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6 - CHIODO SCACCIA CHIODO {Fritz}

È tornata. Ed è così figa da togliermi il fiato, nonostante sia completamente vestita. Quasi non la riconoscevo quando ho aperto la porta, ma quei capelli rossi sono come un fuoco che mi brucia l'anima.

Sapeva dell'evento, orario e dettagli compresi. Sapeva che ero libero. Sapeva tutto. Io invece so solo il suo nome.

Non sono scemo, è chiaro che vuole qualcosa, ma ci penserò più tardi. Fosse stata una ladra, mi avrebbe già svuotato l'appartamento. Invece, prima di andarsene, ha pure raccolto da terra i vestiti che mi aveva tolto; li ho trovati ripiegati sul mobile dell'ingresso.

La osservo di sottecchi, mentre guido seguendo gli ordini del navigatore verso Manchester Hall. Fissa la strada con aria determinata, un velo di arroganza su quel viso da dea. È la prima ragazza ad averci provato con me e cazzo se è andata alla grande. Non ho mai capito perché, fino a ieri, tutte scappassero dai miei tentativi di rimorchio: non sono mica così brutto! Comunque lei è qui, è questo l'importante.

Parcheggio nel primo stallo disponibile, tra la Ferrari F8 gialla di Santos e la Bentley Continental GT di Ward. Elizabeth scende dall'auto senza darmi il tempo di aprirle la portiera e lancia una strana occhiata alla Bentley. Quasi rimpiango di non aver fatto trasferire oltremanica la mia adorata Huracán, quella sì che avrebbe fatto colpo, ma l'idea di prendere un'auto con la guida a destra mi intrigava parecchio e la RS7 si muove bene in questa città incasinata.

Ci dirigiamo verso l'ingresso di Manchester Hall e non riesco a fare a meno di domandarmi come faccia Elizabeth a stare in piedi. È alta quasi come me, stasera, ma sono certo che qualche ora fa le mancassero parecchi centimetri; a ogni passo, l'orlo dell'abito si scosta e lascia intravedere dei tacchi sottilissimi. Nel dubbio, le porgo il braccio e lei lo prende senza battere ciglio; non si allontana schifata, non ritrae la mano, non finge di frugare nella borsa. Cazzo, che sensazione assurda! Sono finito in un universo parallelo.

Saliamo i gradini dell'edificio, un blocco di mattoni in pietra bianca con portoni di legno e inferriate alle finestre, e uno dei tizi all'accoglienza ci accompagna nella sala riservata; lampadari di cristallo, flute di champagne, pinguini in giacca e cravatta: il classico pallosissimo ricevimento per far felici gli azionisti. Scambio un cenno di saluto con Carter e Williams, i centravanti etero più pettegoli della storia, posizionati strategicamente tra il buffet e l'entrata per avere una visuale a tutto campo; le loro sopracciglia schizzano in alto alla vista di Elizabeth e io mi sento il più fortunato dei bastardi su questa terra.

Dura poco.

Philip Ward viene verso di noi, stringendo per la vita una brunetta con una quarta di tette. Niente male, ma non ha un briciolo del fascino di Elizabeth. Lo stronzo che dovrei chiamare capitano si esibisce in una delle sue migliori smorfie di scherno. «Serata avanzi, Müller? Se vuoi ti faccio preparare anche la doggy bag.»

«Grazie del pensiero, Ward, ma non ho un cane» lo dismetto senza troppo interesse. La mia attenzione è catalizzata dal seno della sua accompagnatrice, che traballa come un budino. Sento Elizabeth irrigidirsi al mio fianco e provo a distogliere lo sguardo per rassicurarla che non c'è niente di realmente attraente nella bruna, ma quei palloni ballonzolanti sono peggio di una calamita.

«Magari un cane no, ma una cagna...» continua Ward.

«Sei uno schifoso bastardo, Philip» sento Elizabeth sibilare.

Alzo gli occhi e mi rendo conto che la situazione è un po' più grave del previsto. È evidente che ci sono dei trascorsi. È altrettanto evidente che quel figlio di puttana ha appena insultato la mia dama.

Sono tentato di sfondargli la faccia con un pugno, ma probabilmente è quello che spera anche lui per liberarsi della concorrenza. Gli rode da morire che mi paghino quanto lui, il magnifico inimitabile Capitan Ward. Non ho intenzione di dargli la soddisfazione di farmi sospendere.

«Se questi sono avanzi, puoi mettermi in lista per la mensa dei poveri» replico con un ghigno, cingendo la vita di Elizabeth in una perfetta copia della sua posa con la tettona. Lei però si libera subito dalla mia presa e si scosta di qualche passo.

Ward solleva il mento soddisfatto e mi fa un finto cenno d'intesa. «Allora divertiti con la principessa di ghiaccio.»

Non fa a tempo a terminare la frase, che una cascata di vero ghiaccio misto a frutti di mare gli piomba addosso. Mi giro di scatto verso l'origine dell'attacco: Elizabeth è tornata accanto a me e tiene tra le mani un vassoio d'argento vuoto.

«Preferisci le cozze?» sibila. «Allora goditele.»

Trattengo le risate, mentre consegna il vassoio gocciolante nelle mani di un cameriere ed esce a testa alta dalla sala.

«Ti faccio immaginare com'è a letto» strizzo l'occhio a un Philip fradicio e puzzolente, gongolando giusto un po', e corro dietro a Elizabeth.

La trovo appena fuori dal palazzo, le braccia lungo i fianchi e i pugni così stretti che le nocche sembrano bucare la pelle. Il vestito svolazza al vento e i capelli paiono fiamma viva. È la cosa più bella che abbia mai visto.

Mi avvicino piano e poi faccio oscillare il busto fino a sfiorarle la spalla con il mio braccio destro; un gesto cameratesco, inadatto alla situazione, ma faccio fatica a pensare di meglio. Ho la testa piena di domande e la scena di prima mi ha esaltato da morire. Vorrei solo baciarla.

«Ricordami di non farti arrabbiare» ghigno, ruotando la testa verso di lei.

Non risponde, non mi guarda nemmeno. Fissa un punto dall'altro lato della strada, le labbra contratte dal nervoso.

«Conoscevi già Ward.» È ovvio, ma spero mi dia qualche informazione in più.

«Siamo stati insieme tre anni» La sua smorfia schifata mi addolcisce un po' la pillola, ma, cazzo, stava con lui. Adesso capisco la storia degli avanzi.

«Tre anni sono tanti» mi trovo a rispondere. E, come sempre quando sono a disagio, la mia vena ironica ha il sopravvento. «Soprattutto con quel troglodita.»

Fa un mezzo sorriso e il mio cuore risponde con una capriola. «Non pensavo conoscessi parole così difficili, Müller.»

Autsch.

«Questa era cattiva» ghigno. «Ma te la perdono perché so che è solo un modo per mascherare la tensione sessuale.»

Alza gli occhi al cielo. «Continua a sognare.»

«Potrei» le concedo. «Però con te la realtà supera la fantasia.»

Mi lancia un'occhiata in tralice.

«Da quanto vi siete lasciati?» indago.

«Quattro ore.»

«Come?» Devo aver sentito male.

«Lo stronzo si è fatto la mia amica – la vacca che stava dentro con lui – ieri sera.»

Il mio cervello va definitivamente in cortocircuito. Quattro ore? Sei ore fa era con me, quindi, mentre stava con me, stava ancora con lui.

Però lui l'ha tradita per primo.

«Chiodo scaccia chiodo» mi sento dire, con un sorrisetto stupido e una calma che non mi appartiene. "Mi ha usato" sono invece le uniche parole che mi rimbombano dentro, nel vuoto che adesso ho al centro del petto. 


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