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Capitolo 10: Punto di non ritorno

LE VICENDE DI QUESTO CAPITOLO SONO AMBIENTATE NEL PASSATO

EMANUELE

Piove. Ci avrei scommesso. No, anzi, l'ho sperato. 

Sperato fino all'ultimo secondo, e finalmente qualcuno lassù, se esiste, mi ha dato ascolto. Non volevo il sole, né un cielo limpido e sereno. Volevo il grigio, le nuvole, la pioggia. 

E ora piove, e io sono, sul sagrato della chiesa, a bagnarmi, come in quei melensi film d'amore in cui il protagonista confonde le sue lacrime con la pioggia che gli riga il volto. 

Solo che questa non è finzione. Questo non è un film. È la mia vita.

E io sto davvero cercando di trattenere le lacrime. 

No, non sono commosso perchè sto per vedere avanzare verso di me la donna che tra qualche minuto diventerà mia moglie. 

No, non sono uno sposo emozionato, sopraffatto dalla vista della sua amata. 

Sono solo un povero coglione disperato che, con l'ultimo colpo di badile, sta terminando di scavarsi la fossa. 

So che questo non è il mio posto. Quando Tiziana arriverà, dovrei essere accanto a mia madre, nei pressi dell'altare, ad accoglierla. Ma dentro mi mancava l'aria, avevo bisogno di respirare. Odio indossare la cravatta, odio quest'abito elegante che sono stato costretto a scegliere all'ultimo minuto. Odio questa cazzo di messa in scena di matrimonio felice e odio anche mio padre che mi sta strattonando per farmi rientrare prima che sia troppo tardi. 

«Levami le mani di dosso se non vuoi rischiare di beccarti un pugno!» Gli sibilo, senza voltarmi, senza alzare troppo la voce. Eppure il tono è abbastanza minaccioso da fargli allentare la presa per un secondo, prima che mi guardi con quegli occhi carichi di disgusto.

«Hai bevuto, vero?» Mi accusa, con uno sguardo di puro disprezzo. «Sei così patetico da presentarti ubriaco al tuo matrimonio.»

Non gli rispondo. Non sono ubriaco, non del tutto almeno. Sono abbastanza lucido da capire che questo, per me,  è il punto di non ritorno. 

Mi sto sposando. 

E mentre le gocce continuano a cadere, scandendo il tempo che sembra sospeso, guardo il cielo, cercando di trovare qualcosa, una risposta, una scusa, una via di fuga. Ma tutto ciò che vedo è questo grigio, freddo e immobile, che sembra avvolgere ogni cosa, che mi ricorda che oggi, 24 dicembre,  è davvero troppo tardi per qualsiasi ripensamento.

Come un'automa imbocco il sagrato della chiesa scansando la folla degli invitati che si appresta a prendere posto per l'imminente arrivo della sposa. 

Cerco con lo sguardo il gruppo dei miei amici del Conservatorio. Gionatan mi sorride cercando di infondermi coraggio. Eliana che anche oggi sfoggia un abito del suo colore preferito, il rosa, mi scocca un'occhiataccia. 

Cazzo, forse alle strette avrei preferito sposare lei e non Tiziana. Avremmo avuto almeno un argomento in comune di cui parlare: la nostra passione per la musica.

Raggiungo mia madre e la affianco. Mi serra la mano in una stretta spasmodica. 

Vedo Eliana imbracciare il violino e intonare gli accordi della marcia nuziale di Mendelssohn, e sulla soglia della chiesa compaiono Tiziana e suo padre.

Mi tremano le gambe e ho la gola secca. No, non è l'emozione, è il terrore quello che mi sta facendo battere i denti. 

Muovo un passo dopo l'altro meccanicamente, come una marionetta animata dai fili di un  burattinaio invisibile. Raggiungo Tiziana e quando il padre la bacia e mi porge la sua mano io resto immobile. Non la tocco, non le sorrido, non ho per lei nessun tipo di reazione emotiva. 

Sento solo dentro di me la rabbia che si accumula e che si sedimenta lentamente sul mio cuore. 

************

Tiro una lunga boccata dalla sigaretta, guardando il fumo dissolversi nella notte. Il balcone è stretto, ma la vista sul mare è mozzafiato. La luna si riflette sull'acqua, tremolante, eppure così calma. Non come me. Dentro, sento un senso di angoscia che non riesco a chetare.

È la mia prima notte di nozze. E sono qui fuori, da solo, con un bicchiere di rum a metà, l'ennesimo della giornata, e una sigaretta quasi finita. 

Appoggio i gomiti sulla ringhiera, fissando il bicchiere. Ho paura di alzare gli occhi verso il mare. Ho paura  di trovare tra le onde il riflesso di un passato che non smetterò mai di portare con me. Mi sono sposato con Tiziana poche ore fa. E lei, ora, dorme, ancora avvolta nel suo abito da sposa. Non ha voluto toglierlo subito, "per non spezzare la magia", ha detto.

Magia un cazzo! Io tutta questa magia non la sento. Quello che sento dentro di me è un sentimento di rabbia mista a frustrazione.

Nella mia testa c'è spazio per una sola persona, per un solo nome: Eleonora.

Il suo viso mi torna in mente con prepotenza. Ogni linea del suo sorriso, ogni sfumatura della sua voce, ogni curva del suo corpo,  tutto di lei è scolpito dentro di me. Tutto a ricordarmi quello che ho perso. O forse quello che non ho mai avuto il coraggio di vivere davvero.

Accendo un'altra sigaretta, cercando di calmare le mani che tremano appena. La nicotina non mi aiuta, ma mi dà qualcosa da fare. Qualcosa per colmare il vuoto.

Non riesco a smettere di pensare a lei. Al modo in cui mi amava, con quella passione che bruciava tutto intorno. Io l'ho persa per sempre.  E ora, in questa notte che dovrebbe segnare l'inizio di qualcosa di nuovo, mi chiedo se non abbia sbagliato tutto. Forse avrei potuto trovare altre soluzioni, fare altre scelte. Ma ormai è troppo tardi.

«Eleonora» Sussurro, senza nemmeno rendermene conto. È un nome che mi brucia in gola, che mi pesa sul petto.

Un rumore alle mie spalle mi riporta alla realtà. Tiziana è sulla soglia, ancora avvolta nel suo fottutissimo abito bianco. I suoi occhi sono gonfi di sonno, e il suo sorriso è dolce, ingenuo o almeno così voglio provare a credere.

«Non riesci a dormire?» Mi chiede timorosa. 

Mi volto, spegnendo la sigaretta nel portacenere. Cerco di sorriderle, ma so che è un sorriso vuoto, che non arriva agli occhi.

«No, avevo solo bisogno di un po' d'aria.» 

Lei annuisce, senza fare altre domande. Mi tende una mano, e io la prendo. È leggera, calda. Un gesto semplice, eppure mi pesa come una condanna.

Rientro con lei nella stanza, ma lascio tutto il resto fuori. 

La luna, il mare, i ricordi. 

Eleonora è ancora lì, nell'aria che respiro, nel vuoto che mi porto dentro. Non se ne è mai andata davvero, anche se sono stato io a farla andare via.

E il nome che continuerà a vivere dentro di me, che mi accompagnerà sempre, anche ora che tutto è cambiato

******** 

Stordito dall'alcol e dalla tristezza, mi sono addormentato accanto a Tiziana. Abbiamo condiviso lo stesso letto, ma con una differenza abissale: lei ha dormito tranquilla, io ho chiuso occhio soltanto per un breve momento.

Entrambi indossiamo ancora gli abiti della cerimonia. Lei, avvolta nel suo fottuto abito bianco, sembra uscita da un film di Tim Burton. "La sposa cadavere", mi pare si chiami. La visione mi strappa un ghigno amaro.

Cristo benedetto, non posso resistere un attimo di più rinchiuso in questa stanza d'albergo. Devo uscire.

Fortunatamente, ieri sera ho chiesto a Gionatan di portarmi giù nel parcheggio il mio Tmax. Dopo essere sgattaiolato fuori dalla stanza, ora sono qui, sotto una pioggerellina insistente, che guido verso Mattinata.

La destinazione è chiara: voglio andare alla nostra spiaggia.

Quella dove, il giorno del mio compleanno, ho portato Ele. Dove abbiamo fatto l'amore. Dove ho provato a dirle ti amo, e come al solito non ci sono riuscito.

Non so cosa mi spinga a fare questa cosa, ma so che devo farla. È come se avessi un ultimo appuntamento con la piccoletta, un saluto che non può più essere rimandato.

Quando finalmente arrivo, sono solo, di fronte al mare. Lo sguardo si perde sull'orizzonte, carico di nuvole e pioggia. L'aria è fredda e tagliente, ma non riesce a spegnere il fuoco che sento bruciarmi dentro.

Mi fermo, le mani nelle tasche della giacca, e provo a trovare la forza per scrivere la parola fine.

Fine, a quello che è stato, il capitolo più importante della mia vita.

ELEONORA

Il ristorante è magnifico, ogni angolo è illuminato dalle luci calde degli addobbi natalizi, i tavoli ricoperti da tovaglie candide e decorati con centrotavola di agrifoglio e candele rosse. Non avrei mai immaginato di trovarmi in un luogo così, con la mia famiglia albanese riunita attorno a me. Eppure, per quanto tutto sembri perfetto, c'è una tensione che non riesco a scrollarmi di dosso.

Mio zio Samyr è arrivato per primo, con il suo sguardo severo e il portamento da uomo d'affari. Ergi gli trotterella dietro, in evidente soggezione. Non hanno nulla in comune, ma sembrano bloccati in una strana danza di superiorità e obbedienza.

Erdita, invece, è al centro dell'attenzione, chiacchiera animatamente con  gli altri parenti. Arsen, ovviamente, non è presente. Ci ha solo accompagnate fin qui, e quando è risalito in macchina per parcheggiare, ho letto nei suoi occhi, che cercavano insistentemente quelli di mia nonna, una nota di tristezza. L'immagine di lui, fuori al freddo, che fuma e aspetta da solo, mi fa sentire una merda. Non so come mia nonna riesca a fare finta di nulla.

Poi ci sono io, seduta accanto a lei, che cerco di sembrare parte di questo mondo che ancora non sento davvero mio e in tutto questo vociare non ci capisco un cazzo. L'albanese sembra un codice segreto che non riesco ancora a decifrare. 

Mi guardo intorno alla disperata ricerca di una via di fuga: Stavros.  

Lo vedo dall'altra parte della sala, elegante nel suo completo scuro, mentre coordina il personale e si assicura che tutto fili liscio. Ogni tanto i suoi occhi si posano su di me, ed è come se il caos della sala svanisse per un attimo.

Dopo il brindisi in mio onore e mentre gli altri si alzano per ballare o chiacchierare ne approfitto per raggiungerlo. Ho bisogno del suo conforto. 

Stavros mi si avvicina. È discreto, come sempre, ma il suo sguardo è carico di qualcosa che mi fa battere il cuore. Sento la sua mano sfiorare il mio braccio, appena un accenno, ma quel gesto è sufficiente a farmi dimenticare dove mi trovo.

«Stai bene?» Mi chiede, la voce bassa e gentile, così diversa dal rumore che ci circonda.

Annuisco, e senza pensarci, lascio che la sua mano si posi per un attimo sulla mia guancia. È un gesto così intimo, così naturale, ma non siamo soli.

Quando alzo lo sguardo, vedo Samyr fissarci. Il suo volto è una maschera di rabbia e disgusto.

Non ci mette molto ad attraversare la sala, e quando arriva davanti a noi, la sua voce è gelida.

«Elona, cosa stai facendo?» Mi stupisco di sentirlo parlare in italiano. 

La mano di Stavros si ritrae immediatamente, e io mi irrigidisco. Con lo sguardo lo supplico di allontanarsi. Non voglio coinvolgerlo in quella che prevedo essere una discussione accesa.

«Sto parlando con lui, zio. La cosa ti crea qualche problema?»  Non riesco a trattenere una nota di acidità nella mia voce.

«Qualche problema?» Ripete, quasi scimmiottandomi, alzando il tono e attirando l'attenzione di tutti. 

«Con lui? Proprio con lui?» Sogghigna ironico. 

Lo guardo, incredula. Voglio capire una volta per tutte a cosa è dovuta questa specie di faida familiare tra i Gashi e i Niarkos. 

«Perché non parli chiaramente? Stavros non ha mai fatto nulla di male, e io... io ho il diritto di decidere chi voglio nella mia vita!»

La sua risata è amara. «Tu non sai niente, Elona. Sei una ragazzina che si fa abbindolare da un uomo come lui. Sei troppo giovane per capire.»

L'umiliazione si mescola alla rabbia. Lo guardo negli occhi, senza abbassare lo sguardo.

«Sarò anche una ragazzina, ma tu non hai alcun diritto su di me. Non sei nessuno per controllare la mia vita e le mie scelte!» 

La sala è improvvisamente silenziosa. Tutti ci osservano. La nonna si alza, cercando di intervenire, ma non riesco a restare lì un secondo di più. 

Quello che doveva essere un incontro di famiglia si è rivelato essere uno scontro e anche abbastanza cruento. Ho la sensazione che, questa sottospecie di boss dei poveri, stia usando Stavros  come pretesto per vomitare il suo odio su di me.

Senza dire una parola, afferro il cappotto e mi avvio verso l'uscita. 

La voce di Samyr mi raggiunge come un colpo alle spalle. «Sei una puttana, proprio come tua madre. Pensavi di presentarti qui incinta di un bastardo senza che nessuno dicesse nulla?»

Sento Erdita urlare per zittirlo. Ergi che mi chiama. Ma non mi volto. Avanzo decisa verso l'uscita. 

Questa gente non è nulla per me. La mia speranza di ritrovare una famiglia è miseramente svanita nel nulla. 

Fuori, il freddo della notte mi colpisce come uno schiaffo. Mi stringo nel cappotto, cerco il telefono nella tasca e chiamo un taxi. 

Non so nemmeno perché lo faccio, non so ancora dove andare, ma so per certo che non  tornerò mai più a casa Gashi. Ancora una volta, nel giro di pochi mesi, mi ritrovo ad affrontare scelte difficili. 

Quando l'autista mi chiede dove deve condurmi la decisione è già presa.

Il taxi si ferma davanti alla villa di Stavros, il cuore mi batte così forte che sembra voler uscire dal petto. 

Kepi Rodonit mi accoglie nel suo maestoso silenzio. Nel buio della notte l'unico suono che avverto è il rumore delle onde che si infrangono sulla scogliera sottostante. 

Salgo le scale di corsa, e quando arrivo alla porta, busso con insistenza. 

Ci mette un attimo ad aprire. Mi guarda, sorpreso, con il viso teso e gli occhi azzurri che cercano di capire cosa stia succedendo.

«Elona... che ci fai qui?»

Non rispondo subito. Sento le lacrime premere dietro gli occhi, ma mi rifiuto di piangere.

«Ho bisogno di te» Dico, la voce rotta, ma decisa. «Ho bisogno che ti prenda cura di me e del mio bambino. Non so dove andare, non so cosa fare. Ma so che voglio stare con te.»

Stavros mi guarda per un lungo momento, il suo volto è una miscela di emozioni che non riesco a decifrare. Poi, senza dire nulla, mi prende la mano e mi fa entrare.

La porta si chiude dietro di noi, isolandoci dal resto del mondo. 

La stanza è immersa in un silenzio rotto solo dal crepitio del fuoco nel camino. 

Le luci soffuse danzano sui muri, creando ombre che sembrano raccontare storie silenziose. Stavros mi osserva, i suoi occhi azzurri più intensi che mai. 

C'è qualcosa nel suo sguardo che mi fa tremare, una miscela di desiderio e paura, come se anche lui non sapesse dove ci stiamo dirigendo. Qual è la direzione che devono prendere le nostre vite.

Io, però, venendo qui, ho già deciso. 

Mi sono lasciata tutto alle spalle, le urla, il giudizio, i volti della mia famiglia, Lele e la sua futura moglie, tutti i miei errori e le mie scelte sbagliate. Adesso c'è solo Stavros. Ci siamo solo noi.

«Elona...» Mormora, come se volesse dirmi qualcosa, ma le parole gli sfuggono.

«Sei sicura di voler restare?» La sua voce è bassa, quasi un sussurro.

Annuisco, incapace di parlare. Non voglio spiegazioni, non voglio pensieri. Voglio solo lui.

Mi avvicino lentamente, il cuore che batte così forte da far male. Quando sono abbastanza vicina, sento il calore del suo corpo, il profumo leggero della sua pelle. È come se il mondo intero si fermasse, lasciandoci sospesi in un momento senza fine.

«Non dovremmo...» Sussurra quasi a se stesso, un monito fragile a cui non crede neanche lui.

«Io voglio.» Rispondo, sicura di me. 

Non aspetto una risposta. Non ne ho bisogno. Le mie mani si posano sul suo viso, e prima che possa tirarsi indietro, lo bacio.

È un bacio che non ha nulla di esitante. È intenso, travolgente, carico di tutto ciò che ho provato in questi mesi. Lo sento rispondere, inizialmente con una certa cautela, ma presto ogni barriera cede. Le sue braccia mi circondano, e io mi aggrappo a lui come se fosse l'unica cosa che mi tiene in piedi.

Le sue mani scivolano lungo la mia schiena, lente, decise, mentre il mio corpo si arrende al suo. C'è una dolcezza in ogni suo movimento, una cura che mi fa sentire al sicuro, anche ora, quando il desiderio minaccia di consumarci entrambi.

«Non voglio farti male» Dice, con un filo di voce, mentre le sue labbra lievi sfiorano la mia fronte.

«Non puoi» Rispondo, e lo intendo in ogni senso.

Le sue mani accarezzano il mio ventre. È un gesto lieve, quasi riverente, e per un momento, i suoi occhi, pieni di una tenerezza che mi spezza il cuore, incontrano i miei. 

«Sei così fragile...»

«Sono più forte di quanto pensi.»

Le sue dita si intrecciano alle mie, ma non c'è delicatezza in questo gesto. È un ancoraggio, una richiesta, una promessa. Ogni tocco delle sue mani sulla mia pelle è come un fuoco che si accende, ogni bacio è una tempesta che travolge ogni mio pensiero, ogni dubbio. Il suo respiro si mescola al mio, rapido, febbrile, e sento che il mondo intero si dissolve. 

Mi aggrappo a lui come se fosse la mia unica salvezza, come se lasciarlo andare fosse impossibile. Le sue mani, forti e decise, tracciano il mio corpo come se volesse imparare ogni curva, ogni angolo, memorizzare ogni frammento di me.

Non ci sono parole tra di noi, solo sospiri, gemiti soffocati e quel bisogno disperato di essere vicini, di colmare ogni distanza.

«Elona...» Sussurra il mio nome contro le mie labbra, la sua voce roca, carica di desiderio.

«Non fermarti.» Gli rispondo, quasi senza fiato.

Stavros non si ferma, non esita, come se anche lui sentisse che questo momento è tutto ciò che conta.

Ogni parte di me risponde, come se fossimo in perfetta sintonia. Non c'è più spazio per paure o insicurezze. Qui, ora, siamo solo noi, avvolti da un desiderio che non possiamo più ignorare, che brucia troppo intensamente per essere contenuto.

Lui mi prende in braccio, come se fossi la cosa più preziosa al mondo, e mi porta verso il divano. Mi adagia con delicatezza, ma la passione nei suoi occhi è innegabile. Si china su di me, il suo peso contro il mio, le sue labbra che tracciano un percorso di baci lungo il mio collo, sulla mia spalla, fino alla base della gola. Ogni tocco è un'esplosione di sensazioni che mi fanno tremare.

Le sue mani ora si muovono lente, esplorano ogni centimetro di me, e io faccio lo stesso con lui. Le dita si perdono tra i bottoni della sua camicia, sfiorano la sua pelle calda. Non c'è esitazione, non c'è incertezza.

«Stavros...» Pronuncio il suo nome, e lui si ferma un attimo, i suoi occhi si perdono nei miei. Ora non c'è più alcuna distanza tra di noi, né fisica né emotiva. Siamo completamente noi stessi, vulnerabili e sinceri.

Lui mi bacia di nuovo, e questa volta è diverso: più lento, più profondo. Non è solo desiderio, è qualcosa di più. È come se volesse dirmi, senza parole, quanto significo per lui.

Quando finalmente ci fermiamo, quando il desiderio si placa in una quiete dolce e rassicurante, mi ritrovo stretta a lui, la testa poggiata sul suo petto. Il battito del suo cuore è un ritmo che mi tranquillizza, mi ancora a questa realtà.

«Io ci sono, Elona.» Dice, rompendo il silenzio. «Per te, per il bambino. Sempre.»

Chiudo gli occhi, e per la prima volta in tanto tempo, sento che non sono sola.

STAVROS 

È notte fonda ormai, Elona dorme accanto a me. Il suo viso è rilassato, sereno, come se il mondo intero non potesse sfiorarla. Io al contrario, mi sento in preda alle emozioni. Mi alzo e mi lascio  cadere sulla poltrona accanto al letto, incapace di distogliere lo sguardo. La luce del fuoco gioca sui suoi lineamenti, evidenziando una bellezza che non ha bisogno di artifici. È qualcosa di puro, di disarmante.

Eppure, anche ora, con lei così vicina, sento il peso del passato incombere su di me.

Mi stringo il viso tra le mani, il respiro pesante. Non avrei mai dovuto lasciarmi trascinare a questo punto. Non avrei mai dovuto lasciarmi coinvolgere. Ma è come se lei avesse un potere su di me, uno che non posso combattere, anche se so che dovrei.

Il passato è tornato a essere presente. Anni fa ho amato sua madre e  ora, eccomi qui, innamorato di sua figlia. Io, uomo maturo, lei, solo una ragazzina.

Il pensiero mi tormenta. Mi siedo di nuovo e fisso il fuoco, cercando risposte che non arrivano. Voglio credere che ciò che provo per Elona sia diverso, che sia solo suo, che non abbia nulla a che fare con ciò che ho provato anni fa. Ma una parte di me non può fare a meno di chiedersi se è davvero così. E se lei lo scoprisse, se qualcuno della sua famiglia glielo dicesse, quale potrebbe essere la sua reazione?

Gli occhi iniziano a chiudersi mentre i pensieri si confondono, e prima che me ne renda conto, mi addormento.

Quando mi sveglio, la stanza è avvolta nell'oscurità. Il fuoco si è spento, e l'unico suono è il ticchettio leggero dell'orologio. Mi alzo, stiracchiandomi, ma mi fermo subito quando non vedo Elona sul letto.

La trovo fuori, sulla veranda.

Indossa il mio maglione, troppo grande per lei, e guarda il mare. Le onde si infrangono piano sulla scogliera sottostante, e il cielo invernale è grigio, come se non fosse ancora sicuro di voler accogliere l'alba. Mi fermo sulla soglia, osservandola in silenzio.

La sua figura è immobile, avvolta nel vento gelido. C'è qualcosa di malinconico in lei, come se stesse cercando risposte in quel vasto orizzonte.

E non posso fare a meno di immaginare che ora stia pensando al padre del suo bambino.

Sento la sua presenza tra di noi, invisibile e costante. È nei momenti in cui si perde nei pensieri, in quelle ombre che passano veloci nei suoi occhi prima che torni a sorridere. Mi chiedo, una volta di più,  se lo ama ancora. Se una parte di lei lo aspetta ancora.

Vorrei sapere cosa pensa in questo momento. Vorrei chiederle se il mio amore può bastarle, se io posso bastarle. Ma non lo faccio. 

«Dovresti rientrare. Fa freddo.» Dico infine, a voce bassa, per non farla spaventare.

Lei si volta, sorpresa, e per un attimo vedo qualcosa nei suoi occhi. Un'emozione che non riesco a decifrare.

«Non riuscivo a dormire.» Mormora, stringendosi nel maglione.

Mi avvicino piano, posando una mano sulla ringhiera accanto alla sua. Il mare sembra infinito, così come le domande che mi tormentano.

«A cosa stavi pensando?»

Lei mi guarda, e per un attimo penso che stia per dirmelo. Ma poi scuote la testa e sorride, un sorriso debole, quasi triste.

«A tante cose.» Risponde, lasciando che il vento porti via le sue parole.

Rimaniamo lì, fianco a fianco, guardando l'orizzonte che si tinge lentamente di luce. 

Non so cosa ci riservi il futuro, ma so che non posso perderla. 

Anche se il suo cuore è ancora legato a un uomo che non sono io, anche se il passato ci seguirà sempre come un'ombra, non voglio lasciarla andare.

Non posso.

Le strade di Ele e Lele, si separano definitivamente.

Ele, con il cuore pieno di emozioni contrastanti, fa la sua scelta: Stavros. L'uomo che è entrato nella sua vita con una forza travolgente, che ha saputo darle un rifugio quando tutto sembrava crollare. 

E, d'altro canto, Lele  accetta il suo destino e lega la sua vita a Tiziana.

È un capitolo che si chiude, una pagina che si volta.

Tra loro ci sarà sempre un filo invisibile che, nonostante tutto, continua a esistere. 

A occhio e croce questo dovrebbe essere l'ultimo capitolo ambientato nel passato. 

D'ora in poi tutto si svolgerà nel presente, con brevi riferimenti agli anni in cui le nostre due 'teste matte' sono state separate.

Preparatevi...

Grazie infinite per essere sempre con me. Siete la mia forza! 

Maria 

P.S.: se vi va di fare quattro chiacchiere sulla storia o su altro, mi trovato su Instagram come emmeffebooks. Vi aspetto! 










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