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Capitolo 26: Verdiana, ti presento Josè

<<Verdiana, ti presento José. José, lei è Verdiana.>>
José si solleva sui gomiti, bagnato fradicio.
<<Pa'! Ma che cazzo fai!...>>
<<Ehi, figliolo! Modera il linguaggio. Non sei nella posizione di protestare. In alcun modo. Né di commentare. Né di re-spi-ra-re senza il mio consenso. Non dopo l'ultimo anno di liceo. Su, da bravo, stringi la mano alla mia amica.>>
Faccio un passo indietro, imbarazzata. Guardo verso Spartaco, e lui è fermo e tranquillo come sempre.
José allunga un braccio verso di me. Ci diamo la mano, e mentre le dita si sfiorano, i nostri sguardi si incrociano per la seconda volta.
Ha gli stessi occhi blu del padre. I lineamenti del viso sono fini, delicati. Ma la sua espressione è cupa.
<<Avanti, giù dalla branda. È pieno giorno, José.>>
Lui lascia la mia mano ma non i miei occhi. Vi si sofferma un attimo più del normale. E mi rendo conto che nonostante non siamo soli, per me è come se lo fossimo.
Provo qualcosa che non riesco a definire. Mi spaventa.
<<Avanti, avanti! Va' a farti una doccia. Sento la puzza della birra da qui!>>
<<Uh>> protesta lui, lasciando la mia mano.
Scende dal letto, ancora poco in equilibrio.
<<Pa', ma... che cosa sta succedendo? Che cosa significa?>> chiede, guardando ancora una volta verso di me.
<<Dopo. Ora, a lavarti. E non farmelo ripetere.>>
José scuote il capo ma obbedisce. Esce dalla stanza, lasciandoci soli. Pochi istanti dopo, sentiamo il rumore dell'acqua proveniente dalla doccia.
<<Ecco. Hai visto che elemento?>>
<<Beh, se non altro, la sua stanza non è in disordine. E... tuo figlio è un gran lettore>> commento, tornando accanto alla libreria.
<<Sì. Libri e calcio. Le sue due passioni. Tifa per il Real Madrid, figurati. Quando Cristiano Ronaldo è passato ai gobbi, è stato intrattabile per giorni.>>
Scuote la testa, schifato.
<<Tifoso della Fiorentina?>> gli domando. Conosco bene la rivalità tra Fiorentina e "i gobbi" della Juventus, perché mio padre è un gran sostenitore della squadra di Torino.
<<Puoi dirlo forte. E i bianconeri hanno su di me lo stesso effetto che il rosso ha sui tori. Non so se mi spiego.>>
Sorrido.
<<Beh, allora non potrò presentarti papà.>>
<<Non mi dirai che lui è uno di loro?>>
Annuisco, e intanto il rumore dell'acqua che viene dal bagno si interrompe.
Pochi secondi dopo, José ricompare in camera. È a torso nudo, un asciugamano avvolto intorno alla vita.
<<Allora, pensate di lasciarmi un po' di privacy o avete deciso di piantare le tende nella mia stanza?>>
Spartaco gli tira una sberla dietro la nuca, in modo amichevole. E tuttavia sento lo schiocco delle sue enormi dita sul cranio del figlio.
<<Hai cinque minuti. Ti aspettiamo giù.>>
<<Ma...>>
<<Niente "Ma". E i minuti sono quasi quattro. Sai che non amo ripetermi. E aspettare.>>
<<D'accordo, d'accordo. Arrivo.>>
<<Bravo, ragazzo.>>
Spartaco gli sorride, poi lasciamo la stanza. Prima di uscire, mi volto un istante verso José. Una frazione di secondo, che mi basta per notare che anche lui mi sta guardando.
Una volta sotto, raggiungiamo la Panda. Spartaco si appoggia al motore, ed io faccio lo stesso.
Il sole adesso è più alto e la giornata magnifica. Il mare è una tavola piatta e immobile.
<<Spartaco... tuo figlio...>>
Scuoto la testa, osservando la spiaggia in lontananza davanti a noi.
<<Io... non ho mai dato ripetizioni di latino, né di altro... a nessuno. Non saprei nemmeno da dove partire.>>
<<Ce la farai. Troverai un modo.>>
<<Non è così semplice come...>>
<<E sarà il modo giusto, Verdiana. Io lo so.>>
Lo dice guardandomi. No, non soltanto guardandomi. Inchiodandomi. Mi rendo conto che si fida di me, e non riesco a comprenderne le ragioni. Non...
<<Ti stai domandando per quale motivo abbia scelto te, lo so.>>
<<Come fai a saperlo?>>
<<Perché altrimenti dovrei cercare un altro lavoro. Ma, Verdiana...>>
Si avvicina di un passo. Mi prende le mani e le stringe nelle sue, in un gesto che mai e poi mai avrei potuto aspettarmi.
<<Mio figlio è tutto ciò che rimane della mia vita. Tutto ciò che conta, anche se forse non puoi ancora capire che cosa stia cercando di dire. Perché sei troppo giovane. Ma ti assicuro che è così. Il lavoro è un diversivo. Estrella un ricordo. Il resto... è accessorio. Ma José...>>
Sposta gli occhi verso la linea azzurra alla nostra sinistra, ma non lascia la presa dalle mie mani.
<<José è una mia responsabilità. E ti assicuro che ho trovato più maturità e umanità in te che non in tanti insegnanti di liceo. Forse non lo diresti, ma sono un padre che si presenta ai colloqui.>>
Mi viene da sorridere. È lo stesso uomo che ha fracassato le dita dei miei aggressori a martellate, penso.
<<Beh, Spartaco, io...>>
<<Shhh. Sta arrivando. E non abbiamo altro da aggiungere. Ah, ti pagherò sessanta euro l'ora. Può andare?>>
<<Eh?>> domando, incredula.
Lui sorride.
<<Insomma, non crederai che avere a che fare con il ragazzo sarà una passeggiata, vero?>>
Non faccio in tempo a rispondere perché José è già davanti a noi.
Indossa una maglietta bianca, un paio di pantaloncini neri e ciabatte infradito ai piedi.
<<Benzema, eh?>> dice Spartaco, senza che io capisca.
Poi indica con un cenno del capo il nome scritto sul retro della maglietta del figlio.
<<Non gioca neanche più al Real>> commenta, allargando le braccia.
<<Lui è la leggenda delle leggende>> lo zittisce José.
<<Andiamo, facciamo colazione>>risponde suo padre, arrendendosi.

Ci sediamo a un tavolino di un bar poco distante, all'aperto, davanti al mare.
<<Verdiana ti darà una mano con il latino, José.>>
Lo guardo e lui strabuzza gli occhi.
<<Che cosa?>>
<<Hai sentito. La tua media del tre dovrà cambiare, il prossimo anno. Abbiamo un'estate a disposizione, nei tempi decisi da Verdiana, naturalmente.>>
<<Si può sapere chi sarebbe questa Verdiana? E da dove diavolo è saltata fuori?>>
Socchiudo le labbra, ma non faccio in tempo a dire nulla. Spartaco fa partire una manata sul collo del ragazzo. E non in modo amichevole, questa volta. Soltanto a sentire il rumore dell'impatto, mi sembra di provare dolore.
<<Ragazzo! Guardami e ascoltami, perché non intendo ripetermi, d'accordo?>>
José si tocca il collo con un'espressione di dolore, ma non risponde.
<<Rispondi, José!>>
<<D'... d'accordo.>>
<<Per prima cosa chiedi scusa a Verdiana.>>
<<Non importa>> mi intrometto, ma lui alza un dito mettendomi a tacere.
<<Va bene, va bene. Scusa, Verdiana.>>
<<Ottimo>> commenta, liberandosi in un solo morso della seconda brioche alla crema. <<José, in una circostanza differente avrei parlato con te faccia a faccia. Ma non posso farlo. Voglio che lei sia presente.>>
<<Ma perché?>>
<<Perché voglio che tu possa vergognarti.>>
<<Senti, non mi importa nulla della scuola.>>
<<Non mi riferisco alla scuola>> grida Spartaco, e un paio di signore appena arrivate accanto a noi si voltano a guardarci.

<<Parlo di ieri notte. Di come ti sei ridotto. Non deve più succedere. Mi sono spiegato?>>
<<Io...>>
<<Mi sono spiegato?>>
José fissa suo padre. Poi, si gira verso di me.
Arrossisco, lo so. Arrossisco.
Ma a lui capita la stessa cosa.
Abbassa la testa, in silenzio. Fissa il cappuccino, che non ha nemmeno toccato.
Spartaco gli si avvicina, sporgendosi in avanti. Poi, abbassa il tono della voce fino a trasformare le parole in sussurri che fatico a comprendere.
<<Verdiana ti darà una mano con il latino. Mi aspetto che il prossimo anno tu arrivi ad una media del sette. Non di meno, non di più. Sette, José.>>
Lui non risponde.
<<Sette in latino, e sarai promosso. La vostra classe è in mano alla professoressa Meridiani. Dimostrale che hai imparato la lezione, e te la caverai.>>
Una pausa, durante la quale manda giù il caffè.
<<L'alternativa, José, è mollare la scuola e andare a lavorare.>> Si interrompe, scuote la testa, solleva le spalle. <<In una fabbrica, magari. Dieci ore al giorno. Su turni alternati. Significa anche di notte. E bada bene, non ci sarebbe nulla di male. Impareresti qualcosa sulla vita vera. Ma...>>
José torna a sollevare lo sguardo.
<<Ma>> conclude Spartaco, <<ciò che voglio farti capire è che in questo momento hai un'alternativa. E sai qual è la cosa che mi fa incazzare di più? Che a quanto pare scrivi dei bei temi, figliolo.>>
José socchiude le labbra. Vedo una lacrima rigargli il viso.
Spartaco si alza, gli si avvicina.
<<Tirati su. Avanti, Benzema, avanti. Fatti abbracciare.>>
Lo stringe a sé, e José lo lascia fare.
Poi, non riesce a trattenere il pianto. Spartaco gli preme la nuca contro il torace, con la sua mano enorme, come se suo figlio fosse ancora un bambino. E mi rendo conto che è proprio di quel gesto che José aveva bisogno.
<<Vai, adesso. Lavati la faccia. Devo scambiare ancora un paio di parole con la nostra amica Verdiana.>>
José si asciuga le lacrime con il dorso della mano e si alza, diretto verso il bagno.
<<Dovevo farlo, Verdiana. E dovevo farlo davanti a te.>>
<<Lo so. L'ho capito.>>
Annuisce. Afferra l'ultima brioche rimasta, e in un boccone fa sparire anche quella.
<<L'arroganza è una brutta bestia. E lui un bravo ragazzo. Ma la testa>> dice, toccandosi la fronte con l'indice, <<è tutto. Ho dovuto farlo davanti a te. Gli servirà.>>
Annuisco, alzandomi.
<<Devo andare. Dì a tuo figlio che ci possiamo vedere domani mattina. Alla libreria di mio padre.>>
<<Va bene. Ti passo a prendere alle quattro, oggi pomeriggio. Carlo Imperatore ci aspetta.>>
Rimane in silenzio per un momento, esitando.
<<Sempre che tu te la senta ancora.>>
<<Me la sento>> rispondo. <<Me la sento.>>

***
Il suo treno arriva a destinazione più o meno nello stesso momento in cui Verdiana e Spartaco si apprestano a suonare il campanello sulla porta di Carlo Imperatore.
La prima cosa che nota, scendendo dal vagone, è che la stazione è cambiata rispetto a come la ricordava.
Certo, sono trascorsi quindici anni dall'ultima volta che ci è stato.
Però, non appena supera il binario e si trova sotto la grande galleria, la memoria lo travolge come l'onda mortale di un mare in burrasca.
Un grande negozio di abbigliamento ha sostituito il loro bar.
Com'è potuto accadere?
Anche il Mc Donald è scomparso.
E le cabine telefoniche.
Oh, le cabine telefoniche.
Quante telefonate fino a lei, da lì.
Quanti gettoni.
Din. Din. Din.
Può ancora sentire il rumore che fanno. E gli squilli del telefono.
E poi, la sua voce.
Oh, la sua voce.

Rimane immobile per un lungo momento, in mezzo alla folla di gente che passa e che non si accorge di lui, del suo cappellino e dei suoi baffi finti.
Nessuno sa che è tornato.
Ma presto lo sapranno.
Quante ragazze, pensa.
Quanta scelta.
Sente l'eccitazione salire a dismisura, domandandosi come potrà essere trovarsi al centro della ricostruzione proprio qui, nella città in cui tutto è iniziato.
Una ragazza bionda, alta, carina e troppo distratta gli urta la spalla.
Lui alza gli occhi verso di lei, la guarda.
E subito lei gli sorride.

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