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Capitolo 1 - Hard life on Monday mornings

Micaela

Per Micaela De Blasio il lunedì mattina era sempre un giorno faticoso: il tanto amato weekend era appena andato via e ci sarebbero voluti ben cinque giorni prima di poterlo riabbracciare di nuovo, costringendola nel frattempo a fronteggiare il traffico, intraprendendo la strada verso il suo odioso lavoro, perchè di lunedì mattina anche il più bello dei lavori diventava odioso, anche se, a onor del vero, il suo lavoro era odioso qualsiasi giorno della settimana.

Se esisteva un giorno che Micaela De Blasio avrebbe volentieri cancellato dai calendari, era decisamente il lunedì. Tuttavia, come sua madre stessa le aveva insegnato, ogni giorno, incluso il lunedì, poteva essere migliorato se lo si affrontava con un'abbondante colazione e il sorriso sulle labbra.

Perciò Micaela si alzò dal letto, piena di onesti buoni propositi per quel lunedì mattina che stava appena cominciando, dopo aver rimandato l'ora della sua sveglia per una buona mezz'ora.

«Buongiorno adorato coinquilino» trillò rivolgendo un sorriso a trentadue denti al suo coinquilino, Giacomo, che reputò tutta quell'energia inappropriata e fuori luogo.

Micaela e Giacomo si erano conosciuti durante il periodo universitario, avendo frequentato un corso insieme, ed erano diventati inseparabili, decidendo persino di andare a vivere insieme.

Micaela, infatti, aveva aiutato il ragazzo a superare uno degli esami più temuti per uno studente della facoltà di Lettere Moderne: Filologia Latina.

Sebbene l'aiuto di Micaela fosse stato provvidenziale in quell'occasione, purtroppo, la ragazza non potè fare molto su altri esami e fu così che Giacomo rimase indietro mentre Micaela si laureò a pieni voti perfettamente in tempo.

Il ragazzo, infatti, era in quel momento al 'n' anno fuori corso e sfuggiva ogni domanda riguardanti la sua carriera universitaria. D'altronde non amava particolarmente spiegare i motivi per cui era andato così il suo percorso di studi limitandosi, ogni volta che gli domandavano spiegazioni, a fare spallucce rimanendo sul vago.

Giacomo aggrottò la fronte e si stropicciò gli occhi incerto di aver visto bene.

«Stai davvero sorridendo di lunedì mattina appena sveglia?»

Micaela rise di gusto e si sedette sul loro sgabello leggermente malandato dopo averlo avvicinato a Giacomo.

«Dicono che il segreto per affrontare il lunedì è farlo con il sorriso» sussurrò al suo orecchio quasi stesse rivelando uno dei dogmi della fede.

Il ragazzo fece una smorfia arricciando le labbra.

«Fammi indovinare un'altra perla di saggezza di donna Graziella?» la interrogò alludendo alla madre di Micaela.

La donna era ormai diventata fonte di saggezza popolare nel corso della convivenza dei due, che a settembre di quell'anno avrebbero festeggiato il quarto anniversario di "coinquilinanza", vocabolo inventato da Giacomo.

La ragazza annuì intanto che mordicchiava un biscotto al cioccolato.

«Bah, devo dissentire. Anche con un sorriso, per me il lunedì resta uno schifo» affermò e si alzò per versare il caffè nelle loro raffinate tazzine in vetro, rubate al bar sotto casa.

«Che palle! Non ci voglio andare al lavoro» sbuffò Micaela incrociando le braccia al petto.

«Meno male che affrontavi il lunedì con il sorriso» la prese in giro sghignazzando il suo coinquilino.

La ragazza lo guardò di sottecchi. Non era il lunedì il suo problema, ma la sua corrente occupazione.

Micaela era attualmente impiegata presso uno dei call center dell'operatore telefonico Tim nella città di Bologna, non essendo riuscita a trovare null'altro nel suo campo con cui pagare le bollette. Avrebbe tanto voluto lavorare come Editor in una casa editrice, se non diventare lei stessa una scrittrice, ma nonostante i mille tentativi e CV inviati, un lavoro decente non sembrava proprio voler spuntare.

«Io non voglio andare al lavoro in nessun giorno della settimana» ribadì difatti.

Giacomo si strinse le spalle.

«Non capisco perché non lo molli e ti cerchi qualcosa di meglio» osservò intanto che mandava giù un sorso del suo personale nettare degli Dèi, ovvero di caffè.

Micaela batté una mano sulla fronte del ragazzo.

«Perché ci pago le nostre bollette, carino!» gli ricordò facendo una smorfia.

In quegli ultimi mesi, i facoltosi genitori di Giacomo avevano deciso di tagliare i fondi al ragazzo, essendo stanchi delle solite scuse del loro figlio sulla sua presunta incapacità di entrare nelle simpatie del suo professore di Storia Medievale, che, a sua detta, lo avrebbe ormai bocciato ben otto volte causando il rinvio della tanto agognata laurea.

«E io te ne sarò eternamente grato» ammiccò, dopodiché le cinse le spalle. «Vedrai quest'anno spacchiamo!» esclamò alzando un cinque verso la ragazza che esitò qualche secondo prima di batterlo.

«Tutti gli anni dovremmo spaccare e invece siamo sempre qui» ribadì lei indicando il loro bilocale che, pur essendo pieno di curiosi e improbabili mobili, che lo rendevano un po' vintage e bohemièn, rimaneva lo stesso un tugurio.

«Vado a prepararmi» lo informò dopo aver posato la tazzina sporca nel lavello della cucina.

«Nuove lamentele a cui rispondere mi aspettano» ironizzò sul suo lavoro da centralinista e scappò in camera.

Un'altra giornata al call center stava per iniziare.

*

In piedi davanti alla pensilina della fermata del bus, Micaela ripensava all'affermazione di Giacomo.

«Dovrei cambiare lavoro» rifletté ad alta voce attirando su di sé l'attenzione di un anziano che sorrise.

«Non è soddisfatta?» domandò l'uomo rivolgendole un sorriso, la ragazza scosse la testa.

«Lei sarebbe soddisfatto di un lavoro da centralinista quando ha una laurea triennale e magistrale in Lettere Moderne, conseguite entrambe con il massimo dei voti?» chiese retorica susseguito da un sospiro.

A volte si pentiva di aver scelto la letteratura come fonte di guadagno futura.

Anche l'anziano, imitandola, sospirò.

«Credo di no».

«Ha risposto alla sua domanda» concluse il discorso la ragazza facendo un sorriso spento.

Nel frattempo aveva scorto l'autobus svoltare l'angolo e la centralinista si apprestò ad avvicinarsi al ciglio della strada.

«Vedrà che andrà meglio» la confortò l'uomo mentre saliva sul bus.

«Lo spero» rispose Micaela con tono smorto, infine salutò l'anziano, prima che gli sportelli del mezzo di trasporto si richiudessero.

*

Giunta in prossimità della sua postazione di lavoro fu assalita dalla sua collega, Federica, che la bloccò per un braccio trascinandola nella toilette del loro disordinato ufficio.

«Ci ha provato di nuovo» le raccontò appoggiandosi di spalle al mobile del lavandino. «Te ne rendi conto?» urlò fingendosi disperata.

Micaela inarcò un sopracciglio.

«Come se a te non facesse piacere».

La sua collega sorrise maliziosa dando una scrollata alla sua folta chioma bionda.

«Vorrei che mollasse quell'idiota, insomma non possiamo scopare e poi tornare a comportarci come dei semplici colleghi».

Federica intratteneva rapporti "illeciti" con il loro diretto superiore, Alberto, fidanzato da ben cinque anni con una pallavolista professionista, sempre impegnata in qualche torneo in giro per l'Europa.

«Non la mollerà mai e lo sai» osservò Micaela intanto che si specchiava accorgendosi solo in quell'istante delle occhiaie violacce sotto gli occhi.

Federica aprì la borsa frugando nel suo beauty case per qualche istante e allungò il correttore verso l'amica.

«Ti aiuterà a sembrare un essere vivente» esclamò dopo aver notato l'occhiata diffidente di Micaela che non apprezzava molto i moderni artefici della cosmesi.

«Comunque tu non capisci. Lui è sexy, Miche, scopa da Dio e... io mi sono innamorata» affermò con un sospiro ritornando sull'argomento principale della loro conversazione.

Micaela roteò gli occhi, ogni volta si ripeteva la solita storia.

«Beh, allora smettila di lamentarti»

«È inutile parlare con te» sbuffò Federica stizzita. «Ma d'altronde, cosa posso aspettarmi da una che non si è mai innamorata in tutta la sua vita?»

La ragazza le lanciò un'occhiata furibonda.

«Il fatto che io non mi sia fatta scopare dal mio capo, che mi promette che lascerà la sua fidanzata e invece non ha la benché minima intenzione di farlo, non implica che non mi sia mai innamorata»

Federica boccheggiò contrariata scoppiando poi a ridere di gusto vedendo la reazione di Micaela che si era portata una mano alla bocca per essersi fatta sfuggire le sue considerazioni.

«E dimmi un po', quando è stata l'ultima volta che il tuo cuoricino ha fatto 'tù tù, tù tù'?»

Micaela rimase in silenzio fingendo di concentrarsi sull'applicazione del correttore.

«Tre anni e mezzo fa» confessò a voce bassa.

«Quindi sono tre anni e mezzo che tu non...» dedusse inorridita incapace di concludere la frase, la sua amica annuì restituendole il correttore.

«Oddio mio! Miche, devi trovarti urgentemente un uomo» esclamò gesticolando platealmente e facendo cadere per terra il correttore che Micaela teneva in mano, lo raccolse lanciandolo in seguito nella borsa.

«Ci sto lavorando. Ora però dovrei lavorare sulle telefonate e anche tu» la rimproverò uscendo di corsa dalla toilette prima che Federica potesse aggiungere qualcos'altro che la potesse imbarazzare.

***

Tommaso

Quello stesso lunedì mattina nella grigia città di Milano, Tommaso Parisi si apprestava a riassettare la sua cattedra nell'attesa della lezione che avrebbe tenuto di lì a breve quando improvvisamente entrò la sua collega Sara con cui conduceva il suo progetto di ricerca.

«Il professor Lavagnini ti vuole nel suo ufficio dopo la fine della lezione» gli comunicò laconica la ragazza intanto che si sedeva sulla cattedra.

Tommaso le lanciò un'occhiata interrogativa.

«Anche a te?»

La ragazza scosse la testa e lo indicò con un dito.

«Just you, babe».

Il ricercatore si allarmò, aveva forse combinato qualche guaio? Lui sottoponeva ogni fase del suo esperimento all'approvazione del suo mentore, e ora perché mai questo lo avrebbe convocato nel suo ufficio e per giunta da solo?

Aprì la bocca nel tentativo di dire qualcosa ma venne interrotto dall'arrivo degli studenti del corso di Meccanica quantistica che avevano fatto ingresso in massa nell'aula prendendo posto pigramente sulle sedie.

«Beh, io vado allora» lo salutò in fretta la sua collega e uscì dall'aula.

Per tutta la durata della sua lezione, Tommaso non fece altro che pensare alla sua convocazione, distraendosi inevitabilmente.

Sbagliò qualche calcolo matematico che ben presto fu corretto dall'aspirante 30 e lode e si ricordò di quando anche lui era soltanto uno studente della facoltà di Fisica e di quanto avesse goduto nel correggere i suoi professori.

Sibilò a denti stretti un «grazie» e proseguì nella spiegazione, dando ulteriori motivi di vanto al genietto di turno che gongolò della sua reazione.

Per Tommaso la scienza era la più grande gioia della sua vita. Aveva scoperto fin da piccolissimo la sua affezione verso di essa, diventando sempre più assetato di conoscenza.

«Una curiosità insaziabile» aveva detto la sua maestra di Scienze in quarta elementare a suo padre mostrando la fila piena di "ottimo" del suo registro.

Aveva sempre scrutato la volta celeste con avido interesse, voleva sapere ogni cosa di quegli astri lontani di cui notava vagamente il movimento; rapito e affascinato da quelle masse gassose aveva persino chiesto un telescopio per poter osservare meglio, non gli bastavano più i suoi occhi. Lui voleva, doveva sapere tutto di quel misterioso cielo.

Fu in una notte tiepida d'inizio estate che l'allora undicenne Tommaso conobbe la sua compagna di vita, ovvero la fisica.

Suo padre lo aveva mandato a letto presto, lui e la sua attuale compagna stavano tenendo una festa nel loro giardino e il piccolo Tommy con il suo ingombrante telescopio era fin troppo fastidioso.

Aveva protestato ma, stanco, aveva ceduto e aveva finto di coricarsi nel suo letto, in realtà, aveva preso di nuovo il telescopio e si era avvicinato alla finestra aperta per vedere le stelle ancora una volta.

Era stato lì, immerso nella sua contemplazione quando un lampo di luce rapì il suo sguardo. Era un fulmine che preannunciava l'inizio di una tempesta estiva che non tardò ad affacciarsi all'orizzonte.

Subito dopo il cielo tuonò e altri accecanti lampi illuminarono la terra, sentì le risate degli amici di suo padre che correvano mettendosi al riparo e la sua compagna lamentarsi della loro sfortuna, ma non se ne curò affatto. I discorsi degli adulti erano sempre noiosi al contrario di quello che stava accadendo davanti ai suoi occhi.

Qualche meccanismo era scattato nella sua brillante mente, i cui ingranaggi iniziarono a ruotare. All'improvviso anche il mondo che lo circondava divenne interessante; lui doveva carpire le sue leggi, forze, ragioni che lo guidavano. Doveva farlo suo.

Da quel momento, la vita di Tommaso fu dedicata interamente alla scoperta di quella scienza magnifica, da cui aveva tratto le soddisfazioni più grandi, e mai se ne pentì.

La campanella segnalante l'inizio del quarto d'ora di pausa accademico lo trovò immerso nelle sue formule, si voltò verso la folla di studenti chini sui loro quaderni a prendere appunti e li informò che avrebbero ripreso l'argomento nella lezione successiva.

«Purtroppo non mi posso trattenere. Il prof mi aspetta» riferì ai suoi studenti, giustificandosi inutilmente giacché questi non erano affatto dispiaciuti che il noioso assistente del Lavagnini non li avesse trattenuti ancora.

Raccolse la sua roba che infilò distrattamente nella tracolla di pelle sgualcita e si avviò verso l'ufficio del suo "mentore".

*

«Parisi, eccoti. Accomodati» indicò la sedia davanti a lui, su cui il giovane assistente si era seduto tante volte, e sorrise.

«Russo mi ha detto che voleva parlarmi» esordì tentennante il ragazzo abbassando lo sguardo, le sue guance avvamparono inspiegabilmente facendo sorridere ancora una volta il Lavagnini, un omone ormai vicino alla settantina dall'aria amichevole.

Era stato il suo essere così caloroso e affettuoso nei confronti dei suoi studenti, cosa rara per uno studioso della Fisica, che aveva spinto Tommaso a chiedere al professore se fosse possibile inserirlo nel suo progetto di ricerca.

L'uomo aveva chiesto il suo libretto notando immediatamente la sfilza di 30 e 30 e lode che lo popolavano e aveva inclinato vistosamente il mento compiaciuto.

«Sarà un onore averti con noi».

Tuttavia, ora doveva esserci qualche problema, altrimenti come spiegare diversamente quell'improvvisa convocazione?

«Meccanica sarà tua» dichiarò l'uomo d'un fiato appoggiandosi allo schienale della sua sedia in pelle sintetica per osservare meglio l'espressione di Tommaso di reazione alla notizia.

Il ragazzo sbarrò gli occhi e le sue labbra si modularono in un sorriso estasiato.

«Dice davvero?»

«Sì, l'anno prossimo terrai tu il corso. Sarà tutto tuo» proseguì il Lavagnini dandogli ulteriori dettagli su come avesse avanzato quella proposta nell'ultima seduta del Consiglio di facoltà e di quanto la notizia fosse stata accolta dai suoi colleghi con scarsa sorpresa.

Era da tempo che il professor Lavagnini voleva ritirarsi in pensione, ma la ricerca del suo giusto successore glielo impediva, o meglio glielo aveva impedito finché non si era imbattuto in Parisi, un giovane brillante, ma modesto e con i piedi per terra, che gli ricordò subito se stesso nei primi anni della sua carriera.

«Oh, grazie grazie! » fu tutto ciò che il ragazzo riuscì a dire in preda alla commozione.

Quella dimostrazione di fiducia nelle sue capacità e di apprezzamento del suo lavoro era ciò a cui aveva ispirato da quando aveva messo piede all'università.

Strinse vigorosamente la mano del professore nella sua e uscì dall'ufficio prendendo subito il cellulare in mano per chiamare sua zia. Doveva informarla immediatamente di quella meravigliosa notizia.

***

Carolina

Non lontanissimo dal Politecnico di Milano dove Tommaso continuava a gioire per la notizia appena ricevuta, Carolina Bertini si appoggiava al muro bianco sporco leggermente rovinato del mio ormai ex ufficio, sospirando rumorosamente persa completamente nei suoi pensieri. Quanto tempo era passato dalla prima volta che aveva messo piede nell'associazione?

Guardò la sedia girevole vecchia di generazioni, cigolante al minimo movimento, su cui si era seduta infinite volte, la scrivania in legno scheggiata agli angoli con il fermacarte colorato in cartapesta realizzato dai ragazzini dell'associazione, la riproduzione della "Notte Stellata" di Van Gogh lasciato da qualche ex membro incorniciato al muro e venne subito colpita dalla nostalgia.

«Cavolo! Questo posto mi mancherà da morire» affermò sospirando nuovamente.

Adorava il suo lavoro all'associazione e se avesse avuto una famiglia benestante alle spalle, non lo avrebbe mai abbandonato.

Lo scopo dell'ente non profit, diventato quasi un'istituzione nel quartiere, era stata l'unica ragione della sua esistenza da sei anni a questa parte; in parole povere, lo staff si occupava di sorrisi.

Nonostante potesse sembrare strano da dirsi, era proprio che così che gli impiegati dell'associazione avrebbero descritto il suo lavoro.

Il nome dello strampalato gruppo era infatti "I maestri del sorriso" e la sua missione consisteva nel regalare spettacoli teatrali o di magia in giro per Milano: nelle piazze, negli ospedali, nelle case famiglia. Ovunque un sorriso fosse stato necessario.

Sebbene il sorriso sia una delle più grandi ricchezze degli uomini, l'associazione "I maestri del sorriso" non poteva considerarsi tale. L'ente benefico, infatti, si sosteneva con gli aiuti degli sponsor, la maggior parte dei quali prendeva anche parte negli spettacoli, girovagando per tutta Milano con il loro pulmino giallo, ormai ridotto un rottame.

Nessuno dei suoi impiegati si erano unito al gruppo per il denaro e, infatti, chiunque di loro non avrebbe fatto fatica a riconoscere che, anche se a loro piaceva dire che regalavano sorrisi, erano in realtà i bambini con le risate, gli applausi e occhi ridenti a regalarli a loro ripagandoli di ogni fatica.

Carolina ricordava ancora il primo spettacolo a cui assistette; a calcare il palcoscenico in quell'occasione era stato Carlo, il suo ex fidanzato, che per l'occasione aveva recitato un monologo rivisitato dall'Amleto in versione comica.

Si era scompisciata dalle risate. Carlo sapeva bene il fatto suo, non a caso ora recitava in una compagnia teatrale andando in giro per tutta Europa.

Carolina, invece, non era un'artista, anche se le sarebbe piaciuto possedere il benché minimo talento artistico. Nell'associazione si occupava della contabilità, della comunicazione aziendale e dei rapporti con gli sponsor. Era una sorta di PR manager tuttofare.

Aveva iniziato a lavorare lì qualche mese dopo il conseguimento della laurea magistrale con la scusa di dover temporeggiare in attesa di un'offerta di lavoro seria e non se n'era più andata, nonostante di offerte ne avesse ricevute diverse nel corso degli anni. Tuttavia, ogni esperienza giungeva presto o tardi a una fine e la sua presso "I maestri del sorriso" volgeva, appunto, al termine. Era arrivato il momento di volare verso altri porti sicuri.

Anche Carolina aveva dei sogni nel cassetto, anzi, un unico sogno chiamato "Lovely pastries". La sua pasticceria, un'attività tutta sua, con cui avrebbe potuto coronare il sogno di una vita di suo nonno, che gli aveva trasmesso la passione verso i dolci e i sogni in grande.

Aveva sempre sognato di aprirne una, occupandosene della gestione in prima persona e per tali motivazioni aveva deciso di conseguire la laurea in Economia e Gestione delle imprese con l'unico obiettivo di fare le teorie dei grandi aziendalisti proprie, diventando un'imprenditrice di successo. Carolina, infatti, non poteva dirsi una delle ambizioni semplici.

Realizzare i propri sogni, tuttavia, aveva un costo e nel suo caso anche piuttosto elevato, richiedendo così la necessità di un finanziamento.

Considerato il periodo di crisi che l'Italia stava affrontando, un prestito bancario non era dei più facili a ottenersi e, difatti, le era stato chiesto di presentare una miriade di documenti a garanzia, fra cui anche la beneamata busta paga e anche di una cifra piuttosto consistente.

Era stato quello il motivo che l'aveva spinta a rinunciare al suo lavoro in associazione. Aveva bisogno di un vero lavoro e per sua fortuna era riuscita a trovarne uno come PR e Comms manager presso una casa editrice milanese, ottenuto grazie al suo master in "Comunicazione e Public affairs" oltre che al suo brillante curriculum accademico e professionale.

Si trattava perciò di un buon lavoro con un'ottima paga ed era soprattutto il suo biglietto da visita per la banca Unicredit che non avrebbe potuto così rifiutarle il prestito.

Ripensando ai sogni nel cassetto, si ricordò di controllare quelli della scrivania che trovò completamente sgomberi.

Era china sulla scrivania a tastare i profondi cassetti per accettarsi che non le fosse sfuggito nulla, quando la sua collega Ludovica si affacciò dalla porta del suo ufficio rimanendo ferma sulla soglia.

Indossava un abito di cotone ampio a fiori bianchi che le calzava a pennello mentre ai piedi portava le sue adorate Dr Martens dalla suola completamente consumata.

Notando le scarpe della donna, Carolina non potè fare a meno di pensare che non l'aveva mai vista indossare un altro tipo di calzatura in quasi tre anni.

Ludovica si alzò la pesante frangia nera che le copriva gli occhi castani un po' a mandorla e fissò lo scatolone racchiudente tutta la roba di Carolina abbandonandosi a lungo sospiro.

«Non voglio che vai via» affermò imbronciata.

«Ludo, tornerò spesso! Vivremo sempre nella stessa città, mica sto andando in Guatemala» replicò Carolina ammiccando.

«Mi mancherai un sacco, Caro» ammisse l'altra avvicinadosi per abbracciarla stretta.

Carolina la strinse a sua volta sbaciucchiandola e mormorò un «anche tu».

Le sarebbero mancati tutti d'altronde, persino il portinaio brontolone che non diceva "buongiorno" nemmeno nelle sue giornate migliori.

«Ti serve una mano per portare lo scatolone?» domandò Ludovica provando a muoverlo con scarsi risultati. «Sembra piuttosto pesante» valutò.

Carolina si passò una mano fra i capelli sorridendo.

«Beh, qui dentro ci sono tre anni di roba» sottolineò facendo spallucce.

Capendo anche lei che avrebbe fatto fatica a portare lo scatolone in macchina senza spezzarsi la schiena, essendo piuttosto mingherlina, accettò l'aiuto di Ludovica e presero lo scatolone a due mani con molta fatica, uscendo dall'ufficio e facendo attenzione a non inciampare nella disastrosa moquette.

«Di sicuro, nel posto dove andrai ci sarà un arredamento pazzesco» osservò Ludovica facendo l'occhiolino.

«Dopo quest'ufficio, credo che qualsiasi arredamento, persino quello IKEA, mi sembrerà pazzesco» ribadì Carolina facendo ridere la sua ormai ex collega.

Posarono un secondo lo scatolone sul ciglio della strada mentre Carolina apriva la portiera della mia FIAT Festa, ereditata da sua nonna e anche questa in condizioni pietose, e infilarono dentro lo scatolone.

«Bene, direi che ci siamo» mormorò Carolina con un lieve punta di malinconia.

Anche Ludovica la guardò con espressione piuttosto triste sospirando per l'ennesima volta.

Abbassò lo sguardo per terra fissandolo su una lattina di Fanta buttata da qualche passante e fu improvvisamente colta da un'illuminazione.

«Me ne stavo dimenticando...» esclamò difatti suscitando la curiosità di Carolina.

Non aveva idea di cosa si fosse dimenticata, ma non se ne sorprese più di tanto. Ludovica era famosa nell'associazione con il soprannome di "Miss Smemorina"

«Aspetta qui» si raccomandò con Carolina e si avviò verso l'ufficio di corsa.

Dopo qualche minuto di attesa ritornò stringendo fra le mani una cornice infiocchettata.

«Volevamo che portassi con te un nostro ricordo e abbiamo fatto questo».

Girò la cornice verso di lei perchè la vedesse lasciado Carolina senza parole.

Si trattava di una fotografia ritraente tutti i membri dell'associazione durante uno dei loro spettacoli con alcuni dei loro piccoli spettatori.

«Dentro c'è anche una dedica» la informò e si premurò lei stessa di prendere la fotografia perché potesse leggere quanto riportato.

Cara Caro,

finalmente è arrivato anche per te il momento di spiccare il volo. Noi siamo convinti che sarà sicuramente un successo e ci auguriamo che presto ci porterai tanti pasticcini buoni. Intanto, ti facciamo i nostri migliori auguri per il tuo nuovo lavoro. Spacca tutto, Caro!

Ti vogliamo bene e ti porteremo sempre nel cuore.

Un bacione enorme,

I maestri del sorriso

Carolina sentì gli occhi inumidirsi e il naso pizzicare, era una delle dediche più belle che qualcuno le avesse mai rivolto.

«Grazie, grazie... anche io vi porterò sempre nel cuore» sussurrò in preda alla commozione e abbracciò di nuovo l'amica.

Rimasero strette in un caloroso abbraccio per diversi minuti tentando di darsi conforto finchè Ludovica si staccò alludendo a un pianto molto prossimo.

A quel punto Carolina salì in macchina sentendo anche lei che le lacrime erano ormai vicine.

«A presto!» urlò dal finestrino e s'immise nel traffico alla volta di casa mentre Ludovica continuava ad agitare la mano in aria.

Una nuova avventura stava cominciando per Carolina e sentì l'adrelina scorrerle nelle vene, avvertendo una forte scarica di energia positiva. Era sicura che stava per cominciare uno dei periodi più belli della sua vita, non poteva essere altrimenti.

***

Daniele

Probabilmente le ondate di energia positiva erano a scorte limitate ed erano proprio andate esaurite quando Daniele Ambrosi si era approcciato per acquistare una.

L'uomo, infatti, seduto alla sua scrivania nel limpido e immacolato open space della Banca Unicredit, sbuffava pesantemente, gonfiando le guance e ripetendo l'operazione altre tre volte.

Quel lunedì mattina la lettura del "Financial Times" non avrebbe potuto essere più noiosa.

Nonché sia mai stata una lettura piacevole a onor del vero. Le notizie che lo popolavano non potevano definirsi "leggere", si parlava sempre di scissioni, fusioni, trasferimenti di rami aziendali, azioni che salgono e scendono, mica di pettegolezzi riguardo i divi di Hollywood. Tuttavia, nonostante fosse ormai abituato alle noiose e scarsamente coinvolgenti notizie del Financial Times, quella mattina non riusciva proprio a concentrarsi.

«Rivoglio il weekend...» bofonchiò intanto che si alzava dalla sua comoda sedia girevole in pelle decidendo di ciondolare per l'ufficio.

Si voltò verso l'ampio finestrone affacciato su Piazzale Loreto, uno dei principali crocevia del traffico milanese, essendo situato fra la fine di corso Buenos Aires e Via Padova, e si soffermò a guardare le automobili imbottigliate.

Non succedeva nulla di eclatante neanche in strada: nessun pedone che urlava ai guidatori distratti dopo aver quasi rischiato di morire schiacciato, nessun dito medio alzato con tanto di sorpasso. Nemmeno il giornalaio dell'angolo litigava con qualche cliente che non voleva comprare qualche supplemento.

Non succedeva un bel niente. Poteva decisamente dichiarsi ufficialmente il lunedì più noioso dell'anno.

Era completamente perso nella contemplazione del vuoto quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Sperando che si trattasse della sua collega Beata, con cui intratteva una sorta di flirt piuttosto spinto, si voltò facendo il suo miglior sorriso.

Quel lunedì sembrava non volergli regalare nessuna gioia e al posto della sua sexy collega, si trovò il suo capo, Arturo Girolamo, un uomo possente, alto quasi due metri, dai capelli brizzolati, pizzetto ben curato e sopracciglia folte.

«Buongiorno, Ambrosi. Hai novità?» chiese invitandolo a seguirlo verso l'area relax del loro ufficio.

Si sistemò sua poltrona facendo attenzione a non sgualcire l'elegante completo firmato Armani e rimase in attesa del solito report quotidiano del suo sottoposto, mentre tirava fuori una mentina da una scatolina di latta con delle incisioni personalizzate; si potevano chiaramente leggere le sue iniziali.

«Gradisci?» domandò allungando la scatolina verso Ambrosi che scosse la testa.

«No, grazie. Non amo la menta» gli ricordò per l'ennesima volta.

Il capo annuì con un ghigno sul volto e ripose la scatola in tasca.

«Allora, che novità?»

«Beh, sono stato da mia nonna questa domenica, mi ha presentato il suo nuovo toy-boy, per così dire...» cominciò a raccontare ironico.

Arturo infatti scosse testa roteando gli occhi.

«Ambrosi, non fare l'idiota».

Daniele sghignazzò, un po' di divertimento per ripagarsi della noia di quel lunedì gli era dovuto.

«Il prezzo delle azioni di quella compagnia che abbiamo adocchiato settimana scorsa continua a salire. Molto probabilmente ci sarà stata una fuga di notizie riguardo l'imminente fusione» accennò laconico.

Arturo annuì mentre continuava a succhiare avido la sua mentina.

«È il caso di vendere?» domandò piantando il suo sguardo in quello di Daniele.

«Direi di sì. Ho parlato con quel mio amico, quello che lavora a Piazza Affari, e mi ha detto che in questi giorni il Sole 24Ore pubblicherà la notizia della prossima fusione» lo informò.

L'uomo mosse lievemente il mento soppesando le parole del suo collaboratore e arricciò le labbra come faceva ogni volta stava prendendo una decisione.

«Perfetto, vendi subito» gli ordinò e Daniele annuì. «Per quanto riguarda i BTP invece?»

Ambrosi inarcò sottilmente il sopracciglio sinistro sorridendo beffardo, il suo capo si ostinava a continuare a chiedere dei BTP nonostante fosse consapevole che si trattasse di una causa persa.

«Vuoi davvero saperlo?» chiese difatti.

Entrambi si abbandonarono a una risata, i titoli italiani non avrebbero potuto avere un andamento più disastroso.

«No, hai ragione. Meglio essere all'oscuro» affermò Arturo appoggiandosi allo schienale della poltrona.

«Per il resto? Com'è andato questo weekend? Conquiste interessanti?» gli chiese.

Conoscendosi ormai da diversi anni, fra Daniele e il suo capo si era stabilito una certa confidenza che portava Arturo a impicciarsi delle prede del suo sottoposto e qualche volta gliene aveva persino presentata qualcuna; tutte donne molto appetibili, ma soprattutto disponibili.

Daniele s'incantò al muro bianco temporeggiando, quel fine settimana non era nemmeno uscito. Ultimamente "el pueblo de la noche" non lo divertiva più della De Filippi con la sua "C'è posta per te". Stava decisamente invecchiando.

«Stai pensando al pompino che ti hanno fatto?» domandò malizioso Arturo leccandosi le labbra.

Daniele scosse la testa.

«Macché! Non è successo nulla, capo. Mi dispiace, sto diventando noioso» fece spallucce.

«Mmm.. nessuna fellatio degna di nota, dunque?»

Il giovane scosse la testa nuovamente e formò una elle con il dito indice e pollice muovendoli a mezz'aria, come a rimarcare che non era successo proprio nulla.

«E lei, capo?» chiese sua volta.

Girolamo era un perfetto gentleman e in quanto tale non poteva fare disonore alla sua categoria, mostrando una discutible fedeltà alla sua consorte, le cui corna ormai devono essere arrivate nelle foreste nordamericane del South Dakota. Perlomeno si confondeva con i cervi bianchi delle riserve.

«Nah, questo weekend sono stato intrappolato nella mia casa in montagna assieme alla mia deliziosa famiglia» disse schiacciando la mentina.

«Mi ha fatto piacere però. Era da tempo che non passavo del tempo con le bimbe» aggiunse sorridente.

Daniele sollevò un sopracciglio ridendo sotto i baffi. Le aveva chiamate bimbe! Un soprannome senza ombra di dubbio azzeccato per definire due adolescenti arrapate che ci avevano provato con mezzo ufficio durante l'ultima festa aziendale, incluso Daniele. D'altronde le mele non cascano mai troppo lontano dall'albero.

«Capisco, capo» rispose il giovane rimanendo sul vago.

A quel punto, Girolamo si alzò, essendo ormai terminato il loro colloquio mattutino, congedandosi e Daniele ritornò alla sua scrivania.

Trascorse il resto della mattina osservando le schermate del suo PC e facendo attenzione all'andamento altalenante dei titoli in Borsa, concedendosi una breve pausa verso mezzogiorno, l'ora in cui chiudono i mercati, durante la quale flirtò con Beata che quel giorno era incredibilmente di buonumore permettendogli persino di palparle il sedere scolpito nella roccia.

Mentre nel pomeriggio si dedicò allo svolgimento di qualche operazione, vendendo e acquistando titoli qua e là, per lavorarsi le somme investite.

Il lavoro di Daniele consisteva nella gestione del portafoglio investimenti dei loro clienti, per i quali comprava e vedeva titoli azionari e altri marchingegni della scienze finanziarie, utilizzando i risparmi affidati dai loro clienti. In parole povere, era una sorta di trader.

Lavoro ottenuto senza alcun master o laurea magistrale; d'altra parte l'intuizione spesso era più utile di un perfetto e ben fornito curriculum accademico.

Come amava dire il suo professore di Tecnica di Borsa ai tempi della laurea triennale, bisognava essere abili nel vendere fumo e Daniele poteva considerarsi un esperto nell'ambito.

Terminata una lunga operazione, guardò l'orologio segnalante le sei e un quarto e decise che per quella giornata poteva bastare così.

Una volta uscito, disinnescò l'antifurto della sua adorata Audi A3 Cabriolet fresca di fabbrica e m'immise nel traffico serale di Milano mentre la radio si accendeva automaticamente sintonizzandosi su RDS, l'unica stazione radio capace di intrattenerlo.

Sperava di riuscire a rilassarsi, ma mille domande lo assillavano, impedendogli di staccare la spina; non faceva infatti che domandarsi da quando la sua vita fosse diventata così noiosa.

Forse aveva ragione sua nonna: avrebbe dovuto darci un taglio con le conquiste inutili da una botta e via e trovarsi una brava ragazza. Un po' come il suo coinquilino Tommaso, lui era un ragazzo serio e raramente cedeva ad avventure di una notte.

A quel pensiero sghignazzò da solo.

Non era fatto per relazioni serie, non ne aveva mai avuta una difatti. Per meglio dire, ne aveva avuta soltanto una ed era finita con la malcapitata che usciva dal suo appartamento in lacrime dopo che le aveva confessato di averla tradita. Decisamente un evento da non ripetersi, soprattutto per il senso di colpa che lo aveva colpito allo stomaco nel sentirla piangere. Chissà se aveva fatto piangere solo lei, si domandò.

Nonché gliene importasse particolarmente. Tuttavia, doveva ammettere che la consapevolezza di aver fatto soffrire Carolina era ancora capace di creargli del dispiacere, nonostante fossero passati diversi anni da allora. Sei anni per l'esattezza.

Fece spallucce agitando una mano in aria come a schiacciare quel pensiero e si concentrò sulla canzone trasmessa della radio; era "Grace Kelly" di Mika, istintivamente alzò il volume e cominciò a canticchiare gesticolando come un idiota.

Si sorprese nel notare di conoscere tutto il testo, non era mai stato un appassionato della musica in lingua inglese e inevitabilmente si trovò a realizzare che era una delle canzoni preferite di Carolina.

Ecco che il ricordo della giovane riaffiorava nuovamente, uscendo impertinente dal cassetto delle sue memorie, creando scompiglio. Ultimamente accadeva piuttosto spesso e Ambrosi non riusciva a capacitarsi del perchè. Probabilmente era la noia.

Già, sicuramente era la noia.

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Angolo dell'autrice

Ciao a tutte!

Scommetto che questa vi ha colto alla sprovvista! Perché Anto sta pubblicando una storia e perché non è "Quella volta in cui..."?

Non vi preoccupate! Non abbandono Paolo e Alex, anzi sono quasi arrivata alla fine della stesura :)

Come posso dirvi di "Vite parallele"?

Circa sei anni fa iniziai a lavorare a questa storia, non l'ho mai finita, chissà se magari ora avrà più fortuna?

All'epoca erano due storie separate, ma ho deciso di unirle creandone una sola.

Non so se vedremo mai la fine, ma ho deciso di rendervi partecipi.

Benvenuti !

PS: ho dato un volto a tutti i protagonisti, ma non li ho descritti, tuttavia sono convinta che saprete capire chi è chi :)

A presto <3

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