì la portiera e mi seguì - "Io non ti lascio in questo stato, Lizzy!" – esclamò raggiungendomi e corrugando il viso - "Che sta succedendo? Dimmelo!"
Di nuovo non risposi. L'angoscia che avevo addosso, me lo impediva. I miei occhi si riempirono un'altra volta di pianto. Ma non lo lasciai sfogare. Guardai lontano, senza vedere nulla.
Lui mi strinse una mano e mi accarezzò il viso inquieto, costringendomi a guardarlo negli occhi.
"Cosa c'è, Lizzy?"
Tutta la poca fermezza che cercavo di racimolare in me, crollò all'istante. Non avevo più la forza di oppormi. Non ce l'avevo più... Una lacrima, di nuovo, mi rigò il viso. Marco corrugò la fronte e mi studiò grave, portandola via col pollice. Non commentò oltre. Mi guidò fino alla porta di casa e suonò. Lo lasciai fare. Stremata.
Margherita serenamente aprì.
"Che avete dimenticato ragazzi?"
Guardò l'espressione allarmata di Marco, poi la mia. Il suo sorriso scomparve in un lampo.
"Elisabeth!? Mio Dio, cosa è successo?"
Rispose Marco per me. Io ero come pietrificata. Una statua muta, incapace di muoversi, incapace di parlare.
"Non si sente bene. Ha bisogno di sdraiarsi. L'accompagno di sopra se non ti spiace"
"Certo... certo. Santo cielo! Chiamo il dottore! Non l'ho mai vista in questo stato..." – rispose agitata.
"Non farlo!" – riuscii a dirle – "Ho solo bisogno di sdraiarmi un po'... Passerà" – gli sorrisi distrutta, cercando di tranquillizzarla. Appoggiai la mano al corrimano della scala e cercai di salire.
Non poteva essere!... Dio, fa che sia tutto un sogno... che non sia vero!
La mia mente non era capace di pensare ad altro. Bloccata in quell'unico devastante assillo.
Ogni gradino mi pesava come se avessi avuto dei mattoni legati alle gambe. Salivo lenta, a volte impuntando il piede, per la fatica che facevo ad alzarlo. Sapevo che mi stavano osservando, ma non vedevo la loro apprensione, che ero certa, era tanta. A metà scala due braccia energiche mi sollevarono da terra, sottraendomi a quello strazio. Gli passai le braccia intorno al collo e mi abbandonai sulla sua spalla. Marco mi portò fino in camera, lasciandomi scendere solo quando raggiunsi il letto. Abbracciata a lui con il viso nell'incavo sotto il suo mento, accettai quel gesto senza contestare.
Margherita era salita dietro di noi.
"Marco, ma cosa è capitato per ridurla così?" – il suo tono di voce suonava allarmato, aveva gli occhi spaventati.
Mi sdraiai sul letto e mi voltai di fianco dandogli le spalle, con uno sguardo vitreo, lontano.
"Non lo so Rita! Sono preoccupato anch'io, credimi!" – si sedette al bordo del letto, accanto a me e mi accarezzò la schiena, cercando di tranquillizzarmi. Sospettava che qualcosa che avevo visto mi avesse ridotto in quello stato, ma non capiva cosa avesse potuto essere così sconvolgente per me. Voleva disperatamente fare qualcosa per aiutarmi a risollevarmi. Ma non sapeva cosa... Aveva bisogno di sapere...
"Provo a farle una tisana" – disse Margherita, nel tentativo di rendersi utile – "Magari la calma un po'"
Marco approvò e lei scese, chiudendosi la porta alle spalle.
Grosse e pesanti lacrime mi gonfiarono ancora gli occhi, per poi scendere lungo il viso, bagnando il cuscino e un singhiozzo incessante interruppe il mio respiro.
Non c'erano più vie d'uscita per me!... Sapevo che aveva capito tutto... non sarebbe venuto a cercarmi, se non avesse saputo di avere un conto aperto con me...
Non c'era più speranza ormai! Mi avrebbe trovato e me l'avrebbe fatta pagare ed avrebbe fatto del male anche a lui se non avessi fatto qualcosa subito...
Dovevo decidere... almeno per lui!... Dovevo farlo!
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