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Fuoco

Gli adolescenti bruciano in fretta.
Ne abbiamo parlato poco fa. Che nell'adolescenza senti tutto dieci volte più intensamente e che hai bisogno di cinque ore di pace e blablabla. Senti, se non ricordi torna un secondo indietro e rileggitelo, non ho tempo da perdere. Be', c'è altro da dire sugli adolescenti.
Bruciano. Bruciano più della benzina.
Sono delle piccole lucine destinate a spegnersi in un sole formato da sogni e speranze destinate a infrangersi. Eddai, scorso capitolo abbiamo parlato della luna, passiamo al sole. Perfettamente opposti no? Forse ora vi aspettereste che io paragoni Tedros al sole e Agatha alla luna. Ma io non lo farò. Non cadrò così in basso nella fossa della banalità. Anche perché qui i protagonisti non sono due opposti, ma tre. Sono tre pianeti che orbitano l'uno intorno all'altra e collidono di continuo e si distruggono e si aggiustano fin quando... oh no. Ne sono rimasti due, uno è esploso. Peccato.
Ebbene, i nostri tre protagonisti sono tre opposti tra loro. Agatha è opposta a Sophie, Sophie è opposta a Tedros e Tedros è opposto ad Agatha e viceversa.
Anzi, più che pianeti forse sarebbe meglio definirli stelle. Tre centrali di sentimenti che bruciano e bruciano felicità trasformandola in energia e in dolore che bruciano e piano piano esauriscono fino a spegnersi e ad esplodere. Un po' come tutti gli adolescenti, in effetti. Ma sì dai, possiamo anche dire come tutti quanti. Siamo tutti delle bombe ambulanti pronte ad esplodere.
Ma ci sono le bombe esplosive e le bombe silenziose. Le bombe esplosive sono quelle che fanno rumore, quelle che si fanno notare e che esplodendo coinvolgono tutte le bombe intorno a loro in un'esplosione di gruppo. Le bombe silenziose, invece, sono le bombe che si spengono lentamente, si rannicchiano in un margine e aspettano di esplodere senza coinvolgere nessuno. Chiaro, no? No? No. Sarebbe tutto così semplice se i confini tra le fazioni fossero così ben delimitati. Se tra Bene e Male ci fosse una linea precisa. Se non esistesse il grigio.
Ma esiste e dobbiamo accettarlo. D'altronde, siamo tutti delle sfumature di grigio. L'uomo non è del tutto perfetto e neanche del tutto imperfetto. Abbiamo pregi e difetti, sfumature di bianco e di nero. Siamo delle figure grigie di un mondo senza colore che stiamo distruggendo.
E così, la protagonista esplosa della nostra vicenda non fu esattamente una bomba silenziosa né esattamente una bomba esplosiva. Una via di mezzo.
Esplose in silenzio, senza farsi notare da nessuno, come una bomba silenziosa, ma coinvolse involontariamente tantissime bombe che la circondavano. D'altronde, siamo onesti, le bombe silenziose al 100% non esistono. C'è sempre qualcuno che rimane colpito da una bomba esplosa, magari lievemente, ma qualcuno lo sarà sempre, perché non riusciamo a fare a meno di ferirci l'uno con l'altro di continuo.
È un nostro piacere personale, quello di uccidere chi abbiamo intorno. Forse per paura, forse per istinto. D'altronde, è la legge del più forte. È radicata dentro di noi, sepolta nel nostro cervello così in profondità che neanche ce ne rendiamo conto. E, se perdiamo, se siamo i più deboli, se stiamo per morire, se riconosciamo che stiamo perdendo, allora cerchiamo in tutti i modi di scappare, di strisciare via come vermi per metterci in salvo, leccarci le ferite e tornare ad attaccare. E Agatha questo aveva fatto. Era fuggita, si era leccata le ferite, ma non aveva ripreso ad attaccare. Sapeva che direttamente non ce l'avrebbe fatta. E quindi ha trovato una maniera più subdola per vincere: andarsene, e lasciare quegli stronzi a vedersela con le conseguenze. Era esplosa dando fuoco a tutta quella gigantesca foresta di odio e di giovani destinati a bruciare. Era esplosa con un boato che aveva rimbombato per le orecchie di tutta la città e aveva acceso altre micce. Chi per la paura, chi per il dolore, chi per la rabbia, chi per tutte queste cose. E poi c'era Tedros, la cui miccia si era accesa per tutte queste cose, raggruppate nel fuoco amaro dell'amore. E che bel modo aveva Tedros di dimostrare i propri sentimenti, eh? Bullizzare la ragazza che ama fino a spingerla al suicidio. Si può dire una cosa di Tedros, oltre che sia stato un bastardo della peggior specie: è un codardo. Un grandissimo, mastodontico fifone perennemente terrorizzato dal giudizio degli altri e dalle conseguenze delle proprie azioni. Si lascia trascinare, Tedros, perché ha paura delle conseguenze se si ribellasse. Come dargli torto. Che dico, si merita tutto il torto del mondo, ma in fondo l'ha fatto per paura. E la paura è l'emozione più incontrollabile di tutte: è radicata in noi, reagiamo istintivamente. Dalla paura scaturisce tutto, è il nostro istinto più antico, l'emozione che ci ha permesso di sopravvivere. Tutte le emozioni derivano da lì. La rabbia? Un fuoco per vincere e sopravvivere. La vendetta? Una spinta in più per vincere e sopravvivere. La tristezza? Una possibile reazione ad un fallimento. L'amore? Una reazione alla paura di restare da soli. Anche la nostra società, il nostro modo di pensare, le nostre abitudini... tutto collegato dalla paura, che come una sadica marionettista dirige l'orchestra delle nostre vite. Che paragone idiota. Ma andiamo avanti. E quindi la paura, mascherata da buoni sentimenti e gne gne gne, governa tutto? Se questo fosse vero, non saremmo diversi dagli animali, solo un po' più evoluti. E cos'è, quindi, che ci distingue dagli animali? La tecnologia? Allora 80 anni fa erano delle bestie? La parola? Anche gli animali comunicano. L'intelligenza? AHAHAHAHAHAH... L'uomo non è intelligente, è solo furbo. E allora cos'è?
L'Arte. L'Arte, miei cari lettori. L'Arte è inutile, citando Oscar Wilde. È inutile e proprio per questo è separata dalla paura. Non ha nessuna utilità per la sopravvivenza, a meno che uno di arte non ci campi. Ma di per sé, un dipinto è inutile. Una canzone è inutile. Un'opera teatrale è inutile. Questo libro, se vogliamo definire Arte questa storiella insulsa di ragazzi depressi e bombe sul punto di esplodere, è inutile. L'Arte meravigliosamente inutile. Parla di sentimenti, di sogni, di avventure. Di altre cose inutili. Parla anche di paura. Allora paura e arte sono collegate? No. Perché è inutile parlarne. Parlare della propria paura per i ragni non aiuterà a risolverla, né a salvarti dall'attacco di un ragno mutante. L'Arte vera, quella pura al 100%, è priva di scopo. Intrattiene solo, ha la semplice funzione di farci da nascondiglio dalla paura, di separarci per qualche attimo dalla cruda verità dei fatti e rifugiarci in un mondo fantastico fatto di irrealtà e confusione. Ci si rifugia nell'Arte perché si ha paura. Si può allora dire che chi di Arte non ne sa niente sia più coraggioso? Penso di sì. Insomma, medici e scienziati non credono ai dipinti. Loro studiano con fredda precisione la realtà che ci circonda, sfidano la paura per pura curiosità di sapere. Ed ecco che si aggiunge un terzo marionettista: la curiosità. La curiosità uccide, dicono, ed è vero. Anche gli animali sono curiosi, non ne possiamo fare a meno: vogliamo sapere, vogliamo conoscere, anche a costo di morire. Ed ecco che viene fuori che in realtà la curiosità e la paura sono fratelli gemelli. Odiano essere associati, sono istinti primordiali che controlliamo poco e male. E cos'è la curiosità? A pensarci bene, la curiosità è figlia e sorella della paura. La curiosità è la paura di non conoscere, ben più forte della paura generica. Infatti vince. E allora anche gli scienziati, ben lontani dal caldo rifugio dell'arte, in fondo cedono alla paura.
E allora chi sono i coraggiosi?
Nessuno, nessuno lo è. Nessuno scampa alla paura, poiché essa è radicata in noi come un virus, come una medicina salvavita da cui dipendiamo ma che ci permettere di restare vivi.
E quindi, tornando ai nostri protagonisti, si può forse biasimare Tedros perché aveva paura?

Che capitolo inutile.
Non è successo niente. Ho solo scritto di ragionamenti contorti sul senso della vita quando è inutile. Non ce l'ha un senso, e se anche ce l'avesse non lo conosco.
Ma questo non è un trattato di filosofia. Questa è la storia di colpevoli innocenti e di vittime ingiuste. E allora riprendiamo con la storia, qualcosa dovrò pur raccontarvi.
Oh, quello che sto per raccontarvi è speciale. Non se lo ricordano neanche loro stessi.
Il loro primo incontro. E con primo incontro non intendo quando si sono presentati, "ciao sono Tedros e sono colui che ti rovinerà la vita, molto piacere". No, quella è un'altra storia. Intendo la prima volta che si videro, molto prima di tutto l'odio, le bombe, le esplosioni, dei pianeti morti, dei soli spenti e delle lune esplose, prima che entrassero in quel Inferno di sentimenti contrastanti in fiamme che è l'adolescenza. Accadde quando ancora erano nella teca di vetro dell'infanzia.
Cinque anni avevano, o forse quattro o sei. E il piccolo Tedros piangeva. E perché piangeva quel piccolo e adorabile bambino? Perché non trovava più la sua mamma. Non sapeva ancora, quel piccolo e innocente cucciolo di uomo, che la sua mamma non l'avrebbe mai ritrovata. Non lo sapeva ancora, non sapeva che quello era solo l'incipit, l'inizio di una serie di lacrime e di parole che un bambino non poteva, e non doveva, comprendere: "amante", "tradimento", "violenza", "suicidio". Non sapeva che quelle lacrime sarebbero state solo una goccia nel mare di sale che gli avrebbe scavato le guance paffute, che i suoi occhioni rossi erano solo il preludio di un infanzia passata a piangere senza capire il perché. Eh sì, avevate torto se pensavate che Tedros fosse solo un bastardo. Neanche lui ha avuto vita facile, tra una madre che non c'era più e un padre ubriaco che non si prendeva mai cura di lui. Se l'era vista morire davanti la sua mamma, aveva perso la persona più importante della sua giovane vita davanti ai suoi occhi e non riusciva ancora a metabolizzarlo, non poteva, e così notte dopo notte quella giornata spietata perdeva sempre più dettagli, diventando sempre più confusa ai suoi occhi. Ricorda solo il sorriso di sua madre, che piangeva e gli diceva di stare lì ad aspettarla, che sarebbe tornata presto. E allora il piccolo Tedros, obbediente, si era messo seduto a gambe incrociate sull'erba e aveva iniziato a giocare con le sue macchinine. La macchinina rossa che si schiantava contro quella blu, la sua preferita perché era tanto uguale alla macchina della sua famiglia, e infatti la macchinina blu dopo vinceva e cappottava l'altra spedendola al suolo e...
E fu allora che alzò lo sguardo. E vide la macchina blu muoversi in direzione del lago. Sorridendo sollevò la sua macchinina e la sovrappose a quella grande, muovendola in sincrono, immaginando al posto del guidatore la sua mamma che guidava, in sottofondo qualche canzone e lei che cantava a squarciagola pur essendo stonata. Ma poi persino il suo cervello di bambino comprese che qualcosa non andava. La macchina continuava ad andare, uscendo fuori dal sentiero così veloce che faticò a tenere il ritmo con lo sguardo, andando in direzione del lago. Tedros fissò la macchina ad occhi sgranati mentre questa non si fermava e lui urlava urlava di fermarsi fermati fermati mamma ti prego fermati ma la macchina non si ferma. Non si ferma e cade e cade dritta giù nel lago e la macchinina blu gli sfugge dalle manine paffute e cade nell'erba e lì rimane. Ma poi Tedros quasi sorride cercando di rassicurarsi. La mamma ha detto che torna, si ripeteva, e quindi tornerà. Ignorava le lacrime che gli ripercorrevano le guance, anzi le asciugava con fastidio rimproverandosi. "La mamma non vuole che piangi. Non vuole che tu sia triste, sei il suo principe e devi essere coraggioso" ma le lacrime scendevano ancora e ancora e non si fermavano. Per quanto continuasse ad asciugarsele esse scendevano ancora e ancora e ancora e non si fermavano mai ma Tedros continuava a togliersele, a ignorare ciò che volevano dirgli perché no, non era possibile, mamma ha detto che torna e mamma non dice le bugie. Ma in fondo Tedros aveva capito. È intelligente quando vuole, ma spesso non vuole, perché essere intelligente significa capire e capire è doloroso. Perché dentro di sé Tedros aveva già capito e già piangeva, ma lo negava perché no, doveva essersi sbagliato, non è vero. Ma alla fine si era arreso alle lacrime e aveva lasciato che cadessero sull'erba sottostante. Fissava con gli occhi annebbiati dalle lacrime la macchinina blu caduta per terra. Fin quando una voce lo risollevò da quel abisso di confusione in cui il mondo girava, tutto era sottosopra, niente aveva senso e la sua mamma era morta. Una voce dolce, curiosa, preoccupata, che sovrastava quella di una donna in lontananza che le urlava di non scappare così. Una voce su cui si focalizzava Tedros tutte le notti per non impazzire. Una voce che chiedeva:
-perché piangi?

Tedros non aveva più rivisto quella bambina. Non se la ricordava neppure. Ricordava solo la sua vocina gentile. Non aveva più nemmeno visto quella macchinina blu, se per questo. Ma quello che non ricorda Tedros lo ricorda quella bambina, che ancora teneva quella macchinina blu nel primo cassetto del comodino. Quella bambina ricorda: ricorda il bambino in lacrime, ricorda sua mamma che l'aveva raggiunta subito dopo e, compresa la situazione, aveva chiamato la polizia. Ricorda il padre del bambino, che era venuto a prenderlo e che era caduto a terra in lacrime quando la realtà gli si era palesata davanti agli occhi: quello era suo figlio, e la donna che si era ammazzata era sua moglie. Ricorda che l'uomo, in lacrime, aveva stretto forte il bambino tra le braccia, strappandolo via da lei. Lei che per tutto il tempo lo aveva tenuto per mano. Non aveva capito bene tutto, ma aveva capito che la mamma di quel bambino se n'era andata ed era triste per questo, ma non ci poteva fare nulla. Si rialzò da terra solo quando udì la voce di sua madre chiamarla da lontano, per ritornare alla loro casetta isolata nel bosco. Quel giorno avrebbero dovuto raccogliere le fragole, ma non avevano trovato ciò che pensavano: solo un bambino in lacrime e una donna morta in una macchina sul fondo di un lago. E poi, mentre stava per correre verso la madre, la vide: una macchinina blu sepolta in mezzo all'erba bagnata. La raccolse e si voltò verso il bambino per ridargliela, ma era già andato via. Quando si celebrarono i funerali ci andò per restituirgliela, ma non ne ebbe il coraggio. Passò il tempo e lo perse di vista, e poi, il primo giorno di superiori si portò dietro quella macchinina. Magari lì l'avrebbe incontrato. E quando lo vide lo riconobbe subito, lo guardò attentamente per assicurarsi fosse lui e cercò di racimolare abbastanza coraggio per parlargli. Ma prima che ci riuscisse, lui la vide e la guardò male.
-che vuoi? Perché mi fissi?- e fu allora che Agatha si irrigidì. Ah sì, era Agatha, non ve l'avevo detto? Comunque, una cosa l'aveva capita la nostra protagonista: Tedros, avrebbe scoperto che si chiamava così, non l'aveva riconisciuta. Strinse forte la macchinina nella tasca della felpa e scosse la testa, mormorando un flebile "scusa" e fuggendo via, nascondendosi nella mischia di studenti. Non voleva riportargli alla memoria ricordi dolorosi e non l'avrebbe fatto. Avrebbe tenuto per sé quel segreto, se lo sarebbe portato nella tomba.
E così aveva fatto.
Stringeva quella macchinina nella mano quando se n'era andata, e l'aveva lasciata cadere a terra quando la vita l'aveva abbandonata.

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