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Capitolo XXXII

La pioggia era caduta leggera per tutto il giorno e in serata i lampi avevano cominciato a brillare con ritmo crescente. Louise represse un brivido, mentre osservava quello spettacolo della natura, tanto affascinante quanto pericoloso, da una finestra della villa di Elisa e Frank. Era stata costretta a presenziare a una festa che il cognato e sua moglie avevano dato. Era stanchissima, da un paio di giorni sembrava aver perso tutte le energie, precisamente da quando Fabrice era partito per l'Ohio per accompagnare la ragazzina, a cui teneva tanto, e la madre a fare un provino per l'ammissione a un college musicale. Si sentiva apatica e irritabile.

Si staccò dalla grande vetrata e si appoggiò a una colonna dell'imponente sala gremita di ospiti. Mentre si guardava intorno annoiata notò una ragazza che non le toglieva gli occhi di dosso. Riavvolgendo come un nastro tutte le immagini che aveva fissato nella memoria da quando era arrivata alla festa, Louise si rese conto che la biondina l'aveva guardata sempre con la stessa intensità, fin dal momento in cui era arrivata. All'inizio attribuì quel comportamento a una normale curiosità, ma l'insistenza andava ben oltre. Immaginò che forse la ragazza prestava troppa attenzione alle chiacchiere che si facevano su di lei, promiscua e pronta per ogni avventura. In ogni modo non le piaceva sentirsi osservata o assillata, né dagli uomini, né dalle donne.

Prese dal vassoio del cameriere che passava tra gli ospiti un bicchiere, e cominciò a berlo con la stessa intensità con cui una persona che avesse ingerito un veleno trangugerebbe un antidoto. Cominciava a sentirsi a disagio e l'improvvisa apparizione di Paul al suo fianco non fece che acuire la sensazione. Era da più di un mese che non si vedevano, pur abitando nella stessa casa, in cui il consorte ormai non tornava neanche a dormire. Dal viso contratto in una smorfia cinica, Louise poté desumere che suo marito stava attraversando un brutto periodo. La lontananza di Arturo non gli aveva giovato granché.

«È bella, vero?» chiese, indicando con il mento la ragazza bionda, con quella falsa confidenza che lei odiava tanto.
«Credi?» Louise cercò Elisa con lo sguardo, aveva bisogno di un'amica, una vera, ma la cognata correva dietro ogni ospite in vena di convenevoli.
In effetti la ragazza era proprio bella, il classico tipo che piaceva a tutti. Giovane - non dimostrava vent'anni -, aveva un'aria angelica con tutti quei riccioli biondi, gli occhi azzurri, la faccina di porcellana e la boccuccia di rosa. Sembrava appena uscita da una favola, le mancava solo il cappuccio rosso e la coroncina.

«Ti ha messo gli occhi addosso da quando siamo arrivati.»
«Non me ne sono accorta», mentì Louise, sempre più seccata nei confronti di Paul. Cos'era quella inutile e falsa conversazione? Se si fosse trattato di un uomo l'avrebbe quasi capito, ma a lui le donne non interessavano neanche.

«Bisogna essere davvero ciechi!» replicò.
«Cos'è hai cambiato gusti?»
«Non sono mica interessato. E poi lei pare decisamente colpita da te.»
«Non posso dire altrettanto.»
«Non vedo perché. È davvero carina.»

«Ma cosa ti prende, Paul?»
Lui parve confuso dall'irritazione nella voce della moglie. Scosse la testa. «Scusa... devo aver bevuto troppo.»
Lei lo guardò preoccupata. «Cosa ti tormenta?»
«Dovrei andare a Chicago... Sto impazzendo.»
Louise sospirò. «Non posso dirti io cosa fare, Paul. Non ha mai funzionato così tra di noi.» Gli passò una mano sulla schiena in una carezza consolatoria, prima di allontanarsi.

Paul bevve dal bicchiere che aveva in mano, l'ennesimo della serata, mentre guardava Louise andare via. Si chiese per la milionesima volta perché non poteva innamorarsi di sua moglie. Finì il contenuto del bicchiere. I contorni sfumati delle cose, la percezione alterata al punto che le macchie di polvere che normalmente non si riescono a vedere si amplificano e diventano brillanti e solidi puntini di luce. Sinestesia: si ascoltano i colori e si vede la musica. Il tempo si allunga all'infinito e, a discrezione, si abbrevia. A volte i secondi sono ore, ma le ore possono essere secondi. Riveste di lusso miracoloso gli anfratti più sordidi. E il corpo sembra molto più leggero, solo la testa pesa, narcotizzata. Dormono i pensieri, crisalidi funebri, finalmente. Intravedere immagini, trovare crocevia di idee, sfiorare tutto senza quasi sentirlo... Una dolce sensazione di felicità prestata. Non essere chi si è ma chi si sogna di essere. È così gradevole, familiare, agognata, la sensazione di ubriachezza... È facile sopportare l'insopportabile, la calca di gente, gli occhi indagatori e il peso dei tanti sguardi e di tante lingue che si abbattono su di te, è facile fingere di non essere dove si è, come in una specie di illusione traslata.

Paul aveva cominciato a bere presto, quando aveva capito che non avrebbe mai potuto essere se stesso, era stato sempre attento a non esagerare, altrimenti c'era il rischio che la maschera che si era abituato a portare cadesse. Negli ultimi tempi però non riusciva a controllarsi, da quando aveva dato un calcio in culo al suo amore, passava tutte le sere a ubriacarsi, a cercare il torpore dei sensi, una fuga da qualcosa che non riusciva a gestire.
Aveva provato a riaprire i battenti dello 'scannatoio', l'appartamento in cui portava le sue conquiste, senza alcun risultato. Il sesso senza Joseph non era granché. Si era dunque rassegnato a diventare un alcolista di primo grado.

«Non credi di star bevendo un po' troppo?», la voce di sua madre lo scosse dallo stato di torpore in cui era caduto. Carmela, elegantissima nel suo vestito rigorosamente nero (dopo nove anni si ostinava a portare il lutto per quel marito che non aveva mai amato ma che era stato utilissimo per la sua ascesa), lo guardò preoccupata e inquisitoria. Possibile che il figlio su cui aveva riposto tante speranze si stesse sempre più trasformando in un beone come suo padre, il nonno di Paul? Cercò tra la folla Louise. La colpa era di certo sua, di quella donna incapace di fare il suo dovere, di dare dei figli al marito; e ora Paul affogava la delusione nell'alcool. Non lo avrebbe permesso! C'era sempre la possibilità di fare annullare il matrimonio. Ne aveva parlato con il suo confessore, che le aveva spiegato solerte ogni mossa da fare. Una nuova moglie, in grado di fare figli, sarebbe stata la soluzione. Doveva solo convincere Paul. Se Arturo fosse stato lì, avrebbe reso tutto più facile. Ma una serie di grane lavorative lo tenevano incastrato a New York. Al suo ritorno avrebbero affrontato la situazione di petto, intanto lei si sarebbe lavorata Paul.

«Forse ho trovato la soluzione a tutto» disse con tono cospiratorio. Il figlio la guardò come se avesse parlato in una lingua che non conosceva, poi un barlume di lucidità si fece strada nella sua testa. «Sì, devo andare a Chicago.»

Louise aveva lasciato Paul con una spiacevole sensazione nel petto. Si sentiva in colpa per non essere mai riuscita a instaurare con lui un vero rapporto di amicizia. Era stata dura però accettare i rifiuti e la freddezza del consorte, soprattutto i primi anni di matrimonio. Dall'indifferenza di un padre era passata a quella di un marito. Non aveva voluto ripetere gli errori fatti con il genitore, perciò si era tenuta lontana da Paul sotto ogni punto di vista.

Con la coda dell'occhio vide la ragazza bionda alzare il bicchiere che teneva in mano e sorriderle. Automaticamente le fece un cenno del capo. L'altra prese coraggio e in un baleno le fu accanto. «Ciao, sono Amanda.»
«Louise.»
«Sì, lo so» disse la bionda. «Ti ho vista al Louisiana con Fabrice.»
Louise sussultò e si ricordò all'improvviso dove l'aveva vista.
«Anche io conosco molto bene Fabrice.» Il tono allusivo con cui pronunciò la frase le provocò un moto di nausea. «Non conosco nessun Fabrice. Ora se vuoi scusarmi...»

Il senso di nausea aveva raggiunto proporzioni spaventose. Non riusciva a capire il perché di quel senso di vertigine nera che girava intorno al senso di vuoto che sentiva alla bocca dello stomaco. Pensò che se fosse riuscita ad acciuffare la massa informe della sua angoscia e a esaminarla, allora avrebbe saputo cosa fare, avrebbe perfino potuto plasmarla e trasformarla in qualcosa di diverso. Cosa l'aveva fatta sentire tanto male?
Si allontanò velocemente dalla ragazza, imboccò un corridoio, salì su per la grande scalinata che portava alle camere da letto. Aprì la porta di una delle camere per gli ospiti. Si trascinò nel bagno attiguo e, inginocchiatasi davanti la tazza del water, vomitò. Non ebbe il tempo di continuare a chiedersi che cosa le stesse succedendo, perché il suo corpo riuscì solo a trascinarla faticosamente al letto, vi crollò sopra e si addormentò.

***

Elisa, seduta accanto a Louise stesa sul letto, fissava il corpo della cognata con apprensione. Quando la festa era terminata, si era accomiatata dagli ospiti e aveva dato disposizioni alla servitù, poi era salita al piano di sopra per controllare le gemelle. Aveva notato la porta di una delle camere per gli ospiti socchiusa. Si era avvicinata e con cautela - succedeva a volte che qualche ospite brillo si prendesse delle libertà appartandosi in una delle camere - l'aveva spalancata. Alla vista del corpo di Louise steso in modo scomposto sul letto aveva lanciato un urlo. Frank era accorso immediatamente. Era stato lui ad avvicinarsi per primo, mentre lei era rimasta paralizzata sulla porta. «Sta solo dormendo...», le aveva sussurrato per rassicurarla.

Elisa allora si era avvicinata. Il marito l'aveva guardata, incerto sul da farsi. «Ma Paul? Dovremmo avvertirlo...»
Elisa gli aveva fatto un cenno della mano come a dire di lasciar perdere. Suo cognato era andato via da un pezzo senza preoccuparsi di cercare la moglie, non aveva senso 'scomodarlo'. «Me ne occupo io, tesoro. Controlla un attimo le bambine, non vorrei che il trambusto degli ospiti che andavano via le avesse svegliate. Io sto con lei.» Gli aveva detto non staccando gli occhi dal viso della cognata. «Mi sembra troppo pallida», aveva aggiunto.
«Vuoi che chiami il dottore?», le aveva chiesto Frank, passandosi una mano tra i folti capelli scuri.
«Per ora no, preferisco lasciarla dormire. Magari quando si sveglia.»
«Sicura che non dovremmo chiamare Paul?»
Lei si era voltata a guardarlo con gli occhi azzurri che lo avevano ammaliato fin dalla prima volta che aveva posato lo sguardo su di lei. La loro dolcezza era stata sostituita da una fredda determinazione. «A tuo fratello non importa nulla di lei. Ce ne occuperemo noi.»
Frank aveva fatto un cenno affermativo con la testa, si era avvicinato per darle un bacio sulla fronte e poi era uscito dalla stanza, lasciandola sola con Louise.

Dopo un paio di ore, Elisa si alzò per sgranchirsi le membra e andò verso l'unica finestra della stanza. Le soffici tinte fucsia dell'alba spuntavano sotto forma di ondeggianti raggi provenienti da est, sfiorarono le cime degli alberi, con una punta di rosa e risvegliarono il suo cuore alla bellezza del mattino. Le bambine, Frank e Louise rappresentavano l'unico punto di riferimento della sua vita. Si voltò verso l'amica. Cosa le era successo? Negli ultimi tempi era stata raggiante e ora era stesa sul letto pallida come una morta.

«Elisa...» gracchio Louise, aprendo gli occhi. L'interpellata andò a sedersi sul letto e le accarezzò la guancia. «Sono qui. Come ti senti?»
«Indolenzita...» rispose, e con un pulsare intermittente alle tempie, avrebbe dovuto aggiungere, ma non voleva dare all'altra più preoccupazione di quanta ne scorgeva nei grandi occhi azzurri.

«Ti faccio preparare qualcosa da mangiare, sei molto pallida?»
Louise scosse la testa con violenza, poi l'afferrò con entrambe le mani, come a voler fermare la vertigine. «No. La sola idea di mettere qualcosa nello stomaco, mi fa venire la nausea.»
Elisa continuava a guardarla preoccupata. «Hai mangiato qualcosa che ti ha irritato lo stomaco?»
La mora si massaggiò il collo. «Ieri ho provato a mangiare il gumbo preparato da Rosa, sai quanto ne sia golosa, ma dopo un cucchiaio l'ho dovuto lasciare. È da qualche giorno che il mio stomaco fa i capricci.»
Elisa sgranò gli occhi. Fece per dire qualcosa, ma si trattenne. L'altra se ne accorse. «Cosa c'è?»
La bionda scrollò le spalle come a sminuire l'importanza di quello che stava per dire. «Quando aspettavo le gemelle, mi veniva la nausea solo a sentire l'odore del gumbo...»

Lo sgomento si disegnò sul volto di Louise. «Siamo sempre stati attenti e... tranne a settembre, quando ci siamo visti dopo un po' di tempo in cui siamo stati separati... Ma...» Più che a Elisa lo disse a sé stessa. La mia terra sarà la tua terra.
«Louise... le tue cose?», la interruppe la bionda.
«Non sono mai state regolari. Alcuni mesi saltano... No!» Prese un respiro e chiuse gli occhi come per calmarsi.

«Forse una visita dal dottor Stunton...»
«No, non posso andare dal dottor Stunton» disse Louise, allarmata.
«Lo pagheremo bene, come la volta scorsa. Nel caso fossi incinta potrà gridare al miracolo!» ribatté Elisa, pronta.
«Non ci sarà nessun bambino!» Louise strinse i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi. «Non ci può essere nessun bambino» ripeté con ostinazione.

«Louise...»
«No, aspetterò un altro po', poi andrò da Mama Milly.»
Elisa aggrottò la fronte in un moto di incertezza, poi comprese. «Sei pazza, sai quante donne sono morte?!»
«Non avrò nessun bambino», la mora digrignò i denti nel dirlo.
«Louise, pensaci... Sarebbe la soluzione di tutti i problemi. I Bosco sarebbero felici e contenti e ti lascerebbero finalmente in pace e...»
Louise si alzò dal letto, le gambe ancora incerte. «Non sono in grado di essere madre.»
Anche Elisa si alzò in piedi, era più alta della mora, e l'afferrò per le braccia. «Ascoltami bene, niente ti impedisce di essere una buona madre. Non devi per forza replicare quello che è successo con i tuoi genitori», la scosse leggermente e cercò il suo sguardo.
L'altra lo rifuggì. «Non capisci.»
Elisa strinse la presa sulle braccia. «Ti capisco invece. Non ho avuto un padre migliore del tuo, lo sai...»
Louise alzò di scatto la testa. «Tu però hai avuto una madre che ti ha voluto bene.»

Gli occhi di Elisa si inumidirono e l'emozione le serrò la gola. Sì, sua madre l'aveva amata a costo della vita, pensò con rimpianto e un pizzico di amarezza. Ricacciò indietro le lacrime e i ricordi che le avevano suscitate. «Non sei lei.»
Louise si staccò dalla sua presa. «Ma potrei diventarlo...»

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