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12 - SENSI DI COLPA {Elizabeth}

Fritz Müller è la persona più assurda che abbia mai incontrato, e di stramboidi ne ho incrociati parecchi. È un coglione pieno di sé, che di punto in bianco si trasforma in gentleman. Tra l'altro, fa dei bendaggi strepitosi: il dolore alle mani si è attenuato e sento solo un lieve pizzicore residuo; spero che le ferite si rimarginino in fretta e non restino cicatrici, o dovrò inventarmi una storia plausibile per giustificarle in pubblico.

Non ho idea di come abbia convinto Dave a farlo accedere alla suite, ma c'è di sicuro qualcosa sotto; mio fratello sa benissimo che è quello con cui sono andata ieri al Gala e, guarda caso, anche lo stronzo che mi ha lasciata sul marciapiede.

Quando il suddetto stronzo si offre di aiutarmi a rimettere in riga Phil, quasi cado dal divano.

«Aiutarmi?» lo fisso scettica. «Perché?»

Si lascia cadere all'indietro, affondando nello schienale, e porta le braccia dietro la testa con un movimento che mi costringe a piegarmi nella direzione opposta per evitare di essere colpita dal suo gomito. 

No, ma prego, fa' come se fossi a casa tua.

Espira in modo teatrale. «Diciamo che Ward mi sta sulle palle.»

Fin lì c'ero arrivata. «E?»

«E, se posso dargli una lezione, intendo approfittarne» sorride malizioso, il volto semi nascosto dal braccio che ci divide.

«Cos'hai in mente?»

«È chiaro che, anche se esce con la tettona...»

«Kate» preciso.

Scrolla appena la testa, come se il nome non contasse granché. «Gli rode vederti con un altro. Ti considera ancora suo territorio.»

Per quanto trovi svilente essere paragonata a un pezzo di campo, la cosa mi provoca una sorta di infantile soddisfazione. «Quindi?»

Posa un braccio sulle mie spalle, in un goffo tentativo di abbraccio. Mi scosto e il braccio cade con un tonfo sui cuscini; la sua espressione però non cambia. Resta impassibile, il sorrisetto sardonico stampato sul volto. «Quindi facciamogli credere di avere concorrenza.»

Il genio ha scoperto l'acqua calda.

«Non so se te ne sei accorto,» replico sarcastica, «ma è quello che ho fatto ieri.»

Arriccia le labbra in un'espressione derisoria. «Elizabeth, non so come funzioni qui, ma, nel mio mondo, insultare l'accompagnatore di un'altra gli dà solo importanza.»

Soprattutto se poi pianti in asso il tuo.

Le parole che sceglie di non pronunciare pesano come un macigno sulla mia coscienza. Odio sentirmi in colpa, considerato il fatto che tra noi è stato tutto un dare-avere, ma quel "ti ho già perdonata" ha colpito più in profondità di quanto credessi. Philip avrebbe fatto una scenata e agito per ripicca, invece lui è qui accanto a me; non solo ha avuto il coraggio di tornare, ma sembra davvero non portarmi rancore.

Dovrebbe, però.

Scaccio la pietà come una zanzara fastidiosa e gli restituisco il sorriso beffardo. «Stai solo cercando una scusa per uscire di nuovo con me.»

«Cazzo, sì» ammette senza vergogna.

«Ho già detto che non mi interessi» sbuffo. «Quanto pensa di reggere ancora, la tua autostima?»

«Ti stupiresti di cosa può fare l'abitudine.» Non capisco cosa intenda, ma il ghigno si addolcisce. «Sai che sono la tua migliore opzione; mica tutti hanno il coraggio di mettersi contro Ward.»

Non posso dargli torto. «Sei davvero convinto di riuscire a fingerti il mio ragazzo?»

«Elizabeth, non ho nessuna intenzione di fingere: voglio conoscerti meglio.» Il suo sguardo è sincero. «Starò alle tue condizioni.»

«Amici senza benefici?» replico.

Sospira. «Se vuoi uccidermi ci stai riuscendo benissimo.»

«Ottimo» ribatto con tono leggero. «Allora abbiamo un accordo.»

«Iniziamo trascorrendo la serata a baciarci in pubblico?» domanda speranzoso.

Gli lancio un sorriso spietato. «No. Iniziamo con te che esci da quella porta e mi lasci in pace in privato.»

«Possiamo almeno scambiarci i numeri di telefono?» tenta.

Ripenso al racconto di Lauren su come Fritz abbia cercato inutilmente di ottenere il mio contatto al Gala e, visto che è l'unica cosa gradevole che mi sia successa negli ultimi due giorni, decido di prolungare il divertimento.

«Dammi il tuo, ti chiamo io.» Pausa a effetto. «Forse.»

Lascia cadere la testa sul bracciolo con un grugnito disperato e trattengo a stento una risata.

Sì, mi piace tenerlo sulle spine. 


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