Capitolo XXI
🔞Il capitolo contiene scene sessuali esplicite.
Paul sapeva di mettere Joseph in una posizione scomodissima. Andare lì e implorarlo perché se lo riprendesse. Però, guardare quegli occhi scuri, quei maledetti occhi di onice senza fondo, spalancati su di lui come prima, prima che lo lasciasse... Non riusciva a pensare a nient'altro. E sì, tecnicamente era sesso, considerato dove voleva le varie parti del suo corpo. Ma era anche molto di più. Non riusciva a esprimerlo a parole, non era così bravo con le sillabe quando si trattava di questioni di cuore, ma il desiderio di stabilire un legame era il motivo che lo aveva spinto a baciarlo. Aveva voluto mostrare a Joseph cosa intendeva, di cosa aveva bisogno, perché quella cosa era importante: aveva la sensazione che tutto il suo mondo stesse andando a rotoli e perdere anche lui lo avrebbe annientato. Stare con Joseph, sentire quel fuoco, stabilire quel contatto, era come una promessa di guarigione. Se anche fosse durata solo finché fossero stati insieme in quel piccolo pezzo di paradiso privato, l'avrebbe presa e custodita con amore, rivivendone il ricordo nel momento del bisogno. «Ti prego» sussurrò.
Non gli diede il tempo di rispondere. La lingua guizzò fuori e gli leccò la bocca insinuandosi dentro di essa e prendendo il sopravvento. E la risposta di Joseph fu il modo in cui si lasciò spingere indietro e cadere sull'erba.
Paul ebbe due pensieri confusi: primo, se qualcuno fosse giunto lì, li avrebbe sorpresi in una posizione compromettente e sarebbe scoppiato uno scandalo. Il secondo fu di imporsi un po' di attenzione, il corpo di Joseph non si era del tutto ripreso, ma entrambe le preoccupazioni furono accantonate quando sentì la sua voce gemere: «Oh, Dio, toccami...», spingendo il bacino in avanti. Quando gli infilò la mano dentro i pantaloni, Paul si inarcò, piegando indietro il busto mentre l'altro cominciò a lavorarselo. L'angolazione era un po' scomoda, per cui non c'era molta frizione e i testicoli erano strizzati di brutto dentro il cavallo dei pantaloni, ma non gliene fregava niente. Il fatto che fosse Joseph gli bastava. Dopo anni di incontri squallidi e occasionali, gli sembrava la prima volta in assoluto che qualcuno lo toccava e sentiva il bisogno di ricambiare il favore.
Passando all'azione, mosse il petto in avanti, avvicinando il viso a quello di lui: Joseph lo guardava dritto in faccia, eccitato, sfrenato, raggiante.
Disponibile.
Lo agguantò e unì le loro bocche, divorandogli le labbra. Allora Joseph assunse il comando e Paul all'improvviso si trovò stesso per terra sulla schiena, le gambe unite con una spinta, i calzoni abbassati con uno strattone fino alle caviglie. Dato che non indossava mai le mutande, il suo uccello si ritrovò all'aria, grosso e palpitante, quando saltò fuori e si adagiò, turgido e smanioso, sopra il ventre. Paul abbassò la mano per dargli un paio di carezze mentre Joseph gli toglieva le scarpe, che erano d'intralcio, e le gettava da una parte. I calzoni seguirono subito dopo. E poi si mise all'opera. Paul dovette chiudere gli occhi quando sentì le cosce aprirsi e un paio di mani ruvide risalire l'interno delle gambe. Lasciò andare immediatamente il membro, perché mettere la sua mano, in fin dei conti, quando Joseph poteva... Non furono le mani di lui ad afferrarlo. Fu la bocca calda e umida che Paul aveva appena baciato con passione. Per una frazione di secondo, mentre Joseph gli succhiava la cappella e tutto il resto, fu assalito dal pensiero raccapricciante che la prossima volta, se lo avesse lasciato di nuovo, lui avrebbe potuto farlo a un altro. Quale che fosse il loro futuro, ora voleva solo bearsi di quel momento. Per cui 'fanculo tutto il resto. Per assicurarsi che fosse ben chiaro, si impose di sollevare le palpebre. La testa di Joseph andava su e giù sopra il suo inguine, reggendo nel pugno la base dell'uccello mentre con l'altra mano gli lavorava i testicoli. Poi però, quasi stesse aspettando un contatto visivo, Joseph risalì fino in cima, alzò la testa e si leccò le labbra.
«Cazzo, sto venendo...» gridò Paul, sentendo arrivare un'eiaculazione fortissima. «Sto...» Anche volendo, non poteva fermarsi, proprio come uno che si è tuffato giù da una scogliera non può decidere di tornare indietro dopo che ha iniziato la caduta libera. Solo che lui non voleva fermarsi. E non lo fece.
Con un ruggito la sua schiena si sollevò di scatto dal terreno, il sedere si contrasse, le palle esplosero e l'erezione scalciò con forza nella bocca di Joseph. E non fu solo il suo sesso a sentirne gli effetti, ma tutto il corpo: una sferzata di energia lo percorse da capo a piedi mentre affondava le dita nel tappeto d'erba su cui era sdraiato, stringeva i denti e veniva come un animale selvaggio. Per fortuna Joseph era un vero maestro nella pulizia di fino, cosa che potenziò ancora di più l'orgasmo. E gli offrì anche uno spettacolo memorabile.
Di solito Paul, subito dopo, era pronto a ripartire, ma stavolta quando quelle ondate impetuose alla fine smisero di abbattersi su di lui, rimase completamente inerte, privo di vigore, le braccia abbandonate sul terreno, le ginocchia rilassate. Tutto considerato, era stato probabilmente l'orgasmo migliore della sua vita. «Non riesco a muovermi» biascicò.
La risata di Joseph era profonda e sexy. «Hai l'aria un po' sbattuta.»
«Posso ricambiare il favore?»
«Riesci ad alzare la testa?»
«È ancora attaccata al resto del corpo?»
«Da quello che vedo, sì.»
Quando Joseph ridacchiò di nuovo, Paul capì cosa aveva voglia di fare, e quasi si sorprese di se stesso. In tutte le sue prodezze sessuali non si era mai lasciato scopare. Semplicemente, non era così che doveva andare. Lui era il conquistatore, quello che prendeva, quello che imponeva il controllo e manteneva la posizione di superiorità. Stare sotto non gli era mai interessato. Adesso invece lo desiderava. L'unico problema era che non riusciva a muoversi, nel vero senso della parola.
D'un tratto il volto di Joseph entrò nel suo campo visivo; com'era bello con gli occhi scintillanti, le spalle larghe che bloccavano la visuale su tutto il resto. E oh, sì, quel sorriso era sexy da morire, così compiaciuto e sicuro di sé, come se aver procurato tanto piacere a qualcun altro gli bastasse al punto di non sentire nemmeno il bisogno di provarlo a sua volta. Ma non era giusto, no?
«Ho idea che non ti muoverai tanto presto» gli disse.
«Può darsi. Posso aprire la bocca» ribatté sensuale Paul. «Quasi quanto te.»
Sì, okey, il pensiero di aver regalato a Paul un orgasmo come quello era così gratificante che Joseph si era scordato completamente del proprio corpo. Dopo gli ultimi avvenimenti che avevano segnato la loro relazione era incredibile sentirsi così potente nei suoi confronti, essere la persona che lo conduceva in un luogo erotico e vulnerabile, infinitamente più intenso di tutti quelli in cui era stato. Perché era questo che era successo. Sapeva perfettamente che faccia e che versi faceva Paul quando veniva, e poteva affermare senza timore di essere smentito che non lo aveva visto tanto sfrenato, sdraiato in modo scomposto sull'erba, i muscoli del collo tesi allo spasimo, gli addominali contratti, i fianchi che pompavano a tutta forza. E ora, dopo l'orgasmo, una strana rivelazione; fino a quel momento non aveva mai fatto caso al cinismo che segnava sempre il volto di Paul: la fronte corrugata, l'angolo della bocca perennemente contratta in una smorfia stizzita, la mascella che non si rilassava mai, neanche per sbaglio. Come se tutte le azioni a cui lo aveva sottoposto la sua famiglia e la società stessa, avessero deformati i suoi lineamenti in modo permanente. Ma in realtà non era così. Durante quell'orgasmo, e anche adesso, mentre tornava la calma, non c'era più nessuna traccia di tensione. Il viso di Paul era ripulito da qualunque riserva e appariva molto più giovane, tanto che Joseph non poté fare a meno di chiedersi come avesse fatto a non notare la maschera che lo invecchiava in modo sensibile.
«Allora, vuoi darmi qualcosa, mentre mi riprendo?» chiese Paul.
«Com...»
«Ho sete.» Nel dirlo, si morse il labbro inferiore, affondando nella carne i denti di un bianco abbagliante. «Ti va di aiutarmi?»
«Sì, certo» mormorò Joseph, sollevando gli occhi al cielo.
«Allora fammi vedere come ti togli quei calzoni bagnati. Solo a te poteva venire in mente di fare il bagno vestito.»
Le gambe lo sollevarono da terra così in fretta che Joseph imparò un mucchio di cose nuove sulle leggi della fisica; gli tremarono le mani per la fretta di slacciarsi i pantaloni. Da lì in poi le cose procedettero alla svelta. E per tutto il tempo, mentre si spogliava, rimase lucidissimo, consapevole in modo quasi sovrannaturale di ogni cosa presente in quel luogo, specialmente Paul, che si stava eccitando di nuovo, il membro sempre più turgido malgrado tutto quello che aveva appena passato, le cosce massicce che si contraevano e l'inguine che si muoveva; il basso ventre tonico che ogni minimo spostamento del busto si rifletteva sotto la pelle tesa e candida.
«Sì...» sibilò Paul, la mano che cercava il pene, accarezzandolo lentamente in tutta la sua lunghezza.
Il respiro di Joseph cominciò ad accelerare e la frequenza cardiaca schizzò alle stelle quando gli occhi verdi di Paul si posarono sul suo sesso.
«Ecco cosa voglio» grugnì, smettendo di toccarsi e tendendo entrambe le mani.
Le ginocchia di Joseph obbedirono al richiamo, piegandosi, portandolo giù fino a terra, vicino alla testa di Paul.
«Oh...» gemette, sentendo il membro che scivolava tra le labbra di Paul. Senza volerlo si piegò in avanti, fino a ritrovarsi appoggiato col busto sull'erba, e fu allora che inaspettatamente scoprì di trovarsi in posizione ideale per fare leva. Puntellandosi con le braccia sul terreno, distribuì il peso tra ginocchia, piedi e palmi e ci diede dentro di brutto a fottere la bocca di Paul. Quest'ultimo non si sottrasse, neanche quando Joseph si scardinò i fianchi spingendo con tutte le forze.
Con le dita di Paul conficcate nel sedere, il risucchio incredibile, la lingua che a ogni spinta gli affondava nell'uccello, Joseph cominciò a prepararsi per lo stesso orgasmo travolgente che aveva squassato l'altro.
Eppure, in un angolo della sua mente, si chiedeva se non gli stesse facendo male. Troppo tardi per preoccuparsi. Il suo corpo prese il sopravvento, irrigidendosi in una serie di spasmi violenti che correvano dalla sommità della spina dorsale giù fino alle gambe.
E proprio mentre la sensazione di totale perdita di controllo cominciava a rifluire, il mondo finì sottosopra, neanche il suo senso dell'equilibrio fosse stato stravolto come il suo corpo. No, il mondo era a posto. Era Paul che lo aveva sollevato da terra, sfilandosi da sotto, e adesso si stava posizionando dietro. Quando si spinse dentro di lui, veloce come un lampo, Joseph emise un mugolio che, non aveva dubbi, avevano sentito fino alla villa.
Il ritmo era indiavolato proprio come il suo di un attimo prima. In questo caso, però, la vendetta non solo era quello che si meritava, era ciò che voleva. A ogni spinta si ritrovava con la faccia premuta sull'erba, a ogni ritirata poteva riprendere fiato, prima di ricominciare tutto da capo senza soluzione di continuità. Spostò le gambe per permettere a Paul di penetrarlo più a fondo. All'ultimo momento, appena prima di venire un'altra volta, il suo petto fu sollevato da terra e Joseph si ritrovò in ginocchio. Pensò a tutto Paul, agguantandogli l'uccello e coprendo il glande, senza mai smettere di spingere, spingere, spingere a più non posso.
Vennero insieme, e un paio di grida echeggiarono nella sera.
Alla fine le spinte rallentarono. I cuori presero a battere più lentamente. Il respiro si regolarizzò a poco a poco.
Joseph sentì contro il lato del collo un tocco quasi impercettibile. Le labbra di Paul.
***
Qualsiasi giorno della nostra vita rappresenta una data importante. Anche se non ce ne rendiamo conto. Ce ne andiamo a letto con gli occhi stanchi e in testa l'idea di aver vissuto un giorno uguale identico a tanti altri. Solo anni più tardi ci renderemo conto dell'importanza cruciale di quella data nelle nostre vite.
Il 30 giugno 1923, in quella che un tempo era stata la tenuta più produttiva dei Bailey, Paul e Joseph si sussurrarono, sazi di passione, promesse d'amore.
Il 30 giugno 1923, Lee Bailey fece a ritroso il percorso che lo aveva portato allo stagno dietro la tenuta dei suoi avi, dopo aver assistito alla promessa d'amore eterno tra Paul e Joseph con la morte nel cuore, maledicendo Paul Bosco che, con il suo egoismo, metteva di nuovo in pericolo uno dei suoi ragazzi. Non riuscì a dormire e passò tutta la notte contro il vetro della finestra della camera da letto. Alla fine sul far dell'alba chiuse gli occhi e fu assalito dal sonno. E sognò un angelo dalle enormi ali bianche che passeggiava lentamente, lentamente, strascinando i piedi nudi sull'erba verde e fresca del cimitero, specchiando il marmo freddo delle lapidi nei suoi occhi vinti. Riconobbe le fattezze della giovane moglie morta insieme al loro bambino quarant'anni prima, e seppe che il dolore sarebbe presto tornato nella sua vita.
Il 30 giugno del 1923, nell'appartamento in Bourbon Street, Louise si rigirava al dito l'anello d'oro che Paul le aveva regalato per festeggiare l'anniversario di nozze, e inchiodava lo sguardo al luccichio di diamante, e sentiva lo stesso senso di oppressione che aveva provato il giorno del matrimonio con l'abito bianco candido e il lungo velo che strisciava lungo la navata centrale della chiesa. Poi passava le labbra su quelle di Fabrice e faceva scorrere le dita tra le onde dei suoi capelli biondi e morbidi, e lasciava che lui le baciasse lentamente il collo e aspirasse il suo profumo di tiglio, per scacciare il senso di oppressione che sentiva al petto.
Il 30 giugno del 1923, Arturo Bosco, nel bordello in Biasin Street, mentre continuava a montare la giovane prostituta anche dopo essere venuto, guardava attraverso lo specchio Evelyn negli occhi verdi con la promessa che l'avrebbe piegata a qualsiasi prezzo.
Il 30 giugno del 1923, nella villa al Garden District, Elisa, china su un libro, cercava di rimpinzarsi la testa di numeri e calcoli per non pensare al suo passato. Cercava con disperazione di acquietare i fantasmi che ancora la tormentavano, pur avendo raggiunto un certo equilibrio con un buon matrimonio e due figlie che le riempivano l'esistenza.
Il 30 giugno del 1923 Tabitha, tornata dallo strano appuntamento con Antony, ignara di quanto la strana connessione che aveva stabilito con il ragazzo avrebbe influito sul destino di coloro che amava, mise su un disco che le aveva regalato Fabrice tempo prima. Sapeva bene quanto gli fosse costato separarsene. E così trasformava il primo ascolto in una cerimonia religiosa. Spense tutte le luci della sua stanza e accese un solo cero rosso che tinse le ombre di mistero. Lo mise sullo sgangherato grammofono. Ascoltò il suono stridente della puntina che cominciava a grattarlo. Si distese sul letto e chiuse gli occhi. Lì dentro, fumo e brandelli di nube rossa fluttuavano contro un orizzonte nero. La voce che ne uscì era quella di un cantante morto. Amò la sua solitudine e il suo orgoglio. L'amore è dolore cantava. Ma lei aveva bisogno di sentire quella canzone dura e desolata, troppo bella e troppo reale, quella categorica negazione della speranza, quel ritratto bianco e nero del piacere e del tormento, quell'affermazione di impotenza davanti a un mondo senza risposte che penetrava la sua carne con la stessa asettica sicurezza del bisturi del chirurgo, per sapere quello che aveva intuito fin da bambina, da sempre: che l'amore distrugge. Ferisce profondamente, dolorosamente.
Il 30 giugno 1923 Carmela Bosco arrivava a New Orleans. Durante il viaggio si era chiesta più volte se il giardiniere avesse fatto un buon lavoro di potatura del roseto di cui andava fiera. Con la potatura si eliminavano le estremità dei rami, serviva per dare alle piante un aspetto più ordinato. Si dovevano tagliare tutti i rami che nascevano sotto l'inserto e lasciare in ciascuno solo due o tre gemme, le più vicine alla base, solo così avrebbero avuto un bell'aspetto. Qualcuno avrebbe dovuto potare anche le persone per farle crescere ordinate e di bell'aspetto, pensava. Nessun ramo fuori posto. Gli arbusti potati cresciuti grazie alle sue indicazioni erano i migliori. Una forbice per sbarazzarsi delle gemme ribelli e delle rose coperte di spine era tutto ciò che serviva.
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