Capitolo 46
Mi spostai dal marciapiede e andai sulla strada camminando di fianco alle macchine parcheggiate.
I piedi andavano da soli, la testa mi diceva di non voltarmi, il cuore sperava che Lore mi corresse dietro per dirmi che c'era stato un errore, che tutto ciò che avevo sentito non era vero, che poteva aggiustare quello strappo che avevo sentito dentro di me.
Non successe, anzi, il dolore cresceva a ogni mio passo. Sentivo che aumentava a ogni mio respiro.
Volevo essere felice, e anche un po' speciale. Non mi importava quanto potesse fare male. Non pretendevo la felicità assoluta, mi accontentavo di qualche grammo.
Volevo amare con tutta me stessa.
Ma sapevo di essermi illusa.
Avevo scoperto di essere solamente un gioco. Una scommessa.
Sola ero e sola sarei rimasta.
Una macchina mi passò fin troppo vicino e lo specchietto mi sfiorò il braccio. Vacillai ma riuscii a rimanere in piedi.
E cacciai giù le lacrime.
Non dovevo piangere.
Dovevo avere il controllo.
Accelerai il passo e la vista iniziava ad offuscarsi.
Come se l'aria fosse diventata nebbia.
Mi spostai al centro della strada e iniziai a correre lungo il vialone deserto. Corsi più che potei, sempre più forte, fino a quando i miei piedi si intrecciarono e inciampai cadendo sull'asfalto.
Me ne stavo distesa a terra, con il bruciore alle mani, alle ginocchia, al cuore, mentre lottavo contro quel chilo di dolore che mi schiacciava il petto.
Volevo spegnere quel dolore.
Volevo ritornare a vibrare nell'aria.
Libera e leggera.
L'amore era un gioco in cui si poteva perdere e io ero sul lastrico.
Mi voltai supina e fissai il cielo scuro. Il peso al petto mi fondeva con il freddo dell'asfalto.
Iniziai a singhiozzare e piansi fino a desiderare che tutto ciò fosse solo un brutto sogno.
Ma nessuno venne a svegliarmi.
Ero sempre lì, distesa a terra, sull'asfalto, con il sangue che mi colava dalle mani mentre me le passavo sul viso per scacciare le lacrime.
Sentii il rumore di un motore farsi più vicino. Mi paralizzai.
Era arrivato il momento di mettere fine a tutto il dolore che stavo provando.
Allargai le braccia, chiusi gli occhi e attesi la mia fine.
Il rumore del motore si fece più distinto, strinsi le mani, trattenni il fiato e pregai Dio.
Ma il conducente non mi investì, si fermò al mio fianco a pochi centimetri di distanza.
«Viola!»
Aprii gli occhi, voltai la testa e lo riconobbi: era Giulio, seduto sul suo scooter.
«Cristo Santo! Cosa ti è successo? Riesci a muoverti?»
Gli feci cenno di sì con la testa, mentre lui mise il cavalletto al motorino, scese e venne verso di me.
«Se ti fa male da qualche parte, dimmelo» continuò, abbassandosi.
Mi mise una mano dietro al collo e mi tirò su con delicatezza.
Mi sentivo una bambola gonfiabile, sgonfia.
Seduta sull'asfalto lo guardai dritto negli occhi senza dire una parola. Mi prese per le braccia e mi fece alzare. Andò verso lo scooter, alzò la sella e tirò fuori qualcosa. Quando la abbassò notai il kit del pronto soccorso.
«Siediti, per favore.»
Mi appoggiai al sellino del motorino mentre lui mi passava sul viso un batuffolo di cotone intriso di disinfettante.
Lo lasciai fare anche se le ferite erano alle mani. Era così dolce e premuroso. E sentii le lacrime che scendevano una dietro l'altra.
«Non piangere, ti prego.»
Con una mano scacciai le lacrime dal viso.
Notò le ferite sui palmi, mi prese prima una mano, poi l'altra e me li disinfettò.
Era così dolce da farmi scoppiare il cuore.
Perché non era venuto Lorenzo?
Il pensiero alimentava il dolore e la speranza mi avrebbe uccisa.
Quello stronzo non mi aveva nemmeno fatto una chiamata, non mi aveva mandato nessun messaggio, non si era preoccupato di me.
Ma non riuscivo a togliermi dalla testa ciò che avevo scoperto. Per lui ero stata solo una scommessa, un gioco.
Giulio mentre mi metteva i cerotti sulle ferite delle mani, mi chiese: «Hai scoperto la pagina Facebook?»
Gli mostrai un'espressione interrogativa.
«Io non ci sono su Facebook, te l'ho già detto stamattina» dissi, con un filo di voce.
Però ora ero curiosa.
«A quale pagina ti riferisci?»
«Non è una bella pagina, però ti riguarda.»
«Ah, ok. Ho capito. Quella tra me e Moro?»
«No. Un'altra.»
«Un'altra? E come si chiama questa pagina?»
Giulio mi guardò per un attimo e poi disse a denti stretti: «Cagna!»
Con il tempo avevo imparato a ingoiare i colpi bassi altrui, ma mai come in questo momento, quella scoperta mi aveva dato la sensazione di ingoiare della sabbia mista a chiodi.
E gli spilli alla gola si fecero prepotenti.
La scoperta della scommessa di Lorenzo e della pagina Facebook mi avevano annientata.
Giulio mi mostrò le foto che qualcuno aveva fatto a mia insaputa e le aveva messe su Facebook, e lessi alcuni commenti di persone che conoscevo di vista. La maggior parte erano studenti che vedevo da Pepe oppure davanti al liceo. C'era così tanto astio nei miei confronti, così tanta cattiveria in quelle parole. Non era una semplice presa in giro.
Mi avevano marchiata.
Non riuscii a dire una parola, anche una sola imprecazione. Mi ammutolii.
Giulio mi fece salire sul motorino e mi accompagnò a casa.
Guidò tranquillamente per le vie della città mentre gli cingevo la vita con le mani e rimanevo con la guancia appoggiata alla sua spalla. Quando fummo nelle vicinanze di casa mia, alzai la testa e gli dissi: «Svolta a sinistra e poi procedi fino in fondo.»
«So dove abiti» mi rispose, voltando di poco il viso verso di me.
Osservai il piercing che aveva sul labbro e notai un mezzo sorrisetto.
Oltrepassammo il parco giochi e poco dopo arrivammo davanti al condominio anonimo.
«Come fai a sapere dove abito?» chiesi mentre scendevo dallo scooter.
«Io abito in quel condominio là.» e indicò verso sinistra, vicino alla pista di skateboard.
«Non ti ho mai visto» dissi.
Chissà perché non vediamo mai le cose che abbiamo davanti, ce ne accorgiamo solo quando ce le fanno notare, pensai.
«Io invece ti vedo passare con il Ciao quasi ogni giorno.»
Fissai per un attimo i suoi occhi.
Quel blu mi stava assorbendo.
«Se hai voglia di parlare, di dirmi cosa stavi combinando distesa a terra, io ci sono.»
Distolsi lo sguardo.
Non mi andava di dirgli di quanto ero stata stupida a farmi prendere in giro da Lorenzo.
«Oppure mi trovi allo skatepark» insistette.
«Grazie per avermi dato un passaggio» dissi e andai verso l'entrata del condominio.
Sentii l'accensione dello scooter, mi voltai e osservai Giulio che si allontanava verso casa sua.
Spazio autrice:
Ehilà, Wattpadiani, come state?
Lo so, Viola sta soffrendo molto, ma Giulio è dolcissimo, siete d'accordo con me? ❤️
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