Capitolo IX
Il capitolo contiene scene sessuali esplicite. 🔴
Fabrice viveva nel cuore del Quartiere Francese. Un posto come un altro. Salirono per delle scale che avevano visto tempi migliori, niente a che fare con il lusso a cui Louise era abituata. Lui aprì la porta dell'appartamento all'ultimo piano della sgangherata palazzina. E appena entrò, lei vide il cielo.
La prima cosa che la stupì fu l'ordine e la pulizia della casa; si era immaginata macchie di umidità sul soffitto e mucchi di mobili sparpagliati. Insomma, un interno sciatto che comunicasse una sensazione di abbandono e negligenza che ti si appiccicava alle ossa come freddo. Ma la dimora di Fabrice era diversa. Il pavimento era stato pulito di recente e si notava che qualcuno si era preoccupato di togliere la polvere dagli scaffali. Tutto l'appartamento era ordinato con una eleganza minimalista. Il particolare però che richiamò la sua attenzione, quello che la portò a una dimensione di gioia furono i libri, i dischi e gli spartiti. Ce n'erano tanti, tanti, tanti. Riposavano addossati gli uni agli altri in scaffali che andavano dal pavimento al soffitto, allineati come soldati di un esercito di parole e note. Louise fece scorrere il dito avanti e indietro su ogni ripiano, seguendo un'infilata di lettere attraverso i dorsi degli esemplari, estasiata, incantata, entusiasta, attonita, e ripeteva sottovoce i nomi di ciascuno degli autori. Tutti in rigoroso ordine alfabetico. Fabrice era un metodico. E i dischi... Qualsiasi cosa le venisse in mente poteva stare sicura che lì c'era. C'era di tutto. Cercò con gli occhi un grammofono, ed eccolo lì, accanto agli scaffali. Il pianoforte invece stava dalla parte opposta della stanza. Erano oggetti vecchi, ma tenuti con cura. Si sentiva come Hansel e Gretel davanti alla casa di marzapane.
Si era talmente immersa nella contemplazione del tesoro nascosto nella casa che non aveva fatto caso a lui fino a quando non sentì il suo fiato caldo sulla nuca. La stava abbracciando, piazzandole le mani sui seni. Sospirò. «Che cosa ti passa per la testa?»
«Non è chiaro?» rispose.
La girò e si trovarono faccia a faccia. Lui sorrideva. Non disse altro, si limitò ad avvicinare il corpo in attesa. Lei non oppose resistenza e protese le labbra verso di lui. Fabrice non era uomo da non cogliere al volo le opportunità, e ancora una volta le sue labbra cercarono quelle di lei. Quando Louise sollevò il capo, fu solo per esplorare le verdi e trasparenti profondità. Si sentì quasi ipnotizzata dalla forza trascinante dello sguardo, ma questo non le impedì di accorgersi tempestivamente delle sue dita che intanto, partendo dalla gola e passando alla clavicola, scivolavano sempre più in basso. Prese a respirare più in fretta e un calore nuovo sbocciò ai capezzoli e all'inguine. Le mani di lui frugavano il suo corpo con l'avidità e l'impazienza di un cercatore d'oro, e quando arrivarono alla schiena, tamburellò con le dita su e giù per la colonna vertebrale facendola rabbrividire. Spinse avanti una gamba e la infilò tra le sue. Louise percepì la sua eccitazione contro il pube. Ascoltava i respiri affannati che si sovrapponevano l'uno all'altro come una sinfonia di ansimi amplificati a tutto volume, andando a infrangersi contro il silenzio della sera. Le piaceva, lo godeva. Lo voleva con la stessa urgenza imperiosa che aveva sperimentato a tredici anni quando, durante una delle diete imposte dalla madre che temeva ingrassasse, veniva attratta dai pasticcini di cioccolato esposti nelle vetrine delle pasticcerie. Le piaceva tanto, così, all'improvviso, che non fu in grado di fermarsi a considerare le ragioni che si celavano dietro un simile capriccio, perché lei non doveva desiderarlo, lei era già impegnata in un matrimonio complicato e con mille problemi in arrivo. O forse, fu proprio per quello che non chiuse la diga al desiderio crescente.
Al confronto con la dolcezza avvolgente e studiata di altri uomini con cui era andata a letto, Fabrice era come una sciagura naturale, un tornado inarrestabile che al suo passaggio abbatteva case e devastava i campi di granoturco, come un fulmine in piena, come una grandinata. Non sarebbe servito tentare di opporgli resistenza, né lo voleva. Le bloccò le mani dietro la schiena con una delle sue e la trascinò contro le mensole. Cominciò a percorrere con la lingua e a piccoli morsi il tragitto che andava dall'orecchia sinistra fino al seno, fermandosi tranquillo sul collo mentre le alzava il vestito con la mano libera. Poi le abbassò le mutandine con uno strattone. Con l'indice cominciò a massaggiarle il clitoride su e giù. Lo sentì indurirsi. La percezione del desiderio di lui accentuò il suo, come la vicinanza di un fiammifero acceso ne accende un altro. Il corpo rispondeva, era evidente, e questo non poteva non significare che anche lei lo desiderava. In realtà una parte di lei lo aveva desiderato dalla prima volta che lo aveva visto, una corrente sotterranea a cui aveva tentato di fuggire. Non ora. Gli spinse le mani sotto la giacca che ancora non si era tolto. Quando erano entrati in casa, si era occupato di aiutarla a togliersi la pelliccia, lui era invece rimasto com'era. Il suo petto era ampio, anche se non muscoloso in modo eccessivo. Gli aprì la camicia, passò le unghie tra la fine peluria bionda fino a trovare un capezzolo e glielo strizzò con delicatezza.
«Lascia che ti spogli...» le disse lui un attimo prima di girarla di schiena; le mani si mossero agili sulla fila di gancetti nascosti nella seta. Poi fu il turno del reggiseno.
«Magnifica...»
Le passò le dita lungo la spina dorsale, seguendole con la bocca fino a ritrovarsi inginocchiato dietro di lei, con le mani che le strizzavano il sedere. Ardeva per lui, il desiderio era quasi insopportabilmente piacevole. Annaspò, cercando un appoggio per piegarsi in avanti, ma lui le afferrò la vita con entrambe le mani, l'alzò con un movimento fluido e la tenne sospesa agevolmente sopra la testa. Piegando il capo all'indietro, allungò la lingua verso le labbra e succhiò a fondo, tanto che per un attimo lei si sentì priva di peso, sospesa nell'aria con tutto il peso del corpo che pulsava. Poi gli posò gli stinchi sulle spalle, premette i palmi delle mani sulla mensola sopra di lei e cominciò a strusciarsi contro la sua faccia mentre lui le leccava le labbra e in mezzo alle natiche. La lingua di lui si insinuò più a fondo e lei spinse più forte contro la mensola. Il peso di lei lo sollecitava a leccare più in profondità, mentre il corpo di Louise si inarcava all'indietro sopra la sua testa. Pensò che sarebbe potuta venire così, ma voleva ricambiare.
«Mettimi giù... per favore...» mugolò. Aveva come l'impressione che a lui non piacessero gli ordini, per cui trasformò l'incitazione in una sorta di preghiera.
Lui la depositò sul pavimento con la stessa facilità con cui l'aveva sollevata. Lei s'inginocchiò. La natura avrebbe dovuto donare a tutti gli uomini un pene come quello di Fabrice, pensò. Grosso come il suo polso per tutta la lunghezza, i lembi della pelle circoncisa in un piccolo rilievo, delicati come seta. Posò la lingua lì, leccando quel punto tenero, stuzzicando e dando colpetti ritmati finché lui non boccheggiò, si gonfiò ancora di più, e a quel punto lo prese in bocca, posandosi le dita di Fabrice sull'incavo della gola perché lo sentisse bene il fondo. Lui le afferrò la nuca sotto i capelli e cominciò a fare affondi, imponendole il suo ritmo. Lei cercò di accoglierlo sempre più in fondo, rischiando di soffocare, finché non ebbe un conato. Lui allora allentò la presa e lei lentamente, molto lentamente, rilassò la bocca finché non rimase che il leggero guizzare della lingua. Una tortura e una promessa.
Fabrice era diventato silenzioso, il viso dall'espressione assorta ben al di sopra di lei, che rovesciò la testa all'indietro e gli diede un'ultima leccata, da cima a fondo.
«Vieni qui!» le disse.
Louise allungò le braccia verso l'alto per cingergli in modo saldo il collo, si issò su per le cosce massicce, spinse il coccige all'indietro e poi verso l'alto, permettendo a lui di penetrarla; lui appoggiò la schiena alla parete e la penetrò ancora più a fondo, premendo i suoi fianchi contro di sé. Un lento affondo, due, tre, finché lei implorò di averlo dentro tutto, mordicchiandogli il petto; lui si girò per metterla al suo posto e la sbatté con tutto il suo peso, fino a quando lei sentì arrivare l'orgasmo dal clitoride all'interno.
«Ora!» le ordinò, poi diede qualche altro colpo per raggiungerla. Mentre la testa le si rovesciava all'indietro, sentì le contrazioni del piacere. Quando il suo orgasmo esplose, lui la sollevò leggermente in modo che potesse vedere il suo sperma schizzarle addosso, finché non ruggì e la lasciò andare.
Tutto il peso della donna piombò su di lui, ma all'ultimo momento l'afferrò e la tenne bloccata contro di sé mentre le ultime gocce di piacere si riversavano sulla sua pelle.
Stavano entrambi tremando. Lei gli leccò un rivolo di sudore salmastro dal profondo incavo tra i pettorali. Continuando a tenerla intorno a sé, la portò sul divano, si inginocchiò e la fece rotolare giù.
«Stai bene?» le chiese.
Louise fece di sì con la testa e lui le regalò uno dei suoi rari sorrisi. Dolcissimi.
«Forse dovremmo andare a letto.»
Lei non si accorse di come ci arrivò, Fabrice la prese in braccio e cominciò a baciarla finché non caddero sul letto avvinghiati. Nudo (Louise non ricordava quando si era spogliato del tutto) il suo corpo era imponente da intimidire. Tutto in lui era grandioso, quasi monumentale nella sua anatomia: il torace, le gambe, gli avambracci, il collo e il membro. Scolpiti nella pietra, intagliati. Si mise su di lei appoggiandosi sulle braccia. Entrò ancora una volta senza farle male, entrò senza far rumore. Louise fu sorpresa che fosse tutto così facile. Si adatto al ritmo di lui. Fluttuò in un mare di sensazioni le cui onde si facevano più alte ogni secondo che passava e poi, all'improvviso, si ruppero gli argini e l'acqua straripò.
Lo fecero tre volte di seguito. E l'avrebbero fatto anche di più se a un certo punto lei non si fosse resa conto, dalla finestra della camera da letto, che fuori era buio.
«Devo andare...»
Lui la guardò con dispiacere e le fece un'ultima pigra carezza lungo tutto il corpo. «Accompagna la mia mano lungo i segreti percorsi del tuo corpo...» disse prendendo la mano di Louise. «Insegnami le scorciatoie del tuo piacere» l'adagiò sul sesso di lei, coprendola con la sua. «Invitami alla mensa del tuo sesso caldo, come rifugio nella neve», cominciò a muoverla facendosi guidare da lei, «neve di pelle candida e spruzzata di mille piccoli disegni e del mio seme, osceno omaggio alla divinità che ti ha creata.» L'ennesimo orgasmo arrivò veloce e denso.
Con la voce spezzata dal piacere lei gli chiese: «Di chi è?»
Lui non rispose, si limitò a guardarla in silenzio mentre si alzava dal letto in cerca dei suoi vestiti.
Louise lo salutò con un bacio frettoloso, da farfalla pentita, che gli diede in punta di piedi sulla porta di casa.
Louise non lo sapeva ancora ma, nel corso dei mesi, sarebbero passati dalla volgarità naturale del desiderio a una specie di comunicazione trascendente, attraverso tecniche, esperienze, perfezionamenti, legittime astuzie e trucchi innovativi che avrebbero finito per diventare consueti. Nel corso dei mesi Louise avrebbe fatto progressi e Fabrice anche... Non c'è modo di descrivere l'assuefazione al sesso quando non è neanche sesso e diventa qualcosa di più, la traduzione tangibile del bisogno imperioso di uscire da sé stessi, da una vita che non ci capisce e non si vuole. Ma tutto ciò sarebbe arrivato più tardi, con il passare dei giorni, gradualmente, per accumulazione, come i granelli di sabbia che segnano i minuti in una clessidra, senza che ce ne rendiamo conto. Louise non lo sapeva, ma con il tempo ogni dettaglio della stanza le sarebbe rimasto impresso nella memoria in virtù della classica mnemotecnica della passione. Louise non lo sapeva ancora, ma con il tempo, sarebbe diventata indispensabile a Fabrice.
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