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Capitolo 18.2 - Il volto spaventoso dell'amore

Federica

Era mattina inoltrata. Eravamo stati in giro tutta la notte e la stanchezza mi gravava addosso, più delle altre volte. Tommy parcheggiò di fronte all'ingresso del pronto soccorso e soffocai uno sbadiglio con la mano.

«Ci sentiamo dopo.»

«Ci sentiamo?» ripetei, confusa. «Dove stai andando?»

«Ovunque mi porti il cuore.» Guardò dritto davanti a sé e inclinai il capo da un lato, chiedendomi il motivo di tutto quel mistero. «O vado a casa. Forse, non lo so ancora.»

«Cerca di fare poco lo spiritoso, ok? Non è il momento per queste cavolate. Siamo venuti in ospedale. Perché te ne vai?»

«Te l'ho detto, mi hanno mostrato l'uscita. Il capo mi ha licenziato e mi ha detto "addio, buona fortuna". Come devo spiegartelo?»

«Sai che sono io il tuo capo. E ti dico che non sei licenziato.»

Esalò uno sbuffo, poi si voltò. «Fede. La verità è che non voglio e la cosa comincia a starmi sulle palle. Il gioco sporco che quelli ai vertici stanno attuando è troppo per me. Non lo sopporto più.»

Mi mossi sul sedile, ruotando il busto totalmente. «Cosa vedi quando mi guardi?»

«Fede.» tentò di bloccarmi.

«No, davvero, mia sorella è scomparsa nel nulla, non so più dov'è finita e se è viva o no... però tengo botta, perché ho delle responsabilità, dei doveri. Ci sono vite da salvare ogni giorno e non possiamo gettare la spugna solo perché c'è chi vuole metterci i bastoni fra le ruote.»

«Non è più mia responsabilità.»

«Ora sei che tu inizi a rompermi le palle. Sono la socia di maggioranza dell'ospedale. Se dico che non sei licenziato, non sei licenziato!» Tentò di aprir la bocca o protestare. «Fammi il favore, Tommy, non creare più problemi di quanto ne abbia già e sono abbastanza confusa per conto mio. Non ti ci mettere anche tu. Inoltre, dobbiamo pensare a Wax.» Feci un cenno con la testa, invitandolo a rispondere. «Lo lascerai da solo?» Non obiettò. «Bene, muoviti a parcheggiare. Ti voglio dentro entro cinque minuti. Ci vediamo all'intervento di Matteo. Non voglio sentire nient'altro.»

Spalancai lo sportello della macchina e aggiustai lo zaino sulla spalla, prima di avviarmi a passo svelto verso l'entrata.

Giovanni

Gettai un'occhiata al monitor mentre il dottor Svevi stava eseguendo l'intervento.
Il macchinario emetteva un continuo fischio, significava che l'emorragia era in atto e la pressione sanguigna stava calando a ritmi vertiginosi.

«Il farmaco per la pressione sanguigna è al massimo, non è possibile aumentare la dose.» Si fece passare il forcipe. «Non funziona.»

«Paolo, deve sbrigarsi o lo perderemo.»

Proseguì imperterrito ad armeggiare nella cavità addominale quando una voce si levò dall'altoparlante.

«Dovreste fare una sternotomia!»

Mi girai di scatto, era presente anche Riccardo nell'osservatorio.

«Non praticherò un incisione più grande. L'addome è già aperto abbastanza. Cercherò di raddoppiare il filo.»

L'infermiere trafficò per consegnargli la garza e gli restituì a sua volta il forcipe.

Riccardo continuò dall'altoparlante, esponendoci i suoi consigli: il tronco polmonare aveva subìto una rottura e avevamo a disposizione novanta secondi prima del decesso, se si effettuava un'incisione più ampia per vedere da diverse angolazioni.

«Riccardo, ha ragione.» Il chirurgo alzò la testa di scatto. «Penso che dovrebbe.» Si convinse e chiese la sega, facendomi tirare un sospiro. «Aspirate!»

«Ho trovato l'emorragia.»           

Mi voltai verso Riccardo, il suo aiuto era stato provvidenziale. Mi fece un cenno con il pollice, come a dire "bravi" e gli sorrisi da dietro la mascherina. La pressione tornò a livelli normali. Il paziente ce l'aveva fatta ed era sopravvissuto. Ringraziai anche l'intera équipe che aveva collaborato e l'uomo terminò.

[...]

Appena uscimmo dalla sala operatoria, diedi una pacca amichevole al mio amico.

«Non era necessario, ma grazie.» Lo ringraziò a modo suo Svevi prima di defilarsi.

Quando fummo soli, increspai un sorriso smagliante.

«Grazie al cielo, oggi c'eri anche tu. Siamo stati fortunati. È bello sentire il tuo sostegno.» Allacciai le braccia dietro la schiena. «Sono contento che tu sia tornato fra di noi.»

«Non c'è niente di cui essere felici, Giovanni. Dopotutto, sono ancora un medico.» Il sorriso mi si affievolì. Aveva attraversato un periodo complicato. Abbassò lo sguardo verso la fasciatura. «Il fatto che non possa usare il braccio non cambia nulla.»

«Non ho detto che non sei un medico, amico.»

Non volevo fargli nemmeno pesare quella cosa, ma mi fissò senza risentimento. «Comunque, vado in ufficio. Buona fortuna.»

«Oh, anche a te.»                         

Si allontanò. Mentre stavo per andare a cambiarmi, mi bloccai alla vista della biondina. La guardai qualche secondo senza muovere un muscolo e fu lei che si avviò verso di me. Schiusi le labbra e lasciai cadere le braccia lungo i fianchi, aspettando impalato.

Che cosa voleva ancora da me? Non ci eravamo detti tutto?          

In quel momento, la bruna la surclassò.

«Federica.» Mi venne incontro e gettò le braccia al collo, stringendomi a sé. «Stai bene?» Di solito, non le piacevano questi gesti affettuosi in pubblico, non che mi dispiacesse naturalmente.

«Sì, sto bene. Ne avevo bisogno.» Spostai intanto gli occhi sull'altra, rimasta in disparte. «In tutto questo caos, trovo la forza e la pace solo in te, Gio. Almeno, adesso sono al sicuro.»

Stranito, notai nel frattempo che Valentina se n'era andata. Federica si staccò, permettendomi di guardare i suoi grandi occhi. Le presi il viso e infilò le mani nelle tasche.       

«Ci sono novità di Alessia?»

«Nessuna. Abbiamo trovato Sonia e l'abbiamo consegnata alla polizia. Ora almeno sappiamo che Ale è viva. Leonardo è fuggito, ma la polizia è sulle sue tracce.» Sorrisi, accarezzandole le guance. «Dobbiamo prepararci per l'intervento di Wax.»

Le stampai un bacio sulla fronte e serrò le palpebre per assaporare quel momento.  

«Troveranno Alessia, ok? Non perdere la speranza, piccolina.» La avvolsi fra le mie braccia, passandole dolcemente la mano sulla testa. Si tenne avvinghiata al mio corpo per un po'.

Angelina

L'auto correva spedita lungo la strada dell'entroterra, che costeggiava il mare, e Wax probabilmente non aveva tolto il piede dall'acceleratore.

«W-Wax... Wax... porca put... Decelera. Qui andiamo a sbattere da qualche parte! Devi guidare la macchina. Non farla volare!» lo pregò Giammarco dal sedile affianco, ma il rosso era sordo, e continuò ad aumentare.

«Stai pagando 500 euro al mese. Devo vedere se n'è valsa la pena.»

«Ne vale la pena!» Biascicò, stringendosi al manico di sicurezza. «Mi stanno per uscire gli occhi dalle orbite. Ho lo stomaco sottosopra! Gesù, ho il mal di mare!»

«Wax... potresti rallentare? Non è che abbiamo paura, però non è piacevole.»

La donna era d'accordissimo con me, infatti lo richiamò.

«Mamma, se lo compro devo vedere quanto vale! Con quello che mi è costato, voglio che sia la migliore e la più veloce che ci sia!» Esclamò sbattendo le mani sul volante e diede una patta al braccio del collega. «E poi c'è Gianma. Se necessario, mi darà lui altri soldi per trovare un modello migliore.»

«Oh sì, finirai per svaligiare il conto corrente. Cristo! Forse mi dovrò comprare anche delle nuove mutandine.»

La macchina proseguì, a momenti si deformò sotto le ruote e mi guardai attorno.

«Dove stiamo andando?»

«Siamo in viaggio con la famiglia amore.» rispose Wax fissandomi dallo specchietto centrale.

«Wax, Wax... torniamo subito indietro, te lo chiedo per favore. Ascolta, se scoprono che non sei in ospedale, come dovresti e che stai addirittura guidando, la dottoressa Federica e il dottor Giovanni mi faranno a pezzi!»

«Non succederà nulla, fra. L'adrenalina fa bene al tumore.»

«Non prendermi per il culo!»

«Perché? Non mi hai preso per il culo anche tu?»

Si girò di scatto. «Come, cosa?!» Wax scoppiò a ridere e gli diede una leggera spallata.

«Dai, vecchio mio, era uno scherzo! Siamo pari adesso. Voglio vedere che faccia fai se ti dico che sto cercando di fare qualcosa di folle adesso.»

«Quali cose folli? Dove ci stai portando?» chiese la signora Ella, ugualmente preoccupata.

Wax sembrava fuori controllo, di questo passo ci saremmo schiantati finendo giù da qualche parte. «Wax, rallenta, voleremo!»

Nella curva schizzò ancora di più e Gianmarco urlò e tirò giù tutti i santi. «Wax, per favore! Cazzo!»

Emise un'altra risata divertita, a tratti isterica. «Gianma! Dopo molto anni ho ritrovato mia madre e sto già volando!»

«Gianmarco sei uno stupido!» Si maledì e picchiò la testa contro il braccio per punirsi.

«Matteo, rallenta. Non farci questo. Non continuare con questa follia. Abbiamo paura.»

«Non sono io mamma, è il tumore che sta agendo al posto mio. Non posso farci nulla.»

«Ha perso la testa. Credo abbia abbia perso totalmente il poco di sale in zucca che aveva. Angelina dagli una botta e vedi se rinsavisce.» Urlò, quando Wax prese una curva alla massima velocità. «Ah, non credevo di dover fare testamento e morire così giovane!» Mi aggrappai a Gianmarco per evitare di venire sbalzata. Ad un certo punto, il rosso frenò bruscamente sballottando tutti in avanti. Eravamo ancora sani e salvi, nonostante lo spavento degli ultimissimi secondi. «Cosa vuoi fare?! Sei impazzito!»

«Te l'ho già detto. Non sono stato io, è il tumore. Usciamo!»


Si slacciò la cintura, gettando un'occhiata veloce ai sedili posteriori e aprì lo sportello. Gianmarco gli corse dietro, cercando di intuire quale fosse la nuova intenzione. Risalì lungo la scarpata del monte Circeo, arrampicandosi e costringendo il castano a fare lo stesso. Cercai di star dietro ai due ragazzi, Wax iniziò a saltare più veloce su quelle rocce e arrivò al limite del promontorio, dove al di sotto c'erano le onde che si agitavano contro gli scogli. Giammarco urlò. Mi avvicinai lentamente mantenendo una certa distanza e ingoiai. «Wax...» Non fissò me, ma lontano, oltre l'orizzonte che era ricoperto di nubi minacciose.
«Puoi venire.»

Il rossiccio si girò in automatico. Poi sollevò il braccio a mezz'aria.

«Nina, guarda il panorama com'è stupefacente. Ho cercato su internet le cose da fare prima di morire: stare sull'orlo di un precipizio.» Divaricò le braccia, fingendo di librarsi nel cielo. «Con gli occhi chiusi, cullati dal vento...»

Portai le mani alla testa, tra un misto di shock e paura. Gianmarco iniziò a parlare a vanvera di tutte le spese che avrebbe fatto per convincere a non fare quella stupidaggine e Wax contemplò l'orizzonte affascinato. Poi, lasciò cadere le braccia ai fianchi e si girò con un sorriso ampissimo. Gianmarco gli si buttò addosso. Tirai un lunghissimo sospiro e corsi a rannicchiarmi al suo petto, cinta dal suo braccio. Lo guardai dal basso. «Amico, dimentico sempre che non abbiamo una foto di famiglia.» Spostò lo sguardo da me a Gianmarco. «Se poi non esco vivo dalla sala operatoria, finirete per dimenticare quasi del tutto la mia faccia!»

«Non dirlo neppure per scherzo...» Mi guardò con dolcezza e richiamò la madre a gran voce che si stava riprendendo dal terribile spavento.

«Mamma di Wax!» Urlò Gianmarco.

«Sì, dimmi... figliolo...» balbettò.

«Vieni, facciamoci una foto. Questo momento è irripetibile!» La cinse in un tenero abbraccio. «Finalmente ho conosciuto la mia famiglia, anche se alla fine... Scatto la foto!» Gianmarco lo incalzò e prese il cellulare per immortalare i nostri volti, con lo sfondo del mare alle spalle. Increspò un sorriso, che gli fece spuntare le fossette, e scattò il selfie. La guardò. «La mia unica foto di famiglia...»

Gianmarco gli mise la mano sulla spalla, tirando qualche patta. «Mio caro, ti voglio un bene dell'anima, Waxie'. Come dici sempre? Sa-sa prova il mio microfono al mio concerto! Devi fare ancora tante esperienze!»

«Torniamo in ospedale e facciamola finita.»

«Ma per stavolta guido io, ok? Ho rischiato di morire di crepacuore. Non ti darò più la macchina, te lo scordi!» Ci fece scoppiare a ridere e andò avanti per primo, ripercorrendo la strada a ritroso con me e la signora Ella, che camminammo abbracciate al rossiccio.

Tommaso

Entrando in quella sala operatoria vuota e guardando quel lettino mi fece ricordare ogni cosa. Lo accarezzai con la punta delle dita e mi proiettò nella mente l'immagine di lei, che spuntava da sotto il lenzuolo e io che la fissai interdetto. Non pensavo che il suo arrivo mi avrebbe scombussolato.

"Cosa fa? Chi è lei?" chiesi scorbutico. "Un medico." rispose semplicemente. "Dottoressa Alessia Andreani".

E, proprio in questo posto, qualche giorno fa, avevo catturato le sue labbra per la prima volta e l'avevo baciata per farla smettere di parlare a vanvera qualche minuto. Un sorriso amaro si plasmò sulla mia bocca, pensando che la sua assenza mi pesava, più di quanto volessi ammettere. Imboccai di nuovo le porte e uscii.

Seduto dietro la scrivania osservai accuratamente il ritratto che Alessia aveva disegnato senza dirmi nulla. Lo posai sul tavolo e afferrai il badge.

La porta si aprì e l'esimio Paolo Svevi la richiuse. Fece un verso di sorpresa e venne ad accomodarsi sulla sedia.

«Non ci ho creduto quando l'ho sentito. Alla fine, hai deciso di rimanere.»

«Sì, allora qual è il suo problema?»

«No, non c'è alcun problema. Questo ha dimostrato chi sei.»

Presi un profondo respiro, cercando di controllare la collera sul punto di implodere.

«Ho dei pazienti. Non si preoccupi, lei può restare. Dico sul serio, così eviterà di spargere il suo veleno per tutto l'ospedale. Arrivederci.» Aggiunsi, infilando il camice e spostai per andare verso la porta.

«È un buon ufficio.» Restai di spalle, continuando a contare mentalmente. Chiusi un attimo gli occhi e voltai il busto a rallentatore. «Sappi che sarei stato felice di accoglierti nel mio team. Avremmo fatto grandi cose.» Mi limitai a scuotere la testa in segno di diniego e uscire. «Sei arrabbiato?»

Mi bloccai dopo qualche passo e voltai. «Con lei?» Mi fece capire di sì. «Signor Paolo, non mi sono mai lasciato influenzare da ciò che non mi interessa e non sarà diverso adesso. Per questo, non sono arrabbiato. Buon divertimento.» Volli tagliare corto con quel discorso.

«Invece ti influenza. Si nota dalla tua faccia.»

Ridacchiai, chinando gli occhi. Lo trovavo divertente, anzi pietoso. Aggrottai la fronte e lo guardai. «Buona giornata.»

A quel punto, scattò ad afferrarmi il braccio, ma mi divincolai senza staccare gli occhi.

«Non parlavi così a mio padre quando ti ha licenziato, almeno ti avrei rispettato. Pensavo che fossi una persona intelligente, ma vedo che non lo sei. Non sei altro che una pedina...» Lo scrutai dall'alto in basso. «Una pedina di Federica Andreani. Quella donna ti ha palesemente fottuto il cervello. È un vero peccato che tu non sia stato in grado di portartela a letto.»

Distolsi il volto, nascondendo in un ghigno tutto lo sdegno, poi caricai il pugno schiantandolo contro la sua faccia e rovinò a terra.

«Tommy! Che ti è preso?!» Federica mi agguantò il braccio e glielo scostai in malo modo, ringhiando un: "lasciami!", mentre Svevi sorrideva serafico come se avesse ottenuto quello che voleva: farmi arrabbiare, e c'era riuscito. Forse non gli era bastato quel cazzotto, gliene avrei dovuti dare di più, e farlo stramazzare al suolo. «Tommy? Che sta succeden.» Rivolsi le spalle anche alla bruna e mi allontanai senza dare più retta ai sotterfugi di quel coglione.

Ne avevo piene le tasche.



Giovanni

Mi avvicinai al gruppetto impegnato a discutere nel pronto soccorso, mentre Svevi spiegava a chiare lettere il punto della situazione, invitandoli a non comportarsi in quella maniera per il bene dei due ragazzi.

«C'è qualche problema?» chiesi, portando le mani ai fianchi.

«No, nessun problema. Il medico ci stava dando informazioni.» rispose Valentina.

«Non c'è nessun problema? Sì, c'è!» Una donna rise e additò l'uomo con un gesto nevrotico. «Ho un problema con il figlio irresponsabile di quest'uomo ignorante, dottore!»

Quest'ultimo provò a difendersi e giuro di non essere a conoscenza della presunta relazione.

«Signora, sta superando il limite, è inammissibile!»

«Lei non è nessuno per esprimere la sua opinione. Pensa che, dato che insegna loro per cinque ore del giorno, abbia il diritto di interferire e decidere della loro vita, eh?»

«Signora!» La ammonii.

«Stia fuori.» Sbottò stizzita, per poi rivolgersi all'insegnante. «Come può capire quello che provo? Non ha figli! Non è mai stata madre. Non si intrometta!»

Quelle parole furono spiazzanti, il dolore era tangibile e attraversò le sue iridi azzurre. Sentii i miei muscoli irrigidirsi e lo sguardo si perse nel vuoto, per non incrociare quello di lei.

«Signora...» Riprese, buttando giù un fiotto di saliva. «Ho avuto un figlio. Purtroppo, è morto venti minuti dopo la nascita. E io l'ho visto morire.» I suoi occhi si velarono di pianto, si sforzò di non piangere. Abbassò il viso, ma quando lo rialzò le scese una lacrima. «Ecco perché... so bene cosa significa essere madre. Sto solo cercando di assicurarmi che non debba passare quello che ho vissuto io. Per questo motivo, ho il diritto di aiutare ed è per questo che non permetterò che Alice muoia o che si tolga la vita... e, in qualità di madre, lei dovrebbe ascoltarla di più!»

Ci guardammo negli occhi e mi superò per fuggire. Mi girai indietro e la inseguii, uscendo dal pronto soccorso. Le corsi dietro nel corridoio.

«Valentina!» Accelerò il passo, ma le agguantai il polso. «Valentina!»

«Lasciami!» Si divincolò e vidi il suo volto devastato. «Hai sentito quello che ho detto, mhm? Sei felice adesso?»

«Ma che sciocchezze stai dicendo? Sai che sentire questa storia non mi rende felice.»

Fece spallucce, scuotendo il capo. «Non ne ho la minima idea.» Una lacrima le rigò la guancia. «Nemmeno quando ho lasciato l'ospedale. Hai ragione, sai? Ci sono troppi problemi che non riesco ad affrontare. Sono bloccata a quel momento. E sto ancora metabolizzando quello che ho vissuto.» Diressi lo sguardo su Federica, che osservava la scena perplessa e dopodiché tornai sulla bionda. «Sono contenta che uno di noi sia riuscito a lasciarsi il passato alle spalle e ad andare avanti» Detto questo, se ne andò velocemente e restai impalato.

La nostra fu una bella relazione, anche se la giovinezza ci aveva fatto compiere molti sbagli... ma, in fondo, siamo stati felici fino a quel giorno sfortunato in cui abbiamo dovuto dire addio per sempre al nostro primo figlio. Non fu più la stessa cosa. Fu una ferita indelebile, Val non la superò, io cercai di rassegnarmi.

«Che succede, Gio? Chi è?»

La voce di Federica mi riportò alla realtà e la guardai di sfuggita.

«È la mia ex moglie...» Confessai senza guardarla. Prima di oggi, non avevo mai parlato apertamente del passato... forse volevo assolutamente dimenticare e voltare pagina.
Mi girai, vedendo i suoi occhi strabuzzati e la fronte aggrottata. «Ne parliamo più tardi.»

Poggiai la mano sul suo braccio, immaginando che volesse molte spiegazioni, ma non era il momento adatto.

Mi precipitai all'esterno, Val era intenta a chiedere un taxi a due agenti.

«Valentina!»

Mi ignorò, avviandosi alla strada e la fermai per il braccio.

«Giovanni, lasciami!»

«Val... Fermati.»

«Giovanni, lasciami in pace!» Si divincolò. «Per favore, vattene!»

«Non posso lasciarti andare via in queste condizioni.»

«Sto bene. Non è niente.»

«Sì, sicuro, ti credo.» ripetei con ironia e distolse lo sguardo. Le sbarrai la strada quando cercò di camminare. «Dove stai andando?»

«Vado a fare una passeggiata.»

«Val... non siamo più tanto giovani per andare a piangere per strada, sai?»

«Non sto piangendo.»

«Allora, questo cos'è?» Indicai con il dito la sua faccia. Aveva gli occhi pieni di lacrime, ma aveva il coraggio di negarlo.

«Ti ho detto che non sto piangendo.» Replicò, piccata.

«Stai piangendo, Val.»

«Ok, guarda!» Si passò le mani sul viso per cancellare le tracce. «Non c'è niente, ok? Neanche una lacrima.»

«Stai piangendo.»

«Sei un rompiscatole! Non sto piangendo! Ti ho detto che non sto piangendo!» Tuonò per poi spintonarmi sul petto con forza. «Ok?! Non voglio piangere. Non voglio... Lasciami stare!» Cercai di vincere la sua resistenza e l'abbracciai. Non avevamo mai potuto affrontare il dolore per quella perdita e ciò aveva messo una distanza abissale. Ci aveva ferito e fatto soffrire...

Federica

Non avevo sentito bene? Vero?

Giovanni aveva detto che quella donna fuggita dal pronto soccorso...

Era la sua ex moglie.

Restai paralizzata in mezzo al corridoio ad assimilare quella confessione, fu come aver ricevuto un proiettile dritto al cuore. Non era possibile.

La scena che mi si presentò davanti quando varcai le porte d'ingresso del pronto soccorso fu perfino mille volte peggio...

Giovanni era avvinghiato a lei, alla sua ex moglie. Non mi aveva detto di essere stato sposato o addirittura che avesse avuto un bambino. Tutto ciò mi fece cedere quasi le gambe al suolo e, con la coda tra le gambe, rientrai.

Continuai il tragitto con la testa immersa in mille pensieri, l'espressione stravolta e lo stomaco aggrovigliato. Cos'era quella sensazione che sentivo arrampicarsi dalle viscere? Non riuscivo ancora a dare un nome o... forse avevo paura.

Con il capo basso, arrivai all'ascensore. Pigiai il pulsante e infilai le mani in tasca.

«Signorina Federica? Visto che era urgente, sono venuto a portargliela di persona.»

Un uomo mi consegnò la busta della gioielleria e la presi.

«Ah, me n'ero completamente dimenticata. La ringrazio.»

«Di nulla. Congratulazioni!»

Feci un cenno d'assenso e si congedò. Qualche giorno fa, avevo ordinato le fedi però non ero sicura fosse un buon momento per un fidanzamento ufficiale.

Entrai nell'ascensore e mi poggiai indubbiamente stanca contro la parete. Tirai fuori dalla busta la scatolina nera, abbellita con un fiorellino delicato e l'aprii, osservando per qualche minuto gli anelli dorati.

"Brava, Fede. Hai sbagliato tempismo... Ma che congratulazioni!"

Soffocai uno sbuffo rumoroso e posai la scatolina nella busta.

Qualcuno mi chiamò, ma non ci feci caso. Ero sovrappensiero. «Fede?» Alzai di scatto la testa e mormorai "uhm" verso Tommy. «Ci sono brutte notizie da Alessia?»

«Né cattive, né buone.»

«E perché hai quella faccia? È successo qualcosa?»

«No, niente.»

«Niente? Se lo dici tu.» Forse il castano non mi credette, ma mi sarei messa a raccontare dei miei problemi sentimentali. «Hai visto Giovanni? Dobbiamo parlare dell'intervento di Matteo.»

Mi astenni dal dargli una risposta e proseguii per la mia strada.

«Arriverà...»

Giovanni

Entrai nell'osservatorio, portando un po' di cioccolata calda, certo che le avrebbe giovato... anche se sarebbe stata meglio una camomilla. Appoggiai i bicchieri sul tavolino, che fungeva da separatore, e presi posto. Iniziò a bere qualche sorso.

«Ti manca?»

«Mhm?»

Si girò e con un cenno del mento le indicai la sala operatoria.

«Essere medico.»

«Ah... A volte.»

Feci qualche sorso di caffè.
«Tu stai meglio, vero?»

«Sì, sì. Mi dispiace di essermela presa con te. Scusami...»

«Nessun problema.» Tirò un sospiro e distolsi il viso. «Devo andare a preparare un intervento importante.» Valentina annuì e alzai. «Ci vediamo più tardi.»

Le diedi le spalle. «La ragazza.» Mi voltai. «È la tua ragazza?»

Mi aprii in un sorriso. «Federica. È la mia fidanzata.»

«Federica. Non è curioso? Anche se le persone cambiano, i sentimenti non cambiano.» Tenni lo sguardo basso. «Una volta guardavi me... come adesso guardi lei. Il tuo sguardo non è cambiato.» Presi un respiro. «Ovviamente adesso è lei la persona fortunata che riceverà tutto il tuo amore.»

«Giusto.»

Mi guardò d'istinto e dopo averle rivolto un ultimo saluto, la lasciai lì.

[...]

Mi addentrai nella camera del rosso e li trovai riuniti tutti lì. Ci mancavo solo io.

«Salve ragazzi!» La mia fidanzata distolse lo sguardo quando la fissai. «Siete pronti?»

«Rispondere a questo genere di domande non è semplice, però sì. Sono super pronto, dottore. Andiamo in scena.»

E baciò la mano di Angelina.

«Be', facciamo un ultimo ripasso per farti stare più tranquillo. Inizierò con un approccio sub frontale, poi inciderò nella membrana e rimuoverò il tumore da lì.»

«C'è un po' di edema attorno al tumore, ma si può gestire.» Intervenne Tommaso.

«Ce ne occuperemo noi. Possiamo... perché ho fatto una promessa a questa bella ragazza qui seduta — mi riferi Angelina che sorrise — e io mantengo sempre le mie promesse.» Il paziente sorrise. «Ci sono domande?»

«Quando si riprenderà?» Chiese Angelina.

«Se guarirò...»

Lei gli stritolò forte la mano da farlo gemere.

«Non essere negativo, Matteo!»

«È una possibilità.»

«Ero uno specialista e ho asportato un tumore di trentatre centimetri ad un paziente affetto dalla tua stesa patologia. Un giorno dopo camminava, dopo tre parlava e una settimana dopo addirittura è tornato a lavoro. Quindi tra una settimana ti voglio di nuovo qui, ok? Fidati del tuo medico. La tua situazione è migliore. Hai più possibilità.»

Wax sorrise. «Mi fido di lei, dottore.»

Spostò lo sguardo verso la sua ragazza e Federica ci avvisò che ormai erano le due passate e conveniva prepararci.

«Se non hai altre domande, ci vediamo dentro.» Gli toccò brevemente la spalla e ci dirigemmo verso la porta.

Il ragazzo ci fermò.

«Ah, non una domanda... ma qualcosa da dire ce l'ho. Io...» Buttò fuori un sospiro. «Se... se morissi oggi...»

Angelina gli strinse ancora la mano e gemette.

«Non morirai. Smettila di dire queste cose!» lo rimbeccò.

«Lo so, ma se il tumore si farà grande, io comunque morirò. Ne sono consapevole.» Rivolse un sorriso sornione a Tommy Dalì. «La mia maglia da basket autografata è tutta sua.»

«Che scemo!»

Scoppiò a ridere. «So che l'ha sempre voluta. Ho anche dei guantoni da boxe. Li ho comprati, però mai utilizzati. Sono per la mia dottoressa preferita!» Le fece un occhiolino.

«Se non ti riprendi e ti alzi da quel cavolo di letto, ti picchio con quei guantoni. Sappilo.»

Federica riuscì a strappargli un'altra risata.

«E dottor Giovanni...»

«Non mi darai niente. Ti toglierò quel tumore dal cervello, ok?»

Annuì. «E quanto a te.» Infine spostò gli occhi prima su Angelina. «Ho pensato molto a quello che potevo darti. Sei la famiglia che non ho mai avuto.» Infine, guardò l'infermiere. «Gianmarco, tu sei mio fratello. Tutto quello che fai per me e la lotta per vedermi realizzare i miei sogni... non so come sdebitarmi. Niente è più prezioso nella mia vita più di te. Pensaci! Mi hai dato mille euro senza pensarci e per una donna che non conoscevi. Grazie di cuore. Sei una brava attrice.» La donna ebbe un sussulto. «Il tuo amore mi ha toccato nel profondo. Mi hai dato amore anche se per poco tempo.» Appoggiò la mano sulle sue.

«Io...»

«Non importa. Grazie a te, ho chiamato qualcuno "mamma" per la prima volta.»

Gianmarco si avvicinò al capezzale per scusarsi e si sedette sul ciglio. «Wax, sei coraggioso, un ragazzo molto volenteroso e meriti davvero il meglio! Ti riprenderai.»

«Stai diventando sentimentale, vecchio mio. Inizialmente, ero turbato quando l'ho scoperto. Poi ho capito perché l'hai fatto. Non è davvero mia madre, ma mi hai fatto un regalo meraviglioso. È stata un'esperienza bellissima.»

Guardai Federica al mio fianco, eravamo così vicini e la vita era decisamente breve ed effimera. Feci scivolare la mano nella sua, intrecciando le nostre dita, e abbassò lo sguardo per fissarle. Stare con lei era tutto ciò che volevo in questa vita o nell'altra. Mi bastava. Wax abbracciò Angelina e le posò un bacio sulla testa. «Per trascorrere altri momenti con voi, posso farmi operare non una, ma anche centomila volte!» Gianmarco si buttò a capofitto su di lui, abbracciandolo. Federica lo ammonì esasperata e feci spallucce, come a dire "lascialo andare". Chiese scusa e si staccò dal rosso. «Forse è il tumore a farmi essere così sdolcinato... Preparati per quando uscirò.»

«Spero tu riesca a recuperare i soldi.» Disse Federica.

«Lo farà, lo farà. Non so cosa potrebbe farmi questo dannato tumore, ma non cambierà ciò che sento. Vi voglio bene a tutti. Siete indispensabili.»

Anche noi volevamo bene a questo ragazzo dal cuore di panna e posai la mano sulla sua testa. A quel punto, Federica mi lasciò andare la mano e uscì per rispondere ad una chiamata. Tommy e io ci scambiammo un'occhiata interrogativa...

Chissà cosa sarebbe successo.

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