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Capitolo Due 🤍

Pov's Honey

Un bip frenetico cominciò a risuonare nelle mie orecchie.

Un vento caldo mi solleticava la pelle e delle mani dolci accarezzavano i miei capelli.

«Sta piangendo Lì»

La voce di mia madre, calda e dolce, riuscì a sovrastare tutto ciò che udivo, ma stranamente la sentivo lontana.

«Lo vedo»

Le stesse mani che mi toccavano, scesero ad asciugare le mie lacrime calde.

Erano ruvide, ma estremamente leggere.

Mio fratello non era mai stato una persona così affettuosa, lui era stato da piccolo sempre timido e introverso, ora con il tempo per me, era diventato tutt'altro.

«Non riesco a vederla così, mi distrugge.»

«Ha avuto un crollo mamma, era più che normale.» disse mio fratello.

Sentivo ogni loro respiro, ogni loro piccola attenzione.

«Non riesco ancora a capire come quel buono a nulla possa ancora essere a piede libero.» affermò mia madre tirando su col naso.

Dio mamma, no ti prego.

Un bip incessante cominciò a risuonare sempre più velocemente nella stanza.

«Cazzo, si sta agitando»

«Vado a chiamare il medico»

Sentii aprire una porta e un leggero click, segno che mia madre era uscita dalla stanza.

«Cosa hai combinato? Cerca di calmarti per favore... pensa a Emy, a mamma, alla nostra famiglia, a me... »

Lo stridio di una sedia e poi capelli che strofinarono il mio braccio mi indicarono che Lion si era seduto vicino a me, accucciandosi con la testa sulla mia mano.

Avevo capito che stava cercando di calmarmi facendomi sentire la sua presenza, ma quello che mi tranquillizzò furono i cerchietti con il dito che sentii sulla mia coscia.

Adoravo il modo in cui si prendeva cura di me, lo aveva sempre fatto.

All'età di cinque anni mi sbucciai un ginocchio e lui, per farmi smettere di piangere, iniziò questa danza di cerchietti sulla mia schiena.

All'età di otto anni, litigai con un'amichetta per dei giocattoli e lui era sempre lì a cercare di mandare via quella rabbia, sempre nello stesso modo, ma cambiando posto sul mio corpo.

La "danza delle dita" era sempre quella, ma cominciò a scrivere anche parole senza senso.

L'ultima volta che me lo fece era stato ai miei sedici anni.

Mi ero lasciata con Andrew, il mio primo fidanzato, ma Lion era sempre lì. Con un dito sul mio piede scrisse sei lettere.

I W A F F Y.

Non sono mai riuscita a capire cosa volesse dire, ma ero sicura che c'entrassi io in qualche modo.

«Eccomi.»

Sentii di nuovo la porta aprire e una voce provocante entrare.

«Clark, mentre parlav-»

«Tranquillo Lion, tua madre mi ha già spiegato tutto.»

Un odore di pino fresco si insinuò nel mio naso all'istante, lo sentivo vicino, mi girava intorno, lo annusavo più forte e a volte più debole.

Ma c'era.

«I parametri sono buoni. Il consiglio che posso darvi è di non parlare ancora della sua situazione mentre è ancora incosciente. Lei può sentirvi, anche se non è sveglia.»

«Io non riesco a capire! Come è potuto succedere!»

«Lion... te l'ho già detto. Non potevi prevederlo. Ha avuto un'esperienza di depersonalizzazione. Con lo spavento, è raro, ma può far svenire le persone.»

«Depe che cosa? Clark per l'amor di Dio.»

«Ha avuto un'esperienza di estraneità dalla propria identità. Non era padrona di nulla, né dei propri pensieri, né delle proprie emozioni e nemmeno del suo corpo. È come se per lei, la vera Honey non esistesse. Per questo l'hai vista persa, rigida come un tronco. Magari si è spaventata e avrà perso i sensi. Purtroppo può capitare, sicuramente ha avuto un grande stress. C'è da dire che non possiamo saperlo fino a quando non si sveglia. Alcuni psichiatri dicono che questo disturbo non esiste, ma io ci credo e sostengo che lei lo abbia avuto.»

Ecco perché mi sentivo lontana da tutti, tutto lo stress accumulato in questi mesi, il lavoro e Jamie.

«Tutta colpa di quel grandissimo figlio di p-»

«Lion, non qui.» disse Clark a mio fratello con tono severo.

Per un'attimo non senti più nessuno, ma l'odore di pino e quello di mio fratello, un misto di spezie che non riuscivo a capire, erano ancora nella stanza.

«Mi può sentire giusto?»

Non ricevette risposta e continuò senza freni.

«Mi senti Honey? Aspetterò che ti svegli, ma poi dovrai dirmi tutto, tutto! O giuro su Dio che... »

«Lion... dai andiamo a prendere un caffè, lasciamola riposare in pace.»

Sentii i loro passi sempre più distanti e poi il click, i due profumi che sentivo così ben amalgamati nell'aria, sparirono immediatamente.

Ero rimasta sola.

Anche se in fondo sola non ero, avevo l'amore di mio fratello, dei miei genitori, di Emy.

Un amore sano, vivo e grande.

È quello per me stessa che mi mancava.
Amavo tutti, anche Jamie.
Un'amore soprattutto vero e ipocrita allo stesso tempo.

Così infimo e contraddittorio.

Pieno di sotterfugi a volte, di alti e bassi.

Ma non riuscivo a provare amore per me stessa e per questo mi sentivo così stupida.

Per una vita, creavi amicizie, legami profondi e poi arrivava, così dal nulla, una persona che diventava il centro del tuo mondo.

Non esisteva altro, solo Lui.

E allora perché amare se stessi, se all'improvviso siamo felici di dare il primo posto nel nostro cuore ad un'altra persona?

Non dovremmo tenere a noi all'infuori di tutto?

Perché ci annulliamo per gli altri? Nascondiamo i nostri hobby, la nostra voglia di vivere in libertà, la nostra voglia di aprire le ali e anche le nostre soddisfazioni o i nostri obiettivi.

Ma ci nascondiamo sempre per chi abbiamo vicino.
Io avevo fatto tutto ciò con Jamie, ma avevo fatto una grande cavolata.

Ho tolto tutto, colleghi, amicizie.
Ho abbandonato la mia famiglia per lui, il mio nuovo appartamento comprato da poco.

Tutto per stare con lui.

Grandissima stupida.

Pensavo che quello fosse amore.
Ma mi sbagliavo.

Cos'era allora l'amore?

Non riuscivo a trovare risposta nei mille pensieri che avevo per la testa.
Mi rendevo solo conto che non l'avevo mai provato, non l'avevo mai e dico mai assaggiato e sperimentato.

Quando è sottile la linea che divide l'amore dalla morbosità?
E la linea che divide dalla possessione?

Quanto potevo reggere ancora...

Un bussare fermo mi riportò nella stanza.

Non riuscivo a parlare quindi non potei rispondere.

La stanza era vuota e la persona entrò senza chiedere permesso.

«Lion? Ci sei?»

Una voce baritonale mi squarciò l'anima.

Fredda e ruggente.

Aveva un'accento nuovo, ma che conoscevo benissimo.
Era balsamo per le mie orecchie in quel momento, come aria fresca.

Un'ondata di profumo mi investì e mi stordì.
Gelsomino, agrumi e note di mare.
Mi invase, mi stropicciò, mi ingoiò e poi mi ridiede al mondo.

Cominciai a sentire anche caldo, caldo ovunque, da capo a piedi.
Tutto senza una vera motivazione.

Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo.
Non sentivo e vedevo niente.

Lo sconosciuto era ancora nella stanza?
Cosa stava facendo?
Perché non si muoveva?

Mi stavo agitando, sia per la sua presenza, per il suo profumo così traumatico per me, sia perché non sentivo rumori e mi sentivo frustrata.

Mare, arancia e gelsomino mi invasero di nuovo le narici di colpo, come se lo sconosciuto si fosse avvicinato al letto.

Sentivo la sua presenza, ma non la sostanza.
Non riuscivo ad aprire gli occhi, a toccarlo, a capire chi fosse.

Poggiò qualcosa sul mio comodino, avevo l'ansia che potesse farmi del male.

Forse era Jamie?

Dio mio, Lion dove sei?

Cercai di annusare meglio, ma il suo profumo era molto più buono e delicato di quello costosissimo del mio ex ragazzo.

Sentivo il bip galoppare di nuovo come un cavallo imbizzarrito di fronte a un ostacolo.

Non sentivo più le gambe e mi fischiavano le orecchie.
Stava succedendo di nuovo, ma io ero pronta, l'ansia mi avvolse mentre ascoltavo i passi della persona con me in stanza allontanarsi, aprire la porta e chiuderla.

Poi il buio.
Di nuovo.

Non so quanto tempo fosse passato, ma riuscii ad aprire gli occhi con fatica solo dopo un'eternità.

Non sentivo più il calore del sole che filtrava dalla finestra e scaldava le lenzuola.

Il bip era sparito, segno che i macchinari erano spenti.

Aprii gli occhi lentamente e riuscii a mettere a fuoco la stanza dipinta completamente di bianco.

Un corpo rannicchiato su una sedia, stanco e affaticato, attirò la mia attenzione.

Mia madre era sempre stata bella e giovane, ma guardarla ora, mi sembrava avesse acquisito venti anni tutti insieme.

La sua maglia rosa era sporca di caffè e i suoi jeans abnormi erano sgualciti, segni della sua assidua permanenza in ospedale.

Non ero stupida, sapevo benissimo dove mi trovavo, ma speravo vivamente di non esserci mai finita.

Chiusi gli occhi e provai a riaprirli subito.

Risultato?

Ero sempre lì, avvolta da un lenzuolo bianco con mia madre che dormiva appoggiata alla parete alla mia destra.

Cercai di parlare, volevo chiamarla, ma solo un rantolo uscì dalla mia bocca.

Lasciai perdere, forse farla riposare ancora un pochino era la decisione giusta.

Cercai di ambientarmi in un posto dove non mi trovavo a mio agio, di alzarmi per mettermi seduta, ma sentivo il mio corpo stanco e spossato.

Non avevo più macchinari intorno a me, ma sembrava che ci fossero.
Nella mia testa, il bip risuonava ancora e mi sentivo così stordita da voler dormire ancora un po'.

«Sei sveglia»

Mio fratello era dall'altro lato, appoggiato alla finestra che guardava l'orizzonte.
Era stato così silenzioso che non l'avevo minimamente notato.

Ma nel momento in cui posai gli occhi sul suo viso, il suo turbamento interiore divenne evidente.

Dolore, rabbia, compassione e odio puro.

Non risposi.

«Honey»

«Ehi»

«Come stai?»

Bella domanda, fratellone.

Come avrei potuto rispondergli?
Era giusto dire la verità?

Mi sentivo vuota, uno schifo, stordita, confusa.
Avevo voglia di uccidere, di far male, di rovinare la vita a Jamie.
Volevo strappargli tutto quello che aveva, volevo vendetta.

«Mi riprenderò, ma sto bene»

Mio fratello si avvicinò alla mamma e con dolcezza le accarezzò una guancia.

«Mamma, svegliati.»

«Cosa Lion? Tua sorella? Sta bene? Cosa è successo?»

Cazzo.

Mia madre si era svegliata di soprassalto nonostante la dolcezza e premura di mio fratello.

«Ehi queen»

«Princess, Dio, amore mio!»

Di colpo la vidi arrivare come un razzo e piombare sul mio corpo.
Il suo profumo di lavanda riempì le mie narici e mi ricordai come un lampo a ciel sereno dell'uomo che cercava Lion.

«Vado a chiamare il medico ok? Resta con la mamma»

«Spiritoso, molto molto spiritoso»

Mio fratello uscì dalla stanza con un sorriso stampato in faccia e l'ironia negli occhi, lasciando la porta aperta.
Aveva capito prima di me che, con la mamma presente, dovevamo stemperare i sentimenti negativi che viaggiavano dentro di noi.

«Come ti senti?»

«Bene, un pochino stordita.»

«Quello è colpa dei sedativi.»

«Clark, è bello rivederti. Scusa l'abito ovviamente, non l'ho confezionato io ma il tessuto non è male.»

«Lion, vedo che tua sorella è in ottima forma visto le battute.»

Clark era amico di mio fratello dai tempi del Stowe High School.
A quel tempo vivevano in simbiosi ed erano veramente uniti.

Poi un giorno si sono divisi e non hanno parlato per anni.
Quando Emy ha avuto bisogno dell'ospedale dopo una brutta caduta, si sono rincontrati e ora sono inseparabili come ai vecchi tempi.

«Eh già.»

«Ricordi cosa è successo?» disse Clark mentre mi controllava le pupille.

«Sì, ogni cosa e... sensazione.»

«Ok. Allora quello che hai avut-»

«Ricordo e ho sentito. Ricordo anche quello, tutto ciò che è stato detto qui dentro», dissi guardandomi le mani.

«Oh, Ok. I parametri sono buoni, quindi puoi stare tranquilla. È stato il primo episodio?»
Non risposi subito e continuai a stropicciare il lenzuolo che avevo sulle gambe.

«Honey, non mentire, per l'amor del Cielo», disse mia madre accarezzandomi una mano per bloccarmi.

Li guardai uno per uno, consapevole che non si poteva tornare indietro ora.
Era successo davanti a loro e non potevo fare finta di nulla.

«No, mi succede da quando... cioè è iniziato dopo pochi mesi, da quando...»

«Da quando ti sei lasciata con Jamie?»

Solo sentirlo nominare, il sangue mi si gelò.

«Sì... »

Voltai la testa per guardare fuori dalla finestra.
Ero stanca di sentire.
Ero stanca di gente che voleva capire.
Ma soprattutto ero stanca di gente che comprendeva.

Ma cosa cazzo potevano afferrare? Nulla.

I dolori, le situazioni o i drammi, soltanto vivendoli si potevano veramente conoscere.

«Vorrei tornare a casa per favore»

Non ce la facevo a rimanere ancora lì, seduta su quel letto che non era mio.

«Dovresti rimanere ancora un pochino, facciamo degli esami e poi se è tutto nella norma potresti tornare a casa» disse Clark con voce estremamente dolce, mentre lo fissavo speranzosa.

«Oh, ok... »

Tornai a guardare fuori dalla finestra dove la luce del giorno faceva spazio a un bellissimo tramonto.

Scie rosa, rosse, arancio e gialle occupavano tutto lo spazio della finestra, alberi ovunque si muovevano come se stessero ballando una danza solo loro.

Ed io riuscivo a vedere ben poco di quei magnifici colori, perché ero rinchiusa lì.

«Senti Honey...» iniziò a parlare mio fratello, ma il mio sguardo gli fece capire ben presto che non era il momento.

«No Lion, ne parliamo domani. Accompagna mamma a casa, ho bisogno di riposare».

Mia madre mi guardò con occhi velati di lacrime, ma solo una cosa riuscivo a captare dalla sua persona: impotenza.
Si sentiva impotente di fronte a me e alla mia situazione.
Ed io la capivo benissimo.

Si avvicinarono uno alla volta per stringermi ancora un pochino e poi, dopo avermi dato un bacio, se ne andarono.

Avevano capito che volevo restare sola, che avevo bisogno di assimilare e avere la mente lucida.

Decisi così di alzarmi e fare una doccia.
Mi avrebbe sicuramente aiutato a non pensare, ma anche a schiarire le poche certezze che avevo.

Scesi con la lentezza di un bradipo e mi recai in bagno.
Lo specchio mi rimandava l'immagine di me stessa, con un sorriso spento e la pelle grigia.
Esausta, mi spogliai e avviai l'acqua.
In quel momento, il rumore mi ricordò il mare e il profumo di salsedine.

Chiusi gli occhi accogliendo il momento e per la seconda volta, mi tornò in mente lo sconosciuto che aveva depositato qualcosa accanto a me, mentre ero nel letto incosciente.
Avevo completamente dimenticato di controllare la prima volta, ma con tutto quel caos: mia madre, Lion e il dottore, ero stata sommersa nel giro di dieci secondi.

Mi infilai nella doccia e dopo averne fatta una di quelle belle rigeneranti, mi sentii meglio.
Lavai i capelli, mi vestii e uscii fuori con l'intenzione di vedere cosa mi aspettava per cena.

Odiavo quel posto, l'odore di disinfettate unito a quello della candeggina, riusciva a bruciarmi l'olfatto.
Mi tappai il naso e cominciai a guardai intorno una volta varcata la soglia della porta.
Sul comodino vicino al mio letto, un colore particolare però attirò la mia attenzione.

Un verde smeraldo colorava i petali di una rosa.

Mi avvicinai e li accarezzai, così belli, così setosi.
Non avevo mai visto un colore del genere su una rosa così.
Un sorriso spontaneo mi accarezzò le labbra.
Non potevo affermare con sicurezza che lo sconosciuto e il proprietario di questo fiore fossero la stessa persona.

Ma chiunque fosse stato, mi aveva regalato un piccolo spiraglio di luce.
Una speranza.

Potevo ancora credere di potermi salvare.

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