Capitolo Tre
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Girl from the North Country - Bob Dylan
Quella lettera sembrava pesare quanto una cassa di piombo, ed Ethan Zimmerson non riusciva a controllare il tremolio alla mano sinistra. «Non mi sono permesso di aprirla perché volevo aspettare per dartela. Non volevo turbarti per il giorno del tuo compleanno, eri talmente serena. Tuttavia, capirei se tu arrabbiassi, non ne avevo alcun diritto...»
Johanna posò sul tavolino da fumo il bicchierino dentro al quale scorreva lo sherry irlandese, nettare divino, costosa bottiglia arrivata da chissà quale parte del paese. «Papà, io...» Gli occhi dorati della fanciulla, incorniciati da una sottile linea di kajal tracciata da una studentessa d'arte che incontrava sempre nei bar vicino all'università, e le armoniose mani sottili tremavano accompagnando le labbra soffici che scandivano silenziosamente le frasi che incontravano sulla carta profumata.
«È quello che credo, Jonie?» Mormorò Ethan con la pacata disperazione biblica di un padre che vede il suo sogno infrangersi di fronte ai miserabili occhi anziani. Una lacrima calda e appiccicosa rigò la guancia destra della fanciulla, tracciando una triste trincea in quel volto così trasasudante di immacolata bellezza.
L'uomo sedette solennemente sulla poltrona, togliendosi gli occhiali per potersi massaggiare le tempie.
Attinse dalla fiaschetta di sherry e ascoltò il rumore delle macchine, bolidi, catorci che fendevano l'atmosfera della 14ª Strada come malvagi velivoli militari, mentre la figlia si sedeva sul bracciolo della poltrona come se si trovasse al capezzale del suo letto. «Vuole che io torni a casa. Dice che ormai l'età della bisboccia è arrivata al termine, e che devo ricevere un'adeguata educazione per poter gestire in futuro gli affari della piantagione.»
Johanna passò un braccio attorno alle spalle del padre, che si erano fatte improvvisamente strette e fragili, proprio quelle di uno che ha dovuto sorreggere il peso della terra come Atlante. «... Finisci la frase Jonie, voglio sapere tutto.»
La fanciulla strinse il piccolo uomo rintanato tra i meandri della poltrona con maggiore ardore. «Vuole il divorzio, papà.» Johanna fece una breve pausa per deglutire, aggiungendo dopo pochi istanti: «E tanti soldi, quelli che noi non abbiamo...»
Ethan Zimmerson, rispettabile avvocato difensore di innocenti, volto del movimento per i diritti civili, annientatore di ingiustizie e coraggioso cavaliere capace di trasformare una causa persa in uno straordinario successo, si trovava messo con le spalle al muro da una donna esile e minuscola, fattucchiera rinsecchita, più potente di tutti i giudici che aveva fronteggiato. Voleva i soldi di cui non aveva bisogno, voleva la figlia che si era dimenticata di aver partorito, voleva rovinare la vita che si era costruito lontano dall'avarizia e dall'egoismo cui lei l'aveva costretto, megera mangiatrice di sogni infranti e divoratrice di chimere da lei volutamente create. La malvagità è come il cibo: una volta che hai iniziato è difficile fermarsi; l'intestino si è ampliato per accoglierne sempre di più.
E la più grande cattiveria è quella di chi prova piacere nel riaprire le piaghe di un cuore sensibile.
Eppure, mio dolce amante di notti estive imbevute d'incenso indiano, mentre giaciamo al cospetto del firmamento punteggiato da erotiche stelle luminose, sai che cosa rispose mio pare?"
Il ragazzo, disteso vicino alla fanciulla baciata dai raggi argentei della luna, intento ad accarezzare quel volto che amava così tanto fino a consumarsi la pelle dei polpastrelli, rispose con ironico tono shakespeariano "No mia musa, non lo so"
"Mio padre, il mio buon padre, paladino degli innocenti, mi prese il volto tra le sue mani forti e rassicuranti, dicendomi -Non preoccuparti angelo, nessuno ti porterà via. Nessuno ti impedirà di spiegare le ali e volare via dalla malvagità cui sei stata costretta da bambina-"
Johanna, in quella nottata fiabesca del '65, ambientazione romantica di una tragedia shakespeariana, si sentiva ancora come la fanciulla terrorizzata dalla venuta della mano ossuta della perfida madre, la bestia terrificante pronta a saltarti addosso, rapirti e ricondurti nel girone dell'inferno dantesco dal quale provieni, Montgomery Alabama. Mentre la tristezza di quei terrificanti giorni di un passato ormai sepolto dalle pietre di un futuro ancora più opprimente, stringeva tra le braccia il triste e melodioso musicista dannato, vagabondando tra nuvole di tenero amore e di speranza, lontani dagli assordanti studi di registrazione e dalla frenesia degli ammiratori che li rincorregano per tutto il Vicolo della Desolazione, nel quale conviveno con la costante paura di incontrare il mostro dalla mano ossuta.
"Vorrei vivere così per sempre, assaporando il tuo fiore e fumando erba scadente somigliante a quella del Village." Il ragazzo lasciò che la Venere con la quale aveva appena fatto l'amore attorcigliasse le dita consumate dalle corde della chitarra tra i suoi ricci impenetrabili. Erano fuggiti sulla costa frastagliata di Monterey, in California, dopo l'ennesimo tour prosciugatore di forze in mezzo ad orde di ragazzini presuntuosi e pretenziosi, convinti che il magro musicista che stava loro di fronte, armato di chitarra, armonica e stivali alla moda (tuttavia consumati sulla punta) potesse porre fine alla guerra in Vietnam.
"Arriverà il giorno in cui dovremmo abbandonare il nostro sogno per tornare all'irrazionale solitudine del lavoro." Johanna, la bella Johanna, fanciulla vendicatrice di anime condannate ingiustamente alla dannazione eterna, del periodo alla Columbia conservava soltanto gli intensi, trascendentali occhi dorati punteggiati di pagliuzze così intense da far venire il mal di mare.
"Vorrei che tu fossi sempre fidanzata con Giorgio. " Il giovane eroe del Midwest si alzò sui gomiti, putandoli contro i ruvidi granelli di sabbia che riuscivano ad oltrepassare il telo colorato sul quale avevano depositato il frutto del loro amore, e baciò la sua Monnalisa sulla fronte."E perché dovresti?" Ridacchiò la fanciulla.
"È omosessuale, per niente attratto da te e ti usava come copertura per poter dormire con il re della pop art, Andy Wahrol."
Johanna, ambrato corpo nudo disteso al cospetto della dea notte, carezzò i ricci folti dello stesso ragazzino squattrinato che aveva conosciuto grazie "Al sogno" di Picasso, ricordandosi ogni particolare della loro sconvolgente epopea, rimanendo stralunata dalla magnificenza di quei sublimi occhi azzurri che appartenevano ad uno dei più grandi musicisti, poeti, uomini che gli anni sessanta avrebbero potuto produrre. Eppure, lui come lei, era stato un disperato beatnik alla ricerca di un'identità in una New York che mai spegneva le luci per andare a dormire.
"Io vorrei che tu mi avessi amata prima."
"Ti ho amata dal primo istante in cui ti ho vista"
"Mi ha amata due anni fa, due giorni fa, ma non al museo e neanche adesso"
"Come fai a dire questo?" Dylan Cassidy, eroe del Greenwich Village e cavaliere di quella musica popolare che aveva portato alla gioventù della controcultura servita all'interno del Santo Graal, dal profondo del suo viso magro e leggermente consumato dalla disperazione che continuamente si trovava ad affrontare, ma comunque affascinante e tremendamente magnetico, osservava con terrore la silhouette di quel magnifico corpo che si stagliava contro l'oscurità notturna.
"Tra una, due settimane al massimo torneremo alla frenesia della nostra esistenza capeggiata dallo snervante ritmo degli strumenti che tanto diciamo di odiare ma che amiamo più di noi stessi. E tu, come hai sempre fatto, ricomincerai a rincorrere tutti gli angeli vergini che ti si mostrano, per finire a farti consumare dal rimpianto. Scriverei altre canzoni bellissime, struggenti, nelle quale mi chiederai implicitamente scusa in tutte le lingue del mondo, anche sanscrito, sperando che io ti venga nuovamente a salvare."
Lascrime amare rigavano il volto del giovane eroe, come piccoli demoni dispettosi, ma lui non voleva farsi trascinare nel regno di Belzebù anche stavolta. Amava la creatura afrodisiaca che gli stava vicino, e avrebbe fatto di tutto per tenerla stretta come aveva fatto quella notte.
"Io ti rincorrevo, Jonie, e tu fuggivi lontano." Avrebbe potuto scrivere centinaia di canzoni in quel momento, con il rumore della risacca che sembrava benedire la loro fusione, ma non sarebbe stato capace di concludere neanche una. "Scusa, ero nervosa. Abbracciami ancora, ma non sprecare tutte le forze, perché abbiamo ancora qualche giorni per amarci."
Distesi con le bocche che si toccavano, bacio su bacio nell'oscurità della spiaggia, inguine contro inguine nell'incredibile disarmante dolcezza così remota da tutti i litigi, le urla, le lacrime, le fughe, i giornali, le ragazzine invidiose, da sembrare l'allestimento di una struggente opera shakespeariana.
Spazio Autrice: Buonasera!
Volevo dirvi che quando troverete lunghe parti del racconto scritte in corsivo significa che si svolgono nel futuro, e che i due protagonisti stanno ricordando qualcosa del loro passato.
Grazie! ❤
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