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Capitolo 7: Tutto precipita.

LE VICENDE DI QUESTO CAPITOLO SONO AMBIENTATE NEL PASSATO

ELEONORA 

Quando la ginecologa, alla prima visita, mi ha detto che verso la fine del terzo mese, avrei smesso di vomitare, l'ho guardata con aria scettica. Non avrei mai immaginato che stesse dicendo la verità. E invece, quasi per magia, da due giorni, la routine mattutina di alzarmi dal letto e correre verso il water si è magicamente interrotta. Effettivamente, in base ad alcuni miei personalissimi calcoli, dovrei essere all'inizio del quarto mese di gravidanza

Questa parola riesce ancora a darmi i brividi ogni volta che la penso o la pronuncio, ma più il tempo passa e più mi sto abituando alla presenza del coinquilino. So  già che è un maschietto, ne sono più che sicura. Sto solo aspettando la prima ecografia in cui il sesso sarà ben visibile per averne la certezza. 

Negli ultimi giorni lo sento sempre più presente. Nel basso ventre percepisco piccole, quasi impercettibili vibrazioni, come se lui stesse iniziando a prendere confidenza con il suo e il mio corpo. La cosa che più mi sorprende è che questa sensazione, stranamente, mi fa stare bene. 

 In un modo strano e inaspettato, mi fa sentire meno sola.

Anche questa mattina sono davanti allo specchio fissando la mia pancia. È ancora piattissima. Ogni giorno mi aspetto di vederla lievitare, ma per ora nulla è cambiato. 

Scatto una foto e, prima di inviarla a Camilla, mi soffermo a riflettere un istante.

Quando le ho detto che ero incinta, ha dato di matto. Urlava così tanto che ho dovuto sfilare gli auricolari per non rischiare di farmi saltare i timpani. Per lei sono una pazza scriteriata, non solo perché ho deciso di tenerlo, ma soprattutto perché non intendo parlarne con Lele. 

"Quella testa di cazzo lo deve sapere! Sarà pure uno stronzo, ma se tu gli dicessi che aspetti un figlio suo, secondo me verrebbe strisciando ai tuoi piedi!" Questo è stato il suo mantra per un'intera settimana. Poi si è arresa. Ha capito che non avrei cambiato idea.

Camilla è stata la prima persona della mia cosiddetta vita precedente a cui ho parlato della gravidanza. Con lei è stato più semplice. Così come  con Samuel.

A Samu l'ho detto in video chiamata. Sapevo che avrebbe capito la mia scelta ed ero curiosa di vedere la sua espressione mentre riceveva la notizia. È passato dall'essere sconvolto al ridere e piangere contemporaneamente nell'arco di pochi secondi. Ha snocciolato un nutrito elenco di epiteti coloriti nei confronti di Lele, ma alla fine, a malincuore, anche lui mi ha suggerito di coinvolgerlo e dirgli che sta per diventare padre.

Dirlo invece al Don e a Teresa è stato un po' più impegnativo, ma il vero ostacolo ero io,  nel trovare la parole giuste per comunicarlo. Le loro reazioni, però,  sono state sorprendentemente calme  e pacate. 

Teresa, da brava psicologa e mamma, ha sondato il terreno con delicatezza, cercando di capire se la mia decisione fosse dettata dall'impulso o se l'avessi valutata con attenzione. Dopo mezz'ora di conversazione ha compreso che non c'era verso di farmi tornare sui miei passi. Mi ha augurato tutto il bene possibile, assicurandomi che mi sarebbe stata sempre accanto. Ha aggiunto  che se avessi avuto bisogno di  qualsiasi tipo di aiuto, non avrebbe esitato a prendere il primo volo per Tirana pur di starmi vicino.

Il Don, invece mi ha spiazzata. Mi aspettavo da lui un cazziatone epico, uno di quelli con i controfiocchi. E, a dirla tutta,  sentivo anche di meritarlo. Ero pronta ad ascoltarlo in silenzio, senza nemmeno provare a difendermi. Ma lui, dopo interminabili secondi di pausa, mi ha semplicemente chiesto se fossi più felice o più spaventata. 

«Don, ogni giorno che passa ho sempre più paura di aver fatto la scelta sbagliata. Ma è anche vero che, da quando c'è lui, ogni mattina mi sveglio con il sorriso. E credimi, non mi succedeva da tempo.»

Quelle parole sono bastate a far sì che lo schermo del mio telefono si riempisse del suo faccione sorridente. «L'ho sempre sospettato che tu avessi coraggio da vendere. Me lo hai dimostrato tante volte, ma ora me ne stai dando la prova più importante. Lo sai che per te e per la creatura che aspetti io ci sarò sempre, ma mi devi promettere una cosa: parla anche con il padre. Emanuele deve saperlo, è un suo diritto!»

«Non so se sono più coraggiosa o incosciente. Ancora non riesco a capirlo. Di una cosa, però, sono assolutamente certa: Emanuele non saprà mai di diventare padre. Su questo sono irremovibile!»

Dall'altro capo del telefono, silenzio assoluto.

Il Don mi ha guardata con un'espressione di chi vorrebbe dire qualcosa, ma si trattiene a stento. Poi ha scosso la testa. «Coraggiosa e testarda! Spero solo che un giorno tu non ti penta di questa decisione...»

La vibrazione del telefono mi distrae dai miei pensieri. Camilla è stata più veloce di me. Volevo inviarle una mia foto, e invece, eccone una che mi è appena arrivata da lei. Sono troppo curiosa di vedere cosa vuole mostrarmi. Scarico l'immagine e, appena la vedo, lo shock mi paralizza. Il telefono mi sfugge di mano, cadendo rovinosamente sul pavimento.

Ai miei piedi, con lo schermo miracolosamente  intatto, il telefono impietoso mi mostra il volti sorridenti di Lele e della sua fidanzata. Così recita la didascalia scritta di lato. 

È uno screenshot che Camilla ha fatto a una storia pubblicata qualche ora fa  sul  profilo Instagram di una certa TizzyGiul. 

Nella foto, lei mostra orgogliosa la mano sinistra, sull'anulare  un bellissimo anello con quello che suppongo sia un diamante. Lui la abbraccia da dietro e sorride compiaciuto. O almeno, così mi sembra. 

Con le mani che tremano, raccolgo il cellulare.  Senza nemmeno verificare se si sia danneggiato dalla caduta, ingrandisco la foto per osservare bene il viso di quello stronzo che mi ha distrutto la vita. 

Lui sorride, e io muoio dentro. 

Si è fidanzato. Quindi è una cosa seria. È innamorato di lei.

Non mi ha tradita solo per il gusto di farlo o perché aveva voglia di scoparla. Lo ha fatto perché la vuole davvero. La vuole accanto a sé, nella sua vita. 

Lui sorride, e io piango.

Piango perché, in un angolo remoto del mio cuore, ancora speravo in un miracolo. Speravo che, prima o poi, avrei trovato il coraggio di comporre il suo numero sulla tastiera del cellulare, di chiamarlo e sentire la sua voce. Speravo di dirgli che aspetto un figlio suo e che non ho mai smesso di amarlo. Speravo di poter trovare un modo per perdonarlo. Forse, anche, di dargli un'altra possibilità.

Ma ormai è tutto inutile. Lui si è fidanzato. 

Questa parola mi rimbomba nella testa. Si propaga nel cervello,  rimbalzando come un urlo che si fa eco. Ancora, ancora e ancora.

Poi arriva il colpo di grazia.

 Vedo che Camilla sta digitando un messaggio, e le sue parole appaiono velocemente sulla chat: 

Tiziana è incinta. Si sposeranno il prossimo mese.

********

Il tonfo sordo della porta che si chiude alle mie spalle fa sobbalzare anche me. Forse sono stata troppo violenta, troppo impulsiva, come al solito. Ma vedere la foto di Lele e leggere il messaggio successivo  di Camilla mi ha sconvolta. Sfido chiunque a mantenere una reazione più misurata della mia in una situazione simile.

La mia espressione tradisce ogni emozione. Me ne accorgo appena metto piede sotto il patio che circonda la casa di Erdita. Trovo lei e il suo autista, seduti sul dondolo,  intenti a degustare il caffè mattutino. Si bloccano di colpo e mi fissano, visibilmente straniti.

Che ci fa mia nonna insieme ad Arsen sul dondolo?  

La mia coscienza impicciona cerca di distrarmi dai miei pensieri bui. Saranno anche cavoli suoi se preferisce intrattenersi a bere il caffè con chi le pare. Coscienza inopportuna e pettegola. 

«Elona, tutto bene? Pensavo stessi ancora dormendo...» 

Erdita ha l'aria di chi si sente colto in fallo, come se si aspettasse un giudizio da parte mia per averla sorpresa insieme all'autista. Ma non sa che, in questo momento, lei e le sue scelte di vita sono l'ultimo dei miei pensieri. 

«Vado a fare una passeggiata in riva al mare. Ho bisogno d'aria!» È il massimo della cordialità che riesco a esprimere. 

«Sicura di star bene? Sembri sconvolta.» 

«Tranquilla, ho solo lo stomaco sotto sopra. Una passeggiata è quello che ci vuole.» Le rispondo senza fermarmi, continuando a scendere le scale esterne con la prima scusa plausibile che mi passa per la testa. 

Sento  che continua a parlare, ma ormai ho già superato il cancello di ingresso, che lentamente si richiude alle mie spalle. 

Come un automa percorro la strada che porta al lungomare, per mia fortuna quasi deserto. Sono solo le nove del mattino, in una tipica giornata di fine autunno. Le mie impronte solitarie si imprimono sulla rena umida e scura. 

Frugo nella tasca della felpa alla ricerca del pacchetto di sigarette. Ora ho davvero bisogno di fumare. 

Appena avvicino la fiamma per accendere, mi blocco. Non devo fumare, non posso. Al piccolo non fa bene. 

Con rabbia sfilo la sigaretta dalle labbra e la accartoccio nella mano, fino a sbriciolarla. Stringo il pugno con forza, finché non sento  le unghie conficcarsi nel palmo, lasciandomi un dolore pungente.

Senza rendermene conto, urlo. Una, due, tre volte. Urlo fino a quando la gola non inizia a bruciare per lo sforzo. Poi crollo, seduta sulla sabbia, arresa, avvilita, vinta. 

Lele mi ha tradita nel peggiore dei modi. Mi ha rubato quell'idea dell'amore che lui stesso aveva fatto germogliare in me. Ha distrutto i miei sogni e quel poco di serenità che, con fatica, ero riuscita a ricostruire. 

Sapere che ora avrà un figlio con lei, che le starà accanto durante gravidanza, che terrà in braccio il suo bambino quando nascerà, che lo amerà  e lo vedrà crescere, fa montare dentro di me un senso di solitudine devastante. 

Io,invece, sarò sola. 

Non ci sarà nessuno a carezzare il mio pancione. Nessuno a tenermi la mano durante le ecografie o a incoraggiarmi quando sarà il momento di partorire.

Per il mio bambino ci saranno solo le mie braccia a cullarlo. Sentirà solo la mia voce cantargli la ninna nanna. 

Con la mia scelta, sto condannando anche mio figlio a una vita di solitudine, come la mia? 

EMANUELE

«Su, ragazzi, mettetevi in posa che vi scatto una foto!»

Lo sguardo torvo che rivolgo a mio padre, dopo aver sentito questa frase  quasi urlata, è inequivocabile: non ho alcuna intenzione di posare per una foto ricordo del mio fidanzamento ufficiale con Tiziana. Eppure mi rendo di non avere scelta quando  anche il padre della mia futura consorte si unisce al coro.

Mentre la biondina, tutta orgogliosa si mette in posa mostrando la mano adornata dal solitario da duemila euro che mio padre ha comprato in mia vece, io vuoto velocemente un calice di vino e, traballante, mi avvicino per affrontare questo rito ormai inevitabile.

Fisso un punto indefinito davanti a me e mentre, sfoggiando il più falso dei sorrisi, e abbraccio Tiziana. Un brivido di disgusto mi percorre la schiena. 

In che guaio mi sono cacciato? Fino a quando potrò resistere? 

Mia madre mi guarda con un espressione colma di pena, una sofferenza silenziosa che non riesce a mascherare. Solo lei sembra cogliere davvero il dramma che sto vivendo. Mio padre, invece, se ne frega altamente. Anzi, secondo me, vedermi in palese difficoltà, lo diverte. È quasi gongolante. 

«Ema, ti piace? Siamo usciti benissimo! Ora la posto su Insta...» 

«Fai che cazzo vuoi, ma non ti azzardare a taggarmi. Se lo fai senza dirmelo, ti blocco!»

 Sputo fuori le parole senza riuscire a moderare il tono.

Mi gira la testa per il troppo vino, ho caldo e l'insofferenza per questa pantomima che è diventata la mia vita negli ultimi tempi sta crescendo a dismisura.

«Hai paura che quella lo veda e capisca che ti sei fidanzato?» Sibila con veleno la finta micetta, indicando il suo dito ingioiellato. 

Sempre più spesso sta iniziando a mostrare la sua vera natura. Non è affatto dolce e remissiva come vuol far credere. Tutt'altro. E me ne sto accorgendo a mie spese. 

«Ancora le piangi dietro? Ti ha mollato ed è sparita. Avrà trovato un altro pollo da spennare, la povera zingarella!» Continua, acida, cercando di provocarmi. 

Cristo santo! Sentirla parlare è come ascoltare mio padre. Le stesse parole, gli stessi concetti di una grettezza insopportabile. 

Non la degno neanche di considerazione, e senza una parola, la pianto in asso dirigendomi verso l'uscita del ristorante. Ho bisogni di aria, di fumare. Ma, più di tutto, non ho voglia di passare un solo minuto in più con lei.

Forse ha ragione. Forse ho davvero paura che Eleonora veda quella foto. 

Ho paura che pensi di me come a un bastardo. Che l'ho solo usata, presa in giro, e  poi sostituita con una persona più adatta. Perché, tirando le somme, è esattamente quello che sento di stare facendo. 

Per un attimo provo a immaginare se la stessa situazione l'avessi vissuta con Ele. Mio padre sarebbe stato entusiasta di avere un nipote con origini rom? Avrebbe comprato mai per lei un anello di fidanzamento da migliaia di euro? Non credo proprio. 

Cristo santo, ho una confusione tale in testa e un senso di angoscia che mi toglie il respiro.

Distrattamente, infilo una sigaretta tra le labbra  e frugo nelle tasche alla ricerca dell'accendino. Non lo trovo. Sto per imprecare ad alta voce, quando vedo una mano femminile protendersi verso di me, porgendomene uno.

Il mio sguardo si posa sulle unghie lunghissime laccate di rosso,  poi risale al volto sorridente che riconosco quasi subito. 

«Ciao Ema. Non dirmi che anche stavolta non ricordi come mi chiamo?» Ammicca furba.

Fingo di pensarci un attimo, lasciandola nel dubbio. Ma, dopo la figura di merda dell'estate scorsa, il suo nome me lo ricordo fin troppo bene.

«Noemi, giusto?»

Scoppia a ridere di gusto. «Beh, dopo che per un'intera notte mi hai chiamata Ele...» 

Solo al ricordo di quella notte mi si stringe stomaco. Ricordo ogni dettaglio, soprattutto come siamo finiti io e la piccoletta a fare l'amore sotto la pioggia, quasi davanti all'ingresso della casa famiglia. 

Due pazzi, disperati e innamorati, che si scambiavano l'anima, persi l'uno nell'altra. Questo eravamo. 

«Ehi, tutto bene?»

La voce di Noemi mi riporta alla realtà. Per un attimo mi ero perso nei ricordi.

«Ma poi con quella Ele  come è andata a finire?» Sembra sinceramente curiosa di sapere. Ma io, non ho alcuna intenzione di parlarne. 

«Che ci fai qui?» Ribatto per dirottare la conversazione su argomenti più leggeri.

«Avevo un appuntamento con un amico, ma mi ha appena avvisata che non potrà venire.» Non mi sembra che nella sua voce ci sia rammarico per la situazione. Anzi sembra quasi contenta.

«E tu?» Ricambia la domanda con un sorriso.

«Niente di che. Una cena con i miei. Una noia mortale e  stavo per andare via. Ti va di venire a bere qualcosa con me?» 

Di sicuro non le racconto che sono qui per il mio fidanzamento ufficiale, me ne guardo bene, anche perché averla incontrata mi offre la prospettiva di un fine serata decisamente migliore del previsto.

Il mio sguardo, già leggermente alterato, dall'alcol si posa sulla generosa scollatura dello striminzito vestito che indossa. Ricordo bene cosa significa avere quelle enormi tette a disposizione. Spero che riescano a tenermi distratto per le prossime ore. Ho bisogno di staccare dallo squallore di questa giornata.

************

Il ronzio della suoneria del cellulare mi sveglia di soprassalto. 

Mi guardo intorno, incapace di capire dove mi trovo, se è notte o giorno, se sono vivo o morto. 

L'unica certezza è che devo aver bevuto troppo. Ho il sapore del gin che mi solletica ancora le papille gustative. 

Cerco disperatamente di ricordare dove ho nascosto il telefono mentre mi sollevo fiaccamente dal divano in pelle bianca su cui sono steso. 

Un'altra certezza si fa strada: sono vestito, e il telefono è, come sempre, nella tasca posteriore dei pantaloni. 

Distrattamente ignora la chiamata. Mio padre. 

L'ultima persona che voglio sentire in questo momento. Sicuramente mi ha  chiamato  per sfracassarmi i coglioni perché ho osato abbandonare la mia futura moglie nel bel mezzo della nostra patetica festa di fidanzamento del cazzo

Cerco di mettere insieme i pochi ricordi che emergono confusi dai fumi dell'alcol.

La cena, l'anello, Tiziana e la foto da postare su Instagram, io che esco a fumare... Noemi che mi fa accendere. 

Ecco, Noemi. E la figura di merda che ho fatto. 

Con lei sono un maestro nel creare situazioni imbarazzanti. La scorsa estate abbiamo scopato e l'ho chiamata per tutto il tempo Ele. 

Ieri sera, invece, non ce l'ho fatta. 

Ricordo i drink bevuti insieme, il suo invito a proseguire la serata a casa sua, e poi...

Poi, mentre la spingevo contro la porta della camera da letto e le infilavo la mano sotto il vestito, sono stato assalito dai ricordi. 

E porca puttana, come si fa a provare a scopare con la tipa davanti a te mentre ti tornano in mente situazioni identiche vissute solo pochi mesi prima? Quando era Eleonora che spingevo  contro la porta della mia stanza, le tiravo su il vestito e le mordevo le labbra,  incapace di resistere al desiderio bruciante che provavo per lei.

Se anche avessi avuto un principio di erezione, sarebbe svanito nel nulla. 

Poi, complice l'alcool, credo di essere crollato a dormire sul divano su cui mi sono appena svegliato. 

L'apoteosi delle figure di merda. 

Un post it verde fluo, incollato sul tavolino di fronte a me, cattura la mia attenzione. 

«Sono scesa presto per andare a lavorare. Spero tu abbia dormito tranquillo. Chiamami quando starai meglio...»

Sospiro, sollevato nel capire che sono solo e che lei è già uscita. 

Non ce l'avrei fatta a guardarla ancora negli occhi. 

Un minuto dopo,  mentre sono già in strada a recuperare il mio Tmax abbandonato nel parcheggio del ristorante la sera prima, il telefono vibra.

Un messaggio di Noemi, accompagnato dallo screenshot della foto del fidanzamento che Tiziana ha postato su Instagram: Ma non ti fai schifo? Ti fidanzi ufficialmente e dopo neanche un'ora vuoi scopare con me? Non provare mai più a chiamarmi!

Vorrei darle torto, ma non ci riesco. 

Ci sono davvero tanti i motivi per cui ultimamente mi faccio schifo! 

Ma ciao a tutte! 

Eccomi di nuovo tra voi, finalmente, con un capitolo inedito ambientato nel passato. Sono davvero tante le cose successe nei dieci anni in cui Ele e Lele sono stati lontani. Piano piano le scoprirete tutte. 

Sulle sponde opposte dell'Adriatico si vivono due vite diverse, accomunate in questo momento dalla delusione e dalla tristezza. 

Chi dei due vi fa più tenerezza? 

Un grazie di cuore a tutte voi che mi seguite con affetto. 

Maria 

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