Thirteen !
-Il fumo non aiuta- profana Freeman.
Io sbuffo e mi sistemo di nuovo al mio posto.
La sedia mi sta quadrettando il culo da ventisei minuti e trenta secondi (trentuno, trentadue, trentatré ...) e lo schienale di ferro mi urta continuamente una scapola con una vite arrugginita, che pende da qualche maledetto buco d'incastro tra i pezzi.
-Il fumo non aiuta- borbotto tra i denti, guardandomi intorno e fissando la mia attenzione su un paio di cartelloni arancioni ripiegati malamente in fondo alla stanzetta.
Sposto lo sguardo da viso a viso, puntandolo poi alle gambe lucide delle sedie disposte in cerchio e alle mani tremanti dei miei compagni di tortura.
-Il bere non risolve- cinguetta di nuovo il consulente e noi come pappagalli in punto di morte (la voglia di stare qui è pari a quella di un volatile che non vola più) ripetiamo ciò che la sua bocca ci dice.
Una buona ragione per non essere qui e per non volerci essere, è che odio Freeman.
Altre validissime ragioni, oltre al mio odio personale per un adulto che vive ancora con sua madre e che pensa che sia anoressica/depressa perché mi fa personalmente schifo il purée di Cynthia (la cuoca), è che sono le 16:29 di un assolato sabato pomeriggio e che Blue Jeans (Jason) mi sta aspettando alla caffetteria all'angolo di questo dannato inferno tascabile.
Perché ovviamente mi porterò la voce di Freeman che mi stona la canzoncina del recupero delle proprie facoltà mentali, anche a casa e nel letto, una volta che alle undici di questa sera sarò crollata sul cuscino.
-La violenza porta guai- continua a cantare, muovendo le sue labbra secche e disgustosamente insalivate. Porta una mano a strofinare le corde del mandolino agonizzante e batte con enfasi, aritmicamente, un piede a terra.
Sembra una scimmia che ha preso lezioni di coordinazione da Luke.
-La violenza porta guai- intoniamo svogliatamente.
Siamo in sette, non contando la sacra trinità formata dai gemelli albanesi Shi, sha e She (potrei essermi sbagliata, ma i loro nomi sono anche più difficili di questi appellativi).
Non conosco praticamente nessuno (a parte i gemelli e il solito gruppo della mensa).
Alexandra mi fa cenni con la testa e con le mani dalla sua sedia, praticamente di fronte alla mia, mentre Yuzzy (il cinese di cui mi scordo sempre il nome) si gira i pollici nascosto dalla fitta cortina nera che sono i suoi lunghi capelli piastrati.
-Per oggi abbiamo finito- annuncia Freeman e i miei piedi spingono contro il pavimento permettendo al mio culo schiacciato di non essere più schiacciato, e ancor prima che possa dare indicazioni sul prossimo ritrovo (al quale non andrò assolutamente) mi trovo già a camminare (più che altro cercare di correre senza effettivamente correre) giù per la scalinata che porta al secondo piano e poi direttamente fuori dalla porta.
Mi carico meglio lo zainetto sulle spalle e chiudo gli occhi contro il sole, cercando di ricordare che sono ancora viva e che non dovrò mai più subire un abuso del genere.
Pensavo che i pasti in mensa con Freeman (ringraziando dio solo un giorno a settimana) fossero davvero terribili, ma oggi mi tocca decisamente ricredermi.
Sono appena le cinque e il sole ancora è alto nel cielo, io ho fame e se gli uccellini cinguettano faranno meglio a tapparsi i becchi. Non mi piace il rumore cinguettante emesso dai volatili. Non mi piacciono in generale i pennuti.
Non mi va di tornare a casa.
Ma neanche mi va di restare ferma come un palo infilzato nel cemento caldo, poi soprattutto non davanti scuola.
Vedo la piccola e grassa nuca della Maialetta che mi spia dal suo ufficio, che incredibilmente sembra affacciarsi contemporaneamente sul retro e sulla facciata principale della scuola, dove ci sono gli scalini dove si siedono gli informatici e il gruppo di lettura di libri noiosi che non-leggerò-mai-nella-mia-vita.
Mi metto in moto e faccio quattro passi, letteralmente, intorno all'edificio che mi tiene prigioniera per la maggior parte della mia giornata tipo.
Esco dal cancello principale e mi appoggio ad un muretto situato lì vicino, decidendo cosa fare.
Non voglio tornare a casa, non dopo il litigio con Ashton e con Calum.
So che Luke e Michael sono dalla parte di Ashton e che Calum, questa volta, non è dalla mia parte, quindi so anche che se posso evitare di mettere piede in una casa dove tutti credono che sia una gran stronza (cosa che è effettivamente vera) lo farò.
Ad un certo punto mi trovo a pensare alle pupille nere di Blue Jeans e poi al modo in cui, due settimane fa, mi aveva guardata per la prima volta e soprattutto al modo in cui mi ero sentita guardando le punte di spillo che erano quelle sue profonde pupille.
Non nascondo che mi viene da sorridere ampiamente a pensarci, ma non nego che mi sale un gran e pesante groppo in gola, pensando al modo in cui lo stesso giorno in cui ci siamo conosciuti, mi avesse semplicemente abbandonata nel bel mezzo del marciapiede.
Sembrava non curarsi del fatto che mi avesse chiesto lui di prenderci un gelato, sembrava che non gli importasse della delusione che avevo provato quando le sue braccia (piuttosto muscolose direi) avevano stretto la vita sottile di quella barbie rossa.
Mi stringo le mani solo al pensiero, tormentandomi sull'andare in caffetteria o sul non andare in caffetteria.
Voglio morire.
Perché diamine sono nata con una patata al posto del pisello? Perché ho un vegetale giallo al posto del figo baccello verde? Perché devo avere il ciclo?
(Non che in questo momento sia soggetta alla perdita di sangue dal vegetale giallo, ma io dico tanto per dire, per sottolineare quanto essere -ceretta- donna -pinzette per le sopracciglia -faccia- visite ginecologiche- schifo -ragazzi carini che prima sono tutti sexy e carini e che poi ti piantano in asso sul ciglio della strada-).
Alla fine decido di evitare Jason e i suoi dannati Blue Jeans che gli risaltano il colore degli occhi, e mi trovo a vagabondare nei pressi di casa.
Mi appoggio con la schiena al cancelletto e lascio scivolare la borsa blu notte sull'asfalto gridio e umido di acqua insaponata.
Giro la testa verso il vicinato e vedo un'anziana signora che pulisce il pavimento davanti casa sua con una scopa e del sapone per piatti.
Qui la gente è tutta matta.
Entro in casa quando decido che posso evitare i ragazzi, anche contemporaneamente se mi impegno, e che posso comunque rinchiudermi nella mia stanza fino all'inizio di una nuova era.
Non devo per forza uscire, né devo per forza fare pipì o se proprio devo farla, posso aprire la finestra, magari mettere una tendina opaca e fare i miei bisogni sul prato, magari potrei fertilizzare qualche pianta (o magari ucciderla).
Il problema bagno è risolto, ma ora c'è il gran dilemma cibo.
Ho delle barrette energetiche e altre schifezze ai cereali, nascoste da qualche parte nel fondo di qualche cassetto, ma a meno che non voglia diventare una balena, ho bisogno di mangiare qualcos'altro.
Magari potrei sgattaiolare in cucina nel mezzo della notte, mentre tutti dormono. Potrei prendere cibo per settimane e sopravvivere in quel modo.
Non devo per forza affrontare l'ira funesta del pelide Ashtonio o le occhiatacce di Michael o la compassione di Luke, forse potrei scampare anche a Calum.
-Gil, possiamo parlare?-
A quanto pare no.
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