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Capitolo 2

Mi venne la fantastica idea di passare per la campagna. In questo modo avrei evitato il traffico della città, credendo che ci avrei messo meno tempo. Non fu così.

In sella al motorino imboccai quell'insidiosa stradina. Il mio Ciao stava dando il meglio di sé, sfiorò i quaranta chilometri all'ora. Era in perfetta forma. Le buche che incontravo erano voragini profonde, a dismisura, riempite dall'acquazzone precedente, e a vedermi da dietro doveva sembrare che stessi assumendo un'andatura da rider, stile Shaun White.

La stoffa della snowboarder non mi mancava. Agile sul mio motorino, imitavo le movenze di quel campione. Voltavo il manubrio del Ciao prima a destra, poi a sinistra. Destra e sinistra.

In aggiunta, la strada sterrata faceva vibrare il motorino, tanto da dover tenere in tensione le braccia. E tutto il mio corpo sobbalzava. Compresa la colazione appena ingerita.
Mandai giù un groppo acido e continuai in quella dannata gimcana.

In lontananza notai un passaggio a livello con le sbarre che si stavano abbassando.
L'unico passaggio a livello ancora in uso di quella stradina dimenticata persino da Dio l'avevo beccato io.
Che culo!

Accelerai nella speranza di riuscire a oltrepassare l'ostacolo, cosciente del fatto di essere in sella su un Ciao datato e non su un Harley Davidson. Tuttavia, ero talmente presa da quella sfida che mi accorsi di essere a pochi metri dalle sbarre abbassate un po' troppo in ritardo.

Arrestai bruscamente la corsa, sgommai con la ruota posteriore e cercai di evitare la caduta nel fosso. Feci in tempo ad appoggiare il piede sinistro a terra, mollare il manubrio del motorino che si mise a sbandare e con un balzo scendere, restando in piedi.

Osservai incredula il motorino, che cadde sulla terra umida, coricandosi di lato.
Sembrava un corpo morto, sfinito. Mi venne quasi da piangere.

Mi abbassai, appoggiai una mano sulla manopola e tirai su di peso il Ciao ormai spento. C'era qualcosa che non andava, in me. Un tremolio mi percorse. Sudavo freddo. Il cuore iniziò a battere troppo forte e la salivazione si era azzerata.

Mollai nuovamente a terra il Ciao, mi voltai verso  la parte sinistra dell'argine di quella campagna sperduta e vomitai un liquido giallastro. Quel che restava del tè.
Terminai con dei conati a vuoto. Solo rumore. La bile acida stava facendo a pugni con lo stomaco vuoto, ribaltato dalle vibrazioni e dagli scossoni di quella stradina.

Mi levai dalle spalle la sacca di tela e rovistai alla ricerca di un fazzoletto. Mi pulii la bocca. Stavo di merda. Mi girava anche la testa. Desideravo coricarmi. L'ipocondria stava avendo la meglio e quindi avrei dovuto distrarmi. Subito.

Osservai quel pezzo di campagna.
Il nulla era fatto di molti colori. Il verde e il marrone dei campi gareggiavano con il grigio degli stabilimenti industriali. Lo stesso colore invernale della nebbia.

Mi concentrai sulla respirazione e feci dei piccoli passi avanti e indietro. Mi stavo cullando. Alzai la testa al cielo. Il sole era incerto. Nascosto dalle nuvole, usciva e si ritirava, splendeva e si oscurava.
Come dargli torto? Per quale motivo illuminare quel pezzo di terra dimenticato persino dal suo Creatore?
Peccato, perché la campagna mi rigenerava. Sprigionava tutta la sua bellezza rendendomi viva, serena, in pace con me stessa.
La mia patetica paura svanì, portandosi con sé quell'inutile ipocondria.

Tirai fuori dalla sacca la bottiglietta dell'acqua e mi sciacquai la bocca diverse volte. Dopo aver finito di sputare mi guardai intorno.

Ero in mezzo al nulla, il motorino coricato a terra, un airone vicino al bordo del fosso dalla parte opposta che mi fissava, il gracidio delle rane in sottofondo e io a decidermi se passare sotto la sbarra del passaggio a livello e correre all'appuntamento oppure no. Ero tentata e controllai da entrambe le parti, solo che non ero sicura di oltrepassare.

Mi venne in mente di quella volta che un agricoltore mentre tornava a casa con la bicicletta non si accorse dell'arrivo del treno e venne investito.
Non ho mai scoperto se fosse una leggenda oppure la verità.

E visto che ero sveglia da poco più di mezz'ora ed ero già stufa, non me la sentivo di invitare la sfiga e dirle: "Ehi, eccomi qui! Fai di me ciò che vuoi." No, non me la sentivo proprio, preferivo ritardare.
Cos'altro poteva capitare?

Sentii uno strano movimento sulla scarpa da ginnastica. Per un millesimo di secondo tutto si fermò. Soltanto la radura si fece più grande, infinita. Come se stessi osservando un film e il regista allargasse l'immagine lentamente.
Il vento lieve smise di soffiare. Le rane non gracidavano più. L'airone assunse una posa statuaria. Un silenzio desertico annunciava l'apocalisse.
Solo una cosa sentivo molto bene. Il battito del mio cuore che mi martellava il petto.

Non avevo nessuna intenzione di guardare per terra. Non era vero. Non stava succedendo sul serio. Era una dannata allucinazione.
Eppure quel movimento lento lo sentivo, eccome se lo sentivo.

Mi feci coraggio e guardando verso il basso mi ritrovai a fissare il corpo viscido di uno smeraldo, strisciante e per nulla preoccupato della mia presenza e subito dopo aver collegato il cervello con la realtà, lo scalciai il più lontano possibile dal mio piede, urlando come una pazza isterica. Quello, come se niente fosse, strisciò nel fosso e tanti cari saluti, lasciandomi una sensazione di ribrezzo.

Mi misi a fare una specie di tarantella, saltando da una parte all'altra.
I serpenti, insieme ai ragni e ai topi, sono gli esseri viventi più schifosi della terra.

Desideravo scappare da quel pezzo di campagna. Mi innervosiva.
La campagna faceva semplicemente schifo.

Smisi di saltare, tirai su il motorino, misi il cavalletto e mi sedetti sulla sella appoggiando i piedi sulle forcelle attaccate al manubrio.

L'attesa mi fece riflettere. Stavo seriamente pensando di scappare altrove. Non era la prima volta. Sarei sparita nel nulla e nessuno si sarebbe preoccupato della mia assenza. O molto probabilmente sarei stata io quella che non avrebbe sentito la mancanza di nessuno. Tranne la mia cara sorellina Sofia. L'unica persona sana di mente della mia famiglia.
Ma dovevo attendere la maggiore età. Un anno sarebbe passato in fretta. Speravo di uscirne illesa.

Per cui decisi di andare all'appuntamento che mi era stato imposto da mio padre.

Quella sottospecie di treno, composto da due carrozze piccole, vecchie, sbiadite, sfrecciò a passo di lumaca. Se avessi fatto a gara con il mio mezzo l'avrei stracciato.

Il macchinista, esaltato dalla visione di un essere umano in mezzo a quella campagna desolata, fece fischiare il locomotore morto da decenni. Scattai dallo spavento nel sentire il fischio del treno e alzando un braccio lo mandai al diavolo. Ovviamente lui lo scambiò per un saluto e ricambiò, facendomi sentire ancora una volta quel fischio assordante.

Scossi la testa e mi preparai per la partenza. Accesi il motorino e all'alzarsi delle sbarre sfrecciai dritta fino ad arrivare allo stabilimento della riseria.
Cosciente del fatto di essere dannatamente in ritardo e per niente preoccupata.

Spazio autrice:
Ehila, Wattpadiani,
secondo voi, Viola è più una nerd o è solo una che attira sfighe?

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