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Capitolo 27

‹‹ Liz, stai dormendo? ›› domandò Newt con una voce flebile e dolce. Eravamo rannicchiati su un divano che a stento bastava per uno, ma c'eravamo arrangiati. Ero praticamente spalmata sopra di lui, e mi stavo sentendo piuttosto in colpa, ma lui sembrava essere comodo anche col mio peso sopra il corpo.

Jillian gli aveva portato una bombola d'ossigeno con la cannula nasale, che ora indossava. Non doveva rimanere senza quella dannata bombola per troppo tempo, o sarebbe stato rischioso per lui.

Nonostante i suoi capricci per non voleva indossare, alla fine aveva ceduto, anche se continuava a borbottare che quel caspio di coso nel naso lo infastidiva.

‹‹ No ›› risposi alla sua domanda, riaprendo gli occhi per alzare lo sguardo sul ragazzo, che aveva un aria assorta.

Era ancora confuso da tutta quella situazione, e ogni tanto aveva dei piccoli flashback di ciò che era successo dopo essere stato portato via dalla berga.

Tuttavia, non ricordava ancora com'era morto, ed era scettico riguardo a quell'evento.

Non volevo essere io a dirgli che aveva pregato Thomas di spararlo, o probabilmente avrei lasciato trasparire il mio astio nei confronti del ragazzo.

Anche se era stato Newt a pregarlo, non ero ancora in grado di perdonarlo.

La mano di Newt era poggiata sulla mia schiena. L'accarezzava lentamente, come se quel movimento, in qualche modo, lo aiutasse a concentrarsi.

‹‹ Pensi che sia veramente tutto finito? Intendo... possiamo veramente fidarci di loro? ››

‹‹ Amore, ascoltami... ›› strofinai una mano contro gli occhi. La fioca luce della torcia poggiata in posizione eretta sul tavolino illuminava veramente poco, ma era abbastanza per mostrarmi la sua improvvisa preoccupata ‹‹ ti hanno riportato il vita. La C.A.T.T.I.V.O. non voleva farlo... Siamo nella stessa situazione, abbiamo le stesse intenzioni. Hanno salvato me, te, Eva, George, Justin... più vite di quanto invece ne abbia salvato la C.A.T.T.I.V.O.! Jillian odia quel posto quanto tutti noi. Questo mi basta per potermi fidare di loro. ›› poggiai una mano sul suo volto, facendo attenzione a non muovere il tubo della mascherina ‹‹ è grazie a loro se sei qui. Ti ho visto morire, Newt. Non hai idea di quanto ci sia stata male ››

nel suo sguardo si posò un'aria di compatimento, e la sua mano i spostò dalla mia schiena, per posarsi sul mio volto. Era un piacere poterla sentire veramente sulla mia pelle, e non solo per via di un sogno. ‹‹ Ce l'ho eccome... ›› sussurrò, riferendosi sicuramente alla mia "morte" nella radura.

A volte dimenticavo quel dettaglio ‹‹ e, comunque, mi hai chiamato amore ›› aggiunse, con un tono divertito.

‹‹ Mi è venuto naturale, scusa ›› brontolai imbarazzata, provocandogli una flebile risata.

Poi nient'altro, lasciammo che il silenzio riprendesse il sopravvento.

Le preoccupazioni di Newt, comunque, erano fondate.

Non sapevamo con certezza se potevamo fidarci di loro, nonostante tutto.

Era tutto troppo perfetto in quel momento, e ne eravamo entrambi consapevoli. Come poteva essere una situazione reale?

Nate e Jill ci avevano spiegato che la C.A.T.T.I.V.O. non poteva individuarci perché lei stessa, il giorno stesso in cui mi avevano recuperata dalla zona bruciata, aveva fatto in modo che quella berga non risultasse nei loro schemi. Aveva manomesso e preparato tutto, proprio per fuggire indisturbati e per raggiungere la loro base.

Sembrava essere tutto fin troppo perfetto, tutto troppo normale...

La mattina seguente, dopo svariate ore di viaggio, giungemmo in quella che sembrava una terra desertica devastata dal calore del posto.

La berga atterrò in uno spiazzo sabbioso, ed il caldo era talmente intenso che ci volle veramente poco prima che rimanere all'intero del veicolo diventasse impossibile.

Raphael non aveva messo il modalità autonoma il condizionatore della berga, dato che tanto appena giunti alla base, saremo scesi subito.

Newt si svegliò prima di me, anche se aveva dormito di meno, ma sembrava essere decisamente più reattivo. Abbandonò la bombola d'ossigeno e si liberò della mascherina, uscendo subito dalla berga appena il portellone toccò il terreno.

Una folata di vento bollente toccò i nostri volti, facendoci quasi rimpiangere la temperatura neutra che c'era all'interno della base della C.A.T.T.I.V.O.

‹‹ Oh, fantastico. Devo dire che la vostra base è molto... invisibile. Ci credo che non è stata individuata da nessuno! ›› disse Newt in tono sarcastico.

In effetti non c'era niente, e questo scoraggiava parecchio.

‹‹ Usate la sabbia per creare le cose? ›› continuò, provocando a Nate un sospiro scocciato.

‹‹ È sotterranea ›› si affretto a rispondere Jillian, prima che Nate potesse aprire bocca ‹‹ e fresca. Il calore non penetra fino in fondo, anche se non si direbbe ››

‹‹ E come entriamo? Scaviamo una bella fossa? ››

‹‹ Non avevi detto che il simpaticone sarcastico era cinese? ›› borbottò Nate.

‹‹ È coreano ›› intervenne Evangeline, che nel frattempo ci aveva raggiunti, seguita da Justin e George ‹‹ e si chiama Minho ››

‹‹ Già... e non è qui ›› disse Newt sottovoce, sperando forse che nessuno potesse sentirlo.

Non avevo mai pensato al fatto che sicuramente avrebbe provato nostalgia dei suoi amici.

D'altronde erano la cosa che più si avvicinava ad una famiglia... era logico che ne avrebbe sofferto almeno un po'.

Jillian scese dalla berga, si concentrò e rimase in silenzio per un tempo breve che, però, sembrava essere eterno a causa di quel caldo insistente.

La terra tremò, e davanti alla ragazza, lentamente, si sollevò una piccola struttura argentea dalla forma cilindrica, che si aprì con una porta scorrevole.

Jillian si girò e ci guardò, accennando un sorrisetto ‹‹ questo piccolo ascensore ci porterà giù alla base. Una volta entrati, le porte si chiuderanno e, appena comincerà a portarci giù, l'entrata dell'ascensore sarà chiusa da una placca metallica dalla superficie che si mimetizza perfettamente con l'ambiente circostante e che grazie al vento verrà coperta di terra, e noi saremo tranquilli.

Avanti, entrate! ›› fece un cenno col capo, e poi entrò nel piccolo ascensore.

Era così piccolo che, una volta entrati tutti, non l'avrei mai detto che ci saremo stati senza troppi problemi.

Appena le porte si chiusero, uno stridore metallico ci diede segno che l'ascensore aveva cominciato a muoversi verso il basso.

Nessuno scossone, nessuna fatica.

La luce a led sopra le nostre teste si accese con no piccolo scintillio elettrico.

L'ambiente attorno a noi era claustrofobico. Mi aggrappai al braccio di Newt, cercando in lui un minimo di supporto, dato che aveva un aria terribilmente tranquilla.

C'era anche da dire che tanto, ormai, aveva visto di tutto.

Appena l'ascensore si fermò e le porte si aprirono, non riuscivo a credere ai miei occhi.

Davanti a noi c'era un immensa distesa di verde. Un intero prato interamente verde. La prima e ultima volta che avevo visto una cosa del genere, ero nella radura.

Sollevai lo sguardo e mi sorpresi nel vedere che c'era un cielo limpido e sereno, con un sole che splendeva e scaldava la mia pelle con un calore piacevole.

La mia bocca era spalancata dallo stupore di ciò a cui stavo assistendo.

Com'era possibile una cosa del genere?

‹‹ Bello, eh? ›› commento Eva, dandomi una lievemente gomitata alle costole.

Sì, decisamente, era tutto stupendo.

Era ciò che ci mancava vedere, dopo aver passato così tanto tempo in quell'inferno circondato da pazzi e calore fin troppo insopportabile.

‹‹ Abbiamo sfruttato la stessa tecnologia della C.A.T.T.I.V.O., lo stesso metodo con la quale hanno creato la radura, ma l'abbiamo un po' modificato per fare in modo che tale struttura potesse reggere anche sottoterra... Certo, è tutta un illusione ma... Fa piacere ›› spiegò Jillian ‹‹ e poi l'eruzione non può penetrare qui. È un ambiente completamente e totalmente sterile. Non devi girare con una mascherina e col perenne terrore di contrarre il virus. Ogni giorno, due volte al giorno, gli sterilizzatori, Robottini creati da noi, analizzano la base da cima a fondo e si assicurano che questo posto sia sicuro.

Questo posto si chiama Eden ›› spiegò Jill ‹‹ per richiamare alla mente il paradiso terrestre... la nostra associazione, per così dire, si chiama Eden, appunto.

Prendetela come se io e Nathan fossimo gli Adamo ed Eva della situazione... tranne per il fatto che non siamo una coppia, ed io non sono di certo nata da una sua costola. Al massimo è il contrario ››

Jill cominciò a camminare, ed io non ci pensai due volte a seguirla, trascinando Newt con me.

I nostri sguardi non smettevano di saltare da una parte all'altra della struttura.

Sembrava davvero di rivivere la radura:

Era tutto completamente immerso nel verde, c'erano alberi, fiori, erba, animali... Era tutto perfetto.

Il cielo sembrava essere vero, con tanto di nuvole, e non dava per niente l'aria di essere fatto al computer. Jillian aveva ragione: era una splendida illusione, ma necessaria.

Forniva una minima speranza che in un futuro non troppo lontano, il mondo tornasse in quel modo.

Attraversammo un piccolo ponte che si elevava sopra un laghetto artificiale, ed infine giungemmo in una piccola cittadella.

‹‹ Tutto all'interno dell'Eden è strutturato in modo da sembrare perfettamente reale.

Anche il clima varia. La differenza con la radura, sta proprio nel fatto che qui, ogni tanto, piove ››

‹‹ A che serve far piovere qui dentro? Non si corre il rischio di annegare? ›› domandò Newt, con fare disattento, troppo concentrato a guardarsi attorno con fare letteralmente stupido.

‹‹ Ovviamente no. L'acqua viene filtrata all'esterno, bagna il terriccio sopra e sotto di noi. La pioggia serve ovviamente a favorire la crescita spontanea dell'erba, dei fiori de degli alberelli che abbiamo piantato. Quelli che vedi attorno a te, e quelli che c'erano nella radura, erano ovviamente piante vere e creare in laboratorio, ma anche loro hanno bisogno di acqua. E non abbiamo tempo per annaffiarle una ad una più volte al giorno. Facciamo in modo che la cosa sia il più naturale possibile. ››

‹‹ Questa è una città sotterranea? ›› domandai io. Una domanda scontata e ovvia, perché quella che stavamo percorrendo, era effettivamente una città.

O almeno, era ciò che più ci somigliava.

‹‹ Più o meno ›› rispose Nate ‹‹ sostanzialmente sì. Ogni scienziato che lavora per noi ha una piccola casa indipendente, in modo che ognuno abbia la possibilità di condurre la sua vita ed abbia il massimo della privacy in tutto e per tutto.

Vogliamo che il nostro modo di lavorare sia totalmente differente da quello della C.A.T.T.I.V.O., che a differenza nostra, faceva vivere gli scienziati interamente all'interno della base, e loro lavoravano praticamente giorno e notte ››

‹‹ Anche noi siamo all'interno della base ›› continuò Jillian ‹‹ ma abbiamo la nostra indipendenza e la nostra casa ››

‹‹ E i laboratori? ››

‹‹ è un edificio a sé, che racchiude ogni laboratorio che ci serve ›› rispose Nate ‹‹ ed è tutto isolato, fuori dalla portata della C.A.T.T.I.V.O.. Ora sanno che noi siamo contro di loro, ma non conoscono l'Eden. ››

Più ci addentravamo all'interno della cittadella, più continuavo a pensare "geniale".

C'erano delle case con dei balconcini ed alcune persone affacciate ad essi, che si guardavano attorno e chiacchieravano tra loro. Conducevano una vita normale.

Le case avevano dei giardini con fiori e piante, dei panni spesi in fili, addirittura alcune biciclette.

Mi domandai quanto fosse realmente grande quel posto.

Se erano stati in grado di riprodurre una città sottoterra, allora sarebbero stati realmente in grado di riprodurla all'esterno? Quella doveva essere una prova, o qualcosa del genere.

Ero impaziente di vedere i laboratori.

Quel posto era il perfetto opposto della C.A.T.T.I.V.O., perché almeno dava veramente la speranza di poter fare finalmente del bene, mentre invece i corridoi della base della C.A.T.T.I.V.O. davano un senso di angoscia e tristezza che la zona bruciata, a confronto, era una passeggiata al chiaro di luna.

A fine del breve tour della città, ci fermammo ai piedi di un enorme struttura dai muri a specchio dai vetri oscurati. Quella era la struttura che ospitava i laboratori dell'Eden.

Nonostante fossimo a pochi passi dal vialetto che ci avrebbe condotto all'entrata della base, Jill si fermò e si girò nella nostra direzione. Si frugò nella tasca, per poi tirare fuori due piccoli mazzi di chiavi e li fece tintinnare. Ne porse uno a me ed uno a Newt.

‹‹ Queste sono le vostre chiavi. Sono tre paia. Uno è di casa vostra, uno della base, ed uno dei vostri laboratori ››

‹‹ Aspetta... casa nostra? ›› disse Newt, accentuando la parola "nostra" quasi come se la cosa lo terrorizzasse a morte. Corrugai la fronte, alzando lo sguardo verso di lui.

‹‹ Tua e di Elizabeth ›› precisò Jillian ‹‹ perché lo dici con quel tono? ››

non rispose, ma si girò verso di me. Appena incrociò il mio sguardo, scosse la testa e lo distolse rapidamente, cambiando discorso ‹‹ da che parte è? ››

‹‹ In fondo alla via, numero 27. Una villetta con un enorme vetrata che da al giardino. L'abbiamo costruita poco fa, per cui forse troverete un po' di disordine. Riposatevi e decoratela come meglio credere. All'entrata della casa troverete una piccola pila di documenti, in cima a questa c'è una mappa della città. Se avete bisogno di qualcosa, mi trovate alla base. ››

Dopo aver salutato gli altri, io e Newt camminammo nella via che Jillian ci aveva indicato.

C'era il silenzio più totale, e la cosa non mi piaceva.

Appena raggiunta la casa numero 27, il mio cuore fece un piccolo balzo, come se realizzassi tutto d'un tratto che da quel momento in poi, avrei vissuto lì dentro.

In quell'enorme casa a due piani, dalle mura bianche ed il marrone scuro.

Newt si fermò davanti al vialetto, guardando attentamente quella casa.

Deglutì, ed a prima vista, sembrò sbiancare.

‹‹ Che c'è? ›› domandai con tono preoccupato.

‹‹ Uhm? ›› abbassò lo sguardo, sgranando gli occhi ‹‹ Niente ›› si affrettò a dire, ma quasi balbettò.

‹‹ Non mi freghi, è da quando Jillian ci ha parlato della casa che ti comporti in modo strano ›› sbottai infastidita ‹‹ sai che odio quando ti comporti in questo modo. Che caspio c'è? ››

‹‹ Non c'è niente Liz... è solo che... non so spiegartelo ›› mormorò con un tono quasi imbarazzato, poi distolse lo sguardo, portandolo sulla casa accanto alla nostra ‹‹ l'idea di avere una casa mi fa sentire quasi scomodo... Insomma, il massimo di casa che avevo fino a poco tempo fa era il casolare. Vivere in una caspio di villa enorme mi fa sentire strano. ››

‹‹ O ti fa sentire strano l'idea di dividerla con me? Puoi dirlo chiaramente ›› incrociai le braccia, sperando vivamente in una risposta negativa.

‹‹ Anche ›› ammise, senza incrociare il mio sguardo ‹‹ potrei diventare insopportabile ››

‹‹ Potrei diventarlo anche io, una volta al mese ››

Newt arricciò il naso, e dallo sguardo che mi rivolse, fece finta di non capire a cosa mi stessi riferendo.

‹‹ Sono serio, caspio. ›› brontolò, incrociando le braccia contro il petto ‹‹ hai visto anche tu cosa ho combinato nel bagno della berga di Jorge... ho paura di perdere il controllo. ››

‹‹ Non eri in te, Newt, e questo problema non esiste più ›› poggiai una mano sul suo braccio, cercando in qualche modo di rassicurarlo ‹‹ gestiremo tutto insieme, te lo prometto ››

studiò il mio sguardo senza proferire parola, ma dal sorriso che spuntò sulle sue labbra, capii che era d'accordo. Non c'era bisogno che lo confermasse con le parole.

Era spaventato come lo sarebbe stato chiunque. Eravamo giovani, e praticamente da quel momento in poi avremo vissuto da soli. Veramente da soli, senza avere altri coinquilini o cose del genere.

Solo io e lui, come quando eravamo nella berga. Sotto sotto, era normale che fosse spaventato.

Prese un respiro profondo, rivolgendo uno sguardo alla casa, poi cominciò a camminare per il vialetto, prendendo la mia mano per tirarmi con sé. Lo seguii senza fare storie, guardando la casa dei nostri nuovi vicini. C'era una ragazza giovane fuori nel balcone della casa, poggiata al muretto.

Aveva dei capelli lunghi e castani, raccolti in una coda.

Non appena Newt poggiò il piede sul primo scalino del portico della casa, la ragazza si girò di scatto a guardare, come se fosse scattato una sorta di campanello d'allarme.

Sgranò gli occhi e schiuse le labbra, facendo nascere un sorriso sulle sue labbra. Poco dopo, corse dentro casa con una certa fretta.

Newt infilò la chiave nella serratura ed aprì la porta, entrando in casa e guardandosi rapidamente attorno, come se avesse paura di ritrovare quel posto pieno zeppo di dolenti.

Lo seguii e mi chiusi la porta alle spalle.

La casa era luminosa per via della luce esterna, ma piena di scatoloni, e come aveva detto Jillian, davanti a noi c'era una pila di documenti.

Newt afferrò quello in cima, che portava una scritta a caratteri cubitali.

"Mappa della città dell'Eden". Proprio come aveva detto lei.

‹‹ La barbie è di parola, eh? ››

‹‹ Avevi dubbi? ››

‹‹ Un pochino ››

mi chinai a guardare quali fossero gli altri documenti sotto la mappa.

‹‹ Allora... questo posto ha un centro commerciale, che mi auguro che non ospiti altri rincaspiati come la zona bruciata, poi ha un... un negozio di vestiti? Ma che caspio ce ne facciamo di un negozio di vestiti? Una lavanderia, un... un parrucchiere? ›› mentre Newt continuava a leggere e commentare, la mia attenzione era catturata a leggere le etichette dei documenti.

Decisi di mascherare la mia felicità nel vedere che erano quelli che cercavo alla base.

Sapevo che non potevano essere completamente spariti.

Non sapevo com'erano finiti nelle mani di Jillian, ma ero felice di averli trovati: i progetti originali dei dolenti, quelli dei D2MH, il progetto iniziale della fase 1... Era tutto lì.

Afferrai il fascicolo riguardante i radurai e poggiai una mano su Newt, interrompendo i suoi commenti spinosi riguardo a quale fosse l'utilità di avere così tanti negozi di abiti all'interno di una base scientifica.

‹‹ Guarda ›› sussurrai, porgendogli il fascicolo.

Corrugò la fronte e lo afferrò, porgendomi la mappa.

Lo aprì, senza nemmeno chiedermi cosa fosse, ed il primo foglio che si trovò davanti, era la scheda riguardante Alby.

C'era la sua foto all'angolo del foglio, il suo sguardo vuoto, che guardava dritto verso l'obbiettivo.

Non c'erano i dati reali, il vero nome o qualsiasi collegamento relativo alla sua vita prima della radura.

No, erano i documenti della sua nuova identità. Il suo stato iniziale, fino al suo ultimo momento di vita. Praticamente la sua storia nella radura.

Le mani di Newt si strinsero attorno al fascicolo, lasciando trasparire la rabbia repressa, ma non disse nulla.

Continuava a leggere silenziosamente quell'intera pagina ricca di descrizioni, grafici sull'evoluzione del virus, che però, nell'amico, rimanevano invariati.

Accanto al nome "fittizio", tra parentesi, c'era il nome dello scienziato dal quale prese la sua nuova identità, Albert Einstein.

Sotto questo, c'era una grossa scritta in grossetto e sottolineata. Solo in quel momento mi resi conto che lo sguardo di Newt era fermo su quella scritta.

Alby (Albert Einstain)

Stato: IMMUNE

Non ci avevo nemmeno fatto caso, eppure era una cosa che balzava subito all'occhio.

Le sue mani cominciarono a tremare, probabilmente dalla rabbia.

‹‹ Newt... ››

‹‹ Era immune ›› disse, per poi ridacchiare in modo nervoso ‹‹ capisci? Immune. Ed ha dato di matto per colpa loro. I dolenti, ah, quei caspio di dolenti. Era tutto progettato a tavolino. ›› si passò le mani tra i capelli, poi indicò il foglio ‹‹ sta notte avrò un bel racconto da leggere. Parla di come uno dei miei migliori amici è morto del causa della C.A.T.T.I.V.O. ››

‹‹ Dammi questo caspio di coso ›› sbottai, prendendogli il fascicolo dalle mani. Corrugò la fronte, sollevando l'indice, ma prima che aprisse bocca, si udii il suono del campanello.

Fui sorpresa da me stessa per aver riconosciuto quel suono così poco familiare.

Mi sporsi ed aprì la porta, sollevando entrambe le sopracciglia.

C'erano due ragazze giovani, con un sorriso cordiale dipinto sul volto.

Sembravano lievemente imbarazzate ed impacciate, con le mani legate dietro la schiena.

A prima vista, avevano al massimo diciotto anni.

‹‹ Siamo le vostre vicine di casa! ›› disse una di loro, la ragazza che avevo visto poco prima.

La riconobbi giusto in quel momento. Da lontano sembrava decisamente più bassa.

‹‹ Stavamo aspettando il vostro arrivo già da un po'! Jillian ci aveva avvertite del vostro imminente arrivo! ›› disse l'altra, con un tono entusiasta, per poi pormi la mano ‹‹ mi chiamo Evelyn, e lei è Elsa. Siamo coinquiline, e lavoriamo anche noi all'interno del laboratorio dell'Eden. Giuro, sembriamo calme, ma è un grandissimo onore conoscere voi due! Lavoravamo anche noi alla C.A.T.T.I.V.O.! Abbiamo sentito tanto parlare di voi, per i lavori che svolgevate! ››

‹‹ Evelyn, così li spaventi ›› sussurrò Elsa, dando un lieve colpetto alla spalla della ragazza accanto a sé ‹‹ perdonate l'irruenza della mia amica, non vedeva l'ora di incontrarvi. Ma comunque è seriamente un piacere fare la vostra conoscenza! ››

‹‹ Se avete bisogno di qualsiasi cosa, noi siamo qui alla porta accanto! ›› poi, lo sguardo della ragazza si posò su Newt, e potrei giurare che per qualche secondo i suoi occhi si illuminarono.

Da come lo guardava, avrei giurato che da un momento all'altro gli avrebbe chiesto un autografo come una fan sfegatata.

‹‹ Grazie ›› mi affrettai a dire. Newt non era esattamente nelle condizioni di sopportare delle visite in quel momento, e lo capivo dal suo sguardo: si stava contenendo solo per non apparire isterico. Per pura educazione, insomma ‹‹ prometto che, uhm, vi faremo sapere. Ma scusateci, ora siamo stanchi ed abbiamo un sacco di cose da sistemare, come potete ben vedere... ››

‹‹ Oh, sì... scusate! Ci vediamo alla base allora! ››

annuii, salutando le ragazze con la mano, mentre Newt invece si era già avviato lontano dalla porta e si andò a sedere sul primo gradino della scala davanti alla porta.

Si poggiò le mani sotto il mento, con i gomiti puntati sulle ginocchia mentre fissava il fascicolo che reggevo in mano. Chiusi la porta e mi girai a guardarlo, prendendo un grosso respiro.

Mi diedi una rapida occhiata attorno, lasciando che il silenzio prendesse il sopravvento, poi, decisi di restituire il fascicolo al ragazzo.

Era giusto che sapesse tutta la verità. D'altronde reggevo in mano la storia di tutti i suoi amici, lui compreso. Era giusto che sapesse ciò che c'era da sapere. I loro stati di immunità, tutti gli studi che la C.A.T.T.I.V.O. seguiva su di loro, i vari grafici... tutto. Io potevo tranquillamente leggerli in un secondo momento.

Mi sedetti accanto a lui, poggiando la testa sulla sua spalla senza interrompere la sua lettura.

C'era un silenzio surreale. Newt era veloce a leggere, più di quanto mi aspettassi. Ci mise poco a finire l'intero fascicolo di Alby, e mantenne una calma incredibile fino all'ultimo paragrafo, per poi cambiare.

Saltò diversi fascicoli che forse non riteneva importanti, passando solo a quelli delle morti relativamente recenti. Nomi che io non avevo mai sentito, ma che sicuramente per lui erano state persone importanti.

L'unico nome che mi fece sussultare alla sua vista, fu quello di Chuck. Guardai il suo volto paffuto e quei riccioli che gli circondavano il volto. Cercai di rimanere calma ed indifferente, stringendomi contro di Newt.

Chuck (Charles Darwin)

Stato: IMMUNE

Nonostante cercassi di essere indifferente di fronte a quella scritta, Newt sapeva come mi sentivo.

Si girò verso di me, depositando un bacio contro la mia fronte e legando un braccio attorno al mio fianco. Nascosi il volto contro il suo collo, chiudendo gli occhi.

Chuck, come Alby, era immune. Ben non era immune, e così via con un'altra sfilza di nomi di persone immuni, semi-immuni e non.

E la C.A.T.T.I.V.O. sapeva tutto. Sapeva i rischi che correva, ma lo faceva per il bene più grande.

La cosa più brutta, in quel momento, era vedere le loro foto. I loro sguardi spenti,rivolti verso l'obbiettivo della fotocamera. Lo sguardo di chi sapeva bene a cosa andava incontro, ma non aveva scelta.

Quando Newt giunse al suo fascicolo, si soffermò a guardare la sua foto come se stesse guardando uno sconosciuto. Il suo sguardo, in quella foto, era carico d'odio. In quella foto indossava un camice bianco.

Newt (Isaac Newton)

Stato: SEMI-IMMUNE

Nel fascicolo, era spiegato che lui, inizialmente, non doveva essere un soggetto del test del gruppo A. Era spiegato come, quando e perché c'era finito. Era spiegato il significato del termine semi-immune. Era un fascicolo molto più approfondito rispetto a quello degli altri radurai, e Newt lo leggeva con uno sguardo freddo e distaccato, come se non stesse leggendo di sé stesso, ma di uno sconosciuto. In effetti, per lui, quello era uno sconosciuto.

A lui erano state dedicate molte più pagine, ed appena finì di leggerle, abbassò il foglio, poggiandolo sul gradino sopra di noi. Prese un grosso respiro e sollevò lo sguardo al soffitto.

‹‹ Quindi, non zoppico per colpa della ca

duta, ma per colpa dell'uomo ratto che ebbe la brillante idea di spararmi alla caviglia... ››

‹‹ Già... ›› sussurrai sentendomi improvvisamente in colpa per non averglielo detto prima.

‹‹ Tu lo sapevi? ›› domandò con un tono sorpreso

‹‹ Me l'aveva detto Justin... mi ero anche dimenticata di questo dettaglio... ››

‹‹ Bene così, non era importante dopo tutto, ormai il danno è fatto. Ho preso una decisione ›› poggiò i gomiti al gradino dietro di sé, tenendo lo sguardo sollevato verso il soffitto.

‹‹ E sarebbe? ››

‹‹ Non me ne frega un caspio se non ricordo niente ›› si girò verso di me. I suoi occhi esprimevano perfettamente tutto l'odio che stava provando in quel momento, come se quelle pagine lette fino a quel momento gli avessero riportato alla memoria tutta la sofferenza passata fino a quel momento.

Come se, grazie a queste, un po' del vecchio Newt fosse tornato a galla. ‹‹ Ho intenzione di vendicare i miei amici. Uniamoci all'Eden, e facciamo saltare in aria la C.A.T.T.I.V.O. e il braccio destro ››


{Angolo dell'autrice}

Purtroppo Wattpad è razzista verso le dediche alle persone e, quindi, mi permette di dedicare il capitolo ad una sola persona.
Quindi, taggo qui due persone: EvelynMalfoy e  FrozenGirlz, ed ora capiranno il perché di quelle domande in chat.

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