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Capitolo 18

Una volta usciti da lì, cercai di affrettarmi ad asciugare le lacrime. Non volevo che Thomas o Minho mi vedessero in quello stato. Avevamo altro a cui pensare, come ad esempio un modo per uscire il prima possibile da lì, considerando che le guardie si erano volatilizzate come un cumulo di polvere in una giornata di tempesta.

‹‹ Da dove sono sbucati tutti questi spaccati? ›› domandai. Jorge scrollò le spalle

‹‹ Non lo so, tesoro, ma la cosa non mi piace. Saranno stati attirati dalle grida dello spaccato ›› rispose sussurrando per non farsi sentire.

Gli spaccati attorno a noi avevano tutta l'aria di essere decisamente oltre l'andata.

Gridavano provocazioni, come sempre.

Ringraziai il cielo che Jorge mi stesse stringendo a sé come un padre protettivo, perché se non l'avesse fatto ero certa che mi sarei persa, o mi avrebbero presa.

Era Thomas a guidarci, anche se avevo memorizzato la strada mentre camminavamo.

La mia testa era spenta. Volevo tornare indietro.

Volevo tornare da Newt.

Ma lui non voleva, e quell'addio era stato peggio di una pugnalata al petto.

Nessuno osò dire una sola parola mentre camminavamo per abbandonare la zona centrale.

Non appena fummo fuori da lì, sembrò tutto tornare come prima.

Grida, risate ed altre cose ripresero come se nulla fosse.

‹‹ È finita ›› dissi tra me e me. Nessuno mi sentii.

Mi fermai, rivolgendo lo sguardo alle mie spalle. Dannazione se ero tentata di tornare indietro.

‹‹ Elizabeth, avanti, cammina ›› mi spronò Jorge.

Ma in quel momento la mia attenzione ricadde verso le guardie che correvano nella nostra direzione.

Ma non erano spariti?

‹‹ Ma cosa..? ››

‹‹ Correte! Correte! ›› gridarono, muovendo le braccia.

Non avevano le armi con loro, e questo mi fece pensare subito al peggio.

Se stavano venendo da quella direzione, voleva dire che erano stati tra gli spaccati.

E se non avevano le armi, significava che gliele avevano rubate.

E questo non prometteva nulla di buono.

Le guardie ci superarono, senza nemmeno pensarci.

‹‹ Ehi! Tornate qui! ›› urlò Minho.

Una di loro girò, il viso contratto per la fatica ‹‹ Vi ho detto di correre, idioti! Forza! ›› gridò.

Thomas non ci pensò due volte e si lanciò dietro di loro, tirando con sé Brenda.

Jorge mi spinse lievemente e mi costrinse a correre con sé, trascinandomi per il braccio qualche metro, poi mi lasciò. Solo in quel momento sentii il rumore di altri passi veloci, proprio dietro di noi. Appena mi girai, notai che almeno una dozzina di spaccati ci stava inseguendo.

‹‹ Cos'è successo? ›› chiese Minho.

‹‹ Ci hanno trascinato via dalla zona centrale! Giuro su dio che ci avrebbero divorato. Siamo scappati per un pelo. ››

‹‹ Non smettete di correre! ›› gridò l'altra guardia, e di colpo cambiarono direzione della corsa.

Stava succedendo tutto troppo di corsa.

Ero piena di ripensamenti.

No, non volevo più andarmene, e man mano che correvo ne stavo prendendo sempre più coscienza.

Non avrei mai permesso a Newt di rimanere lì da solo.

L'avrei convinto ad andare via con me. Che gli andasse bene o meno.

Così mi fermai. Thomas e gli altri continuarono a correre nella direzione che li avrebbe condotti all'uscita verso la berga. Loro lo fecero. Io no.

Jorge se ne rese conto quasi subito, così rallentò il passo.

‹‹ Elizabeth! ›› gridò attirando l'attenzione degli altri.

‹‹ Ma che caspio stai facendo?! ›› gridò Minho, facendo qualche passò per raggiungermi.

Indietreggiai e scossi la testa ‹‹ Andate! ››

‹‹ Ma che dici?! Non se ne parla! Tu vieni con noi! Almeno tu! ›› rispose Minho, rivolgendo uno sguardo a Thomas ‹‹ non lasceremo qui anche te! ››

‹‹ Vi ho detto di andarvene! ››

‹‹ Beth... ››

‹‹ Devo convincere Newt ad andare via di qui! ›› chiusi gli occhi, rivolgendo uno sguardo alle mie spalle ‹‹ andate via prima che sia troppo tardi! ››

Thomas mi guardava. Cercava di leggere il mio sguardo.

Chiuse gli occhi e scosse la testa ‹‹ forza, andiamo ›› disse. Capiva le mie intenzioni.

E sapevo che lui era forse l'unico capace di capirmi a pieno.

‹‹ Cosa? ›› disse Minho, portandosi una mano tra i capelli.

‹‹ Fidati di lei ›› ed a quel punto si scambiarono uno sguardo d'intesa.

Thomas sapeva che tra tutti loro ero forse l'unica persona capace di far cambiare idea a Newt.

Così ripresero a correre.

Corsi verso un vicolo, evitando così di essere travolta dalla folla di spaccati che inseguiva i miei amici.

‹‹ Sola in un caspio di posto colmo di spaccati. Questa non è una novità ›› pensai, guardandomi attorno.

Notai che in una baracca non troppo distante da me, c'era una donna poggiata sull'uscio della porta.

Appena si rese conto che la stavo guardando, uscì lentamente e si avvicinò a me, con un passo tremante e timido.

Non era molto alta, e sembrava essere molto giovane.

I suoi capelli erano lunghi, annodati ed evidentemente sporchi, ma era normale considerando il posto in cui ci trovavamo, quei capelli sembravano essere fin troppo puliti.

‹‹ Ciao... ›› disse con un tono di voce cordiale.

Giocava con le proprie mani, col volto basso, rivolvo verso queste.

I capelli le ricadevano lungo il viso.

Sembrava essere timida, ma ricordai a me stessa che era comunque una spaccata, e c'era poco da fidarsi.

I suoi vestiti erano sporchi e logori. Indossava dei jeans sbiaditi con grossi buchi sulle ginocchia ed una maglietta con i bordi seghettati, ed era lievemente slabbrata, come se avesse lottato per tenerla addosso. E considerando dove ci trovavamo, era una cosa più che possibile.

‹‹ Ciao. ›› risposi, corrugando la fronte. La donna stava singhiozzando.

Aveva cominciato a piangere di colpo. Sollevò la testa.

Il suo volto era intatto, fatta ad eccezione per due lunghi graffi sulla guancia sinistra ed un taglio apparentemente profondo sulla destra.

‹‹ Tu sei... ›› si avvicinò ancora di più, e poggiò le mani sulle mie. Non strinse la presa come invece immaginavo che avrebbe fatto. Il suo tocco era delicato, come se avesse paura di farmi male.

Non terminò subito la frase, prima si morse la lingua, poi prese un respiro profondo per interrompere quei pochi singhiozzi che stava emettendo ‹‹ Tu sei viva! ›› disse infine.

‹‹ Cosa? ››

la donna inclinò il volto, sorridendo ‹‹ Giusto, il siero... ›› allungò una mano e mi accarezzò il viso con le dita sporche.

La spinsi via. Mi stava dando una strana sensazione di malinconia che non mi piaceva affatto.

Lei non sembrò sorpresa. Barcollò all'indietro e cadde di peso sul terreno.

Era così magra da fare impressione.

‹‹ Non ricordi chi sono, vero? ›› domandò di punto in bianco.

C'era qualcosa in quei suoi occhi azzurri. Qualcosa che mi fece trasalire e provare tristezza a quelle parole.

‹‹ No ›› risposi freddamente ‹‹ come fai a saperlo? ››

La donna si rimise in piedi, passandosi le mani sui jeans. I suoi occhi si piantarono nei miei, rivolgendomi un sorriso sconsolato per la mia perdita di memoria.

‹‹ Sono tua madre, mia piccola Elizabeth ›› la sua voce era rauca, ma non stava piangendo.

Aveva gli occhi lucidi, forse per via dell'incontro.

Schiusi le labbra. Mi sorpresi del fatto che non sentissi nulla nei confronti della donna, se non una forte malinconia.

Provai un certo odio per il fatto che non ricordassi nulla di lei. Odio e sconforto, perché sotto sotto non sapevo niente di lei.

Ma dentro di me, sapevo che era lei davvero. L'unica cosa che non sapevo, era se potevo fidarmi o meno di quella donna.

Le leggevo negli occhi che era cosciente di quel fatto, ma non demordeva.

‹‹ Vieni dentro la baracca ›› disse, indicando con un cenno del capo quella sorta di casa, se così si poteva effettivamente definire ‹‹ se stiamo qui fuori, ci ritroveremo presto circondati da spaccati pronti a mangiarci le dita ››

‹‹ Come faccio a sapere che non ci proverai tu? ›› risposi freddamente, ritraendomi le mani contro il petto.

Mi fissò in silenzio, facendo un respiro profondo poco dopo.

‹‹ Se avessi voluto farti del male, ti avrei atterrata senza problemi e strappato le braccia dal corpo tu non avresti potuta fare nulla, se non gridare come una pazza dal dolore ›› rispose con tono serio.

Così serio da farmi provare dolore solo ad immaginare la scena ‹‹ non so cosa ti hanno detto di me, ma non sono andata fino a quel punto ›› e, detto questo, s'incamminò vero la baracca.

Mi guardai rapidamente attorno, poi decisi di seguirla.

Ormai ero rimasta sola in quel posto, valutando bene la situazione, non era il caso di tornare subito da Newt.

Doveva essere agitato per l'incontro avvenuto poco fa, per non parlare degli spaccati che l'avevano circondato.

Era meglio far calmare un po' le acque.

L'interno della baracca non era poi così male.

Mamma – se così potevo chiamarla – l'aveva addobbata bene, resa quasi vivibile.

Era tutto in ordine e pulito.

Ero seduta su una sedia malandata, ma reggeva, e quello era l'importante.

Davanti a me c'era un piccolo tavolo in legno, con un vasetto in vetro scheggiato e con una grossa crepa al centro, e dentro il vaso c'era l'originami di un fiore, con lo stelo fatto con un pezzo di legno.

La cosa non mi stupiva: con quel caldo, come poteva sopravvivere un fiore?

‹‹ Ti offrirei qualcosa, ma come puoi immaginare, non ho molto... ›› disse la donna con un tono un po' smorto, poi si sedette sulla sedia davanti a me ‹‹ e non penso che ti farebbe piacere mangiare dei fagioli a quest'ora ›› provò a sdrammatizzare, così mi sforzai di sorridere.

‹‹ Non fa niente ›› risposi ‹‹ non ho nemmeno fame. Senti... Non ti chiederò qualcosa del mio passato. Non voglio ricordare niente a dire il vero. Il mio passato non ha più importanza.

Non m'interessa perché mi sono spedita nella radura, non m'interessa sapere che tipo di rapporto c'era tra noi, non voglio sapere il mio vero nome e così via. Se mi hai fatta entrare qui per raccontarmi qualcosa... Beh, sappi che non voglio sapere nulla. Niente di tutto quello ha più importanza ››

La donna sembrò quasi ferita da quelle parole, ma annuì, facendomi capire che accettava la mia decisione.

‹‹ Immagino che tuo padre ti abbia raccontato abbastanza. Ovviamente dal suo punto di vista ›› disse, ma era come se stesse parlando a sé stessa, più che a me ‹‹ o magari Marie ›› tirò su le gambe, poggiandosele contro il petto, e cominciò a dondolare sulla sedia come se volesse cullarsi.

‹‹ Sì, ma non m'interessa di ciò che hanno detto. Credo più a ciò che ha detto Justin, che a ciò che mi ha detto quell'uomo ››

‹‹ Mi dispiace per ciò che hai passato. Qualsiasi cosa tu abbia passato del gruppo A. Non avrei mai voluto che tu soffrissi. Né tu, né gli altri soggetti dei test ›› sollevò gli occhi su di me ‹‹ qualsiasi cosa tu pensi ora, ricordati che la C.A.T.T.I.V.O. non è buona. Buone intenzioni, ma pessime azioni. A volte il fine non giustifica i mezzi. In questo caso, hanno sforato. È inutile soffermarsi su dei ragazzi, rischiando di portarli alla più totale pazzia, quando invece c'è una possibilità che si salvino nonostante siano più fragili nei confronti del virus ›› smise di dondolarsi, rimettendosi dritta.

Sebbene il suo sguardo fino a pochi attimi prima sembrava quasi terrorizzato nel parlare, ora cambiò radicalmente, sorridendo ‹‹ comunque, smettiamo di parlare di cose tristi. Non vuoi sapere nulla di tutto questo, quindi, parliamo di cose recenti! Ti va? Recuperiamo un po' di rapporto madre figlia ››

corrugai la fronte. Non ero poi così convinta di voler recuperare un rapporto con quella donna. D'altronde, detto in modo schietto e forse crudele, non provavo assolutamente nulla per lei.

E questo un po', c'era da dirlo, mi faceva sentire in colpa.

Vedevo qualcosa in lei, che in "papà" non vedevo.

Dolcezza, pentimento per ciò che aveva fatto... umanità.

‹‹ Raccontami! cosa ti porta da queste parti? ›› arricciò le labbra ‹‹ sono piuttosto sicura che non è per me. Secondo me non sapevi nemmeno che fossi qui. ››

‹‹ No, infatti. Papà ha detto che ti hanno portato nella zona bruciata, però ›› lei annuì, poi mi fece un cenno con la mano per spronarmi a dirle il vero motivo per cui fossi lì. Così abbassai lo sguardo, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio ‹‹ Newt ›› mormorai ‹‹ Newt è qui. ››

‹‹ Newt? ›› corrugò la fronte, sgranando gli occhi poco dopo ‹‹ quel Newt? Il ragazzo che ha- ››

‹‹ Inventato di dolenti. Sì, quel Newt ››

Si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo ‹‹ immagino che sia perché siete passati alla fase due e lui si è ammalato, vero? ›› si portò le mani tra i capelli, puntando i gomiti sul tavolo ‹‹ dannazione! Avevo detto loro di cancellare quella fottuta fase! Avevo detto che era troppo pericoloso per i soggetti! Ci sarebbe stata una dannata strage! Perché non mi hanno ascoltata?! Perché?! ›› e continuò a sussurrare, abbassando drasticamente il tono della voce.

Sì, il virus in lei stava distruggendo ogni singola particella del suo corpo.

Era ovvio. Ma tutto sommato non sembrava essere poi così ridotta male, c'era da ammetterlo.

Quelle parole furono come un toccasana per me: lei era contro la C.A.T.T.I.V.O., e questo mi bastava per sapere da che parte stava.

Almeno avevo la certezza di potermi fidare almeno un po'.

‹‹ L'hanno fatto per vedere il grado di sopportazione, credo. A me hanno impiantato un chip che mi faceva credere di essere malata ››

spostò le mani, sollevando di scatto il volto ‹‹ Hanno usato il chip su di te? ››

‹‹ Già, durante la fine della prova il chip ha smesso di funzionare ››

‹‹ Strano ›› mormorò, grattandosi la fronte. Ma non disse altro riguardo a questo argomento. Alzò lo sguardo verso di me, rivolgendomi un sorrisetto malizioso ‹‹ aspetta, perché sei qui per Newt? ››

arrossii, incrociando le braccia sul tavolo.

Affondai il volto contro queste, poi brontolai parole senza senso per via dell'imbarazzo. Non potevo parlare di queste cose con mia madre.

‹‹ Ti piace? ›› mi punzecchiò il braccio con l'indice. Le sue unghie erano lunghe e sfaldate. Si piegavano a contatto con la mia pelle.

‹‹ Stiamo assieme, diciamo... se così si può dire ››

‹‹ Dov'è ora? ›› domandò ‹‹ ti accompagno da lui, se vuoi. Conosco questo posto e conosco le scorciatoie. ››

‹‹ Nella zona centrale, al bowling ››

annuì, prendendo un respiro profondo. Capii che quella donna non era affatto un mostro, se era disposta ad accompagnarmi in un posto così, era un'alleata preziosa.

Nel mentre che attraversavamo un piccolo condotto sotterraneo, umido e puzzolente, mia madre volle sapere com'eravamo arrivati fino a lì.

Quando sentii il nome di Jorge, il suo sguardo s'illuminò, e cominciò a raccontarmi di com'erano uniti loro due prima che venisse mandato nella zona bruciata.

Al contrario, per Brenda storse un po' il naso, dicendo che lei nemmeno la conosceva, ma che non si fidava molto degli scagnozzi più piccoli della C.A.T.T.I.V.O. in quanto facessero loro il lavaggio del cervello.

Mi spiegò che quando lavorava alla C.A.T.T.I.V.O cercava una cura per conto proprio, e tramite un vaccino in via del tutto sperimentale, era riuscita a dimezzare il tempo della crescita del virus.

La C.A.T.T.I.V.O. però aveva deciso di non finanziare il suo progetto, un quanto peccasse gravemente in alcuni punti, ma su di lei stava funzionando.

Era una buona alternativa al nirvana, e non creava assolutamente assuefazione, visto che andava somministrato una sola volta ed attaccava il nucleo centrale del virus.

Era come una sorta di "pellicola" che avvolgeva la parte malata del cervello.

Pensai che se avessero continuato a lavorare a quella cura, forse ci saremo risparmiati tutti quei massacri.

Di punto in bianco, mia madre si fermò. Alzò lo sguardo verso l'alto e spinse con le mani verso la piccola botola sopra le nostre testa.

‹‹ Dovrebbe essere qui l'uscita per il vicolo della sala da bowling ››

‹‹ Così, ad occhio e croce? ››

‹‹ Conosco bene questo posto ›› si giustificò, dando un'ultima spinta e facendo un balzo.

Fece leva con le braccia e si tirò su, uscendo, per poi porgermi la mano per aiutarmi a salire.

Una volta fuori da lì, mi sembrò che l'aria esterna fosse la cosa più profumata sentita negli ultimi anni.

Davanti a noi c'era l'entrata della sala da bowling, proprio come aveva dette mia madre. Tutti gli spaccati erano stranamente in silenzio, osservando uno di loro – ridotto malissimo – che stava in piedi sopra un bidone colmo di rifiuti di dubbia provenienza (c'era una mano che penzolava fuori).

‹‹ Oggi, miei amici spaccati, sarà il giorno. Oggi è il giorno in cui usciremo da questa topaia ed entreremo a Denver! ›› gridò, con la mascella che penzolava da un lato.

Teneva in mano uno dei lanciagranate che avevano sottratto alle guardie poco prima.

‹‹ Sì! Finalmente torneremo lì e ci prenderemo ciò che ci spetta! La nostra libertà! E al diavolo tutti quei dannati muni! Se qualcuno si metterà in mezzo, noi che faremo? Ditelo con me, fratelli! ››

‹‹ Lo uccideremo! ›› gridarono in coro gli spaccati, e a quel punto, lo spaccato sparò in aria una granata, che ricadde sul terreno emanando tante piccole scosse a vuoto.

Mia madre mi afferrò la mano, stringendola come per rassicurarmi.

‹‹ Nessuno ti torcerà un capello ›› disse a denti stretti, ma in modo che potessi sentirla solo io.

Si girò a guardarmi con gli occhi che gridavano serietà. Sembrava una minaccia, ma non era per me, ovviamente.

Sentii uno spaccato lamentarsi alle mie spalle. Qualcuno l'aveva spinto e gettato a terra.

Una mano si posò sulla mia spalla, costringendomi a girarmi.

Mia madre mi si parò davanti, spingendomi via per allontanarmi dalla presa del ragazzo.

Gli spaccati, fortunatamente, ignorarono quel gesto. Potevo scommettere qualsiasi cosa che se l'avessero notato, si sarebbero messi in mezzo com'era successo con Thomas.

Mia madre afferrò il volto del ragazzo, puntando lo sguardo su questo.

Rabbrividì a quella scena ‹‹ Che fai? Vuoi un pugno?! ›› disse a denti stretti, ma lui ignorò quella minaccia, osservandomi con una certa rabbia negli occhi ‹‹ parlo con te, biondino! ›› ripeté.

Era Newt. Era il mio Newt.

Non riuscii a spiccicare una sola parola, neanche per dire a mia madre di lasciarlo stare.

Ero rimasta impietrita da quello sguardo così vuoto e carico d'odio e rabbia.

‹‹ No. ›› disse con un tono freddo, spostando la mano della donna.

‹‹ Io credo di sì. ›› rispose lei, riprendendo il volto di Newt nella mano ‹‹ potrei pensare di prendere a schiaffi questo tuo bel faccino, sai? ››

‹‹ Lascialo stare ›› mi sforzai di dire. Fu come se quelle parole richiedessero un sacco di energia ‹‹ è Newt ››

‹‹ Oh... allora questo cambia le cose ›› rispose lei, spostando la mano ‹‹ ma giuro che se le fai del male, la minaccia vale ›› aggiunse indicandolo.

In tutta risposta, lui le rivolse un occhiataccia, per poi spostare lo sguardo su di me.

‹‹ Che ci fai qui? Ti avevo detto di andare via. E ti avevo detto addio. ››

‹‹ Bene, io no. Avevo detto ciao, non addio. Non mi piace dire addio. ››

‹‹ Non me ne frega un caspio se non ti piace dire addio. ›› il suo sguardo si fece serio. Gli tremava la mano. Solo in quel momento notai che non aveva più il lanciagranate.

‹‹ Dov'è l'arma? ››

‹‹ si è scaricata ›› strinse il pugno ‹‹ così ho cercato qualcosa che potessi usare come attrezzo, l'ho smontato e lanciato i pezzi un po' ovunque ›› sgranai gli occhi. Ha smontato un lanciagranate? ‹‹ Cos'è quella faccia sorpresa? Ho inventato dei caspio di dolenti e ti stupisce che abbia smontato un lanciagranate? ›› c'era un tono divertito nella sua voce, ma rimaneva comunque serio.

‹‹ No, ma... ››

‹‹ Che ne dite di andare a discutere per i fatti vostri? Sapete, qui la gente ama intromettersi e fare casino ›› propose mia madre.

Newt schioccò la lingua, indicando la donna ‹‹ chi è questa tizia stramba? ››

‹‹ Sono sua madre ›› disse lei, incrociando le braccia.

Newt la osservò attentamente, sgranando gli occhi ‹‹ Ah ›› disse semplicemente, drizzando di colpo la schiena ‹‹ sì, forse è meglio parlare in privato ››.

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