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Capitolo 1: Vite stravolte

Dieci anni prima

ELEONORA

L'odore del burek appena sfornato mi pizzica le narici. Realizzo che sicuramente è già ora di pranzo mentre io sono ancora qui a letto che fingo di dormire.

Erdita, mia nonna, in cucina è una negazione completa, l'unica cosa che le riesce bene è questa tipica pizza salata albanese che ho scoperto di adorare dalla prima volta che l'ho assaggiata. E lei per vedermi felice, e soprattutto per invogliarmi a mangiare, la prepara spesso.

Mia nonna... ancora faccio fatica a chiamarla così, soprattutto a sentirla come tale. Ho sempre pensato che mi detestasse, che non volesse conoscermi, che preferisse mantenermi a distanza. Invece sin dal primo momento che le sue braccia si sono strette intorno a me, ho capito che non fosse affatto così.

Basta guardarla per rendersi conto che lei non è proprio il prototipo di nonna che vive nell'immaginario collettivo e specialmente nella mentalità albanese.

Erdita Gashi è un caso a parte.

Cinquantaquattro anni, un metro e sessanta scarsi di altezza e un fisico esile e scattante da far invidia anche a me che paragonata a lei, ultimamente, mi sento un bradipo. Sempre elegante, truccata di tutto punto, capelli neri, lisci e di media lunghezza, sempre perfettamente in piega. Una lingua tagliente e biforcuta: lei ha sempre l'ultima parola su tutto. Guai a contraddirla o a farle notare che forse esistono anche dei punti di vista diverso dal suo.

Ma quando il suo sguardo si posa su me, tutto cambia. Me ne sono resa conto quando in compagnia di Ergi ho bussato alla sua porta qualche settimana fa.

"Dashuri" (amore) mi ha detto parlando un italiano quasi perfetto "Ti abbiamo costretta, fino a ora, a fare una vita orrenda. Dammi la possibilità di farmi perdonare shpirti ime (anima mia)."

E io ci sto provando a darle questa possibilità. Mi faccio viziare e coccolare da lei, un po' perchè so di dare pace così alla sua coscienza, un po' perchè nella mia vita di merda non ho mai avuto tutto quello che lei mi sta offrendo. E non parlo solo dello shopping sfrenato a cui a volte mi ha costretta per obbligarmi a venir fuori dallo stato di inedia che mi ha travolto quando sono arrivata qui. Per me è importante vedere gli sforzi che fa per interagire con me. Tutti i suoi tentativi di instaurare con me dialoghi confidenziali da nonna a nipote stanno sistematicamente facendo breccia nel mio cuore. Le mie riserve nei suoi confronti stanno piano piano cedendo il posto a un affetto sincero.

Ma per il momento tutto questo non lo do a vedere, la sto mettendo alla prova, voglio imparare a fidarmi di lei e voglio capire fino a che punto posso farlo.

Ho ancora molti dubbi sugli altri componenti della 'famiglia' e sul tipo di attività che gestisce. A parte Ergi, non ho avuto, per mia scelta, nessun tipo di contatto con il resto della parentela. Anzi per essere più precisa, le mie relazioni sociali sono pari allo zero. Faccio fatica anche a uscire dalla mia stanza e mi sto chiudendo sempre più in me stessa.

Le cicatrici per la morte di mio padre e per il tradimento di Lele sono ancora fresche e sanguinanti e per quanto ci provi, non riesco a trovare la forza e la volontà per reagire.

Apro pigramente gli occhi e resto qualche secondo a fissare il soffitto della mia stanza.

Ogni volta che mi sveglio, stento a mettere a fuoco dove mi trovo. Sono ormai due settimane che vivo qui, ma il mio cervello ancora non se ne fa una ragione.

Il cuore poi, anche peggio, lui proprio non riesce a rassegnarsi.

Dentro di me, spero ancora che quello che ho vissuto sia stato solo un brutto incubo e che un giorno mi sveglierò e intorno a me troverò i vecchi mobili della mia cameretta della casa famiglia, continuerò a ricevere le telefonate dal carcere del mio 'papo' e risponderò ai messaggi di buongiorno di Lele.

Sbuffo annoiata e quasi come un automa ciabatto fino al bagno. Spero che una bella doccia calda mi faccia avere un risveglio tranquillo e riesca in qualche modo a calmare questo senso di nausea che mi assale ogni mattina.

Missione fallita. Sono costretta, ancora gocciolante a correre verso il water per vomitare.

Mi risollevo a fatica e mi avvicino allo specchio. Non ho mai avuto un incarnato roseo, anzi sono tendenzialmente pallida. Ma da qualche giorno a questa parte il mio colorito è quasi spettrale.

Sarà forse perchè mangio poco e dormo ancora meno?

Sarà che questa nausea del cazzo non mi dà tregua?

Sarà che fingo di non voler capire cosa sia questa stana sensazione che avverto?

Sussulto quando vedo Erdita che mi fissa sulla soglia del bagno.

«Elona hai vomitato di nuovo, vero?»

La nausea si ripresenta mentre tento di risponderle. Mi fa segno di tacere e mi porge una scatolina.

La guardo con gli occhi spalancati mentre mi rendo conto di cosa mi ha appena consegnato.

«Non guardarmi così ylly (stella), mi ricordi tanto tua madre» un sorriso triste le affiora sulle labbra «Secondo me dovresti farlo al più presto! Fa con calma. Il tuo burek è sul tavolo in cucina che ti aspetta. Affronta questa cosa e poi facciamo colazione insieme. Ti aspetto!»

Mi lascia da sola a fissare il test di gravidanza che mi ha appena dato e a riflettere sul fatto che quello che penso su di lei è proprio vero, lei è sempre un passo avanti a tutto, è davvero una tipa unica. Faccio mente locale e ricordo quando giorni prima, di ritorno dal centro commerciale di Tirana, ha chiesto ad Arsen, il suo autista, di fermarsi davanti alla farmacia in centro. Ecco cosa è scesa a comprare, altro che la balla che mi rifilato che aveva finito gli antidolorifici per il mal di testa.

Rigiro la scatola tra le mani indecisa sul da farsi.

Non posso essere incinta. Non devo essere incinta.

Prendo la pillola da tre anni.

La nausea è sicuramente dovuta allo stress, alle troppe sigarette e al poco cibo.

Sì, sarà sicuramente così.

Sto vivendo un periodo di merda, tanto dolore, tanti cambiamenti. Sfido chiunque a sentirsi meglio di me.

Non mi serve a nulla questo test del cazzo e non ho nessuna intenzione di farlo.

Infilo al volo una felpa pulita per scendere finalmente a fare colazione o forse, vista l'ora, pranzare. L'odore del detersivo mi causa un conato di vomito.

Mi viene quasi da piangere dallo sconforto. Forse devo proprio decidermi a fare quel cazzo di test. Almeno così mi tolgo il dubbio.

Mi siedo sul water e mi concentro per cercare di fare pipì direttamente sull'estremità dello stick. Sto ben attenta a tenerlo sempre verso il basso e rimetto a posto il cappuccio. Lo poggio sul lavandino e imposto il timer al cellulare: un minuto.

È inutile che mi faccio prendere dall'ansia, sarà sicuramente negativo. Prendo la pillola, non devo dimenticarlo assolutamente. È uno dei contraccettivi più sicuri, non devo avere nessuna preoccupazione. Non ho mai dimenticato di prenderla, non mi è successo mai nulla che possa aver interrotto la copertura. O no?

Come una specie di flash mi riaffiora alla mente la mia ubriacatura a base di vodka alla pesca sulla spiaggia di Siponto. Quando Lele venne a recuperami e mi portò a casa sua. Vomitai anche l'anima mentre lui mi accarezzava la schiena e mi teneva i capelli. La notte che lui pubblicò la prima foto di noi due sul suo profilo Instagram. Che giorno era? Non riesco a ricordare.

L'ansia piano inizia a invadere il mio corpo, mi anestetizza il cervello, mi fa contrarre lo stomaco.

Le mani tremano quando, dopo aver sentito suonare il timer, mi appresto a prendere il test per controllare.

Trattengo il respiro e guardo.

Ingoio a vuoto. Ho la gola asciutta, i riflessi rallentati. Sento il battito del mio cuore che rimbomba nelle orecchie.

Positivo.

Sono incinta.

Aspetto un bambino.

Un bambino mio e di Lele.

Ma io e Lele non siamo più nulla.

Aspetto un bambino mio, solo mio e di nessun altro.

EMANUELE

Il concerto che l'orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia terrà questa sera nell'auditorium del Conservatorio di Parigi è la tappa più importante della tournée, e sapere che in questa occasione dovrò sostituire il primo timpanista che è a letto con la bronchite e la febbre a quaranta, mi ha letteralmente sconvolto.

Le settimane appena trascorse sono state frenetiche e dense di avvenimenti che hanno duramente messo alla prova il mio sistema nervoso.

La fine della storia con Eleonora è stata poi la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La devastazione che sento dentro non riesco a descriverla a parole. La consapevolezza di sapere che lei è andata via col ricordo di avermi visto mentre la tradivo non riesce a darmi pace.

Il dolore, che so per certo lei ha provato, non riesco neanche a immaginarlo.

Per questo da perfetto codardo quale sono, ho accettato l'offerta del padre di Tiziana, lasciando anche con quest'ultima le cose in sospeso. Sono partito in tournée con l'orchestra senza pensarci due volte fingendo di non sapere che i nostri rapporti non fossero chiusi definitivamente.

Lei a tutti gli effetti si comporta come se fosse la mia ragazza. Mi scrive decine di messaggi a cui do laconiche risposte. Mi telefona ogni sera con la scusa di sapere come vanno le esibizioni. Insomma non ne vuole sapere di lasciarmi in pace. E io ormai rassegnato, subisco passivamente, e mi crogiolo nella vana illusione che una volta tornato in Italia chiuderò questa pseudo relazione una volta per tutte.

Provo nei suoi confronti un senso di repulsione. So bene che non è colpa sua se ho tradito Eleonora. Ho fatto tutto da solo, ubriacandomi come un coglione. Ma sotto sotto ho come la sensazione che lei abbia approfittato del mio stato di semi incoscienza. Mi girava intorno da troppo tempo e io le ho fornito l'occasione giusta per realizzare le sue fantasie.

Cristo santo, mi prenderei a pugni se potessi. Più passano i giorni e più mi rendo conto che perdendo Eleonora ho perso anche me stesso. Lei è riuscita, in poco più di un mese, a farmi provare emozioni che mai avevo provato prima.

Ora mi sento come se il mio cuore fosse sospeso a un filo e che questo filo stia per spezzarsi una volta per tutte facendolo precipitare nel vuoto.

Pensavo che suonare avrebbe potuto alleggerire questo stato di angoscia. Ma così non è stato. Partecipo da freddo spettatore a quella che prima avevo considerato potesse essere l'occasione della mia vita, la svolta per la mia carriera da musicista che tanto bramavo. Mi sono illuso che avrei potuto colmare questo vuoto che sento dentro. Ho sperato che salire sul palco, esibirmi, ricevere gli applausi del pubblico, mi avrebbero fatto sentire appagato.

Schizzo via il mozzicone della Camel che stavo fumando centrando in pieno il palo della luce di fronte a me.

Ho smesso con le sigarette rollate a mano e poi le Camel mi ricordando lei. Il suo sapore. L'odore delle sue mani quando mi passava le dita nei capelli. Il sapore della sua bocca quando le rubavo l'anima con i miei baci.

Dovrei provare a concentrarmi sull'imminente concerto ma proprio non ci riesco. Svogliatamente mi dirigo verso la sala prove, ma sento il telefono vibrare nella tasca. È mia madre. È la terza chiamata che mi fa nel giro di pochi minuti. Forse prima, preso dalle mie riflessioni non ho sentito la vibrazione. Ritorno sui mie passi ed esco nuovamente all'aperto.

«Mà, scusa prima non ho sentito. Tutto bene?»

«Vorrei poterti dire di sì figlio mio...»

«Mà, mi devo preoccupare? Mi stai chiamando davvero figlio mio

«Ema, zitto un secondo, fammi parlare. Sicuramente riceverai anche la chiamata di tuo padre è voglio che tu sia pronto ad affrontarla!»

Le cose si stanno mettendo male. Un'altra sigaretta mi aiuterà sicuramente. L'accendo al volo, alzando la spalla per trattenere il telefono ben vicino all'orecchio per poter continuare la conversazione con mia madre.

«Ti senti spesso con Tiziana?» La voce le si incrina quando pronuncia il nome della causa di tutti i miei malumori.

«Subisco passivamente i suoi messaggi e le sua chiamate ogni santo giorno. Se è questo che intendi per sentirla.» Aspiro con forza il fumo tanto da sentire la gola bruciare.

«Deduco da quello che mi stai dicendo che la cosa più importante però non te l'ha ancora detta, altrimenti non parleresti con tutta questa calma.»

«Mà, parla e non tenermi sulle spine. Cosa sarebbe questa cosa importante per cui anche mio padre dovrebbe sforzarsi a telefonarmi?» Sono esasperato, ansioso e ho fretta. Tra un po' devo essere sul palco.

«Tiziana è incinta!» Mia madre sputa fuori la notizia con rabbia, con il tono di chi celatamente vorrebbe dirmi Sei contento della cazzata che hai fatto?

Mi tremano le gambe, all'improvviso le sento molli, come se non avessero più la forza di sorreggermi. Il tremore si diffonde a tutto il corpo insieme a una sudorazione fredda che mi ghiaccia la schiena.

«Ema ci sei? Non hai nulla da dirmi?» Il tono di mia madre è sempre più concitato.

«Devo andare ora, tra dieci minuti devo essere sul palco. Ci sentiamo dopo!» Chiudo con rabbia la chiamata sicuro di lasciare mia madre senza parole. Nervosamente spengo anche il telefono. Come se servisse a interrompere i contatti con il mondo.

Corro a rinchiudermi nel bagno del camerino che è stato assegnato ai percussionisti. Ormai sono tutti sul palco, manca solo qualche minuto all'inizio del concerto.

Fortunatamente sono solo e nessuno può sentire l'urlo di frustrazione che non riesco a trattenere. Mi guardo allo specchio e stento a riconoscere l'immagine che vedo riflessa.

Non vedo più un ragazzo pieno di speranze e sogni per il suo futuro.

Vedo solo la faccia di un coglione che in una notte è riuscito a rovinarsi la vita.

In questo capitolo facciamo una salto indietro nel tempo di dieci anni.

Sono passate solo poche settimane da quando Eleonora è andata via dell'Italia ma la vita di entrambi è stata stravolta dall'arrivo di una notizia che cambierà per sempre il loro futuro: l'arrivo di un figlio.

Cosa ne pensate? Che decisioni prenderanno?

Ditemi quello che volete, ma a me entrambi ispirano tanta tenerezza. Li vorrei consolare.

Non sarà cosa facile per nessuno dei due...

Grazie per essere sempre con me! Non vedo l'ora di leggere i vostri commenti!

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