Twenty
-Non mangi?- Freeman deglutisce il suo boccone di pasta, mentre mi guarda restare ferma al mio posto, con le mani infilate sotto le cosce.
Scuoto la testa leggermente, mentre i miei occhi verdi si sollevano a guardare il soffitto stipato di luci al neon. Guardo poi in basso, fissando la gamba di metallo lucente di una sedia dall'altra parte della mensa.
Mia sorella Billie mi ha sempre detto che sono davvero un soggetto facilmente distraibile, quanto geniale. Credo fosse un complimento, ma date le sue due lauree, potrebbe aver nascosto un insulto in mezzo a tutti quei termini di alto registro.
Mi domando cosa stia facendo al momento, se ha scoperto che chi gli ha bruciato le tavole di disegno tecnico, il giorno prima dell'ultimo esame, ero io.
Ridacchio, più che altro lasciando un fiotto d'aria uscirmi dalle narici.
-Questo pomeriggio ...terapia- sento l'uomo di mezza età brontolare tra se, incastrando la forchetta impiastrata di puree tra le labbra sottili e scribacchiando note casuali sul suo taccuino nero.
Quello che ha bisogno di una terapia, semmai, è lui.
Tiro fuori le dita da sotto le mie gambe e le faccio scricchiolare, piegandole una con l'altra. Mi stiro leggermente e guardo Alexandra riempirsi i denti di lattuga verde.
Come tutte le ragazze dalla perfetta linea e perfetta pancia piatta, Alexandra è fissata con tutto ciò che sembra salutare e poco calorico. Questa settimana è il turno dell'insalata e del mais.
-Posso andare a prendermi una barretta energetica alle macchinette?- sbuffo, sentendo un certo languorino nascere alla bocca dello stomaco. Non posso neanche permettermi di guardare il mio vassoio (che è pieno e tale resterà) che subito mi viene da vomitare.
Cynthia cucina tutto allo stesso modo. Arrivi ad un certo punto che apri google chrome per ricercare le sostanziali differenze tra un puree e degli spaghetti.
-Mancanza di appetito per tutto ciò che non è grasso, zuccheroso o colorato- continua a borbottare tra se, annotando le mie e le sue parole sulla carta stropicciata del suo libretto di merda.
-Quindi mi farà crepare di fame o posso?- mi alzo sgarbatamente e puntando un piede a terra, lo guardo fisso negli occhi piccoli. Socchiudo i miei e premo un palmo su un fianco, dandomi un tono.
Non è giornata per discussioni del genere, ma direI che non è proprio mesata.
-Linguaggio volutamente rude e a tratti scurrile- alzo gli occhi al cielo, di nuovo, e con il movimento lento e misurato di una gamba, sposto la sedia dalla sua posizione originale.
Mi lascio un piccolo varco tra il bordo in plastica del tavolo e lo schienale della mia seduta, uscendo dall'intrico di gambe dei miei compagni di sventura.
Ovviamente, noi studenti dell'excange siamo considerati quanto la merda di piccione è considerata nel ciclo della natura: un emerito cazzo.
Figuratevi se Freeman può essere preso sul serio, quindi credo sia normale che ci sia stato riservato il tavolo più merdosamente schifoso di tutto l'universo dei tavoli di merda.
-Nervosa ... intrattabile- aggiunge, sussurrando a se stesso e battendo il tappo della penna su quel dannato taccuino.
Persone come lui mi fanno diventare nervosa e intrattabile, perché fino a cinque minuti fa ero tranquilla e chiusa nella mia personale zona di non-trituramento-coglioni con unicorni e aerei pilotati da gelati al cioccolato e ghiaccioli blu.
Batto un piede a terra, non tipo Hulk che "spaco terreno, m'anvedi sto scemo", con più eleganza, come ad avvertire chiunque mi stia fissando che ora muovo il mio culo verso le macchinette e mi prendo qualcosa di davvero calorico.
Sotto lo sguardo di beh, nessuno, mi dirigo verso le porte di legno del refettorio, spingendole con un calcio e lasciandomi una ventata di aria calda al seguito.
Non faccio altro che pensare a Jason e a Calum, in due modi diversi che mi fanno rabbrividire con la stessa intensità.
Non li sto mettendo sullo stesso piano, perché Calum è ... Calum e perché Jason è davvero un bastardo.
Credevo che il suo "tradimento" fosse abbastanza per confinarlo nella mia black list, ovviamente mi sbagliavo.
Il suo comportarsi come se nulla fosse accaduto, la naturalezza con cui mi si è seduto affianco in corridoio, di come ricaccia certi argomenti, questo ha peggiorato le cose.
Se prima il suo nome era attraversato da una linea nera, a cancellarlo (si spera) permanentemente dai miei pensieri, adesso spendo ore intere solo ad immaginare di ficcargli le mine da disegno una per una su per il condotto urinario.
E Calum mi si è praticamente imposto davanti. Con quell'audio e il suo gongolare dall'altra parte del telefono, questa mattina, come se stesse solo aspettando di sentirmi parlare.
Nei giorni dopo quel singolo episodio di flirt (non ho pensato ad altro fino a questa mattina, quando mi sono decisa di dovermi togliere il suo sorrisino ammiccante dalla testa) non ho fatto altro se non sognare di lui e di me, di noi.
E quando inizio a sognare, cari miei si è messa proprio male.
Mentre scruto con aria concentrata la disposizione delle merendine sui diversi ripiani della macchinetta, penso anche a ciò che vorrà dirmi questo pomeriggio.
Controllo l'orologio, uscendo il telefono da una tasca dei jeans e notando che manca fin troppo: sono appena le 13:15.
Sbuffo e mi decido a prendere un pacchetto di patatine alla paprika, inserisco i soldi e tengo il resto dei soldi nel palmo di una mano, digitando e immettendo le monetine nella macchinetta per le bevande, affianco.
Questi due aggeggi sono la mia personale fonte di piacere in questa dannata scuola. Di solito chiedo il permesso per andare in bagno, per fare la pipì e passare a fare la spesa proprio alle macchinette.
Sfortunatamente hanno chiuso da mesi il bar al piano terra, quindici tocca usare le merendine preconfezionate e le lattine di coca sbafata, ma non mi lamento. Sempre meglio della mensa.
Da: Calum
Non so neanche se posso aspettare fino alle quattro. Non mi hai risposto.
Non riesco quasi a contenere il sorrisino che mi si forma in faccia a guardare i caratteri sul fondo bianco dello schermo, maledicendomi al solo pensiero delle braccia di Calum attorno ai miei fianchi.
Credo sia la mia debolezza più grande e ovviamente, non sa e non deve saperla nessuno, ma quando sento due mani grandi e calde avvolgermi i fianchi, divento malleabile come la creta.
Sento lo stomaco capovolgersi e strizzarsi, come nonna Rita quando asciugava le camice di nonno Giacomino sul lavandino fuori casa. Nel momento in cui sento due braccia avvolgermi, potrebbero convincermi a fare qualsiasi cosa, tipo uscire le tette ad un concerto degli All Time Low.
Decido di non rispondergli, rimettendo il telefono apposto.
Ho già abbastanza cosa a cui pensare, al momento, non voglio dover aggiungere altra ansia e altro nervosismo al carico che mi porto dietro da quando quella faccia di cazzo di Blue Jeans mi ha importunato in corridoio.
A ripensarci però, ho messo su proprio un bel teatrino, l'uscita ad effetto alla fine quasi mi ha commossa (per quello mi sono trovata a singhiozzare come una molliccia).
Afferro la mia bottiglia di acqua minerale (facciamo finta di essere salutari) e il pacchetto di patatine (che è piccolo e costituito più da aria che da altro, quindi non conta neanche come pasto).
Apro il sacchettino e ne metto un paio in bocca, facendo strane smorfie con le labbra per farcele entrare tutte. Come dice Billie: io e la grazia siamo due cose opposte.
Ma io credo che quando uno mangia, non dovrebbe farsi problemi di etichetta, ma ovviamente anche io mi sento in imbarazzo a fare la porca davanti a degli sconosciuti. Con i ragazzi, per esempio, posso mangiare anche senza forchetta, in quella casa è il minimo.
Ora che entro nell'ottica da casalinga, devo ricordarmi di stirare i vestiti di Luke questa sera.
Mi gratto un sopracciglio e rientro in mensa, scoprendola vuota.
Confusa controllo l'orologio e mi accorgo di essere in ritardo. Faccio spallucce e giro i tacchi, ammirando i corridoi del primo piano con immensa attenzione per i dettagli, come i muri perfettamente riverniciati e imbrattati di scritte fatte con penne e pennarelli, o come la porta socchiusa dell'ufficio della Porcelet.
Incuriosita, metto il pacchetto in equilibrio sulla curva del gomito, e con due nocche spingo il legno della porta, sbirciando all'interno dell'ufficio vuoto.
Guardo la scrivania piena di carte e la sedia con le rotelle abbandonata in un angolo, avrà preso la motoretta che usa mia nonna per andare a fare la spesa.
Ridacchio al pensiero e faccio attenzione a non lasciare tracce, mentre ingollo un sorso d'acqua e una manciata di patatine. La Maialetta è una francese maniaca dell'ordine, una briciola e posso ufficialmente considerarmi morta.
Qui dentro ci sono tutti i registri, le pagelle e i commenti dei docenti sui singoli alunni.
Se per qualche sfortunato caso del destino, la palla (il braccio destro della Porcelet) dovesse lasciare aperto il programma, chiunque potrebbe facilmente cambiare voti e commenti sulla propria media.
Sorrido furba quando vedo lo schermo illuminato e una pagina riempita di cifre già aperta.
Jack pot.
-Tu hai cosa?!- la mia mano viene a contatto con la spalla ossuta di Camila quando, dopo la pausa pranzo, raggiungo la classe nel solito sgabuzzino dove Freeman tiene le sue sessioni di terapia di gruppo.
Grugnisco e passo il dorso di una mano sotto le narici, soffiando l'aria fuori da queste.
-Non urlare- sussurro, guardando il consulente fallito sventolare il suo uculele al vento (non il suo uccello, intendo lo strumento musicale. Altrimenti sarei già al cesso a vomitare).
I capelli lunghi e brizzolati dell'uomo ondeggiano leggeri sulle spalle curve, mentre sorridendo falsamente cerca di coinvolgere il gruppo a cantare con lui -e ce la faremo! insieme!- stona in conclusione, poggiando lo strumento sulle gambe.
-Ho solo cambiato qualche voto- faccio spallucce e la guardo con la coda dell'occhio, mentre spalanca i suoi pericolosamente, sorpresa. -Non ho neanche toccato i commenti degli insegnanti- soffio con un sorrisetto soddisfatto -sono stata anche troppo corretta-.
Camila rotea gli occhi al cielo e chiude le dita in un pugno, concentrandosi sulla nuova canzone che Freeman ha iniziato a strimpellare.
Sembra arrabbiata e nervosa, ma probabilmente sono affari suoi. Abbasso lo sguardo alla mia tasca, morendo dalla voglia di controllare l'orario, di nuovo.
L'ultima volta che l'ho visto erano le 15:45 e da ora credo siano passati almeno dieci minuti buoni.
Con noncuranza estraggo il telefono (Freeman lo sa che non mi frega nulla di questi dannati gruppi, che ci vengo solo perché Ashton e la Porcelet, dopo l'ultimo sgarro, mi tengono costantemente sott'occhio) così sblocco lo schermo e la mia voglia di vivere di abbassa al negativo.
Sono solo le 15: 49. Cedo le spalle e mi accuccio sulla sedia, entrando su twitter e controllando le notifiche.
Sono abbastanza seguita sui social, dovuto al fatto che vivo con gli idoli di milioni di ragazze, quindi non mi sorprendo trovando più di mille rt al mio precedente post.
Sono come un sito di update giornaliero per loro, anche meglio, dato che cerco di dare esclusive su tutto ciò che fanno. (e forse anche su un po' di Muke).
-per oggi credo che basti- non appena sento queste parole uscire di bocca a Freeman, mi catapulto verso la porta d'uscita, lanciando uno sguardo a Camila e facendole cenno con la mano distrattamente.
Lei mi sorride fintamente e recupera la sua cartella da terra.
Mentre ruzzolo per il corridoio, il mio non può essere definito "correre", mi ricordo che devo recuperare il clarinetto dall'aula di musica. Sbuffando inciampo fino al terzo piano e recupero la custodia leggera (probabilmente vuota) portandola con me fino all'ingresso.
Se vi domandate cosa faccio durante gli incontri con Freeman, per la maggior parte del tempo, apro la sala cinema nella mia testa e mi do al ruolo di regista.
Certe pippe mentali che neanche Rocco Siffredi (okay, questa è davvero pessima, ma non sono il tipo di ragazza che conosce i nomi di pornostar).
E nelle ultime due ore e mezza, non ho fatto altro che pensare a quel "devo parlarti" pronunciato da Calum questa mattina e sebbene mi sia preparata a lungo per questo momento, quando me lo vedo davanti, sento mancarmi il fiato.
-Dai a me questa- allunga la mano, facendomi segno di scaricargli la borsa pesante e la custodia del clarinetto. Con un sorriso gli porgo la mia roba e mi stiracchio la schiena, libera da ogni peso.
Prendo un profondo respiro e mi volto verso di lui, illuminato dai raggi del sole e riscaldato dal vento mite che soffia sulla sua pelle bronzea.
Gonfio le guance esageratamente, quando faccio per parlare ma improvvisamente non ho più nulla da dire.
Calum è probabilmente l'unico essere umano in grado di zittirmi senza neanche guardarmi.
Mi faccio coraggio e mi volto verso di lui, toccandogli il braccio -Devo dirti questa cosa- mi precede lui. Apro e chiudo la bocca realmente sorpresa, guardandolo mentre con gli incisivi bianchi si tortura il carnoso labbro inferiore.
Non dovrei fare certi pensieri, soprattutto dopo che la mia rottura con Jason mi condiziona così facilmente e forse è proprio per questo, ma al momento urge il bisogno di baciarlo.
Una volta ho letto di un'impulso, con un nome davvero strano, era quasi una malattia e parlava della sensazione opprimente di voler dannatamente baciare qualcuno.
Non so la nominazione precisa, ma credo di star provando esattamente quello. Più lo guardo e più tutto il mio cervello va a puttane.
Questo è davvero sbagliato. Mi sento una troia e una stronza a sentirmi così facilmente condizionabile da un ragazzo. Forse non voglio davvero baciarlo, forse è tutta colpa di Jason e della mancanza che mi sta facendo provare.
Perché, pensandoci, dove una volta si posavano le sue labbra, adesso c'è solo aria e non sto dicendo che Calum non mi trasmette nulla, ma credo sia troppo presto per ricominciare qualcosa.
-Ma non so neanche più come dirtelo- aggiunge insicuro, interi minuti dopo.
Ci troviamo ora davanti il van che usa la band per recarsi allo studio di registrazione a circa venti minuti da casa. Mi invita a salire, aprendomi lo sportello, ma bloccandomi il polso prima di salire.
-Io non ce la faccio più, ti giuro Gil, non riesco neanche più a guardarti senza toccarti- deglutisce rumorosamente e mi trovo schiacciata tra il suo corpo e il van.
Questo è davvero maledettamente cliché, non riesco a pensare ad altro, ma il fatto che sia Calum ad avermi intrappolata lo rende tutta un'altra cosa. E poi, il cliché è qualcosa di visto e rivisto, mentre io cose del genere non le ho mai provate sulla mia pelle.
Ricordate quando dissi che non sono la ragazza che si fa baciare costretta tra un qualunque ragazzo, le sue labbra ed un muro?
Beh, non sono tecnicamente intrappolata contro un muro e Calum non è tecnicamente "qualunque ragazzo".
Spero che vi sia piaciuto, è tardi e tra poco mia madre mi tira qualcosa in testa se non spengo.
Buonanotte e grazie per avermi regalato il più bel compleanno che abbia mai fatto, con tutti i vostri messaggi e auguri su twitter. Grazie anche per leggere le mie storie, per commentare e semplicemente supportarmi.
-Gil
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