Capitolo Cinque
Così, nell'autunno del 1961, Johanna mostrò le chiappe a circa un centinaio di newyorkesi, tra i quali non vi erano soltanto coloro che sarebbero diventati gli artisti più celebri della decade, ma anche il ragazzo di Magritte, il forestiero del Midwest. Stelle predestinate loro due.
Il giovane cowboy, sognatore portatore d'armonica e chitarra, non credette alle sue orecchie quando udì quel boato che squarció il cielo puntellato di grattacieli come un Odino in collera che scaglia dei a caso giù dal Valhalla.
Era lei.
La fanciulla del Metropolitan.
La bottiglia della birra più schifosa che avesse mai bevuto gli cadde a terra, mentre assisteva a uno di quegli spettacoli da cui sua madre l'aveva messo in guardia quando le aveva detto che non sarebbe andato al college per trovare la sua identità, a New York.
Sul tetto di un edificio annerito del Greenwich Village, a mezzanotte in punto, con la musica folk che inebriava i vicoli con la sua amara dolcezza, la ragazza che sognava ormai da cinque mesi si era appena sollevata la gonna, mostrando le mutandine a tutta la 14ª Strada.
Come si può ignorare il destino, i segni dell'universo?
Si erano scontrati come due stelle predestinate e in quel brevissimo istante, il giovane del Midwest, sentì cosa si provava ad essere immortali.
«Devo scappare, Dave. Grazie di avermi permesso di suonare con te. Ci vediamo!» Dylan, il ragazzo misterioso si chiamava Dylan, fece a gomitate tra la massa compatta di adolescenti arrapati che si era riversata in strada, e scattò veloce come il vento dentro al palazzo, trascinando la custodia della chitarra e la sua anima ebbra di gioia.
"... Come si dice - l'uomo è uomo, e quel poco di intelligenza che può avere vale poco i nulla, quando infuria la passione e lo spinge ai limiti dell'umano." Il ragazzo dai capelli ricci, strinse a sé la fanciulla dagli occhi dorati, e arrancò nel buio della notte sull'oceano Pacifico per trovare un pacchetto di sigarette. Ne erano circondati, insieme potevano fumarne anche tre in poche ore. "E questo discorso articolato per dirmi…?" Chiese Johanna sarcastica, prendendosi gioco del suo Dylan come ormai faceva da anni. Il trucco per irritarlo, era intingere i quesiti di una generosa dose di scetticismo.
Il celebre musicista alzò gli occhi al cielo, mentre accarezzava la pelle della fanciulla, sensuale e rovente, sotto la quale scorreva un torrente di sangue caldo e impetuoso. "... Nella foga di voler raggiungere la cima del palazzo per incontrare la mia Donna Angelo - che pochi istanti prima aveva mostrato le mutandine all'intero quartiere- feci cadere le chiavi dell'appartamento, perciò mi sarebbe toccato dormire sui gradini gelidi della casa di Dave nell'attesa che egli rincasasse. In più, mentre scalavo le pendici di quell'orribile edificio ammuffito, lasciai sbattere la chitarra su un pilastro divorato dai tarli e per poco un asse di legno, venuto giù da non so dove, non mi impalò…" Dylan, bello e dannato come un James Dean che si fa consumare dalla passione ossessiva per le moto da corsa, si accese la sigaretta, che finalmente aveva ritrovato sepolta tra i granelli di sabbia, illuminando per un istante la scena con l'accendino. Lei mi è sacra, pensò quando con la fiamma fece luce sulle iridi dorate della sua amante. Quanto spesso doveva placare quel suo sangue tempestoso, perché nessuno aveva mai visto qualcosa di più inquieto e mutevole del suo cuore.
"Adoro questa storia! Non mi stancherò mai di sentirtela raccontare." Jonie sorrise, i denti bianchi e leggermente irregolari nell'arcata inferiore che riflettevano gli argentei raggi lunari. "Sei perversa, baby blue. Provi piacere nel torturare gli altri riportando alla loro mente ricordi funesti."
"Mi compiace udire il racconto di come un uomo ha perso il senno per me." Ridacchiò la fanciulla, prendendo la sigaretta dalle labbra del giovane per portarla alle sue. Il fumo uscì solenne dalle piccole narici e si infranse leggero sul volto chiaro del musicista.
"Jonie, voglio confessarti una cosa." Dylan si riprese la sigaretta con la sua solita impertinenza, sistemandosi a sedere sul telo umido, impregnato della freschezza notturna dell'oceano. Aveva i gomiti arrossati, segnati dai granelli di sabbia, e gli occhi stanchi, consumati dalla sensazione d'infinito che il paesaggio incommensurabile della costa di Monterey gli faceva provare.
"Fa che non sia quello che penso." La voce della ragazza si inclinò, la piacevolezza del momento d'amore parve infrangersi in mille pezzi. Johanna aveva paura, che la sua gioia venisse meno per colpa dell'imprevedibilità dei loro animi, dei loro desideri irraggiungibili, del loro essere artisti. Ogni volta che ci provavano, finivano per rovinare tutto ciò che di bello avevano creato. Come amici avevano sconvolto il mondo, dato una voce alla rivoluzione, trasformato gli ideali di una generazione in musica, in poesia. Ma come amanti, erano riusciti soltanto a bruciare, ad uccidere l'altro. In quel circolo vizioso che era il loro contorto amore, si erano distrutti per egoismo malsano, volevano a tutti i costi stare insieme, pretendendo talmente tanto al punto tale da uccidersi. E finivano per svuotarsi, completamente. Le persone, le comunità, gli studenti credevano in loro due, volevano che combattessero uniti, mano nella mano, all'insegna della giustizia; che rimanessero per sempre quei due fanciulli ingenui, dagli occhi affogati nella speranza, che cantavano allo stesso microfono, guancia contro guancia, "Blowin' in the wind" . Da chiunque venissero intervistati, sentivano ripetere sempre la solita domanda: "Cosa conservi del ricordo della marcia dei diritti civili a Washington nel '63? Cosa si prova ad aver cantato prima che Martin Luther King pronunciasse il discorso I have a dream?"
Dylan capì verso quale direzione stesse volando la mente della fanciulla, era come se anche lui stesse rivedendo le stesse scene, ma riuscì ad intercettare la rotta, a impedire che il velivolo precipitasse nell'oblio dei suoi stessi pensieri.
"Non devi aver paura di quello che voglio dirti, non questa volta." Le strinse la mano, baciandola con immensa dolcezza. Johanna sorrise, rischiarando la notte e l'animo del tormentato musicista. Intanto, l'oceano non parlava più per parole, ma per versi.
"Vengo dall'Alabama, ragazzino. Credi che abbia paura del rinculo di un fucile?"
"Piuttosto, penso che sia il rinculo ad avere paura del fucile." Scherzò il ragazzo, tenendo la sigaretta tra le labbra mentre avvolgeva teneramente l'amante nella sua camicia. All'improvviso, quando incrociò lo sguardo riconoscente, delicato, impregnato di incommensurabile piacevolezza della ragazza, capì come mai entrambi facevano i musicisti; suonavano perché l’Oceano era grande, e faceva paura, suonavano perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov’era, e chi era. Suonavano per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio.
"Che c'è? Pensi che ti strappi la camicia?" Johanna posò la mani calde, morbide sul volto dell'amante. Lui sorrise e le baciò la fronte, assaporando l'aroma speziato che la caratterizzava. Gli parve di tornare alla prima volta in cui si incontrarono, al museo, quando venne travolto da una scia di profumo che non poteva che appartenere ad una persona inconfondibile, diversa.
"Ti amo, Jonie. Ti ho amato così tanto che, in certi giorni, mi sarei voluto aprire una vena per garantirmi libertà eterna, per svincolarsi da quelle catene d'amore che tanto mi avevano fatto soffrire. Convivo da anni con questo forte sentimento, e la ragione per la quale mi ha dato tormento è questa: non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Per quanto sentissi pronunciare la frase - la ami- dalle lingue impure di estranei, non sono riuscito a pronunciarla io. E lo sai perché ti amo?" Dylan fece una breve pausa, il cuore sembrava esplodere nel petto da un momento all'altro, e la gola così secca che neanche tutta l'acqua dell'oceano avrebbe potuto darle sollievo. Senza osare incrociare lo sguardo della fanciulla, riprese il discorso: "Jonie, io ti amo perché apprezzi la mia intelligenza e i talenti del mio cuore, che pure è il mio unico orgoglio, l'unica fonte di tutto, di ogni energia, di ogni beatitudine e di ogni miseria. Ti amo perché quando il mattino mi sveglio da sogni grevi, inutilmente stendo le braccia verso di te. "
Torniamo alla notte del 1961, quando Johanna si esibì sul tetto dell'edificio più alto del Greenwich Village e Dylan, non appena riconobbe il suo profumo (e le mutandine, possiamo dirlo che la sognò anche in quel senso), si precipitò verso il luogo dove finalmente si sarebbe potuto riconciliare con la fanciulla che tanto aveva ricercato tra i volti insignificanti che affollavano le sue giornate.
Dave, l'amico musicista che gli subaffittava l'appartamento malmesso sulla 6ª Avenue, l'unico che il protagonista potesse permettersi, gli gridava dietro di fermarsi, che se avesse continuato a spingere le persone in quel modo si sarebbe preso dei calci così forti da non poter più avere figli. Ma a Dylan non importava, lui era un idealista, un incorreggibile sognatore, un sacerdote dell'universo, e credeva nei segni che esso gli mandava.
«E se fosse la donna di un altro? Magari di un marinaio?!» Dave ricorreva l'amico seguendo la scia che aveva lasciato, una spaccatura tra la folla come un Mosè moderno con gli stivali da cowboy.
Cose terribili succedeva nel Village a chi faceva il dongiovanni con le fanciulle impegnate. «Dylan, per la miseria! Pesi sessantacinque chili bagnato… Come potresti difenderti da uno skipper appena sbarcato?»
La voce di Dave si perse tra gli schiamazzi di coloro che facevano festa, tra la musica che fuoriusciva dai locali, tra le stelle inestimabili del cielo oscurate dalle luci dei grattacieli.
Dylan era un giovane innamorato, a cavallo della sua passione, nessuno aveva una forza paragonabile alla grandezza del suo sentimento d'immenso. Agilmente, con un salto, superò il corpo ubriaco di un barbone, e si tuffò nell'androne del palazzo, senza neanche ricordare come avesse fatto a passare attraverso la porta. Mentre saliva le scale tutto d'un fiato, gli tornò in mente James Joyce e Ulisse; il quale, quando parlava del mare sconfinato e della terra infinita, si sentiva un po' come il giovane musicista in quel momento; era veramente così, era un sentimento profondamente vero, umano, un legame intimo e misterioso.
Scalino dopo scalino, sentiva sempre più vicini i rumori della festa che imperversava all'ultimo piano dell'edificio. Jazz, risate, cigolii molesti, puzzo di liquori e di marijuana impregnavano l'androne delle scale. Dylan era un ragazzo aperto, curioso, con un'ottima capacità di adattamento, però non dobbiamo dimenticarci che fino a pochi mesi prima viveva sempre nell'accogliente Minnesota, terra di brava gente e di Dio. Invece, New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine: e per quanto la stesse esplorando, arrivando a conoscerne a fondo strade e quartieri, la città lo lasciava sempre con la sensazione di essersi perduto.
«Desolato!» Dylan aveva appena rovesciato il drink sul petto di una ragazza, ma era talmente preso dalla sua ricerca, che fu l'unico nella stanza a non accorgersi che non indossava il reggiseno. Tutti i maschi presenti lo ringraziarono tacitamente per aver permesso loro di godere di tale spettacolo.
In quell'appartamento, all'ultimo piano del palazzo più alto del Greenwich Village, dilagava la follia che poteva essere associata solo ad un gruppo di giovani appassionati, liberi, fatti di spirito immenso e di animo ribelle. Dylan frequentava ogni genere di locale del Village, dalle bettole clandestine ai cafè dove realmente si esibivano gli artisti più in vista della zona, ma non era mai stato invitato ad una festa privata.
Mentre ansimante, con la vista appannata, cercava di riconoscere in uno di quei volti sfocati gli occhi dorati che tanto aveva bramato, si sentì inebriato da una strana sensazione, che tanto somigliava all'appartamento.
Gli erano sempre piaciute troppe cose e si ritrovava così costantemente confuso e impegolato a correre da una stella cadente all’altra finché non precipitava. Non concludere niente con il gruppo del liceo, deludere il padre per non aver imboccato la strada che lui aveva sognato il per figlio, fuggire dall'altra parte del Paese distruggendo la madre dal dolore. Eppure, circondato da tale caotica armonia, purezza di spirito, capì di aver raggiunto finalmente la serenità. Quella era la notte e quel che ti combinava. Fino ad allora, aveva sempre creduto di non aver niente da offrire a nessuno eccetto la sua stessa confusione.
Eppure, nell'incedere di una festa di compleanno alla quale non era stato invitato, si sentì a casa, accettato e compreso.
Due ragazzi, lui alto e scuro, lei piccola e chiara, stavano improvvisando un funky jazz nella soggiorno, e tutti erano raccolti attorno a loro, come se stessero assistendo ad un miracolo. Dylan era rimasto così incantato, da dimenticare momentaneamente perché si trovasse in quel posto. Era come se ci dovesse semplicemente essere. Grida di eccitazione si levavano dalla folla, e la musica ormai veniva sovrastata da battiti di mani.
I ballerini erano madidi di sudore, goccioline calde scorrevano lungo la schiena sinuosa della ragazza. Danzare fino a cancellare le tracce al suolo, le parole in aria, danzare per riscrivere il mondo. - New York è davvero costituita da milioni di persone diverse, e tutti vengono qui in cerca di qualcosa - pensò il ragazzo, diventando improvvisamente parte di quella comunità disomogenea.
Una fanciulla ubriaca e sorridente, gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Morbide labbra di rosa bisognose di sangue caldo, umide e fresche, la gonna ruotava e la chitarra in di do alla stanza suonava. Dylan rimase interdetto, non poté dire o fare alcuna cosa, la ragazza scomparve tra la folla come la brezza estiva si infrangeva sui tigli. Coloro che si trovavano stipati in quella stanza, dove l'aspirante musicista si sarebbe presto trovato faccia a faccia con l'essenza del suo destino, erano gli stessi giovani che incarnavano lo spirito di una generazione folle, rivoluzionaria, ingovernabile; una generazione sulla strada, come in precedenza aveva affermato Jack Kerouac.
Dylan era cresciuto in un paesino di provincia, dove l'evento dell'anno era il circo di Minneapolis. Adesso, lui e i suoi stivali consumati, si trovano nell'occhio del ciclone, in balia del cambiamento, nel nucleo del Nuovo Mondo. «Amico!» una voce, altalenante e corposa, catturò la sua attenzione e Dylan rimase sorpreso quando capì che era rivolta proprio verso di lui. «Nel Village, si ha sempre un bicchiere pieno in mano, ed uno vuoto nell'altra pronto per essere riempito!»
Spazio Autrice: Buonasera, ecco il nuovo capitolo? Cosa ve ne pare? Dylan e Johanna?
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