PROLOGO
18 DEC 1945
Non sapevo perchè ma tutto mi appariva così diverso, ogni cosa era come magica e non solo per la musica che si espandeva in tutto l'ambiente che mi abbracciava. Ero lì per l'ennesimo saggio di Natale, il primo forse dopo diverso tempo.
L'arte ritornava a splendere sotto la silenziosa neve che faceva altrettanto rumore, anche questa risuonava alquanto dolce adesso nonostante l'abbia sempre fatto a parte quando il vento sembrava non desistere mai. Quella permaneva ancora e lo faceva tuttora quasi se ne infischiasse di quel che potesse mai mal capitare ancora al mondo. Cos'altro? Chissà Eppure lo lavava da ogni sorta di sudiciume, in ogni momento e in ogni dove, riemergeva persino dalle tante macerie che ora erano quasi le sole ad abitare l'intera capitale che al di qua delle Alpi si preparava a una nuova notte da trascorrere tra ricordi che vari che non sembrava solo non voler smetter di passare.
Guardavo ancora al di fuori della finestra, ero decisamente stanca di ripassare. Distolsi lo sguardo, non volevo che la maestra si accorgesse di come fissavo quei piccoli fiocchi candidi scendere delicati, il vetro era tutto annebbiato ma io me ne accorgevo di come tiravano ancora.
Le luci sfumate della città che si preparava alla festa, lo faceva più di prima e tutto pareva un mosaico multimediale. Le tonalità, le note e per finire gli odori. Accanto ai soliti ce ne erano altrettanti nuovi, le mie narici si lasciavano rapire da quelle misture mai sentite tanto prima d'allora, tra i tanti dolciumi facevano la loro prima comparsa le gomme americane.
Era decisamente un'incantevole favola assistere a ogni ben di dio che finalmente si apprestava a tornare, libero e non lo faceva da tempo, stavolta più di prima. Era come se la gente fosse più attaccata alla vita e volesse tornarla a gustare, non sapevo se neppure sia mai esistita questa voga un tempo dal momento in cui quel che vedevo era divenuta la nuova normalità.
Avevo dimenticato ogni cosa che c'era stata prima, ora non capivo neppure come era finalmente pronta a tornare. La festa, gli alberi teutonici secolari, i tanti regali. Non ricordavo neppure l'autentico sapore di tutto quel ben di dio che si apprestava a tornare alla ribalta e si librava nell'aria, per quanto alterato tutto fosse. I prezzi, il sapore e persino l'atmosfera stessa, adesso ogni cosa era di nuovo lì ad attendermi e volevo a ogni costo riprendermela pienamente anche se ancora non era arrivata l'ora esatta per via di qualcosa di più importante che naturalmente v'era d'affrontare.
I bambini si rincorrevano ancora, percepivo le loro urla ma erano solo di gioia e speranza, la stessa che chiedevamo ancora ed ecco perchè tutte le cose erano di nuovo belle nonostante il cielo non fosse ancora completamente limpido come veramente credevamo. Per quel momento, non c'era altro di meglio a cui pensare, il grande giorno era vicino e l'ansia di prestazione per me era l'unico più duro scoglio che mi ero prefissata di superare.
Non avrei mandato all'aria tanti anni di agonia per nessuna cosa al mondo, figuriamoci per cose simili nonostante fossero gli stessi motivi per cui lottavo. Il Musical era in prima linea, non a caso è stato solo e sempre grazie alla mia vena artistica se dalla vita finora ho potuto avere di più.
"Dai, proviamo l'ultima volta la parte finale del Cigno Nero e poi basta per oggi, dai... Tamara, finora sei stata brava... cosa ti prende adesso, ehi..." mi richiamava la maestra, sbuffai.
"Niente, tutto bene..." apostrofavo solo poi.
"Ok, perfetto... adesso vai, se non sei pronta... mi raccomando, non è che mi farai fare brutta figura? Dimmelo prima che lo fa Pandora, visto che a tutte e due ve l'avevo assegnato..." replicava ancora, scrollai il capo.
"Sono pronta.." dissi decisa e ripresi i passi, la musica si eclissò.
"Meglio così e senza musica..." ancora lei "Perfetto e adesso potete andare, domani sul palco le generalissime!" esclamava e ognuna annuiva, anche quel giorno avevo ufficialmente finito.
Uscivo dalla stanza, anticipando tutte le altre. Avevo i piedi letteralmente ridotti a uno straccio e avevo ancora tutto un intero corridoio da percorrere prima di giungere allo spogliatoio per poi prepararmi a uscire. "Oggi non è proprio cosa, tiro subito a casa" mi dissi non appena raggiunsi la toletta per levare dagli occhi quel trucco nero che da qualche ora prima si era accinto a incipriarmi il volto.
Afferravo l'ovatta e l'acqua di rose dopo aver levato l'eye-liner in eccesso dalle palpebre chiare. Mi diedi un altro sguardo allo specchio, più o meno un deja-vu soggiunse alquanto silente e minaccioso.
Era lì, lo sentivo. Esattamente, proprio come una delle prime volte in cui l'avevo incontrato. Già, però di lui nessuna traccia e chissà dov'era, solo un'ombra fissa.
Un gioco di luci o anche solo un'anima invisibile che mi sfiorava aggirandosi vagabonda per l'aria. Un fantasma, uno spirito e mi guardava. Iniziò a muoversi quasi improvviso, impaziente come la sera che calava senza regole, senza fermarsi mai imperterrita. Era etere, affatto nulla di corporeo.
Mi cimentai nel seguitarlo e mi ritrovai in strada, mi stringevo nella mia mantella in flanella mentre camminavo. Il freddo era tanto come la gente, d'altronde. Erano anni tremendi quelli e anche per il clima che non voleva scaldarsi più, il che sembrava del tutto strano eppure lo era.
Mi facevo spazio per non perderlo d'occhio ma forse ero solo io a notarne la presenza, la sua nobile pressione. Era un segno, quasi fosse stato il destino a mandarmelo e non riuscivo ancora a darmi anche un minimo attimo di pace e perchè. Alcuna ragione non c'era, se era per amore il mio ne stavo uscendo decisamente pazza.
Avanzavo nella notte che più cresceva come la neve che non smetteva mai di battermi contro. Era nube di gelo eppure non mi davo per vinta con la prima idea, non mi fermavo. Il fiato e il ritmo dei miei passi aumentava sempre più, non avevo paura di alcun che neppure di scivolare per la strada ghiacciata dalla brina che era altrettanta, la nebbia. C'era quella quintessenza a proteggermi e menomale che l'avrei dovuta considerare errore, non lo facevo mai.
Ero giunta alla fine della piazza, della via. Avevo raggiunto persino l'incrocio e il semaforo vermiglio mi permise ancora meglio di proseguire la rotta, tale entità era quasi avesse scelto quel colore per lasciarmi passare. Era come se fosse stato meglio per me letteralmente questo, non sapevo dove mi stesse portando ma avevo capito che era tutto prescelto. L'ennesimo disegno di quel pezzo di idiota che mi aveva messo nei guai. Ne ero drammaticamente perduta, adesso rispondevo in maniera perfettamente adeguata alla specie di domanda prima posta.
L'amore poteva tutto o almeno fino a un certo punto, la prima parte di frase mi fece pensare al suicidio. Sarà la morte, avrà assunto il suo aspetto. Sarà lui stesso la morte, sicuro. Sarà lui il morto, ho ottenuto tutto quel che più mi serviva. No, non poteva essere. Nulla di nulla, niente di tutto questo.
Intanto perpetravo brancolante nel buio infischiandomi del resto, ero in mezzo al nichilismo più assoluto. Completamente, era come se a un tratto avessi dimenticato ogni minimo punto della mia città, chissà se anche questo dipendeva da lui, poteva anche darsi.
Superai tre isolati, svoltai a destra. Sorpassai anche qualche altro ostacolo e giunsi a casa, perdutamente troppi ricordi ma non mi persi d'animo dopo che realizzai dove esattamente il misterioso mi voleva portare.
Suonai, l'appartamento non era affatto vuoto poichè c'era un'amica che ne condivideva lo spazio dal momento in cui aveva perso il tetto e sotto il quale un tempo ormai piuttosto remoto trascorreva le più calde giornate d'amore tra le persone a lei più care oltre questa qui che ora narrava.
Note dell'Autrice:
Thomas Zumkle: è tratto dalla storia e dalla serie TV "Passaporto per la libertà" ma non è la stessa persona pur essendo interpretata dallo stesso attore e rivestendo la stessa divisa, mestiere e ruolo da capitano prima e colonnello poi.
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