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Prologo

Benvenute in questa mia nuova avventura!

Siete pronte per affrontare il prologo? 

Allacciate le cinture e preparatevi a decollare...

Ricordate, se vi va, di votare e di lasciare un commento. 

Il vostro supporto alla mia storia è per me 'molto' importante! 

Vi amo tutte! 


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ELEONORA

Lo stridore dei pneumatici della mia Tesla nera, mentre imbocco il raccordo della SH2 che da Durazzo mi porta a Tirana, mi ricorda che forse sto andando troppo veloce.

Evito pertanto di guardare il contachilometri, sicura che tra qualche minuto inizierò a sentire il segnale acustico che mi avverte che sto superando il limite di velocità permesso su questa strada.

Come al solito sono in ritardo. Porca puttana! Questa maledetta abitudine non la perderò mai. Per quanto ci provi a essere puntuale, c'è sempre qualcosa che alla fine riesce a farmi perdere tempo.

Eccolo! Lo sapevo. Come previsto il bip inizia a perforarmi i timpani e senza indugiare oltre, col dito, sfioro il comando alla sinistra del volante per disattivarlo. Si fottano i limiti di velocità e si fottano anche gli autovelox che sicuramente mi hanno già fotografata. La multa, come tutte quelle che l'hanno preceduta, arriverà a casa di mia nonna, dove ho ancora la residenza.

Mi sembra di vederla, Erdita, mentre mi maledice con il sorriso sulle labbra colorate con il suo immancabile gloss rosso carminio. La immagino alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa mentre prende il cellulare per chiamare qualche suo 'caro amico' e far annullare la sanzione. L'ennesima, che la sua 'nipotina terribile', come mi chiama ancora nonostante i mie ventisette anni, le fa recapitare a casa.

Le multe per eccesso di velocità sono il mio unico momento di illegalità, ed è l'unica occasione in cui mi avvantaggio del cognome che porto: sono una Gashi e in Albania tutto ci è permesso. Ma è anche vero che sono la sola della famiglia che cerca a suo modo di rispettare al meglio le leggi dello stato che mi ospita.

Non è però questo il momento giusto per lasciarmi distrarre da queste elucubrazioni esistenziali. Sono in ritardo, anzi per dirla alla mia maniera, sono in fottutissimo ritardo.

Tra cinque minuti dovrei essere comodamente seduta nella stanza del rettore dell'Università delle Arti di Tirana ma, il navigatore, mi segnala che alla velocità attuale arriverò a destinazione tra un quarto d'ora, sempre se non incontro ostacoli e soprattutto se trovo parcheggio davanti al rettorato. Impossibile.

Stringo le mani sul volante, rivolgo una rapida occhiata allo specchietto retrovisore e mentre affondo gli incisivi nel labbro inferiore aumento la pressione del piede sul pedale dell'acceleratore. Il motore sale di giri e i minuti sul navigatore iniziano man mano a scalare.

Non so il motivo di questa convocazione improvvisa e, da quando ho ricevuto la telefonata della segreteria, mi sto lambiccando il cervello per provare a intuire cosa avrà da dirmi.

Per tutto il tempo in cui ho frequentato prima la facoltà di strumenti a percussione e poi quella di DJ producer, ho sempre cercato di essere una studentessa a modo. Mi sono impegnata allo stremo delle mie potenzialità tanto da laurearmi con il massimo dei voti in entrambi i corsi di studio.

Sorrido pensando all'ultima cerimonia di laurea, quella da DJ producer. La faccia soddisfatta del Don è un ricordo impagabile. Forse neanche i miei genitori, se fossero stati ancora qui con me, avrebbero avuto quell'espressione dipinta sul viso. Durante tutta la discussione della tesi mi ha fissato attento, come se capisse davvero quello che stavo dicendo, lui che in albanese a stento riesce a dire miremenjes (buongiorno). Ma il meglio di se lo ha dato durante la prova pratica, quando ha iniziato a ballonzolare sulle note dei brani che avevo remixato, sgomitando di continuo Teresa per costringerla a seguirlo in quel suo balletto divertente e scoordinato.

In tutto questo pensare, ho velocemente parcheggiato nel primo posto libero davanti all'ateneo ignorando volutamente delle strane linee gialle che delimitavano la zona.

Mentre salgo affannata le scale do un'ultima occhiata al display del telefono per vedere l'orario. Sono le undici e quindici. Solo quindici fottutissimi e insignificanti minuti di ritardo. Cosa saranno mai?

Mi fermo dietro la porta ed esito un attimo prima di bussare.

Sistemo i capelli ondeggiando la testa all'indietro. Ricompongo la frangia che non sta mai al suo posto come dovrebbe. Una riordinata veloce alla camicetta che lascia troppo scoperta la pancia.

Forse avrei dovuto indossare qualcosa di più formale, me ne rendo conto ora che è troppo tardi. Sì, magari un bel tailleur elegante, come quelli che Erdita continua a regalarmi. Forse quello blu sarebbe stato perfetto, abbinato casomai a un bel paio di décolleté tacco dieci.

Ora che ci penso, forse sarebbe stata quello l'outfit giusto.

Invece sono qui, che ancora titubo prima di bussare, con addosso i miei inseparabili anfibi, un pantalone cargo e una camicetta corta fino all'ombelico entrambi del mio colore preferito: il nero.

Non cambierò mai!

Ma perché mi sto facendo tutte queste pare del cavolo su come sono vestita?

Ho un'ansia davvero esagerata e non riesco a capirne il motivo.

La spiegazione arriva rapida e travolgente quando, dopo aver bussato, apro la porta, e il tono di voce dell'uomo che vedo di spalle, seduto di fronte alla scrivania del rettore, mi fa fermare il respiro.

Anche se parla un inglese fluente, quel modo di scandire le consonanti e rafforzarle nella pronuncia, può essere solo di una persona la mondo.

Quando poi, sentendo la porta che si apre, si volta nella mia direzione, il mio cuore trema e mi riporta indietro nel tempo.

*********

EMANUELE

Il volo Bari-Tirana è atterrato da quasi mezz'ora e io sono ancora qui, vicino ai nastri trasportatori per i bagagli, in attesa di ritirare la mia valigia.

Scrollo nervosamente il polso sinistro, cercando il quadrante dell'orologio. Ho un appuntamento alle undici e questo contrattempo del cazzo non ci voleva proprio.

Odio arrivare in ritardo, specialmente in occasioni come quella di oggi.

Ho colto al volo l'opportunità che mi è stata offerta dal direttore del Conservatorio di Foggia, non potevo farmela scappare, non in questo momento della mia vita. Ho bisogno di voltare pagina, di conoscere gente nuova, di riprendere a vivere. Ho trentuno anni ed è giunta l'ora di smetterla di tergiversare su quello che voglio fare da grande. Quindi quando mi ha chiesto se volevo tenere una masterclass di batteria all'Università delle arti di Tirana, non mi sono fatto pregare più di tanto.

Insegnare non è mai stata la mia passione, ho sempre preferito 'fare' musica su un palco e non dietro una cattedra. Ma alla luce degli avvenimenti dell'ultimo periodo, ho accettato di buon grado.

Tutto pur di allontanarmi dall'Italia e dalla mia famiglia, se così posso ancora chiamarla.

Un nodo alla gola mi blocca il respiro. Mi succede ogni volta che la mente torna libera a viaggiare nei ricordi. Allento il nodo della cravatta che mi sembra improvvisamente troppo stretto. Maledico l'assurda decisione di indossare un abito così formale, ma il desiderio di trasmettere una immagine di me di uomo sicuro e professionale è prevalso su tutto.

Lo sguardo corre veloce al dorso della mano destra.

È sempre lì che mi rassicura e mi infonde tranquillità: il tatuaggio di un sole, la mia 'Sole'.

L'avvicino alle labbra e lo bacio delicatamente.

Dio quanto mi manca.

Il tempo curerà il tuo dolore. Le parole che mia madre pronunciò quel terribile giorno, sono diventate il mio mantra. Me le ripeto costantemente per darmi forza anche se sento che per ora non è affatto così.

Il tempo è passato, mi ha dato modo di riflettere e prendere decisioni, questo è vero.

Ma il dolore è sempre vivo. È il mio fedele compagno di vita da qualche anno a questa parte. È come una presenza fissa accanto a me con cui condivido costantemente le mie giornate e soprattutto le mie notti insonni.

Finalmente vedo la valigia che lenta avanza nella mia direzione. La afferro al volo, risistemo il nodo della cravatta ed esco rapido dall'aeroporto in cerca di un taxi.

L'aria tiepida di inizio giugno mi avvolge appena varco le porte scorrevoli. La inalo avido. L'estate è ormai alle porte e quella che si sta presentando sarà molto diversa dalle ultime che ho trascorso. Sarà un'estate di lavoro e di impegno.

Un leggero senso di impazienza si impossessa di me. Un'ansia strana, immotivata, mi fa tremare lo stomaco. Ho fretta, una fretta improvvisa e senza senso visto che sono le dieci e ho tutto il tempo per essere più che puntuale al mio appuntamento.

Salgo al volo sul taxi e in inglese tento di dare all'autista le indicazioni circa la meta che voglio raggiungere. Il suo sguardo perplesso mi fa capire che ho scelto l'approccio sbagliato. Non conosce una parola della lingua che ho usato.

Un "E che cazzo" mi esce spontaneo.

Lui di rimando sorride: «Italiano?» E mentre guida mi racconta, in un misto di italo-albanese, che suo fratello lavora in Italia, fa il muratore a Pisa, e che la prossima volta che ho bisogno di un taxi farò meglio a parlare direttamente in italiano.

"Italiani e albanesi: una faccia una razza" mi ripete, prima di fermarsi e farmi scendere.

L'ufficio del rettore è al secondo piano e sto bussando alla sua porta esattamente quando manca solo un minuto alle undici. Puntualissimo come sempre.

Peccato però che la persona che stiamo aspettando e che, da quello che mi ha anticipato il mio interlocutore, dovrebbe affiancarmi durante lo svolgimento della masterclass, sia in notevole ritardo.

Da quello che ho capito è una donna, è di origini italiane, e oltre a essersi laureata in strumenti a percussione con il massimo dei voti ha frequentato un master di batteria a New York tenuto da Steve Gadd.

Sarà anche un genio delle percussioni, ma a me chi arriva in ritardo agli appuntamenti mi sta sul cazzo a prescindere. Complice anche il fatto che sento questo strano senso di ansia aumentare a dismisura, inizio quasi ad agitarmi su questa sedia che mi sembra fatta di spine. Inoltre sostenere un'intera conversazione in inglese mi sta notevolmente stressando e quasi esulto quando sento un leggero bussare.

Il cuore mi schizza in gola per l'ansia. Ma che cazzo mi prende?

E tutto diventa improvvisamente chiaro quando mi giro verso la porta che sento aprirsi alle mie spalle e il mio sguardo viene calamitato da un paio di occhi di un colore che, nonostante gli anni  passati, non sono riuscito a dimenticare.

E rieccomi qui!

Lo so, mi sono fatta attendere, avete ragione e vi chiedo scusa. Tante di voi mi hanno contattata in privato e ho potuto spiegare loro il motivo di questo ritardo. Spero mi comprenderete e mi perdonerete!

Cosa ve ne pare di questo prologo? Iniziamo con il botto eh?

Ritroviamo Eleonora, che nonostante gli anni, è sempre la solita testa matta. Ne ha fatta di strada e man mano che andremo avanti con i capitoli vi renderete conto di tutto quello che ha costruito nella sua vita e di come si è realizzata sia professionalmente che dal punto di vista familiare.

Come sempre vi sorprenderà, nel bene e nel male.

Ritroviamo anche qualcun'altro eh? Un po' diverso da come lo abbiamo lasciato, o almeno così sembra.

Sedetevi comode e preparate i popcorn!

Eleonora Viiperi, che ora, per forza di cose, è diventata Elona Gashi, è pronta a raccontarvi tutto!

Come sempre, amatela il giusto e non la giudicate troppo severamente!

Ah dimenticavo, grazie per essere qui a leggermi! Vi voglio bene! Ci ritroviamo nei commenti!

Come sempre, se vi va, potete seguirmi sia su Instagram che su Tik Tok il nome del profilo su entrambi i social è emmeffebooks.

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