Capitolo 66
Il mondo cerca di riscattare le proprie follie ed ingiustizie con un detestabile sentimentalismo.
Thomas Henry Huxley
Faceva freddo.
L'alba, spuntando tenue dalla corona di alberi spogli che si stagliavano al bianco orizzonte, rischiarava di un bagliore luminoso la neve che copriva il suolo rendendola candida come un foglio ancora immacolato. I suoi raggi delicati investivano in parte i contrafforti di pietra della fortezza che non sarebbe rimasta quieta e silenziosa ancora a lungo, tra l'odore pungente dell'erba bagnata e il canto allegro degli uccelli che si stagliavano contro il cielo.
Quando il sole prese con decisione a farsi spazio tra gli esili rami nudi, un giovane Dhampyro gli volse le spalle con aria accigliata. La sua figura appariva lievemente china, le mani gelide serrate sotto le ascelle e il vento leggero ma ostile che gli sferzava le guance ormai divenute indolenti. Il suo sguardo correva a tratti lungo il portone principale, ancora chiuso, fino alle soglie della foresta innevata che intravedeva appena al di là della collina resa scivolosa dalla brina. Se ne stava lì già da parecchi minuti, eppure non sembrava aver l'intenzione di andare altrove e niente, nella sua espressione, tradiva la minima traccia di impazienza.
Un fruscio inaspettato lo fece sussultare. Geordie osservò inquieto il coniglio che oltrepassava placidamente la siepe, l'agitazione che non ne voleva ancora sapere di affievolirsi, e tirò un breve sospiro; l'alone di aria fredda uscito dalle sue labbra gli annebbiò la vista per qualche secondo.
Odiava dover stare lì.
Non si sarebbe sorpreso più di tanto se, in quel preciso istante, un'orda intera di Mangiamorte fosse scesa giù per il pendio attaccandoli con quegli stupidi bastoncini di legno, cercando di sottometterli con forza alle leggi del nuovo Regime. Ovviamente, il fatto che la Confraternita dei Dhampyri avesse dichiarato di aver bisogno di altro tempo su cui meditare per loro era di blanda importanza, impazienti com'erano di mettere le mani su tutto quanto potessero; terre, Confraternite, nemici.
Ed era proprio quest'ultima rivendicazione ad aver messo i Dhampyri in una certa agitazione. Per il momento Lord Voldemort non sembrava incline a muovere guerra direttamente su di loro, ma Geordie era ben lungi dal credere che lui e il suo gruppo sarebbero rimasti intoccati ancora per molto. Per questo, ben conoscendo i momentanei obiettivi del Signore Oscuro, che riguardavano maggiormente i Lupi Mannari e i Licantropi, lui e il suo gruppo avevano deciso di muoversi in fretta.
Non era un mistero che quelli della sua specie cercassero talvolta la collaborazione dei Lupi Mannari per risolvere le loro missioni; si rivelavano utili nel caso in cui il Vampiro da cacciare fosse tanto scaltro e astuto da risultare inafferrabile, e l'agilità e la determinazione di un Lupo Mannaro spesso era ciò che serviva ai Dhampyri per poterlo finalmente braccare.
L'aiuto che da secoli fornivano a Geordie e alla sua Confraternita era davvero prezioso, e ciò aveva portato ad una salda amicizia tra queste di specie che, anche a distanza di molti anni, potevano affermare con certezza pressoché assoluta di poter contare gli uni sugli altri. Ma con la situazione che si era ormai creata, fare alleanza sembrava l'ipotesi più rischiosa da affrontare; i Dhampyri non potevano scatenare la resistenza senza l'appoggio delle Confraternite alleate, la cui posizione rimaneva ignota, senza contare che i Licantropi e i Lupi Mannari avevano già deciso di andare via.
Attendere l'arrivo dei Mangiamorte era senza ombra di dubbio la cosa più insensata da fare, considerando il numero impressionante di seguaci che Voldemort aveva ormai acquisito, e i Lupi Mannari non erano abbastanza perché potessero costituire un esercito. Si erano così dati furtivamente alla macchia, spingendosi sempre più a nord e nelle zone meno abitate, nella speranza che fossero presto giunte voci di pace.
Geordie rabbrividì.
La rabbia per Voldemort gli ribolliva bruciante nelle vene, assieme all'impulso di mollare tutto e di andarlo a cercare personalmente, seduta stante. Era una tentazione che lo assillava spesso, eppure era ben cosciente di non poterla assecondare; occorreva prima attendere il responso della riunione dei Dhampyri che si stava svolgendo in quel momento nel castello, in base al quale avrebbero deciso con quali Vampiri sarebbe stato più appropriato allearsi.
Geordie doveva ammettere che all'inizio si era detto scettico in proposito. Cercare e richiedere alleanza a chi combatteva e uccideva sfociava quasi nell'assurdo, eppure piano piano l'idea gli era addirittura andata a genio, in seguito alla visita della Confraternita delle Ombre Quiete; gli era stato lampante, dal momento in cui aveva messo piede lì dentro, che quei Vampiri fossero davvero molto diversi da quelli che aveva sempre cacciato. Avrebbero potuto essere tremendi, sì, assassini d'eccezione ma avevano semplicemente scelto un'altra strada.
Confortato da quella piccola considerazione, Geordie si accorse a malapena di un flebile rumore di passi che si avvicinava. Si voltò scoprendo che qualcuno, una figura familiare coperta da uno spesso mantello grigio, lo stava raggiungendo oltrepassando il porticato di pietra; si fermò di fronte a lui con passo secco, mentre sul viso di Geordie si apriva un triste sorriso.
Osservò nell'incavo del cappuccio alzato, nel quale era ben visibile una barba sfatta solcata da un sorriso incerto che però tradiva un paio di occhi colmi d'ansia. Sulle spalle portava un borsone dall'aria pesante che il Dhampyro non mancò di notare.
« E così hai deciso. Te ne vai ».
L'altro annuì. Il suo sussurro angosciato si ripercosse lungo il giardino del castello. « Non ho scelta. Qui sono braccato, e non voglio mettervi nei guai ».
« Sai bene che i nostri nascondigli sono stati sempre efficaci » tentò Geordie con un minimo di risolutezza, ma la sua frase fu accolta da un brusco cenno di dissenso.
« Mi troverebbero. Preferisco partire, come stanno facendo tutti gli altri della mia razza. Mi nasconderò finché non sarò sicuro che qui sia di nuovo tutto come prima ».
Geordie si era aspettato una risposta del genere, eppure avvertì come se l'aria si fosse aggravata di un invalicabile alone di gelo. La stessa sensazione di freddo che provava ogni volta in cui vedeva partire i suoi amici più cari, senza sapere se li avrebbe mai più rivisti.
Non sapendo cosa dire gli poggiò una mano sulla spalla, e un istante dopo si ritrovarono abbracciati.
« Combatti anche per me » sussurrò l'amico, e suo malgrado Geordie rise, una fioca risata straordinariamente priva di felicità.
Si separò da lui e tornò a fissare l'orizzonte. Il sole era sorto ormai del tutto, eppure non sentiva alcun sollievo dentro di sé.
« Ci rivedremo, Geordie. Me lo sento ».
Annuì di nuovo, la voce che si era come incastrata in gola. Cercò alcune parole per rassicurarlo, ma scoprì di non trovarne alcuna adatta alla situazione. Fu così che, dopo un momento di silenzio, riuscì a mettere insieme solo la forza di sorridere ancora, mentre lo guardava andarsene, sparire tra i tronchi invasi dalla nebbia non sapendo se lo avrebbero mai più lasciato andare.
Trascorsero alcuni istanti. Una parte di lui avrebbe voluto staccare i piedi da lì e setacciare il territorio come era suo compito fare, ma in qualche modo qualcosa lo stava trattenendo. Fu contemplando la neve dorata che si riscaldava sul suolo, i riccioli neri scossi appena dal vento sottile, che udì di nuovo lo stesso fruscio sospetto di poco prima.
Si era voltato in un attimo, lo scintillio metallico che baluginò letale nell'aria.
« Calma, Dhampyro impertinente. Non sono io il tuo nemico ».
« Sanguini » soffiò Geordie stupito, trattenendo a stento un vero sorriso di fronte all'espressione indignata che il Vampiro aveva assunto di fronte alla pistola che gli era stata puntata contro.
La rinfoderò velocemente, chiedendosi se Sanguini fosse stato lì fino a quel momento, nascosto dietro quel vecchio e malandato tronco a udire la loro conversazione, e accorgendosi che, nel caso ciò fosse vero, non si era accorto assolutamente di niente.
Patetico.
« Allora? - domandò, respingendo quei pensieri - Volevi soltanto sorprendermi, oppure volevi parlarmi? »
Sanguini storse il naso, prendendo a passeggiare. La sua chioma ramata scintillava pigra alla luce dell'aurora, e Geordie ebbe l'impressione di osservare una cascata di fili d'oro.
« Niente di tutto ciò. Stavo soltanto guardando » ribatté.
« E? »
« Pensando. Mi stavo chiedendo se le perdite che stai subendo non provochino lo sventurato effetto di indebolirti, anziché renderti più combattivo, come in genere si spera ».
Camminavano tra gli alberi e la neve; i loro piedi leggeri affondavano con grazia nella ponderosa distesa bianca e lucente che li attorniava, totalmente inudibili.
« Non sarà così. - replicò Geordie con tono sicuro, ignorando il peso che si era formato sullo stomaco - Sono abituato a pensare che niente andrà secondo le mie aspettative, così resto invulnerabile agli avvenimenti tristi che mi coinvolgono. Tutto ciò che voglio è porre fine a questa guerra ».
« Invulnerabile! - esordì Sanguini, assumendo l'espressione cinica che Geordie aveva intimamente temuto fino a quel momento - Non puoi essere invulnerabile a niente, sei soltanto un umano. Sei fatto di carne, ossa e un cuore che batte in sincronia con le disgrazie che ti colpiscono; puoi forse scegliere di essere invulnerabile, ma così diverresti soltanto freddo. Non è proprio nella vostra vulnerabilità, in cui voi umani amate crogiolarvi e spendere così tanti pensieri? »
Geordie alzò gli occhi al cielo, l'espressione ridente più accentuata che mai. Si era aspettato una risposta del genere, e ciò non la rendeva più piacevole da digerire.
« Sai bene che sono qualcosa di più di un umano ».
« Sei soltanto più difficile da uccidere - disse prontamente Sanguini, lo sguardo fisso sulla natura circostante - ma hai comunque la loro stessa vena sensibile, il fardello che non vi permette di vivere con libertà. Come l'amore. Oh, adorate struggervi d'amore. Il vostro sguardo diventa così malinconico e sofferente da suscitare tenerezza ».
« Maledetto - ringhiò Geordie a mezze labbra - Era qui che volevi arrivare, eh? »
Sanguini socchiuse le palpebre, continuando a camminare con espressione serafica; Geordie avrebbe giurato che si stesse divertendo.
« Sai, trascorrerei ore intere a contemplare le assurdità immani che condizionano i comportamenti di un umano innamorato. Mi fanno sentire terribilmente fortunato ad essere scampato alla disgrazia della loro specie ».
Geordie rise; in presenza di Sanguini, solo con lui, accadeva innumerevoli volte.
« Cuore di pietra » commentò sarcastico.
« Sarei fortunato ad averlo. Se non altro, le pallottole d'argento diverrebbero l'ultimo dei miei pensieri » disse con un sorriso furbo, coperto a tratti dai fiocchi di neve che cominciavano a scendere dal cielo.
« Non so cosa farei senza le tue immancabili perle di saggezza » disse Geordie arrestandosi nella piccola macchia d'alberi, e passandogli accanto il Vampiro poggiò per un attimo una mano sulla sua spalla. Era fredda come la neve che ora si posava sul suo volto.
« Faresti ben poco, Geordie. O almeno, mi piace crederlo ».
Si allontanò lentamente, la veste color cenere che risaltava sul chiarore dell'inverno. Ben presto la pioggia nevosa fu in grado di coprire la sua sagoma che andava perdendosi, e solo allora Geordie sorrise istintivamente; finalmente libero dai brutti pensieri, finalmente con una punta di armonia nel cuore che non gli aveva mai creato così tanti problemi prima di allora.
***
Cassian era solo nella sua stanza. Il suo era un alloggio caliginoso, illuminato solo dalla fievole luce che filtrava dalle sottili tende della finestra, oltre cui si spaziava nel cielo una distesa lattea quasi accecante che il Phyrun trovava seccante e fastidiosa come non mai. Seduto sul letto, tra le mani nivee un pezzo di pergamena, non aveva occhi e orecchie per nient'altro che non fosse quella lettera, neanche per il canto degli uccellini udibile dall'esterno o dal bicchiere di sangue che, invitante e lucente, giaceva sul tavolo accanto in attesa di essere bevuto.
Era arrivata da pochi minuti, portata da un rapace fino al giardino di Shador. Cassian aveva riconosciuto la calligrafia attraverso la carta sottile e non aveva esitato a chiudersi in camera sua, chiedendosi, ad ogni passo di quel corridoio oscuro, cosa ci fosse scritto e scoprendosi molto impaziente nello scoprirlo.
Ma adesso che finalmente l'aveva letta non aveva potuto fare a meno di continuare a ripercorrere quelle parole per l'ennesima volta, le labbra socchiuse e gli occhi color malva intrisi di uno strano, caldo bagliore.
La sua Cheania. Lei, colei che aveva provato a rifiutare, ad allontanare, a far sparire dalla sua vita. La creatura che lo aveva soggiogato ad una maledizione inverosimile e pericolosa.
Si alzò, con la lettera ancora tra le mani, divenute dure come la sua espressione.
Ci aveva provato, e aveva fallito. Erano trascorsi trent'anni, anni in cui si era sentito rinascere e morire allo stesso tempo, anni in cui era stato convinto, ed aveva sperato, di essere riuscito a far morire il ricordo di lei da dentro di sé, ma evidentemente tutto era stato vano. Quei pochi minuti trascorsi insieme, giorni prima, erano stati solo la palese dimostrazione che, tra di loro, niente sarebbe mai cambiato.
Era come se non fossero mai stati separati, come se non fosse passato neanche un istante dal giorno in cui lui l'aveva lasciata; era rimasto tutto quanto intatto, preservato dal passato. Erano ancora fidanzati, in procinto di sposarsi, ma nascosti e all'ombra di tutto e di tutti, che avrebbero impedito ai loro desideri di diventare realtà. E lui era come se fosse rimasto lo stesso ragazzo falsamente adorabile, che si era avvicinato a lei solo per ordine, e l'aveva amata prima per obbligo, infine vinto completamente dai sentimenti da cui si sentiva invadere in presenza di lei.
Ma quello non poteva essere un secondo inizio, non poteva e non doveva.
Non con quella situazione in ballo, con un simile capo a comando della sua Confraternita. Un capo che venerava e rispettava, ma che nello stesso tempo rappresentava il più grande ostacolo di fronte alla loro relazione; era impensabile il semplice fatto di rischiare di deluderlo, essendosi spesso dimostrato terribilmente crudele nei confronti dei suoi seguaci.
Ma Cassian non si era mai definito un codardo. Certo, forse non era tra i Vampiri più coraggiosi della setta, ma odiava umiliarsi e prostrarsi come un servo qualunque, come facevano quegli inetti dei Mangiamorte, che sembravano provare uno strano e perverso piacere nel farsi punire soltanto per l'esiguo, momentaneo divertimento del loro Lord.
Si era sempre mostrato fedele, ma distaccato, obbediente ai suoi ordini, ma non devoto. E avrebbe continuato a farlo, finché la sua sfacciataggine e la sua posizione glielo avessero concesso.
Ad un certo punto si riscosse, accorgendosi che gli era distrattamente caduta la lettera. Si chinò e la raccolse, piegandola con una cura insolita, per poi riporla dentro un libro adagiato sulla sua scrivania che ricollocò nella libreria a muro che ospitava, oltre a decine di libri, anche molte bottiglie di sangue impolverate.
Quella era una lettera diversa dalle altre che si erano scambiati in passato.
Stavolta Cheania gli aveva descritto le sensazioni provate nel rivederlo di nuovo dopo tanto tempo, con la velata richiesta di incontrarsi di nuovo per parlare del loro rapporto.
E Cassian non sapeva cosa fare. Da una parte sapeva, con assoluta certezza, che ricominciando a vedersi si sarebbero esposti a pericoli da non sottovalutare; dall'altra sentiva che, dopo il loro ultimo incontro, non sarebbe riuscito facilmente a fare finta di nulla. Era stato un impulso improvviso che non aveva saputo domare, e adesso, sebbene ricominciare una storia con lei fosse l'ultima cosa di cui aveva bisogno, sentiva che le cose non sarebbero potute andare in nessun altro modo.
No, anche lui avrebbe voluto rivederla, incontrarla ancora una volta, potersi perdere nei suoi capelli così lunghi e morbidi, poter ammirare il suo viso delicato come quello di un fiore
Bussarono alla porta. Cassian tolse immediatamente la mano dal libro che conteneva la lettera, appena in tempo perché Bellatrix Lestrange si affacciasse nella stanza.
Cassian pensò che non era molto cambiata dopo la sua trasformazione in Vampira; la capigliatura di solito intricata era molto più ordinata e fluente, e le palpebre dei suoi occhi si presentavano più distese e meno pesanti. Nonostante questo, notò il Phyrun, la sua espressione sgradevole non era mutata di una virgola, come il suo fisico così gracile che sembrava potesse cadere a pezzi da un momento all'altro, tale e quale a quello della sorella.
« Sei desiderato presso l'Oscuro Signore » disse con una punta di insopportabile superiorità nella voce, dopodiché, senza attendere alcuna risposta, sparì nell'oscurità del corridoio.
Cassian non poté fare a meno di chiedersi il perché di quella convocazione. La sua presenza non era mai stata richiesta dal Signore Oscuro, e il dubbio che in qualche modo il Lord fosse già al corrente della lettera di Cheania gli si insinuò nel petto quasi facendogli male. Accantonando l'atroce pensiero uscì dalla stanza e seguì Bellatrix, che lo aveva aspettato all'angolo del corridoio e che adesso camminava speditamente.
Il corridoio era buio pesto, e le scintille che Cassian produceva mentre si muoveva donavano alla scena soltanto flebili bagliori d'oro che si dissolvevano nell'aria quasi immediatamente. Mentre camminava, non poteva fare a meno di pensare allo strano presentimento che lo aveva appena colpito; si sentiva così inquieto che presto perfino Bellatrix si sarebbe accorta che ci fosse qualcosa che non andava.
Cercò comunque di imbastire un'aria neutrale, e tentando di distrarsi, chiese dove stessero andando. La voce di Bellatrix lo raggiunse come da molti metri di distanza, sprezzante ma limpida nell'oscurità.
« L'Oscuro Signore risiede nella sua stanza, a causa della malattia che ha colpito Nagini » rispose, e Cassian non poté non notare il sottile calco di disapprovazione che aveva sottolineato quel nome sconosciuto.
« Chi è Nagini? »
« Il serpente. Deve tenerlo sotto controllo per molte ore » spiegò lievemente stizzita, con il tono di voce di chi si riferisce ad un marito scarso di attenzioni verso la propria donna. Possibile, pensò Cassian, che Bellatrix fosse gelosa di un rettile?
Raggiunsero in fretta la loro destinazione, una porta del tutto simile alle altre che affollavano il corridoio. Bellatrix bussò per poi entrare, inchinandosi rispettosamente ed impedendo a Cassian l'accesso.
« Mio Signore, Cassian è arrivato » annunciò con voce adorante, ma la risposta che venne fu di una freddezza assoluta.
« Bene. Ora congedati e fallo entrare ».
Non sembrava adirato, considerò Cassian mentre Bellatrix si allontanava con sguardo basso e dolente. Entrò chiudendosi la porta alle spalle, e fu colpito nello stesso istante dall'odore che riempiva la bassa camera.
Era strano, floreale, che gli ricordò qualcosa di curativo. Il suo sguardo vagò istintivamente in direzione del letto, accanto al quale stava Lord Voldemort; alto e slavato, i suoi occhi crudeli erano fissi su una cesta che giaceva sulle coperte. Azzardando un'occhiata al suo interno, Cassian vide uno spettacolo raccapricciante.
Era il pitone più grande che avesse mai visto, colore dell'erba, con il dorso fitto di cicatrici e tagli dai quali ancora sgorgava del sangue. Le coperte sotto le sue squame erano rosse, e solo in quel momento Cassian ebbe sentore dell'odore che adesso copriva quello dei fiori; era sangue. Ma era un sangue non appropriato a quello dei serpenti, un sangue che lo inorridì e lo sconvolse al tempo stesso.
Un sangue del quale avrebbe potuto nutrirsi.
« Cassian ».
Voldemort lo distolse dai suoi pensieri, puntando su di lui le sue iridi scarlatte. Il Phyrun chinò appena la testa in segno di rispetto, pur non abbassandosi a piegare le ginocchia.
« A che punto siete con le riserve di Babbani? » chiese con voce sussurrata, e Cassian si trattenne a stento dal sospirare di sollievo. Era tutto a posto; non sapeva ancora niente di Cheania.
« Procedono bene, mio Signore. Stanotte sono state rapite altre quattro famiglie, con un totale di quindici Babbani. Sono stati richiusi nelle segrete assieme agli altri ».
Voldemort sembrò soddisfatto. Tese un lungo dito, accarezzando lentamente le squame del serpente, che sembrava assopito.
« Bene. La mia povera Nagini ha bisogno di nutrirsi, fintantoché sarà così debole. Ma a quanto pare, si sta rimettendo ».
Cassian non rispose, continuando a fissare il rettile. Si chiese distrattamente cosa fosse capitato a quell'animale, ma almeno adesso, dentro di sé, sapeva cosa gli sarebbe accaduto se il Lord avesse scoperto della sua storia con Cheania: sarebbe stato gettato in pasto a quel pitone.
« Cassian - ripeté Voldemort, pronunciando quel nome quasi come se fosse una maledizione - sono venuto a conoscenza dei compiti che Gawain ti aveva assegnato quando era ancora al comando. A quanto pare dovevi convincere alcuni membri della Confraternita delle Ombre Quiete ad unirsi a noi. Sei per caso riuscito nell'intento? »
Il Phyrun socchiuse le palpebre, prendendosi alcuni istanti di tempo. Draycia. Era da molto tempo che aveva lasciato da parte quel compito
« I Vampiri in questione, mio Signore, mostravano molta riluttanza ad unirsi alla nostra setta. Gawain decise che non valeva la pena di sprecare energie a causa loro. Ciò poteva rischiare inoltre di suscitare ulteriori conflitti tra le due Confraternite ».
« Ah quindi è stata codardia. Non ne sono stupito. Nessuno, a parte me, poteva sperare di ottenere il controllo del Mondo Magico così in fretta. Ma c'è ancora qualcosa che mi turba »
Mosse alcuni passi verso di lui con fare meditabondo, e Cassian si meravigliò nel constatare quanto malvagi apparissero i suoi occhi, qualunque espressione il Signore Oscuro assumesse.
« Il castello di Hogwarts è ancora sotto il controllo di quell'umano rammollito di Silente, e finché lui ne sarà a capo, non potrò estendere i miei poteri fino ad esso. Ho già dato istruzione per toglierlo di mezzo, ma finché ciò non sarà concluso, c'è la probabilità che chieda l'aiuto di Harmon; so che sono vecchi amici. Anche se ciò non dovesse succedere, vale comunque la pena di togliere di mezzo un nemico che sia in grado di scatenare una rivolta contro di me. Il tuo compito è semplice, Cassian: devi impedire che ciò accada, togliendo la vita all'unica persona in grado di minacciare il mio Regno ».
Tacque, e Cassian si trovò incapace di distogliere lo guardo dai suoi occhi, tanto infervorati e bramosi. Gli stava chiedendo
« Devi uccidere Harmon, il prima possibile. Se lo farai, verrai onorato oltre l'immaginabile. Attendo con ansia il tuo successo » ordinò, e con un cenno del capo gli fece capire di essere stato congedato.
Cassian uscì dalla stanza con le parole del Signore Oscuro che ripercorrevano la sua mente. Si sentiva come svuotato, e tanta era la sua spossatezza che dovette poggiarsi contro il muro di pietra umide; il silenzio di tomba che si era creato sembrava comprimerlo da tutte le parti.
In quel momento, la voce gaia di Cheania sembrò raggiungerlo a distanza di anni. Sembrò talmente vera e reale che forse sarebbe bastato voltarsi, per poterla vedere.
Ma Cassian non voleva incrociare quello sguardo, non adesso. Non con lei che gli confessava il profondo affetto che aveva sempre provato per Harmon, il suo maestro, e la devozione che le ispirava.
Non con lei che avrebbe volentieri rinunciato alla sua stessa esistenza per quell'uomo.
L'uomo che Cassian avrebbe dovuto uccidere.
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