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CAPITOLO 35

Le sei arrivarono troppo in fretta. Ormai avevo dato la mia parola e mi scocciava rimangiarmela, ma ripensandoci non era stata una buona idea.

Misi in ordine il mio zaino lentamente, quasi tentassi di allontanare ancora il momento in cui avrei dovuto incontrare Stefano, ma alla fine dovetti arrendermi e scendere nell'atrio dove avevamo appuntamento. Emma se n'era già andata per non assistere al nostro incontro ed ora ero sola a dovermela cavare. Davanti al portone dell'ingresso, Stefano stava chiacchierando con qualcuno che non conoscevo, spostandosi di tanto in tanto il ciuffo dagli occhi, inconsciamente, come faceva di solito. Per un attimo pensai di poter passare inosservata e di riuscire ad andarmene di nascosto, ma la fortuna non mi assisteva mai e quando scesi l'ultimo gradino, lui si voltò verso di me, salutando l'amico e venendomi incontro.

"Allora... Pronta per una strepitosa serata?" esclamò con un largo sorriso.

"Stefano, è solo una spaghettata, d'accordo?" puntualizzai smorzando il suo entusiasmo.

Lui si fece d'un tratto serio.

"Sì, certo... Solo una spaghettata..." ribadì impacciato.

Ci incamminammo a piedi verso Piazza del Campo, dove avremmo incontrato il suo amico Massimo. Ero già stata altre volte in quella piazza, ma ogni volta era come se la vedessi per la prima volta: riusciva a sorprendermi e ad emozionarmi. La sua forma a conchiglia, racchiusa da una cortina quasi continua di edifici sembrava avvolgerci al suo interno per non lasciarci scappare, mascherandoci sapientemente i suoi undici varchi. Sul suo pavimento di mattoni rossi, diviso a spicchi, si muovevano, incuranti della sera fredda, i senesi, affollandola come si fa con un grande salotto, in cui si sosta a chiacchierare. Stefano parlava incessantemente, ma non riuscivo a seguire neppure uno dei suoi discorsi, assorta com'ero a cercare di far tacere le voci che mi martellavano la testa. Ricordi di quando io e Marco avevamo percorso quella stessa piazza tenendoci per mano, semplicemente come amici. Ignari di tutto il male che ci saremmo fatti poi e che ci avrebbe diviso, forse per sempre. Fissai per un attimo Stefano intento a raccontare.

Mi limitai a rispondergli annuendo e sorridendogli appena, sperando che quel tempo scorresse veloce.

Non avrei dovuto accettare quella serata... Era tutto sbagliato...

Massimo alla fine arrivò in compagnia di una ragazza dai capelli corti, neri, quasi blu. Formavano una bella coppia a vederli. Tutte e due parevano il ritratto della salute: lei, di media statura e robusta, sfoggiava due occhi neri vivaci e allegri; lui alto, massiccio con occhi grandi dorati e con uno sguardo vago, ma pimpante, che spuntava sotto una testata di riccioli castani. Entrambi avevano la carnagione chiara e un ampio sorriso a rischiarare il viso. Avevano un carattere aperto e simpatico, pronto alle battute e alla fine la serata passò...

"Chi vuole il dolce?" fece a gran voce Stefano sul finire della cena.

"Ah... io no!" disse Massimo ridendo dopo aver mangiato per due, "Io prendo dell'ananas che brucia i grassi!" 

La risata fu generale. Una risata naturale per gli altri, ma per me soltanto di circostanza, amara e triste.

Non avrei dovuto essere lì...  mi ridissi. Lì a ridere, quando avevo la morte nel cuore... Quando non facevo che pensare a lui...

In quell'istante, come se i miei pensieri avessero preso vita, vidi entrare Marco seguito da Tony nel locale. Il mio respiro si arrestò all'istante.

Mi irrigidii e smisi di ridere subito. Lui scrutò il locale, incerto, alla ricerca di qualcosa. Abbassai gli occhi sperando non mi vedesse, anche se dentro di me sapevo che era lì per un motivo preciso. Che mi stava cercando...

Alzai il viso e subito me ne pentii. Lui incrociò il mio sguardo e quindi lo spostò su Stefano. Non sembrò sorpreso. Solo molto irritato. Sicuramente Tony glielo aveva detto... Era certo di trovarlo con me.

"Va tutto bene, Elisabeth?" domandò Stefano premuroso. Non ero riuscita a nascondere il mio disagio a nessuno dei tre, ma solo lui aveva avuto il coraggio di parlarmi.

Seguì il mio sguardo e li vide, intuendo la causa del mio malessere. Cercai di continuare la conversazione, ma era quasi impossibile farlo coi suoi occhi roventi addosso.

"Stefano, sarà meglio che vada, puoi accompagnarmi?" dissi alla fine, incapace di resistere oltre.

"Hai ragione... E' meglio andare" ammise avvilito guardando di nuovo verso di loro.

Mi alzai salutando e ringraziando gli altri per la compagnia. Svelta indossai la giacca, quando vidi Marco e Tony dirigersi anche loro verso l'uscita. Non sentivo la loro conversazione, ma da come gesticolava Tony, era piuttosto animata.

Forse Tony l'aveva convinto ad andarsene...  almeno era quello che speravo.

Mi dilungai ancora nella speranza che uscissero prima di noi, ma non appena Marco fu sulla porta si fermò e si voltò ancora verso di me.

Oddio!  In quell'istante respirai di nuovo a stento, il sangue affluì veloce al cervello.

Osservò che lo stavo guardando e deciso attraversò la sala e mi si avvicinò. Ad ogni suo passo avvertivo i battiti del mio cuore battere forte nel mio petto. Fino ad esplodere, quando me lo trovai di fronte...

"Ti voglio parlare, Lizzy!" aveva di nuovo la sua solita aria insolente e si era ripulito e fatto la barba, segno che si era ripreso dalla sera prima. Una vistosa cicatrice gli segnava un sopracciglio e aveva un grosso livido violaceo in evidenza, sopra uno zigomo ancora gonfio.

Faticai a riprendere il respiro.

"Marco, ora non posso!" gli risposi fingendomi sicura, sfuggendo la sua vista.

Non potevo lasciarmi intimidire...

"Non me ne frega un cazzo, del tuo ora non posso..." la sua voce era dura, tesa "Tu ora esci e vieni fuori con me!" si vedeva che era agitato. Quello non era assolutamente il momento di parlargli. Ero troppo vulnerabile.

"Ehi, amico! Sta calmo d'accordo" s'intromise Stefano, parando con la mano il suo farsi avanti verso di me.

"Tu stanne fuori..." fece Marco fulminandolo con lo sguardo.

"Non mi comandi, Marco!" gli risposi scontrosa puntando i suoi occhi, "Non mi va di venire fuori con te adesso!"

Aggredirlo era l'unico modo che sentivo di avere per contrastarlo. Questa volta non servì. Continuò a fissarmi con una certa strafottenza.

"Sto cercando di trattenermi, Lizzy. Non te lo chiederò un'altra volta... Vieni fuori. Subito!!!" - tuonò. Sussultai al suono di quel comando.

"Ehi... ti ha detto che non ne ha voglia... Lasciala in pace!" provò di nuovo Stefano passandomi questa volta un braccio intorno alla vita, a sottolineare che ero con lui. Trattenni il respiro, inconsciamente.

Oddio!

Le mani di Marco si strinsero immediatamente in un pugno, mentre lo fissò furente di rabbia. Mosse un passo verso di lui senza staccare gli occhi dai suoi, con fare aggressivo.

"Toglile subito quelle mani schifose di dosso!" esplose. Si era talmente piazzato vicino a lui, che i loro nasi quasi si sfiorarono.

Sentii il sangue affluirmi un'altra volta alle guance, mentre fissavo il suo volto minaccioso. Immediatamente Tony gli si infilò davanti evitando che colpisse Stefano con un pugno.

Il proprietario del locale si avvicinò con aria contrariata.

"Ehi! Non voglio risse nel mio locale... non costringetemi a chiamare i carabinieri. Forza. Fuori!" disse con fermezza a Marco.

"Ce ne stavamo andando. Ci scusi... non ce n'è bisogno" cercò di rimediare Tony.

"Usciamo forza! Cristo, Marco! Ti farai arrestare di nuovo!" lo ammonì sottovoce afferrandolo per un braccio e trascinandolo via.

Liberai l'aria dai polmoni intanto che si allontanavano.

"E' tutto a posto?" mi chiese il proprietario studiando il mio volto scosso.

"Sì... tutto a posto" mi strinsi nelle braccia a cercare in quel gesto conforto.

"Se preferite chiamo i carabinieri lo stesso, non vorrei che..."

"Non serve... va bene così" lo fermai. Non volevo creargli altri guai. Un po' mi sentivo responsabile...

"D'accordo, allora..."

Ma prima che razionalizzassi le sue parole...

"Bravo... Portalo fuori! Insegnagli l'educazione a quello stronzo!" esordì Stefano a voce alta. Ridacchiò e io, voltandomi verso di lui, spalancai gli occhi sbigottita. Incredula che anche lui avesse potuto comportarsi in quel modo.

Il respiro mi si fermò del tutto alla vista di Marco bloccato sulla porta, che stringeva nuovamente le mani in un pugno. D'un tratto si voltò, scansò Tony dandogli uno spintone, diretto verso Stefano. Tony lo afferrò alle spalle cercando di trattenerlo, ma lui si svincolò con forza, fuori di sé.

"Io l'ammazzo!" ringhiò cercando di saltargli contro.

Mi coprii la bocca con le mani vedendolo avanzare veloce verso di noi. Precedendo qualsiasi altro gesto da parte dei presenti. Senza indugio, nel tentativo di fermarlo, mi piazzai davanti a Stefano e cercai di bloccarlo. Facendogli da scudo, appoggiandogli le mani sul petto e respingendolo con forza.

"Smettila!!! Se lo tocchi anche solo con un dito, non ti parlerò mai più!" urlai, "E non sto scherzando, Marco!"

Le cameriere e alcuni dei clienti si erano fatti vicini per poter assistere meglio a quella scena incresciosa. Pronti ad intervenire, se necessario. 

"Basta! Io chiamo i carabinieri!" esclamò il proprietario.

"Che cazzo, Marco! Un'altra denuncia e ci rimani in galera" rimarcò Tony severo.

Marco si fermò, si passò una mano tra i capelli, trafelato, cercando di controllare la rabbia e trafiggendo Stefano con lo sguardo. Poi mi inchiodò, le mani ai fianchi, con gli occhi furenti di rabbia e deglutì a fatica.

"Tu stanne fuori, Lizzy!" disse tra l'affanno.

Poi prese a camminare avanti e indietro, tentando di tornare a riflettere più calmo, in preda a chissà quali pensieri.

"Usciamo, coraggio!" cercò di convincerlo Tony spingendolo verso l'uscita, "Prima che arrivino..." 

Non uscirono nonostante tutto. Riuscì solo a fermarlo in un angolo. Vedevo Tony parlargli per cercare di farlo ragionare e non potevo staccarmi dai suoi occhi brucianti di rabbia.

Stefano aveva perso la parola. Con gli occhi sgranati era sulla difensiva, aspettandosi un nuovo attacco da parte sua.

Dovevamo uscire da lì al più presto. Prima che succedesse l'irreparabile.

"Andiamocene, forza!" approfittai di quel momento di indugio per cercare di raggiungere l'uscita insieme a Stefano, prima di Marco.

Ma quando passai di fronte a Marco, lui si liberò da Tony e venne deciso verso di me. Non ebbi nemmeno il tempo di accorgermene che le sue mani mi afferrarono bruscamente con forza e mi ritrovai sulla sua spalla. Senza indugio guadagnò l'uscita, seguendo un intento preciso.

"Mettimi giù! Subito!!" gridai a testa in giù tempestandolo di pugni sulla schiena e sferrando calci a vuoto.

Impassibile continuò oltrepassando la porta del locale. Sentii l'aria pungente della sera sul viso e cominciai a preoccuparmi. Nessuno si era permesso di fermarlo.

"Mettimi giù, Marco! Cosa vuoi fare?!"

"Quello che avrei dovuto fare da tempo!" rispose aprendo la portiera della smart posteggiata insolitamente proprio lì vicino.

"Tu sei pazzo! Lasciami!"

Mi gettò sul sedile dalla parte del passeggero e con abilità inaspettata mi legò alle cinture, mentre tentavo di divincolarmi. Lo bersagliai sulle spalle di pugni.

Volevo scendere. Dovevo scendere!

Lui fece il giro della macchina veloce e mi si sedette accanto, mettendo la chiave nel cruscotto. Mi avventai su di lui, colpendolo con più forza, impedendogli di mettere in moto. Lui mi bloccò le mani, tenendomi per i polsi.

"Sta' calma, Lizzy!... Non costringermi a fare un'altra cazzata!" urlò minaccioso, "Ne ho già fatte abbastanza!"

"Non mi importa! Lasciami andare!!" gridai con quanta voce avevo in corpo.

Non si scompose, "E invece non andrai da nessuna parte, finché non avremo chiarito le cose!" puntualizzò fuori di sé.

Mi fermai, il respiro ancora ansimante e lo fissai feroce

"Tu! Non hai le cose chiare, Marco! Per me lo sono eccome!"

Per tutta risposta, mi gettò un'ultima occhiata intimidatoria e mise in moto. Fece stridere le ruote sul suolo e la macchina sfrecciò sulla strada.

Sapevo di non potermi gettare dall'auto in corsa e sperai solo di potergli scappare non appena si fosse fermato.

I fari delle macchine che ci venivano incontro, sull'altra corsia, illuminavano a tratti intorno e riconobbi inaspettatamente la strada per Casa Fiorita.

Mi stava riportando a casa?!

Non riuscivo a capirne il motivo, ma immediatamente ne fui rasserenata. Lì sapevo come muovermi. Ok... mi dissi. Sta' calma!

Eravamo oramai arrivati. Di lì a poco avrei avuto la vista sulle finestre accese. Appena avesse rallentato sarei scappata correndo verso il cancello, senza dargli il tempo di scendere e una volta aperto sarei stata al sicuro, pensai.

Ma Marco non si fermò. Passò oltre, proseguendo con la stessa andatura veloce.

Che aveva intenzione di fare?

Fissai il suo ghigno e mi travolse il panico.

Era impazzito!

Il sangue mi si gelò nelle vene, in preda all'agitazione.

"Dove mi stai portando, Marco?!!" gli chiesi sull'orlo di una crisi isterica.

Lui non rispose continuando a puntare lo sguardo davanti a sé, in preda a chissà quali idee. Di lì a poco la strada curvò e svoltò su una strada larga, sterrata. Isolata...

Un pensiero agghiacciante crebbe veloce nella mia testa: una donna ogni otto minuti veniva uccisa per un amore malato! E se fosse stato quello lo scopo del suo rapimento? Uccidermi! Togliermi di mezzo. Convinto che se non poteva avermi lui, non mi avrebbe avuto nessun altro...

La mia agitazione cominciò a diventare terrore. Nessuno sapeva dove mi stava portando e quali erano le sue intenzioni. Mi parve di cogliere un riso maligno sulla sua bocca e ne fui sgomenta.

Che vuoi fare, Marco? Che cosa? - non riuscivo a pensare ad altro.

Pochi metri avanti entrammo in un grande cancello con un importante arco in pietra e ci fermammo in un ampio giardino chiuso da siepi. Mi guardai attorno smarrita e terrificata. Spense il motore ed io puntai i piedi, schiacciandomi contro il vetro per allontanarmi il più possibile da lui.

Marco aprì la sua portiera, scese e si avvicinò alla mia. La spalancò e mi sganciò la cintura. Sempre senza parlare mi afferrò una mano con forza e mi trascinò fuori.

"Lasciami andare!!!" gridai cercando di liberarmi, "Lasciami!"

Marco non fiatò e continuò a trascinarmi con lo sguardo fisso davanti a sé.

Era andato fuori di testa! Non c'era altra spiegazione!

Andò alla porta d'ingresso della costruzione che c'era davanti a noi e suonò.

Quel gesto interruppe, improvvisamente, i miei pensieri.

Alzai lo sguardo e solo allora riconobbi il luogo... il Casale di Marco!

I lampioncini del giardino erano accesi, segno tangibile che c'era qualcuno all'interno e appesi qua e là si scorgevano, appesi, palloncini colorati.

Cosa significava?

Non parlai, sbigottita. Guardai il suo viso tirato, ancora irato e mi arresi incerta al suo volere, completamente frastornata.

Che stava succedendo?

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