Capitolo 48
Il venerdì sera, dopo cena, presi il Ciao e mi diressi verso la riseria. Sapevo che a quell'ora non avrei trovato nessuno.
Dovevo fare assolutamente una cosa.
Era una cosa stupida e ignoravo tutte le conseguenze che potevano insorgere per quel mio gesto, e che in seguito avrei pagato, ma in quel momento lo ritenevo importante.
Era una forma di ribellione e di arrabbiatura verso la mia condizione, verso Martinotti, verso il tradimento di Lorenzo.
Mi avvicinai al muro che circondava la riseria.
Lasciai il motorino vicino al palo della luce, tirai su il cappuccio del piumino per non farmi riconoscere dalle telecamere, e con la testa bassa mi diressi verso l'estremità del muro vicino all'entrata.
Tirai fuori dalla tasca del giubbotto la bomboletta spray e imbrattai il muro.
Quando finii, mi spostai all'indietro di qualche passo e osservai la frase impressa a caratteri cubitali:
IL LAVORO TI RUBA LA VITA
Ero soddisfatta, talmente tanto che tirai fuori il cellulare e scattai diverse foto.
Sentii il rumore di uno scooter che arrivava nella mia direzione e andai in panico.
Corsi verso il Ciao, mi abbassai, nascosi la bomboletta dietro alla ruota del motorino e finsi di avere un guasto, mentre con la coda dell'occhio osservavo i movimenti di quello scooter. Il motorino si fermò davanti al muro imbrattato e subito dopo fece inversione e venne verso di me.
«Devo ammettere che sei brava con le parole, ma non con la grafia. Io avrei scelto un carattere diverso da quel semplice stampatello.»
Mi alzai e voltandomi vidi che era Giulio.
Si stava per togliere il casco, mi avvicinai a lui di scatto e mettendogli una mano sul braccio lo bloccai.
«Non farlo! Ci sono le telecamere e potrebbero pensare che sei mio complice.»
Dentro a quell'involucro scuro, i suoi occhi blu risaltavano.
«Per questo motivo indosso il cappuccio e mi sono avvolta la sciarpa sul viso come se indossassi un passamontagna. E comunque, la prossima volta, prima di imbrattare un muro vengo a ripetizione da te» dissi facendogli una smorfia.
Giulio sorrise.
Mi voltai verso il Ciao, indossai il casco, salii sul motorino e mentre ero intenta a pedalare per accenderlo, si avvicinò e mi chiese: «Hai impegni per stasera?»
«A parte fuggire il più presto possibile da qui, no, non ho impegni» risposi, pensando che era meglio allontanarci dalla riseria.
Sapevo che c'era la possibilità di incontrare il guardiano che ogni tanto faceva la ronda.
«Ti va di venire allo skatepark? Ci sono un sacco di amici di cui poterti fidare, c'è dell'ottima musica e anche da bere. Ci si diverte con poco» disse, facendomi l'occhiolino.
«Perché no? Quel parchetto è vicino a casa e se i tuoi amici non sono affidabili come dici, la musica fa schifo e il bere è scadente, posso sempre scappare a casa.»
Era passata poco più di una settimana dalla scoperta della scommessa di Lorenzo e la ferita era ancora aperta, e cambiare aria e vedere visi nuovi mi avrebbe fatto bene.
Ci speravo.
«Dai, andiamo!» mi ordinò Giulio con il sorriso stampato sul viso.
Cercai di stargli dietro ma il Ciao era pur sempre un vecchio Ciao. Non aveva la potenza dello scooter. In quel preciso istante, sentii nella testa la voce di Lando che mi diceva:
«Quand'è che rottami quel motorino e ti compri uno scooter?»
Sorrisi e per un attimo gli diedi ragione.
Ma solo per pochi attimi.
Finché mi avrebbe portata in giro sarei stata fedele al Ciao.
Arrivammo nella via di casa. Giulio aveva rallentato e si era voltato a guardarmi. Poi ritornò a guardare dritto verso di sé e si diresse verso la pista degli skateboard.
Abitavo da molti anni in quel quartiere e non avevo mai messo piede in quel parchetto.
C'erano già delle persone sedute sulle gradinate che osservavano un paio di ragazzi che andavano sullo skate sfidando la rampa. E non tanto d'istante c'era un gruppetto di ragazzi e ragazze presi ad ascoltare la musica e a fare dei passi della shuffle dance.
Mi fermai di fianco a Giulio. Mi sentivo un po' fuori luogo. Non conoscevo nessuno, a parte lui.
«Toglimi una curiosità» dissi, tentando di scrollarmi di dosso l'imbarazzo. «Come hai fatto a riconoscermi? Intendo, prima, vicino alla riseria. Bardata com'ero.»
«Beh, sei l'unica persona che conosco che possiede un Ciao» rispose, spegnendo lo scooter.
«Ah, già! Non ci avevo pensato.»
E intanto l'ansia di andare in mezzo a tutte quelle persone sconosciute saliva.
«C'è qualcosa che non va?» chiese.
«No.»
Ma sapevo benissimo che la mia espressione diceva altro.
«Ti assicuro che qui nessuno ti darà fastidio.»
«D'accordo.»
«Dai, vieni.»
Seguii Giulio e raggiungemmo il gruppetto di ragazzi. Li salutò e poi fece le presentazioni.
Le due ragazze si chiamavano, una Mia e l'altra Ginevra. Invece il ragazzo si chiamava Luca. Aveva molti piercing e le nocche delle mani tatuate. E il loro vestiario era un misto tra rapper e metallari. Mi sembravano socievoli.
Mi sedetti su un gradino della scalinata e osservai Giulio che aveva preso lo skate e si era buttato sulla rampa. A ogni suo giro, trattenevo il respiro e quando toccava il cemento sospiravo. Era molto bravo.
«Vuoi?» mi chiese Mia.
Osservai il suo viso: aveva gli occhi azzurri, le labbra carnose e il piercing al naso. E i capelli lunghi castani erano raccolti in una treccia che scendeva di lato.
«Grazie» dissi, prendendo la lattina di birra.
Non bevevo mai alcolici ma non volevo essere
scortese. Diedi un sorso a quel liquido amarognolo e feci fatica a deglutire.
Non ero fatta per l'alcool. Eppure, continuai a sorseggiare la birra per tutta la sera, guardando Giulio e gli altri ragazzi che volavano sopra gli skate, le ragazze ballavano la shuffle dance e io finii con l'ubriacarmi.
E tanti cari saluti alla sobrietà.
Spazio autrice:
Ehilà, Wattpadiani, come state?
Viola si è vendicata, a suo modo, verso la rabbia e il dolore che prova per Lorenzo e per la sua condizione lavorativa.
I suoi nuovi amici riusciranno a tirarla su di morale? ❤️
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