Capitolo XLII
Antony Hughes era esausto sul piano mentale e soprattutto emotivo, perciò l'unica cosa che riuscì a fare dopo l'indispensabile bagno fu infilarsi un paio di pantaloni a caso e una camicia che aveva visto tempi migliori. Era tardi. Per tutto il tempo in cui era rimasto a mollo nella vasca aveva lottato contro il groviglio di emozioni che, alla fine, aveva racchiuso in una stanza, buttando via la chiave. Forse la chiave era andata smarrita solo dentro il vaso di Pandora, ma era rimasto nell'acqua finché non si era sentito in grado di gestire tutto. Doveva prendere il controllo della situazione.
Il giorno prima era andato a parlare ancora con Giacalone. Lo aveva trovato in giardino e aveva insistito affinché gli spiegasse per filo e per segno come dovesse comportarsi con lei. Il vecchio bastardo aveva scambiato il suo zelo con la voglia di impressionarlo e, inorgoglito per essere riuscito in breve tempo a fargli abbassare la testa, si era dilungato a spiegargli ciò che aveva in programma per Evelyn Walsh. «Se le minacce non sortiscono effetto, strapazzala un po'. Non lasciarle segni evidenti e non ucciderla. A quello penseremo dopo il processo.»
Antony aveva fatto di sì con la testa ed era riuscito a mantenere una faccia inespressiva, nonostante la voglia che aveva di conficcargli un coltello nella pancia. Lo odiava in modo viscerale, fin da quando Arturo lo aveva preso con sé. Ricordava bene quando lo incrociava e lo guardava dall'alto in basso appellandolo 'bastardello schizzato'.
Era meglio non rimuginare sul passato, perciò andò in cucina, con lo stomaco in subbuglio. Aprì una confezione che qualcuno aveva lasciato sul bancone. Alzò il coperchio e sospirò. Era rimasto un bignè. Uno. Agguantò un tovagliolo e sollevò quel pezzo di dolcezza paradisiaca. Il sapore gli parve quello del cartone. Lo gettò lì, sul tavolo. Era inutile tergiversare, doveva togliersi il dente, affrontare lei.
I pensieri si rincorrevano velocissimi. L'idea di andarsene da New Orleans fu sufficiente a fargli battere il cuore a mille. Finché i soldi, ne aveva messi da parte parecchi, fossero bastati poteva fuggire lontano. Se lo avesse fatto Giacalone avrebbe avuto la scusa per dargli la caccia e sbarazzarsi di lui una volta per tutte. La sua fuga sarebbe durata poco. Una vita al sevizio di quell'animale però era impensabile, anche se con Arturo morto non poteva aspirare a molto altro.
Uscì dal cottage e cercò Luke per farsi portare al Quartiere. Salito sull'auto guardò Villa Bosco. Dentro di lui la paura cresceva come i rampicanti che avevano risalito il muro della villa e si erano attorcigliati alla ringhiera dei balconi. Non c'era verso di liberarsi della sensazione che, a prescindere da ciò che lui avrebbe fatto, le cose sarebbero andate male. E sarebbe accaduto in fretta.
Durante il tragitto, Antony sentì montare di nuovo il nervosismo. La cosa migliore era fare come gli aveva ordinato Giacalone, ma non poteva. Doveva mettere Evelyn al corrente di tutto. Evitò di chiedersi perché si sentisse in dovere di avvertirla. Era un dovere... un dovere che gli era stato inculcato dalla nascita e che non poteva ignorare. Non le devo niente, si ripeteva, eppure non posso permettere che Giacalone o qualcun altro le faccia male.
Giunti in Decatur Street si fece lasciare da Luke e prese la strada in direzione nord-est, poi girò a sinistra in St. Philip Street, diretto verso il Quartiere. I venti minuti di camminata contribuirono a riportare il suo ritmo cardiaco nella norma, ma non alleviarono l'ansia che gli cresceva dentro.
Non appena arrivò davanti a La Maison de May notò, appoggiato al muro scrostato accanto al portone, un uomo di colore. Vestiva in modo trasandato, coi pantaloni scuri e una giacca marrone consumata ai gomiti; non veniva notato dai passanti, che lo potevano scambiare per un semplice perdigiorno. Non Antony. Teneva la testa abbassata e le braccia muscolose erano incrociate sul petto, ma era vigile. «Cosa cerchi ragazzino? Questo non è posto per te» gli disse, a riprova che si trovasse lì per sorvegliare la maison, non per caso.
Antony si piazzò di fronte a lui con un sopracciglio inarcato. «Non vedo cartelli che vietino a un 'ragazzino' di bussare» ribatté, pronto. Fu in quel momento che la porta si aprì e sulla soglia apparve per primo un uomo sulla sessantina, dietro di lui, c'era lei. «Fammi sapere...», le parole morirono sulle labbra di Evelyn appena lo vide. «Antony» sussurrò.
Lee Bailey guardò il ragazzo, poi Evelyn e infine Jim che, a sua volta, allargò le braccia, come a dire che neanche lui aveva idea di cosa stesse succedendo. Evelyn, accortasi della confusione che aleggiava sui volti dei due uomini adulti, si affrettò a inventarsi una scusa per giustificare la presenza di Antony. «Ah, mi ero dimenticata che sarebbe passato il garzone del sarto!»
Nessuno parve convinto, a Evelyn non importò, voleva solo parlare con Antony senza essere costretta a rivelare che tipo di rapporto ci fosse tra di loro agli altri. «Allora andrò io dall'avvocato, Lee. Ti terrò informato. Grazie.»
Poi si voltò verso Jim. «Accompagna pure il signor Bailey, per oggi non credo ci sarà bisogno di te, qui.»
Jim fece di sì con la testa e poi affiancò Lee Bailey.
Appena sparirono nel vicolo Evelyn si affrettò a far entrare Antony. «Vieni, prima che qualcun altro ti veda.»
«Davvero ti preoccupa quel vecchio bacucco?» chiese Antony con una risata. «Non farebbe paura a un bambino, né lui né l'energumeno nero che si porta dietro.»
Evelyn storse la bocca. «Lee e Jim sono degli amici, ma non voglio che sappiano di te» rispose, mentre gli faceva strada all'interno della maison.
Antony fissava la figura femminile che lo precedeva, ignorando con ostinazione l'ambiente in cui si trovava. Non degnò di un'occhiata né le stanze che attraversavano, né le ragazze che le animavano. Non era mai entrato in un bordello, tanto meno avrebbe mai voluto vedere quello dove lei lavorava, se non fosse stato costretto.
«Ti vergogni del tuo passato?» le chiese all'improvviso. Rattristata dal pensiero sottinteso alla domanda, Evelyn si girò. «Non di te.»
Iniziò a salire i gradini, percepiva la presenza del ragazzo dietro di lei come qualcosa di confortante. Sul ballatoio del secondo piano, esitò. Si chiese se portarlo nella sua stanza, la stanza in cui lui era venuto al mondo, fosse una buona idea. Giunta al termine del corridoio, si fermò davanti la porta. Fece un bel respiro e l'aprì.
Antony, prima di seguirla, increspò le labbra. «Ti pare il caso di portarmi nella stanza dove lavori?»
«Non sono mai andata a letto con un uomo per soldi.»
«Neanche con lui?»
«Tanto meno con tuo padre. Accomodati» disse, indicandogli una sedia. Si fece da parte e Antony la oltrepassò lanciandole un'occhiata strana. Si sedette e tenne lo sguardo fisso sul pavimento, non voleva guardare verso il letto. Evelyn notò il disagio del ragazzo e si maledì per averlo portato lì. Afferrò un'altra sedia e la posizionò di fonte a lui.
«Come stai?», la voce le uscì tremolante. Aveva tante cose da dirgli che non sapeva da dove cominciare.
Da parte di Antony non ci fu alcuna reazione. All'apparenza. «Sto bene.»
Evelyn annaspò alla ricerca di una breccia nel muro che il figlio le aveva messo davanti.
«So cosa significa essere indesiderati dai propri genitori. Non voglio che tu...»
«Non fa niente.» Antony si strinse nelle spalle e la guardò. «So tutto! So cosa ti ha fatto»
«Io...»
«Senti, non sono venuto qui per te, mi hanno mandato i Bosco per avvertirti.»
Evelyn rimase come paralizzata, poi socchiuse gli occhi. «Non mi interessano gli avvertimenti, mi interessi tu.»
Antony si alzò di scatto dalla sedia. «Non c'è tempo per me e per te... per noi.» Anche lei si alzò. «A me interessa solo di te» sottolineò.
«Vuoi ficcarti in quella cazzo di testa che se non farai ciò che ti dico, hai le ore contate?» sibilò.
Evelyn lo guardò dritto negli occhi, lui ricambiò lo sguardo e si indicò il petto. «Sento la paura che hai in questo momento. È uguale alla mia. E i rimpianti. E il dolore. Solo stare qui davanti a me ti riporta indietro nel tempo, a quando tutto è cominciato... e, sì, so cosa ha fatto Arturo Bosco. E se qualcuno non l'avesse ucciso prima, mi sarei divertito a torturarlo lentamente e a fargli scontare tutto. Ma la vita non mi ha mai dato ciò che volevo. Cazzo, mi ha tolto anche la vendetta! Ma per noi è troppo tardi ormai...»
«No!», Evelyn alzò il mento di scatto, «così gliela darai vinta!»
Antony inarcò di scatto le sopracciglia. «Sei un'illusa se pensi che ci sia qualcosa da costruire tra di noi.»
«Tu senti solo una parte di quello che provo per te. O forse non vuoi riconoscere, per motivi tutti tuoi, che più di tutto mi piacerebbe volerti bene.» Antony parve improvvisamente vulnerabile.
«Nel tuo brusco tentativo di proteggerti, non bloccare le strade che potremmo percorrere insieme» sussurrò. «Non siamo costretti a forzare un'intimità che non c'è, ma non impediamole di sbocciare, se esiste anche solo una possibilità che ciò accada. Magari... magari oggi potresti dirmi se posso aiutarti anche solo in minima parte. Cominciamo da qui... e vediamo cosa succede.»
Antony si mise a camminare su e giù per la stanza, il corpo magro e l'energia nervosa che si irradiava in tutta la stanza. «Non abbiamo tempo... devi andare via da New Orleans. Ho dei soldi, parecchi, da parte...»
Lei gli andò dietro, lo costrinse a fermarsi. «Perché dovrei andare via?» Lui si girò e l'afferrò per le braccia, rendendosi conto di toccarla, lasciò la presa come se si fosse scottato. «I Bosco non vogliono che tu testimoni a favore del pianista. E anche se non lo farai, appena il processo sarà finito e lui condannato, manderanno qualcuno a tapparti la bocca per sempre.»
«Fabrice non ha ucciso tuo padre» sussurrò.
«Non importa.»
Evelyn lo scrutò a lungo. "Tu verrai con me?» chiese.
«No.»
«Non voglio lasciarti ora che ti ho trovato.»
«Anche a costo della tua vita?»
Lei non esitò un attimo a rispondere. «Sì.»
Fu la volta di Antony di guardarla negli occhi come a cercare il minimo segno di menzogna. Poi a bassa voce disse: «Perché vorresti fare una cosa simile?» La verità era semplice come quattro parole, e complessa come un'intera lingua. «Perché sei mio figlio.»
Antony sbatté le palpebre una volta, poi rimase in silenzio. Come se quanto era stato detto gli fosse giunto in un linguaggio segreto che lo costringeva a estrapolare il significato. Dopo qualche secondo disse, busco: «Io non sono una brava persona».
Evelyn alzò il mento di scatto. «Sei mio figlio. Non mi interessa il resto.»
Antony si passò la mano tra i capelli, il corpo scosso da un fremito, quasi dovesse imporsi di non scappare.
«Scusami, per aver creduto alla bugia che fossi morto», continuò lei.
«Oh, Gesù...» Antony trasalì visibilmente. «Ehm, ascolta, non c'è nulla di cui scusarti. Tu non potevi sapere...»
«No, dovevo capire che non eri morto. Avrei dovuto insistere per vedere... il corpo. Mi è mancato il coraggio e...»
«Basta!» intimò Antony con voce tesa. «Per favore, basta...»
Evelyn cercò di avvicinarsi, ma Antony arretrò. Lei si passò una mano sul viso. «Scusami...»
Lui sbuffò. «Smettila con le scuse. Non servono. Sappi solo che se mai mi dovessi trovare costretto a scegliere tra te e me, sceglierei sempre e comunque me.»
Evelyn sospirò. «Spero che tu scelga sempre te stesso prima di me.»
Lui strinse i denti. «Non devono sapere del... nostro legame o lo useranno contro di noi.» Cercò i suoi occhi e, quando la vide fare cenno di sì con la testa, continuò: «Fisicamente ti somiglio troppo, bisogna evitare che i Bosco ti abbiano sotto gli occhi,» fece una pausa, «sarebbe meglio che ti nascondessi da qualche parte, se non vuoi proprio fuggire».
«Farò qualunque cosa per proteggerti, ma perché non possiamo fuggire insieme?»
«I Bosco possono dimenticarsi con il tempo di te, ma non di me. Mi inseguirebbero in capo al mondo.»
Evelyn si torse le mani. «Non so cosa fare. Voglio aiutare Fabrice, ma non voglio mettere te in pericolo.»
«Per ora nasconditi, così i Bosco penseranno che la minaccia ha funzionato, hai avuto paura e sei fuggita. Per il processo c'è ancora tempo. Ora devo andarmene.»
Evelyn cercò di frapporsi tra di lui e la porta. «Aspetta!»
Lui alzò le mani e la guardò in tralice. Evelyn si fece da parte. «Come faremo a tenerci in contatto?» sussurrò.
«Niente contatti. Di' dove andrai solo a Tabitha, se sarò costretto a comunicare con te, userò lei.»
Antony aprì la porta, ma invece di uscire si girò verso di lei. «Che nome mi avresti dato?»
Evelyn fece un timido sorriso. «Quando ero incinta, per sfuggire ai brutti pensieri, mi rinchiudevo in questa camera a leggere il ciclo feniano... Ti ho chiamato Finn... Il tuo nome sarebbe stato Finn Walsh.»
«Mi hai chiamato come un cazzo di eroe» disse sarcastico, prima di uscire e chiudersi alle spalle la porta della stanza dove era nato.
Uscì dalla maison in un batter d'occhio e si ritrovò di nuovo in strada senza la minima idea del da farsi. Pensò che la cosa migliore fosse prendere un caffè, riflettere sugli accadimenti degli ultimi giorni e sul successivo passo da compiere. Prima o poi sarebbe stato costretto a tornare a Villa Bosco. Ma farlo in quel momento, dopo tutte le emozioni a stento celate con lei, gli sembrava impossibile. Tornare da qualsiasi parte gli sembrava impossibile. Andare avanti gli sembrava impossibile. E sopravvivere. Si sforzava di ragionare, di trarre qualche conclusione logica dall'impenetrabile scompiglio che si era creato nella sua testa con il solito esito di fargli pulsare le tempie all'impazzata. Pensò ad Arturo, sottoterra, forse già mangiato dai vermi. Svoltò in un vicolo deserto. Sentì un rumore di passi alle sue spalle ed ebbe la sensazione di essere seguito. Si voltò, ma non vide nessuno. Andò avanti e all'improvviso fu raggiunto da una mazzata alla schiena che lo scaraventò contro un muro e gli tolse il respiro. Prima di rendersene conto fu immobilizzato alla parete, con un avambraccio che gli serrava il collo come una tenaglia.
«Guarda un po' chi si vede, il bastardello...» disse una voce acida e satura di toni bassi, un suono roco e sgradevole che gli fece accapponare la pelle.
Lo stava soffocando. Pensò che se quel tipo avesse stretto un altro po', gli avrebbe spezzato il collo. Sentiva il battito regolare del suo cuore contro la parte destra del petto. Puzzava di tabacco e sudore. Antony sapeva che doveva scalciare, raccogliere tutte le sue forze per scrollarselo di dosso, ma non riusciva a muoversi, ormai fuori di sé dalla paura e dalla mancanza di ossigeno. E all'improvviso riconobbe il suo aggressore: uno degli uomini al seguito di Giacalone. Il peggiore. Qualche tempo prima aveva tentato di molestarlo una sera che aveva bevuto troppo e Antony lo aveva colpito alla testa con una bottiglia. Giacalone forse sapeva o forse no, restava il fatto che aveva mandato proprio lui a ucciderlo o a dargli una lezione. Mentre lo immobilizzava l'uomo cominciò ad armeggiare con la sua cintura. Antony capì cosa voleva fare. Nel suo strano codice dell'onore, non avrebbe avuto pace fino a quando non avesse preso con la forza ciò che gli aveva negato. Ora che era senza protezione pensava sarebbe stato facile e senza conseguenze.
Fu in quel momento che Antony riacquistò la lucidità e si ricordò di avere il coltello nella tasca posteriore dei pantaloni. Se si fosse mosso troppo bruscamente, lui avrebbe reagito e sarebbe stato impossibile attaccarlo. Sembrava concentrato a sbottonarsi uno dopo l'altro i bottoni della patta. Cercò di attirare la sua attenzione perché lo guardasse in faccia e non le mani.
«Ascolta...» gli disse in un sussurro calmo per non allarmarlo. L'altro lo guardò sorpreso e Antony capì che la cosa andava per il verso giusto. «Ascoltami. Mi dispiace di averti... trattato in quel modo, davvero, mi dispiace e...»
L'uomo sembrava interdetto, Antony ne approfittò per cercare di estrarre il coltello. Non era facile. Era in fondo alla tasca. Lui gli stringeva ancora la gola, ma mollò un po' la presa.
Antony aveva il coltello in pugno. Il braccio gli ricadeva lungo il fianco, parallelo al corpo. Schiacciò il piccolo pulsante, e la lama uscì in un batter d'occhio. Attaccò, senza paura, con il filo rivolto verso l'alto, e soprattutto con decisione. Senza esitare affondò la lama fino in fondo. Senza pensarci. Gli conficcò il coltello nel costato con tutte le sue forze. Il sangue sgorgò a fiotti allargandosi sulla camicia. Sentì che correva tra le sue dita, viscido e caldo. Gli sfuggì un grido di dolore, ma non lo liberò. Lo pugnalò una seconda volta, senza sfilargli il coltello dal corpo.
L'uomo si ripiegò su sé stesso e cadde a terra, contorcendosi in posizione fetale. Antony rimase a fissarlo. Non c'era nessuno in giro, se la poteva prendere con calma. Mentre guardava la vita defluire dal corpo dell'uomo, capì cosa doveva fare. Aveva un piano.
Uscì dal vicolo con calma, senza guardare indietro, con il coltello insanguinato ancora in mano.
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