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Lo sguardo guardingo e fuggiasco, avvistava imperterrito il resto senza farsi trasportare dalla canzone che gli arrivava. Thomas non amava il Jazz o, meglio, lo invidiava semmai. Non lo apprezzava da tanto tempo, da quando gli USA per quello non erano più gli USA e quello non era più colui che da sempre era stato.
Cercava di non farsi abbindolare dalla sirena che ancora cantava, il suo cuore di pietra non osava ricordare i momenti di semplicità quali erano prima di allora. Non poteva, non da quell'esatto momento in cui aveva giurato.
Era una notte di novembre del 1933 quando tutto cominciò, non una qualsiasi poichè da quella data in poi nulla sarebbe più stato come prima. Il mattino seguente la città pareva come scossa eppure c'era chi di quell'accaduto non capiva ancora nulla. C'era chi davvero non lo ricordava, chi magari non se ne era accorto ma c'era anche tanta gente che continuava a ignorare. Thomas non era tra questi ultimi dato che il ragazzo dormiva ancora placido nel suo letto.
Sarà forse presto!
Farneticava tra sé e poco badò alla sveglia che insolitamente quel mattino non aveva osato suonare. Lasciò la stanza e si rifugiò in bagno. Nel frattempo la radio ululava un Blues spezzato, era suo padre a lamentarsi in realtà ma egli neppure se ne accorse tant'era imperterrito il fruscio acquoso in quel bel mentre si rinfrescava. Uscì di lì e sfociò in sala da pranzo nonchè uno degli ambienti più spaziosi e impreziositi della dimora ottocentesca in cui abitava. Intanto la musica era sparita e il giornale radio ne aveva preso il posto. La voce del telecronista discorreva altrettanto rotta, non davano le solite notizie di sempre quel giorno e non solo perchè si trattava del giorno dopo le elezioni. Anche il tono del telecronista per quanto cercasse di apparire il più imperturbabile possibile appariva sommesso per via dell'evento appena capitato. L'anziano uomo non aveva ancora smesso con la sua continua tosse nervosa. Ora sbraitava, sbuffava, sollevava un sopracciglio con aria critica come se volesse dominare la situazione, sbottava di continuo contro l'apparecchio e lo scuoteva con il massimo dissenso, pareva come se nessuno sapesse chi più dei due fosse andato in tilt.
"Ma stai zitto..." replicava gesticolando ma Thomas non aveva realizzato la presenza del suo vecchio che stranamente a quell'ora si aggirava di già per casa, era ancora mezzo addormentato.
Era un uomo all'incirca sulla settantina, non andava a lavorare da tempo. La sua vita piatta e priva di entusiasmo si allarmava solamente in vista di fatti politici e roba simile, aveva aspettato tanto per quel momento eppure non appariva affatto stravolto di fronte a quanto fosse accaduto. Mister Zumkle Senior era un comunista verace eppure in quel momento esatto sembrava essersi schierato dalla parte opposta a quella che poteva definirsi poi la sua, pareva come se fosse andato per il più forte o quasi fosse andato in altero-sclerosi per via dell'età ma era comunque ancora assai giovane per questo, inoltre pareva lucido come non mai.
"Fate bene a chiamarla così, superlativa ma fate attenzione a come parlare, cari..." continuava cercando di calmarsi, poi afferrò la tazza del caffè e si apprestò lento a trangugiare, ancora un secondo per deglutire e poi riprese a parlare "Figliolo, buongiorno... la colazione è pronta, accomodati..." il ragazzo tornava così alla realtà, si schiarì la voce e si accinse a rispondere.
"Oh, papà... sono in ritardo, mannaggia... la sveglia non ha suonato, allora... impossibile, che dico... aspetta o non l'avrò sentita... scappo, ciao..." il padre era un cocktail di emozioni, era un miscuglio tra sarcasmo e dissenso.
"Dove scappi? E poi la sveglia, lo so... l'ho staccata io!" iniziò con il guardarlo storto dopo aver aggrottato la fronte e abbassato il sopracciglio.
"Al lavoro, cosa?" dibattè telegrafico.
"Ma quale lavoro..." il padre era ancora più imbestialito.
"Mi stanno aspettando in tribunale, oggi ho un divorzio... a dopo..." i suoi occhi azzurri continuavano a incitare.
"Ma basta pure tu con questi lavori da femminuccia, cosa sono? Adesso ci sono cose più serie a cui badare, la pacchia è finita... E poi togliti quella cravatta rossa e resta con me che diventi un vero uomo..." borbottava a sua volta l'altro spaparanzato sul divano.
"Papà, stai bene? Che dici? Non sono più un bambino..." l'anziano era più adirato di prima, gli tremava la voce.
"Spogliati, su... ci sono gli esiti sulle nuove elezioni, lo sai? Sai com'è andata? Non mi dire di no, io non ti dirò nulla... segui che sta a te farlo..." indicava l'arnese che ancora eruttava, lo scuoteva ancora.
"Ma cosa? Perchè? Che?" il padre non si dava per vinto.
"La divisa, quella dovrai mettere... dovremmo, d'ora in poi... accomodati, ragazzo... perchè oggi non ci andrai assolutamente là, non sarai più quello perchè se continui a esserlo non sarai... solo, segui me... continuerai ma è diverso perchè hanno cambiato tutto ormai..." il sangue gli era giunto agli occhi.
"Ma che stai farneticando?" le continue esortazioni del padre gli continuavano ad apparire completamente senza senso.
"Ascolta! Le elezioni..." indicava ancora l'arnese acceso.
"Si, il cancelliere è sempre lo stesso... si sapeva già, era messo bene..." sembrava impassibile ma anche trionfante, Thomas appoggiava perfettamente le idee che vigevano fino ad allora.
"Si ma ascolta, nulla va dato per scontato..." il padre non si spegneva ancora.
"Edizione straordinaria! Golpe, la destra è di nuovo tra noi..." la radio non smetteva di ripetere quella parola.
"Ecco..." continuava ancora l'uomo.
"Come non capisco, la destra ce l'eravamo tolta... era ormai morta, il centro semmai... come è possibile? Mi meraviglio di te, sei sempre stato un democratico... ne hai sempre capito altrimenti non avrei appoggiato neppure io quelle idee..." irruppe Thomas poi.
"Ma hai sentito pure tu, figlio mio..." gli brillavano gli occhi.
"Sono i film tuoi, forse..." l'altro dissentiva ancora.
"No, facciamo silenzio... adesso..." ordinava una nuova volta.
"Ma saranno altri, è da tanto tempo che non la sentiamo... saranno nuovi e dubito che li conosci, non trovi? Li sai?" non riuscivano a dialogare.
"Ecco, stai zitto..." brontolava di continuo il padre.
"Hitler..." ascoltando la radio non si dava mai pace.
"Ora hai capito? Sono i nazisti i veri vincitori del tutto!" completò l'anziano prima di tacere per sempre "Adesso, dì addio a quel che eri e benvenuto a quel che sarai... sai come? Voilà!" Tra le sue mani giaceva un libro, questo era il MEIN KAMPF.
il giorno dopo...
"Ecco, vedi se ti va questa... il tuo cognome è, ah... no, aspetta... adesso che vedo tuo padre, ricordo... lo conosco, giusto... Zumkle..." gli veniva da storcere il naso, neppure aveva ancora realizzato i fatti della notte precedente eppure senza neanche sapere come avvertiva disprezzare quell'uomo che aveva di fronte.
Inoltre, sembrava strano sentirsi dare del "tu" da chi non conosceva, era come se non fosse mai stato quel che veramente era stato.
"Sissignore..." cercava di non esitare.
"Non ti preoccupare, figliolo... presto, sarà come sempre o se non addirittura anche meglio... bisogna dare solo tempo al tempo e ogni cosa poi andrà da sè ma, adesso... forza, ragazzo... segui quell'uomo..." lo incitava ancora il padre.
Quelle parole risuonavano ancora nella sua mente, le ricordava benissimo una per una. Scrollò i pensieri come se nulla fosse, non voleva dare nell'occhio e si accese una sigaretta, lo faceva sempre in occasioni simili come per non farsi prendere in preda dallo stress che minaccioso contaminava l'aria quasi fosse il virus più contagioso che oltraggiava la terra.
Sbuffò una nuvola con il naso dopo averne un po' aspirato il contenuto e dopo di che si addentrò tra la folla. Ancora la diva arieggiava la festa e così un altro ricordo gli sovvenne alla memoria.
"Heil Hitler!" il suo volto riflesso nello specchio era sempre più convinto delle scelte in precedenza fatte, se ne stava di continuo sugli attenti mentre immaginava come sarebbe stato il suo primo approccio dinanzi al Führer e l'avrebbe voluto il più perfetto possibile, lo sarebbe stato viste le infinite volte in cui provava e riprovava quella formula a tal punto da divenir un vero e proprio mantra qual era per chi ormai ci credeva come lo stesso qual era adesso lui.
Certamente, non era solo quello. Vi erano altri aggiuntivi, vi era il giuramento e in palio più di tutti vi era il futuro. Un futuro rose e viole che sarebbe prima o poi arrivato, certo ma se solo avesse fatto quella scelta e in più se solo fosse stato scelto, allora si che la cosa avrebbe preso una buona piega. Così fu e lo sapeva, chiunque percepiva questo anche se non se ne conosceva l'esatto grado ma questo forse non era onestamente quel che veramente importava. Si passava e ripassava da una mano all'altra il cappello, con lo sguardo cristallino fissava l'aquila che volteggiava fiera come una scultura sulla sommità. D'altronde, era ancora un po' quel ragazzino che correva spensierato verso la tanto amata Alexander Platz, non si sapeva però per quanto altro tempo lo sarebbe stato.
Note dell'Autrice:
La notte di cui parlo e quella fatidica notte che passò alla storia col nome di Notte dei coltelli, in effetti non ce n'era migliore altrimenti che la potesse definire.
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