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Capitolo XVII

Antony vide uscire dal locale Arturo Bosco, scuro in volto. Il pranzo con le cognate non doveva essere andato bene o qualcosa lo aveva indispettito. Non ne fu sorpreso. La mora era sempre stata una spina nel fianco per suo padre. Padre. Il nome che non poteva usare né con lui né con nessun altro. Scalciò una pietra per terra, facendola rimbalzare sul selciato della strada.
«Seguite quella puttana! Voglio sapere dove va e chi incontra» disse Arturo, rivolgendosi ad Antony e all'autista che lo aspettavano accanto alla fiancata di una Lancia Lambda, arrivata qualche settimana prima direttamente dall'Italia.
«Vengo poi a riprenderla, Signor Bosco?» domandò l'autista.
«No, tu occupati con Antony di lei. Mandami Luke, digli di farsi trovare qui tra un paio di ore» rispose, prima di scomparire tra i vicoli del Quartiere. Il posto dove doveva andare si trovava a solo mezzo isolato. Non voleva che Antony vedesse dove si stava recando, quello era un affare privato, di cui nessuno doveva venire a conoscenza. Per cui attese qualche minuto, prima di proseguire verso Basin Street.

Antony si era dovuto mordere la lingua per non chiedergli: «Quale delle due puttane?», aveva rinunciato alla battuta perché Arturo non sembrava dell'umore giusto. La verità era che lui, il bastardo di Arturo Bosco, detestava la santa più della peccatrice. L'essere perfetta in tutto, avere l'approvazione anche di Arturo gli faceva odiare Elisa Bosco più di tutti gli altri membri della famiglia. La cognata, la nuora, la moglie e, soprattutto, la madre perfetta. Quella che lui non aveva mai avuto.

La signora Hughes, la donna a cui era stato affidato ancora in fasce, ci teneva a ribadire il fatto di non essere sua madre.
«Il signor Bosco mi paga e io non ti faccio mancare niente. Tu e io però non abbiamo nessun legame di sangue e se farai una brutta fine, non verserò neanche una lacrima», gli aveva urlato un giorno, dopo l'ennesimo guaio combinato, nella fattispecie l'accoltellamento, purtroppo non fatale, del bottegaio sotto casa. Quella volta era dovuto intervenire Arturo di persona per evitare ritorsioni. Così a dodici anni lo aveva preso con sé, ma non come figlio. Ne aveva già due legittimi, che se ne faceva di un bastardello uscito da chissà dove? Cos'era lui? Il galoppino di suo padre. Certo, lo toglieva sempre dai guai in cui si infilava, gli dava da mangiare, lo vestiva e gli affidava i compiti più svariati. E lui aveva finalmente acquisito uno status, il suo cane più fedele, più o meno. Quindi, come il cane fedele che era, non fece uscite sarcastiche, si limitò a un laconico: «Sarà fatto»; poi si  spostò in un angolo per poter sorvegliare l'uscita dal ristorante, senza essere visto.

Appena le due donne, uscite dal ristorante, si infilarono nella Packard V12 rossa della mora, lui saltò sul sedile posteriore dell'auto di suo padre, raccomandando all'autista di stare a distanza, ma di non perderle di vista.
«Sarà un gioco da ragazzi, ragazzino!»
Lui inarcò un sopracciglio rosso, detestava quando gli uomini di suo padre lo trattavano come uno qualunque. Un giorno quegli idioti gli avrebbero dato la giusta considerazione,  il rispetto che meritava.
«Vai e risparmia il fiato!» disse soltanto, fissando gli occhi sull'auto di Louise, che li precedeva.

***

Arturo aveva evitato quella specie di cottage con cura ogni volta che era tornato a New Orleans. Quel giorno però era in preda a emozioni straordinarie – per lui – e contraddittorie, che investivano il suo cuore – nero, direbbero i più –, con tale violenza che il momento prima si sentiva felice e quello dopo distrutto. A intermittenza veniva assalito da una fiera esaltazione, quasi avesse intrapreso un'avventura a lungo anelata che gli gonfiavano l'ego di orgoglio come un palloncino; ma poi di colpo il suo ego, appena levato in volo, ricadeva nelle tenebre dell'enorme disprezzo per ciò che stava per fare: riaprire la porta a un passato che pensava morto e sepolto, un passato che aveva rischiato di rovinare il brillante futuro che la madre Carmela aveva così ben progettato per lui. Ecco perché ogni volta che tornava a New Orleans si teneva lontano dalla casa, per paura che se non avesse resistito all'impulso di bussare alla porta usurata del cottage, questa si sarebbe aperta e avrebbe fatto rientrare con prepotenza il passato nella sua vita perfetta, un passato di cui si vergognava.

Quando aveva progettato il viaggio a New Orleans, si era ripromesso di non mettere piedi a Basin Street; ma poi qualcosa di più forte della ragione lo aveva travolto e si era ritrovato, dopo la sfuriata, a stento repressa, contro quella stronza della cognata, diretto alla casa come attirato da fili invisibili: avrebbe potuto addirittura affermare di esserci arrivato in sogno, o quasi, non muovendosi per volontà propria, ma guidato da qualcun altro, come se l'avessero ipnotizzato.

Bussò alla porta, ma nessuno rispose. Allora si ricordò che c'era un codice: tre tocchi a intervalli regolari, se non ricordava male. Maledizione!, imprecò. Avrebbe dovuto chiedere a qualcuno dei suoi uomini, ma non voleva che sapessero niente dei suoi affari privati.
Sentì la serratura muoversi e la porta si aprì con un cigolio. Il passato lo investì con tutta la sua potenza.
«Evelyn...», riuscì solo a sussurrare.

Lei per un attimo restò interdetta, poi sbiancò.
«Signor Bosco» disse. I nervi la tradirono e la voce, normalmente così grave, sgorgò in un tono esageratamente acuto, quasi in falsetto.
Lui le dedicò uno sguardo stupito e poi la passò in rassegna dalla testa ai piedi senza dire una parola.
Evelyn non poté evitare di accorgersene e lo attribuì ai cambiamenti che aveva subito negli anni in cui non si erano visti.
Poco male, pensò, cosa mi interessa se mi trova invecchiata e imbruttita dalla vita?

«Signor Bosco, posso fare qualcosa per lei?»
Infastidita dal fatto che lui stava zitto e si limitava a fissarla, gli disse: «Ha perso la lingua?»
Si pentì subito di aver detto quella frase che poteva risultare confidenziale, lui ora era una persona diversa.
«Qualcosa del genere. Sono senza parole.»
La voce, roca e strozzata, gli tremava come se uscisse a fatica. «Perché non ci sono parole per descrivere... per descrivere quanto sei bella.»

Lei cercò di intercettare una sfumatura ironica celata nella frase, ma non riuscì a captarla. Forse dice sul serio, pensò. E sì, Arturo Bosco stava dicendo sul serio, perché quella versione matura di Evelyn, quella Evelyn più formosa, pallida, languida, con quell'aria virginale – a dispetto del mestiere che faceva –, avvolta nel semplice abito scuro, l'aveva lasciato attonito, colpendolo con l'assoluta originalità della sua bellezza. Aveva sperato di trovarla sfasciata, consunta, involgarita, spenta. Un'ombra del passato. Invece in quel nuovo viso, con qualche ruga, dagli zigomi più pronunciati, gli occhi brillavano di luce propria e rinnovata, e la densa luminosità verde sembrava metallo fuso.
Sua moglie non era mai stata bella, d'altronde l'aveva sposata per affari; aveva avuto molte amanti durante gli anni, alcune bellissime. Evelyn però aveva una certa... una certa aura, ecco, un'aura di cui le altre erano totalmente prive.

Per questo era disposto a passare sopra il fatto che anni prima lei lo aveva abbandonato. Si era rifiutata di capire che doveva sposare un'altra e che tra di loro non sarebbe cambiato niente. Aveva già predisposto tutto per portarla con sé a New York, ma lei gli aveva urlato in faccia: «Non voglio fare la tua mantenuta!». Non c'era stato verso di convincerla. Aveva avuto la speranza che lei cambiasse idea quando i genitori l'avevano cacciata di casa. Ora tornerà da me!, aveva pensato. E invece quella vecchia bagascia di May se l'era presa nel bordello. Sentiva ancora l'eco della rabbia e dell'odio provato, quando aveva saputo la notizia.

Il rifiuto subito bruciava ancora. Lo aveva temuto fin da quando avevano iniziato a frequentarsi e lui era già promesso alla figlia dell'industriale newyorkese. Lo aveva temuto anche quando si era preso la sua verginità, mentre la fidanzata ufficiale e la madre stilavano la lista degli invitati. E, soprattutto, si era illuso di poter mettere fine alla relazione con Evelyn in ogni momento. Ma l'uomo che rinnegava il legame che lo univa alla rossa e al suo letto era lo stesso che poi perdeva la testa quando faceva l'amore con lei, che pensava a lei di continuo quando non l'aveva vicina, che si abbandonava al ricordo di ogni momento trascorso insieme, rapito dalla dolce mnemotecnica della passione che gli faceva rivivere ogni piccolo dettaglio, lasciandosi trascinare dal fuoco di una carnalità istintiva. Non poteva negare di esserne stato innamorato allora, non poteva, ma valeva la pena pagare un simile prezzo? Valeva la pena ferire l'unica donna importante della sua vita, la madre? Indignare il ricco e potente padre della fidanzata newyorchese, dire addio ai sogni di ricchezza e gloria dei Bosco, tradire i propri valori, e tutto per una donna qualunque che avrebbe potuto lasciarlo su due piedi, tradirlo con un altro, portare celati a lui i segni di chissà quanti uomini diversi?

La guardò ancora con attenzione e il suo corpo gli sembrò solo un recipiente, un innocente animale trafitto. Il pensiero della traccia di altri uomini sul corpo di lei lo repelleva, non riusciva ad accettarlo. Oggi come ieri gli si conficcava nella testa come un dolore acuto, diventava nella pratica fisico, e allora capiva che non avrebbe mai potuto vivere con Evelyn perché non avrebbe mai superato la gelosia che lo rodeva. Voleva possedere un'ultima volta quel corpo per dimostrare a lei e a se stesso che era stato importante e non uno dei tanti che avevano scaldato il suo letto, che era stato sempre il migliore, per poi liberarsi di un simile fardello, dall'ossessione vorace, smettete di pensare continuamente a lei, a tutti i costi.

Non c'era certo bisogno di consultare una sibilla per prevedere alla relazione tra Evelyn e Arturo un futuro sinistro. Innanzitutto perché a prima vista si assomigliavano tanto quanto un uovo e una castagna, dal momento che lei era dorata e bianca, Arturo gaietto e nero corvino. Lei schietta, lui ipocrita. Tutti quelli che conoscevano lui erano concordi nell'affermare che non era dotato di particolare nobiltà d'animo, presenza di spirito od onesto altruismo, tutte virtù che i conoscenti di Evelyn le attribuivano. Ecco perché nessuno si sorprese quando la storia d'amore tra i due naufragò.

La rossa cominciava a spazientirsi, non si capacitava del perché, dopo tutti quegli anni, fosse venuto alla maison. Lei aveva chiuso da un pezzo quel capitolo della sua vita; non ricordava quasi perché se ne fosse innamorata follemente. Non era certo stato solo il sesso a unirli, anche se il sesso sembrava un vincolo solido come una catena di ferro allora, di sicuro c'era stato qualcosa di più, lei però adesso non lo ricordava. Ricordava solo che quando lui le aveva confessato di stare per convolare a nozze con un'altra, ma che tra di loro le cose non sarebbero cambiate, lei lo aveva preso a male parole e si era chiusa in casa a piangere. Era diventata una Penelope silenziosa e solitaria, vittima della sua Itaca privata. La passione le bruciava dentro, le logorava i giorni e le consumava l'esistenza.

Quanto avrebbe voluto allora, persino al prezzo del sangue se necessario, potere averlo accanto. Avrebbe perdonato le bugie se solo lui si fosse presentato per dirle che non avrebbe sposato più l'altra perché l'amava e voleva stare solo con lei. Le illusioni di una ragazzina! Lui non era mai più tornato.
E quando aveva scoperto di essere incinta anche l'ultimo sogno romantico si era infranto, perché se fosse tornato lo avrebbe fatto solo per il bambino. Un'altra delusione perché appena saputo di stare per diventare padre, era stata la zia May a informarlo, lui le aveva proposto il solito accordo: se la sarebbe portata a New York come amante e avrebbero affidato il bambino a una buona famiglia che lo avrebbe cresciuto. Ancora una volta lei gli aveva detto di no. Sofferenza si era unita ad altra sofferenza.

Erano passati mesi di inerzia finché aveva sentito l'esserino che avevano generato muoversi dentro, ciò le aveva fatto dire addio definitivamente a ogni sogno romantico e tramutato l'ossessione per l'uomo in amore per la creatura che portava in grembo.

Il dolore della perdita del bambino infine aveva fagocitato ogni sentimento residuo. Il dolore per la storia con Arturo era passato, la ferita si era rimarginata lasciando solo una cicatrice nella memoria. Negli anni la cicatrice aveva fatto male, come fanno le cicatrici quando cambia il tempo, ogni qualvolta – una conversazione, un profumo familiare, una canzone che avevano ascoltato insieme... – evocava l'immagine di Arturo, ma non come una ferita aperta che si fa sentire continuamente, come quella per la perdita del figlio; era diventata solo un'emozione ritardata che si riversava in quella, portando con sé, visibili solo per la memoria anteriore, frammenti di antichi spazi e tempi.

Evelyn si scostò dalla porta e lo fece entrare, voleva mettere fine a quell'incontro il prima possibile. Lui si guardò intorno con un moto di fastidio. In quel luogo lei lo aveva rifiutato.
«Detesto questo posto...»
«È la mia casa.»
«È stata una tua scelta, mi sarei occupato io di te.»
Si girò a guardarla, con un misto di rancore e desiderio.
«Te lo dissi anche allora: non volevo essere la tua mantenuta», gli rispose con una calma solo apparente.
«È stato meglio farti mantenere dagli altri uomini?», sputò fuori le parole con l'intenzione di ferirla.
«Sì, meglio cento, mille altri, piuttosto di ciò che mi offrivi tu.»

Lui, ormai furente, l'afferrò con violenza per un braccio. Lei cercò di non mostrare il dolore che la stretta le provocava.
«Cosa posso fare per lei, signor Bosco?»
Arturo le lasciò il braccio, come scottato. La freddezza, la distanza messa con il tono della voce in quel "signor Bosco" lo ferì. Ma non era uomo da darsi per vinto, non sarebbe arrivato così lontano nella vita, se lo fosse stato. Era uomo che rispondeva ad affronto con uno ancora più grosso. Per cui si ricompose.
«Fammi fare un giro del bordello, vediamo se hai da offrirmi qualcosa di interessante.»

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