IV.3 E poi muori
Harvey mantenne la promessa, riuscendo con un po’ di impegno a spostare tutte le buste su una mano e tenere la sua con l'altra.
Camminarono verso l'albergo con calma, Alexander che lo intratteneva con dosate conoscenze sui monumenti di rilievo in cui si imbatterono lungo la strada.
Quando furono in albergo trovarono Lisbeth che beveva un tè con la sua nuova bambola, un pupo di porcellana che aveva insistito a portare in viaggio con lei, e Sarah immersa nella scrittura.
Lui e Harvey si scambiarono un'occhiata sorpresa. Non l'avevano mai vista scrivere prima, a meno dello stretto necessario.
«Che fai?» chiese Harvey, incuriosito.
La ragazza sorrise di un sorriso sornione. «Lady Lovett mi ha chiesto di raccontarle del viaggio, e io lo sto facendo.»
La sola idea che una futura contessa stesse intrattenendo con lei una corrispondenza sembrava essere per lei di grande soddisfazione, così Alexander si congratulò con sé stesso per il suo piano ben riuscito.
Sì, quel matrimonio era stata una splendida idea.
«Anche io ho provato a scrivere a Tom e Maddie» pigolò Lisbeth, «Ma scrivere non mi piace. Preferisco leggere. E poi non ricordo l'indirizzo.»
«Compreremo delle cartoline» suggerì Alexander, «Gliele consegnerai al nostro ritorno.»
«Hai fatto compere» commentò invece Sarah, asciutta. «Non mi hai aspettato. Ti avevo detto che avevo acquisti da fare…»
«Ci sono giorni e giorni disponibili per gli acquisti» rispose Alexander, annoiato. Si lasciò cadere seduto sul letto di Harvey – su cui avrebbe dormito Sarah – e si abbandonò con la schiena appoggiata al muro. «Vedrai che torneremo con tanta roba che non avrai idea di dove metterla.»
«Sarà meglio. Ho tanti regali da fare…»
«Regali?» esclamò Harvey. «E a chi mai faresti tu dei regali?»
Sarah sospirò. «Alle mie nuove amiche che contano. Sveglia, Harvey, bisogna mantenere lo status. Io ti voglio bene, davvero, ma l'intelligenza non è proprio la tua migliore qualità.»
«Oi! Guarda che io sono molto più intelligente di te! Non è vero, Alex?»
«No, no, no, no. Non ho nessuna intenzione di entrare nelle vostre baruffe o prendere parti. Risolvete la questione tra di voi.»
«Nessuno dei due ha ragione» commentò Lisbeth, avvicinando la tazzina alla bocca della bambola. «La più intelligente sono io.»
«Non fa una grinza» disse Harvey, nello stesso momento in cui Sarah commentò:
«Sì, ti piacerebbe.»
«Per esempio» continuò la bambina, «Che hai al dito? Ti sei sposato e non mi hai detto niente?»
Alexander si voltò verso Harvey tentando di non apparire troppo preso alla sprovvista. Il ragazzo non era bravo a mentire sotto pressione. Non era bravo a mentire e basta.
«Oh, io… sai, Sarah e Alexander ne hanno uno, così me lo sono comprato anch'io. Per non sentirmi escluso.»
Alexander si trattenne a stento dal darsi una manata in faccia dall’esasperazione.
«Ne voglio uno anch'io, allora!» protestò Lisbeth, com'era prevedibile.
«Purtroppo non si può» intervenne lui, a salvare la situazione.
«E perché?»
«Perché sei piccola, le mani ti stanno ancora crescendo. L'anno prossimo non ti entrerebbe più, dovremmo comprarne un altro, e l'anno dopo stessa cosa. Dobbiamo aspettare che tu finisca di crescere, con gli anelli funziona così.»
La bambina parve riflettere sulla logica di quelle parole. Si mordicchiò il labbro e dondolò le gambe sulla sediola imbottita.
«Che schifo essere piccoli» sentenziò.
«Lizzie!» la sgridò Harvey. «“Che schifo” non si dice mai, ne abbiamo già parlato.»
«Hai ragione, scusa» mormorò, alzando gli occhi al cielo.
La mattina passò.
Sarah, in maniera del tutto inaspettata, vantò la sua colazione inglese.
In effetti, si disse Alexander, la ragazza per anni aveva consumato una colazione che consisteva in un tozzo di pane secco. Immaginò che una versione – per quanto improbabile – della “colazione inglese” in un ottimo albergo italiano fosse comunque un bel miglioramento.
A vederla così sembrava incredibile, eppure Sarah Connor non era mai stata una ragazza viziata. Anzi, ogni vezzo e ogni lusso erano qualcosa di nuovo e meraviglioso per lei, non dava mai nulla per scontato.
Andarono per musei, proprio come Harvey aveva detto. Quando prometteva una cosa, in particolare ad Alexander o una delle sorelle, manteneva sempre la parola.
Soprattutto, però, lo ascoltò.
Passarono davanti a Giuditta che decapita Oloferne, quadro meraviglioso che elettrizzò Lisbeth e fece accapponare i capelli a sua moglie.
«La storia dietro questo quadro è davvero singolare. Volete sentirla?»
«Non proprio» rispose Sarah, sistemando i merletti del vestito azzurro.
«Certo che voglio» sospirò Harvey, che non aveva fatto altro che pendere dalle sue labbra.
Lisbeth non si degnò di rispondere, troppo occupata a osservare i rivoli di sangue che colavano dalla gola aperta di Oloferne.
Alexander sorrise soddisfatto, aveva ben chiare le sue priorità. Harvey aveva detto sì e dunque era sì. Poco importava cosa avessero risposto gli altri.
«Vedete, Artemisia Gentileschi dipinse questo quadro nella prima metà, del milleseicento, quando ai tempi le donne…»
*
Passarono i giorni, e l'ultima sera Alexander fu costretto ad ammettere che quella era stata la settimana più felice della sua esistenza, forse soltanto dopo quella della proposta di matrimonio.
Consigliò Sarah per un regalo degno delle sue nuove amicizie, insistendo sull'acquisto di braccialetti con le caratteristiche corna rosse – portafortuna della città – e andarono a cena sul lungomare, osservando gli ultimi bagnanti, i bambini che giocavano, e ammirando il sole al tramonto sul mare.
Il fatto che Napoli si trovasse sulla costa ovest fu un vero regalo del cielo. Avere il tramonto sul lato della terraferma non sarebbe stato mai tanto poetico quanto il sole che si ammollava pian piano nel mare.
A fine serata, le signorine salirono in camera in albergo e Alexander convinse Harvey a fare un ultimo giro serale dopo il teatro.
Quel giorno erano stati a vedere la Traviata al teatro San Carlo, per mitigare la nostalgia da vacanza finita e chiudere il viaggio in bellezza.
Alexander ancora piangeva per la morte di Violetta quando, mano nella mano, uscirono in strada.
Fu un chiaro errore strategico, a ripensarci. La settimana non sarebbe potuta andare meglio, così era inevitabile che dovesse andare peggio.
Osservavano il luccichio dall'altro lato del golfo, i lampioni e le luci delle case in contrasto con il nero della piana vesuviana facevano sembrare anche i paesini al di là del mare una piccola galassia, un firmamento sulla terra che si specchiava in quello del cielo.
Harvey gli strinse la mano un'altra volta. «Non ero mai stato in vacanza» gli disse, in un sospiro. «Sono tutte così belle?»
«No» rispose Alexander senza esitare. «È perché siamo insieme.»
Gli strinse la mano di nuovo e Alexander lo guardò. Era pronto a baciarlo ancora, solo per il fatto che poteva farlo, quando sentì la parola che più temeva di tutte.
«Milord!» In tutta onestà non ricordava un'altra volta in cui aveva lasciato una mano così in fretta. «Milord! Anche voi qui?»
Avvertì che Harvey si era irrigidito e tentò di mantenere la calma. Si voltò piano e lo vide.
Lord Henry Branwell, uno dei pezzi grossi della corona, discendente di amici di suo nonno, gli sorrideva impettito con la sua bombetta nuova di ottima fattura, il soprabito nero e un lungo bastone da passeggio dorato che scintillava alla luce dei lampioni.
«Marchese!» esclamò, tirando fuori un sorriso convincente. «Che grande piacere!»
Si stava ancora avvicinando, era buio, e loro si stavano solo tenendo la mano, pensò, nel goffo tentativo di rassicurarsi e mentire a sé stesso. Di certo non doveva aver visto nulla di sospetto.
«Che grande piacere, invero. Che fate di bello qui a Napoli?»
Se lord Branwell aveva visto la mano di Harvey nella sua, non ne fece menzione. Alexander non se ne stupì. La nobiltà britannica era fondata sull'ipocrisia, l’uomo non avrebbe detto nulla neanche se li avesse sorpresi durante un bacio appassionato. Li avrebbe salutati, avrebbe stretto loro la mano, e una volta a Londra sarebbe andato dritto a Scotland Yard.
«Mi sono sposato qualche giorno fa» rispose. «Sono in luna di miele!»
«I miei più sinceri auguri» rispose lui, sollevandosi il cappello. «Avete proprio una buffa moglie» aggiunse, adocchiando Harvey che portava in modo sin troppo teatrale la mano con l’anello dietro la schiena.
«Sono il cognato» mormorò a mezza bocca.
Fu in quel momento che l'istinto di sopravvivenza prese il sopravvento.
Non per sé stesso, se al ritorno dal viaggio avesse scoperto un mandato d'arresto nei suoi confronti non si sarebbe scomposto di una virgola. Avrebbe passato più volentieri una settimana con Harvey alla luce del sole e cinque anni dietro le sbarre, che una vita senza amore.
Il suo compagno, d'altro canto…
Per farlo devo essere sicuro che ti fidi di me. Che sai che non può accaderti nulla di male con me, non lo permetterei mai. Tu sai che non ti metterei mai in pericolo, non è vero?
No, non avrebbe permesso che quell'uomo minacciasse la persona che amava, mai nella vita, ma in particolare non quel giorno.
Il solo pensiero di lui che veniva trascinato via dalle guardie gli aveva fatto gelare il sangue, tutto per una sua idea, la sua sorpresa che l'aveva condannato.
Rise a quella battuta di cattivo gusto, poi lo guardò con un ghigno. «Molto divertente. Parlando di mogli, la vostra dov'è?»
«Non sono qui con mia moglie, sono qui per affari.»
«Tutto solo?»
Lord Branwell parve esitare. «In realtà sono qui con mio cugino.»
«Vostro cugino? Che compagno di viaggio singolare, non trovate?» commentò Alexander. «Scusatemi. Sono stato davvero indiscreto… non volevo sembrarvi un ficcanaso. Ero solo curioso.»
«Si capisce. Anche io ero solo curioso.»
«Si capisce. Sentite, carissimo, noi dobbiamo davvero andare. La mia signora mi aspetta in albergo, sapete, se dovrà attendermi troppo potrebbe farsi strane idee e se si irriterà rischierebbe di non concedersi per stanotte. V'immaginate? Una luna di miele non consumata, un vero peccato…»
«Ma certo. Anche io devo andare, sapete, mio cugino…»
«Ma certo. Passate una bella vacanza!»
«Anche voi, i miei migliori auguri un'altra volta!»
Alexander prese Harvey per un braccio, fermo immobile, e lo trascinò verso l'albergo.
«Credo di stare per svenire» sussurrò lui, lasciandosi trainare.
«Manca poco, non disperare» lo tranquillizzò, tentando di non suonare terrorizzato a sua volta.
Arrivò all'albergo e spalancò le porte. Attraversò l'atrio, salutando il maitre, e si diresse verso la sua stanza a passo sicuro.
Infilò le chiavi nella serratura e aprì la suite matrimoniale, vuota se non per i loro bagagli, sua moglie forse in stanza con la sorellina.
Alexander superò i bagagli, attraversò l’ampia camera e lo costrinse a sedersi sul morbido letto a baldacchino.
«Chi era quello?» pigolò Harvey, spaventato.
«Il figlio di un amico di mio nonno» rispose Alexander, evitando di menzionare la rilevanza che aveva l'uomo presso la corona. «Nulla di che. Credo che fosse qui per lo stesso motivo per cui c'eravamo noi.»
«Secondo te ci ha visti?»
«Non credo. Era buio, e non stavamo facendo nulla» mentì.
«Ci stavano tenendo la mano.»
«Non può provarlo.»
Harvey lo guardò, spaesato e sconvolto. «Che abbiamo fatto?»
Alexander sospirò. Si avvicinò a lui e gli si sedette accanto, posando la mano sulla sua sul materasso. «Non ci succederà nulla. Non può provare nulla, è la sua parola contro la nostra. Non ti succederà nulla. Stai tranquillo.»
«Ci starà addosso. Non ci lascerà in pace, aspetterà un nostro passo falso e…»
«Si sarà dimenticato di noi il secondo dopo averci visto. Non siamo il centro del suo mondo, te lo assicuro.»
Il ragazzo lo osservò, i suoi occhi scuri due buchi neri di terrore. Era pallido, rigido, un'altra persona rispetto a mezz'ora prima. «Ho paura.»
Alexander sentì la mancanza dell'Harvey che si era afflosciato su di lui perché rideva troppo forte da reggersi in piedi, che l'aveva baciato sotto il sole mediterraneo sino a svenire, ma lo abbracciò. Si piegò verso di lui e lo strinse forte, per sussurrargli all'orecchio «Lo so.»
Cercando di accantonare gli strascichi di quella brutta serata, Alexander si fece avvolgere dalla sensazione di aver passato una settimana, solo una, da uomo libero.
Note autrice
Ecco iniziate le sfighe! Preparatevi, allacciatevi le cinture, ora si inizia a ballare!
Intanto in questo capitolo i nostri hanno avuto qualche gioia, una bella settimana di vacanza e un po' di libertà che, diciamocelo, si erano proprio meritati.
La stilettata finale non ha turbato troppo il nostro Alex, che eccezion fatta per l'inizio del capitolo sembra di essere di buon umore in questi giorni di vacanza. Ma quanto potrà durare?
Come vi avevo già detto, ho accennato al fatto che Alexander non è più Conte di Dorset né lo sarà a meno della dipartita di Hector (che ci auguriamo tutti non avvenga presto), solo sino a che non avrà un figlio maschio.
Per quanto riguarda la scelta del luogo della vacanza, invece, è stato il sud Italia per un motivo ben preciso!
Ebbene sì, l'unico periodo in cui nel meridione è stata illegale l'unione sessuale tra persone dello stesso genere da che abbiamo memoria è stata la parentesi fascista. Né in periodo della Magna Grecia, né in periodo romano, né ai tempi di Federico II, né dei Borbone, né durante il periodo dei Savoia al sud dello stivale si è visto vietare le unioni omosessuali.
Dopo l'unità d'Italia infatti, il codice Sabaudo dei Savoia è stato accettato in tutto il Regno d'Italia, con come unica eccezione le leggi sulla condotta sessuale che sono rimaste a indipendenti a livello locale.
Si credeva infatti che modificare queste leggi e imporle dopo l'unità andasse a contro la cultura e le abitudini del popolo meridionale, e non c’è stata questa imposizione dall’alto.
C’è dunque stato un momento, a Italia unita, in cui un'unione omosessuale era illegale a Milano, Cagliari, Firenze, Roma ma paradossalmente non a Napoli, Taranto, Crotone, Palermo.
Questa divisione pur con Italia unita è stata appianata solo nel 1889 – cinque anni dopo l'arrivo di Harvey e Alex su suolo nazionale – quando queste leggi discriminatorie sono state abrogate anche nel resto d'Italia, molto prima che nella maggior parte dei paesi europei.
Per questo motivo, moltissime persone omosessuali dal resto d'Europa e, soprattutto, dal Regno Unito si sono rifugiate in sud Italia per turismo sessuale o per scappare a denunce e sconti di pena.
Lo stesso Oscar Wilde, dopo aver scontato a Londra cinque anni di reclusione e lavori forzati per sodomia, scappò in sud Italia per vivere liberamente.
Questo fenomeno diffuso è ampiamente illustrato nel saggio chiamato «The “Italian Vice”: Male Homosexuality and British Tourism in Southern Italy.»
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