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Capitolo 42

Harry James Potter arrancava con una certa fatica su per le scale del castello, cercando quasi con disperazione di raggiungere la sua Sala Comune il prima possibile.

Le lezioni erano appena finite, e il Bambino Sopravvissuto non aveva aspettato altro per tutto il giorno. Era stata una gran brutta giornata, quella, forse la peggiore del trimestre.

Già dalle otto del mattino si era ritrovato sotto gli effetti di un filtro d'amore ingerito a colazione, opera della Skeeter, che adesso poteva dire senza indugi di odiare con tutto il cuore. Non ricordava cosa diavolo avesse combinato in quei minuti, anche se sapeva per certo di aver visto Hermione.

Pregando tra sé e sé di non aver fatto nulla di stupido e irreparabile Harry ripensò a Ginny, a quando lei lo aveva trascinato di fronte a Piton per farlo guarire, tra le risate isteriche dei Serpeverde del sesto anno. Il professore gli aveva somministrato una pozione di cui Harry non aveva mai sentito parlare che lo aveva tenuto intontito e spossato per tutta la giornata, tanto da farlo addormentare profondamente nella lezione della professoressa Cooman.

Quando si era svegliato si era ritrovato nella classe da solo, e Neville, poco dopo, ebbe la pietà di dirgli che era stato messo in punizione.

Nel rievocare quello spiacevole ricordo, Harry si sentì pure incazzato. Al diavolo Piton, la Skeeter e adesso pure la Cooman. Sì, era stata una favolosa giornata di merda.

Finita l'ultima rampa del quarto piano Harry sbuffò sonoramente, sporgendosi dalla ringhiera per osservare di striscio i piani che ancora gli aspettavano, e che solo per miracolo sarebbe riuscito a salire. Si fermò un momento, abbandonando la cartella di lato, sul pavimento. No, si sentiva troppo fiacco per continuare, e aveva appena deciso di estrarre la bacchetta per alleggerire lo zaino quando sentì dei passi venire verso di lui dal corridoio vicino.

Con sarcasmo si chiese che faccia avesse fatto, chiunque stesse arrivando, nel vedere il grande Harry Potter in quelle condizioni, con la fronte sudata e l'aria malaticcia. Ma i suoi pensieri gli si gelarono all'improvviso.

Ron era di fronte a lui, come non lo aveva mai visto.
La divisa era squarciata, tagliata, con su numerose toppe di famosi artisti musicali, tenute attaccate da un'infinità di spille da balia; le scarpe avevano i lacci decorati a piccoli quadratini neri e rossi, e sui polsi portava molti grossi polsini borchiati. Al collo gli scintillavano grosse catene argentate, ornate da teschi, e strane frasi che da quella distanza Harry non riuscì a leggere.

I capelli erano tenuti ritti, indomabili; sul volto e sulle orecchie portava gli stessi piercing che Harry aveva visto ai ragazzi punk Babbani, che gli conferivano un aspetto ribelle e tenebroso da cui si sentì lievemente intimidito.

Non era più Ron. Era un'altra persona.
E non era solo. Con lui vi erano tre ragazzi dello stesso stampo che Harry conosceva solo di vista, Gills, Tobey e Helfric, di Serpeverde. Avevano un anno in più di loro ed erano gli unici ragazzi bocciati ricordati da Hogwarts, che avevano avuto l'ardire di non frequentare mai nessuna lezione tanto che fino a Febbraio nessun professore aveva mai sospettato della loro esistenza.

Erano vestiti come Ron, forse in modo ancora più trasgressivo, entrambi con lunghi capelli neri divisi in due ciocche che pendevano ai lati della testa.

« Ma sei diventato matto? »

Harry si era scordato in un lampo di tutta la sua stanchezza, troppo sconvolto da ciò che si ritrovava davanti.

No, non era possibile. Doveva essere un incubo.
Ron e gli altri due si erano fermati. Harry, dopo quella frase, gli andò vicino di un passo, ad occhi sgranati.

Era molto più magro di come lo ricordasse, il volto scavato e tremende ombre scure sotto agli occhi. Tra le mani Ron si rigirava una canna babbana, che aspirò una volta prima di parlare.

« E a te che frega? » sbottò con occhi carichi d'odio.

Harry, per un momento, non riuscì a proferir parola.

« Ma che dici? Sei il mio migliore amico, certo che... »

Il pugno arrivò inatteso, e il contatto con un grosso anello che Ron aveva al dito gli spaccò gli occhiali.

Harry si chinò, guardando di striscio i frammenti di vetro sparpagliati sul pavimento, sentendo il sangue invadergli la bocca e scendergli lungo il viso, caldo e penetrante.

« Non chiamarmi più così. Andiamo ».

La sua voce era stata glaciale, definitiva, e Harry se ne sentì avvolto. Vide i piedi di Ron svanire dal suo campo visivo, lasciarlo solo, abbandonarlo per sempre.

Harry non riuscì a sentirsi arrabbiato per quel pugno, ma solo invaso da una forte malinconia che ogni volta provava nel vedere il suo ex migliore amico evitare il suo sguardo.

Ma stavolta non c'era più nulla da fare. Stavolta era davvero finito tutto...

« Ehi, Sfregiato, che ci fai lì per terra? »

Ecco, ci mancava solo lui.

« Nulla, Malfoy, nulla » disse spavaldo, alzandosi cercando di asciugare il sangue con la manica della divisa senza farsi vedere.

Una volta in piedi, vide un Malfoy molto sfumato che lo fissava con aria critica e fredda.

« E' inutile, Potter, l'ho già sentito. Sei fortunato, mi sono appena nutrito ».

Harry fece finta di non averlo sentito, poi riafferrò la borsa, che giaceva sul pavimento tutto appannato.

« Bè, che vuoi? » disse, non particolarmente ostile. Quella giornata era già stata abbastanza schifosa, senza il contributo di una litigata con quell'idiota.

« Devo entrare a Grifondoro. Mi serve la parola d'ordine ».

Harry sospirò, esasperato.

« D'accordo, ma senza occhiali non vedo niente » borbottò, accucciandosi per terra tastando il pavimento per afferrare i vetri rimasti, ma poi si sentì afferrare per il colletto dell'uniforme e tirare su.

Qualcuno gli rimise gli occhiali sul naso con un gesto secco.

« Fatto, Potter. Adesso, possiamo andare, di grazia? »

Harry, intontito, mise a fuoco Draco che lo guardava impaziente. Come diavolo aveva fatto ad essere così veloce, e ad eseguire l'incantesimo di riparazione sugli occhiali? Harry non lo aveva sentito!

Decise però di lasciar perdere, e si limitò ad annuire stancamente per poi trascinarsi su per le scale. Sentiva Malfoy seguirlo, più silenzioso di un fantasma. Gli vennero i brividi.

« Tanto per sapere, con chi devo congratularmi per averti spaccato la faccia? » sibilò dopo un po' con aria di sufficienza, ma Harry digrignò i denti continuando a salire.

Era stanco morto ma non aveva intenzione di fermarsi, e soprattutto di dimostrare a Malfoy di essere così debole.

« Non lo conoscevo » buttò lì, anche se sapeva di aver detto la verità.

Sentì gli occhi gelidi di Draco su di sé e si chiese se, essendo un Vampiro, avesse già intuito tutto. Decise però di fare finta di niente.

Tutto ciò che voleva era riposarsi, ed il suo letto a baldacchino che lo attendeva, nel dormitorio, come al solito...

« Che ci devi fare nel nostro dormitorio? » gli chiese Harry, quando furono arrivati al sesto piano.
Draco non rispose subito.

« Devo parlare con una persona » disse in tono incolore, anche se Harry aveva già capito.

« Ah... - disse - non vedo Hermione da stamattina. Non è venuta neanche a lezione. Era con te? »

Di nuovo, Draco ci mise qualche secondo per proferir parola.

« Già ».

La sua voce era risuonata malinconica, eppure indifferente. Harry non seppe cosa pensare.

« E' stata male, quando non c'eri. Non l'avevo mai vista così ».

Malfoy lo guardò per una frazione di secondo, mentre salivano le scale. Ma la sua espressione rimase immutata.

Ad Harry parve strano il fatto che non rispondesse, e subito si chiese se ci fosse qualcosa che non andava. In fondo non erano affari suoi, ma in qualche modo ci teneva a fargli comprendere la sofferenza di Hermione. Era più che convinto che Malfoy non la meritasse affatto.

Giunsero finalmente all'ultimo piano, e Harry raggiunse la Signora Grassa.

« Patronus » disse il Bambino

Sopravvissuto con un leggero fiatone, e il ritratto si spalancò per lasciarli entrare. Draco lo seguì senza aspettare un invito.

Fortunatamente la Sala Comune era vuota, tranne Ginny che leggeva davanti al fuoco, in compagnia della sua puffola Pigmea. Non appena vide Malfoy rimase un po' stupita e guardò Harry interrogativa, e mentre Draco prese ad avviarsi verso le scale senza salutare Harry sentì l'istinto di fermarlo.

« Malfoy ».

Draco si arrestò, per voltarsi a guardarlo.
« Smettila di farle del male ».


La luna era molto splendente quella sera.
La sua luce bianca invadeva la camera buia riflettendosi anche su di me, quasi accecata dal suo splendore, ed i miei occhi non riuscivano a staccarsi da essa.
Occhi traditori.

E le lacrime non sapevano fermarsi. No, non potevano.
Vedevo tutto annebbiato, confuso. Sarei potuta essere in un sogno, eppure non me ne sarei accorta.

Volevo che Draco fosse lì con me, che finalmente mi desse delle risposte. Volevo che mi si sedesse accanto, che mi stringesse a lui mentre io piangevo, lì, accucciata davanti alla finestra.

Forse le speranze ci fanno vedere cose non vere. Forse distorcono la realtà facendoci vivere di sogni, perché mi sembrò quasi di sentire la sua aurea fredda accanto a me, e mentre il cuore mi sprofondava serrai le palpebre, rimanendo immobile. Se era un sogno, tanto valeva farlo restare in vita il più a lungo possibile.

« Sei davvero qui? » mormorai.

« Forse sì ».

La sua risposta non fu concreta, in qualche modo, ma solo sospirata, esile e inafferrabile come un filo di vento.
La voce che udiamo nei nostri sogni.

« Dimmi tutto quanto. Ne ho bisogno ».

« Ma non posso... te l'ho già detto ».

Il suo tono era sfinito come lo avevo già udito nella Stanza delle Necessità, così lontano e invalicabile. Una voce priva di speranza.

« Ma... lo farai? »

Un istante di silenzio, l'ennesima conferma di trovarmi in un'altra realtà assieme a lui.

Dove nessun altro avrebbe potuto ostacolarci.

« Sì. Prima o poi saprai tutto ».

Quelle parole furono un sollievo, eppure non ero ancora tranquilla. Le lacrime continuavano a scendere inarrestabili, memori della solitudine che provavo perfino in quel momento, e avevo una paura folle ad aprire gli occhi.
Mi stavo immaginando tutto? Stavo davvero... parlando da sola?

« Mezzosangue... sono qui, no? Sono qui ».

« Adesso sei qui. Tra poco te ne andrai di nuovo ».

« Ma è il presente quello che conta ».
Un attimo di silenzio. Avevo paura di svegliarmi dal sogno, come sempre accade quando le cose diventano importanti.

« Promettimi che non mi abbandonerai mai più ».

« Te lo giuro ».

Un bacio sul collo appena accennato, che non sembrava reale. Poi, la presenza che sentivo vicina, si dissolse.

Aprii gli occhi di scatto, sentendomi abbandonata, e mi guardai attorno attentamente.

Non c'era nessuno.

La mia mano corse istintivamente al punto in cui Draco mi aveva baciata, e nello stesso istante il cuore ebbe uno strano fremito.
Le mie labbra si curvarono nel sorriso più sereno.

La Giratempo era sparita.

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