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Capitolo 34

Mentre percorrevo la città già da un pezzo pensavo a quanto distanti abitassimo io e Lore e a cosa avrei dato per avere il Ciao.
Ero stanca morta.

Pensai di chiamarlo per scusarmi e magari farmi venire a prendere.
Iniziava a fare un freddo becco.
Cercai in tutte le tasche del giubbotto, nei jeans, ma niente, il telefono non c'era.

Arrivai in Piazza della Vittoria e come al solito era piena di studenti. Tutti indaffarati a parlare, bere, fumare, a socializzare.
E io avevo un unico desiderio.
Andare a casa e farmi una doccia bollente.

Sotto i portici, notai Federica, una delle cretine. E ci restai secca.
Insieme a lei c'era Carlo.
Se ne stavano seduti su una panchina di vimini vicino a un tavolino a sorseggiare qualcosa.
Ma che diavolo stava succedendo?
Quella ragazza che fino a ieri rideva di noi ora se ne stava insieme al mio migliore amico?
Ero scioccata, paralizzata, incredula.
Non riuscivo a farmene una ragione.

Me ne stavo dall'altra parte della piazza e iniziai a fissarli pesantemente.
E quando Carlo si accorse di me, abbassò gli occhi. Ma io continuai a fissarlo, pensando che potevo accettare tutto ma non quella visione. Federica era la persona più infida che avessi mai conosciuto, e Carlo lo sapeva meglio di me. Lui la frequentava a scuola e quasi ogni giorno mi raccontava di quanto fosse cattiva. E di quante volte diceva alle altre cretine quanto fossimo sfigati, io, lui, Ciccio e tutti quelli che ci parlavano, solo perché non eravamo come lei e il suo gruppetto alla moda.
Quante volte passandole accanto le ho sentito dire a denti stretti: «Questa è proprio una sfigata. Ma guardate come si veste? Che pezzente.» e via discorrendo.
E quando mi fermavo, usando un tono di voce tra l'incredulo e l'incazzato le chiedevo: «Che cos'hai detto?» quella non rispondeva. Si nascondeva dietro a uno dei suoi sorrisini finti e costruiti, andando avanti a parlare con le sue amiche come se non esistessi.

Credo che una persona possa cambiare punto di vista, atteggiamento, ma se sotto la pelle ha del marcio, presto o tardi ritorna a galla.

Non riuscivo a sopportare quella visione e me andai di fretta scrollando la testa.
Percorsi tutto il corso, fino ad arrivare in Piazza della Minerva, proseguii per tutta la via, svoltai a destra e finalmente arrivai a casa. Troppe emozioni in un solo giorno potevano uccidermi. E il fiatone che avevo era un chiaro sintomo della mia imminente fine.

Entrai in casa, non salutai nessuno e mi diressi in bagno.
Affogai tutte le mie sensazioni sotto il getto d'acqua calda della doccia.

M'infilai la tuta e uscii dallo sgabuzzino.
La mia famiglia era già a tavola. Io presi posto vicino a Sofia e non dissi una parola.

In quella giornata avevo provato un sacco di emozioni e desideravo avere qualcuno con cui potermi sfogare. Ma in quella casa non c'era nessuno di cui potersi fidare.
Avrei potuto sussurrarlo all'orecchio di Sofia, solo per condividere con lei una parte della mia esperienza, ma ero cosciente del fatto che era una bambina di soli tre anni.
Avrei potuto farlo con Francesca, ma non mi fidavo nemmeno di lei. L'avrebbe detto a Giovanni e chissà che cosa sarebbe potuto venire fuori. Soffocai l'impulso.

«Hai ancora un bel segno sul viso» esordì mia madre. «Dopo cena ti metti la pomata alle erbe che avevo tirato fuori stamattina, prima che te ne andassi di casa» disse, con un tono quasi scocciato. «A proposito. Dov'è che sei stata oggi?» aggiunse.
«Dal nonno» risposi, deglutendo con fatica la pastina.
Io la odiavo quella brodaglia.
La scusa del nonno era una buona copertura. Tanto nessuno di loro sarebbe andato da lui a chiedergli se fosse vero che avevo passato la giornata a casa sua.

«Come sta?» s'intromise mio padre.
«Meglio di me, sicuro.»
E poi se ti interessa davvero potresti mettere da parte quel fottuto orgoglio e andargli a chiedere scusa, qualunque cosa tu gli abbia fatto, pensai.
«E tu come stai?» chiese Giovanni.

Ma cos'avevano stasera gli svitati?
E cos'era questo terzo grado?
Mi stavano innervosendo.
«Sto meglio» dissi, anche se avrei voluto urlare che stavo da Dio.
Che oggi, la loro piccola bambina aveva perso la verginità, e le era piaciuto da morire.

E che stavo di merda per aver visto Carlo insieme alla cretina.

«Ma non ho cambiato idea. Voglio ancora denunciare quello stronzo di Moro» conclusi, anticipando i loro pensieri.
«Fa come ti pare» sostenne mio fratello.
Lo guardai dritto negli occhi. Era sincero.

Avevo una fame incredibile.
La giornata con Lore e la camminata di molti chilometri mi aveva messo appetito e mangiai persino il bollito.
Tutte cose che mi facevano schifo ma quello passava il convento, così mi riempii il piatto di carne e patate, e ingurgitai tutto, senza fiatare.

Quando finii, mi alzai e andai verso il divano e vidi sul tavolino il mio cellulare.
«Com'è possibile!» esclamai tra me e me.
«Quando eri in bagno è passato Lorenzo. Ha detto che l'hai dimenticato a casa sua» disse Giovanni, usando quella solita voce da presa in giro e aggiunse: «Dal nonno, eh?»
Mi sentii il viso in fiamme.
Presi il telefono e corsi verso lo sgabuzzino.
Ecco, il motivo di tutte quelle domande.
Loro sapevano dov'ero stata, mi avevano soltanto messo alla prova. Mica gli interessava veramente sapere come stavo.

Mi buttai sul letto e accesi il telefono.
Avevo diverse chiamate da parte di Lore e alcuni messaggi su Whatsapp:
-Dove sei andata? E soprattutto, come cavolo hai fatto a scendere dal balcone? Non farlo mai più, testona! Ps: me l'ha detto mia mamma.
Sorrisi e pensai che avrei dovuto spiegargli una volta per tutte il motivo della mia fuga.
-Lo sai che oggi mi hai fatto stare da Dio?-seguito da un sacco di emoticon con gli occhi a cuoricino.
-Viola, ascoltami bene, sei la cosa più bella che mi sia capitata (lo so, te l'ho già detto, e non mi stuferò mai di dirtelo, a costo di diventare petulante) ma è colpa tua, mi hai stregato. Sei unica e speciale. Non devi fuggire ogni volta che ti si presenta un problema. Non sei sola, ci sono io con te. In questo momento mi piace pensarti sdraiata sul letto. Quindi ti chiedo di seguire le mie istruzioni. Prendi le cuffiette, attaccale al telefono, chiudi gli occhi e ascolta la canzone che ti ho inviato. Esprime tutto ciò che vorrei dirti.

Presi le cuffiette e le infilai nelle orecchie.
E La musica non c'è di Coez mi rapì.
Fui invasa da un sacco di emozioni e piansi. Quella canzone era carica d'amore.

Inviai un messaggio a Lore:
-La canzone è stupenda ma tu di più.
Alcuni secondi di attesa e arrivò la risposta:
-Tu sei stupenda.
-Grazie per avermi riportato il telefono e scusa se sono fuggita. Ho avuto paura.
-Capisco che la situazione ti abbia messo in apprensione ma sono sicuro che se mio padre ti conoscesse gli piaceresti all'istante.
-Devo dirti una cosa. Mi prometti che non ti arrabbi?
-Perché dovrei?
-Promettimelo.
-Ok, te lo prometto.
-Mi conosce già. Mi ha appena assunta nella sua azienda.
-Davvero?
-Sì.
-Perché non me lo hai detto subito?
-Perché avevo paura.
-E quindi hai pensato bene di scappare.
-Sei arrabbiato?
-No.
-Mi vuoi ancora?
-Sì, certo che sì. Chissenefrega di mio padre. Non cambia nulla anche se lavori per lui.

Fissai la sua risposta sorridendo mentre lui mi scrisse: -Scendi un attimo, per favore?
Mi alzai di scatto con la schiena dal letto e fissai il cellulare e d'impulso gli scrissi:
-Dove sei?
-Sono giù, davanti a casa tua. Scendi!

Mi misi le scarpe e uscii di corsa dallo sgabuzzino.
I miei se ne stavano sul divano a guardare la televisione.
Presi il giubbotto e mentre lo infilavo sentii la voce di mia madre: «Dove stai andando?»

Cazzo, questa si è svegliata tutto d'un colpo? Non potevi continuare a ignorarmi come hai sempre fatto? pensai, mentre cercavo una buona scusa.
«Non ricordo se ho messo il telone sul motorino.»
«Ma non l'hai mai fatto. E poi dove lo trovi il telone?»
«In garage!» esclamai, aprendo la porta e correndo giù per le scale.

Quando arrivai fuori, notai Lore seduto in macchina. Si voltò e sorrise.
Aprii la portiera e mi buttai tra le sue braccia. Ero così contenta che fosse venuto qui e mi avesse fatto questa sorpresa.
Lo baciai.
Sorrisi.
Lo fissai.
Gli accarezzai il viso.
Dovevo appurare che tutto fosse vero.
«Ti amo!» dissi e lo abbracciai.
E avrei desiderato restarci per sempre in quella stretta amorevole.

Spazio autrice:
Ehilà, Wattpadiani, come state?
Anche voi, a volte, non dite le cose per paura di una reazione da parte di qualcuno? ❤️

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