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Elvira si apprestava a guardarsi attorno, svettava decisamente come una dea. La gloria era ormai decisiva, glielo si leggeva letteralmente in quel suo viso pieno di brio come sempre. La stessa vittoria che la vegliava dall'alto alata, la divinità statuaria che si ergeva indisturbata sulla vetta di quel luogo tanto prosperoso come il resto della zona di mare che felicemente ora lo accoglieva e dopo tanti anni di abbandono quel giorno era veramente felice di presentarsi in quel continuo sbellicare che ciascuno presente lì dava sembrando di non voler smettere mai.

In poco tempo il Lido tanto caro a Mussolini aveva conquistato ogni cosa, la ragazza diede uno sguardo all'orologio riposto sul suo delicato polso sinistro. Un aggeggio di ottone chiaro che le faceva puntualmente compagnia giorno e notte, lo levava solo e naturalmente quando giungeva il momento del bagno.

Certo, non si era mai sentita così fiera fino a poco tempo prima, le sue iridi scure si irradiarono di luce senza forme non appena constatò di essere giunta quasi per caso a quello che tanto cercava. Roma, esattamente così stava scritto in sommità alla facciata della struttura da cui si entrava. Era un edificio dalla pianta parallelepipedale con tre aperture ad arco sotto cui si apriva e si chiudeva una porta ritraente quello che era lo stile floreale ancora in voga in quei giorni nonchè quello che tutti osavano chiamavare cosmopolitamente parlando Art Nouveau ovvero Liberty come lo stesso senso di nonchalance che imperterrito donava.

Quel nome risuonava nella mente della creatura ogni qualvolta lo guardava, si scaldava dentro dall'ansia di entrarvi a differenza dell'altra che lo faceva quasi esclusivamente per cause maggiori, il bagno nonché la sua solita scusa quando voleva sviare. Questo non perchè la dimora non le piacesse non conoscendola nemmeno, quel che più l'angosciava era la gente che la frequentava senza sapere che non ancora per molto sarebbe stato così.

Superarono la soglia e vi si addentrarono completamente, quello che pareva inizialmente un palazzo era solo una sorta di porticato che simboleggiava l'ingresso. Pagarono il portiere e avanzarono il passo, dinanzi alle loro iridi scure c'era un panorama aperto che pareva non finire mai. Si diramava da lì una lunga passerella in pietra i cui contorni erano delineati da una massiccia ed elegante balaustra in granito, rosa e grigia sulla sommità.

Ella Fitzgerald era stata da sempre tra i migliori per entrambe le ragazze e per quella che ne era l'epoca, pareva strano cantasse in un luogo simile visto che l'America era assai distante e al Duce tanto ostile. L'inglese tuttavia era già allora la lingua ufficiale, la lingua del mondo nonostante la sua provenienza non fosse alquanto gradita dagli uomini al fatidico potere del Fascio.

Tra i due fronti pareva ci fosse quasi un amore segreto, la guerra solamente un gioco. Conservatorismo per così dire, chi deteneva il potere non lo reputava affatto come faceva credere agli occhi altrui.

Al di là del muretto c'era già la spiaggia, la sabbia bianca carezzava le tende delle cabine in stoffa a righe orizzontali pullulanti di donne i cui capi facevano capolino di lì a poco. Avvolte nei loro costumi si apprestavano sfilanti ad entrare in acqua, c'era anche chi si attardava per via dei brividi che questa metteva è chi scappava sempre più per via di una sabbia scottante come non mai.

Era un tratto vivo, brioso dal vociare di bambini ed erano innumerabilmente tanti anche questi. Si rincorrevano su quel manto polveroso e talvolta li si scorgeva buttarsi giù senza piangere mai.

I castelli, vi erano anche quelli e neppure si contavano, altrettante le buche scavate poco più in là e proprio nel mero punto esatto in cui nasceva la riva. Taluni dei primi erano inverosimilmente belli, svettavano bandierine in sommità.

Il migliore o almeno per Elvira appariva uno che era del tutto particolare, il bello era che non stava a rappresentare un castello ma qualcosa di più originale. Che era una riproduzione per così dire in miniatura di quel che aveva là davanti l'aveva intuito subito, per questo se ne rallegrò.

"Mah, te lasso qua..." replicava la mora accelerando il passo, ella sbuffò e si voltò a sinistra per un po', quando riprese a guardare avanti l'altra era già sparita.

Odiava condividere quello spazio con gli uomini di governo che c'erano al periodo che si ritrovava col passare, disprezzava tutto di questo poichė disprezzava quello che rappresentavano ed erano loro. Il Fascismo non lo gradiva affatto, del resto la ragazza aveva sempre fiancheggiato la libertà.

Si recò in bagno ma per farlo dovette attraversare il fabbricato che si ergeva in loro prossimità, nel frattempo vi era giunta anche l'altra che non faceva altro che danzare e già da un pezzo quasi fosse una femme fatale da ultimo grido. Era una cupola in ghisa dalla pianta circolare e dava il senso di perfezione e protezione.

Varcata la hall, l'interno era da lasciare il fiato sospeso. Lampadari di cristallo fecero la loro prima apparizione, numerosi tavoli rotondi gravitavano attorno a un centro che fungeva da pista da ballo nonchè l'oasi di molte coppie che avevano iniziato già da un pezzo a scatenarsi al centro della sala e senza staccare mai.

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Il capitano diede un ultimo sguardo allo specchio retrovisore dell'auto, una Mercedes bombata e brillante di colore nero e ultima generazione. Era una berlina elegante e lussuosa, gli interni in pelle pregiata di un grigio certamente un po' più chiaro dell'alta uniforme che l'uomo stesso indossava. Era un'occasione importante a cui non poteva mancare, questo spiegava il perché dell'abito nero che egli stesso recava.

"Hauptsturmbahnführer! (Capitano!)" uno dei suoi ufficiali lo richiamò alla realtà, il gelido sguardo fisso al di là del vetro "Des Großes Tages ist hier und jetzt, ich denke... ist es nicht das?... (Il grande giorno è qui e ora, io penso... non è così?)" continuò quello, si infilò il berretto e l'aquila aleggiava pronta dando il via a una nuova giornata.
"Ja, Freud... raus! (si, amico... fuori!)" ordinò dopo aver dato un rapido sguardo al Cartier dorato che gli contornava il polso, un rumore secco sul volante metallico ardente per via dell'aria estiva che gravava su ogni cosa che tanto imperterrita a incontrar s'apprestava.
"Ja, Führer und Heil Hitler! (Sissignore e Heil Hitler!)" annuì l'altro alla sinistra.
"Für immer, es wurde so sein! (Per sempre, lo sarà!)" scrollò il capo pensoso e al tempo stesso deciso, puntuale quando l'altro era già fuori.

Scese anche lui, un'altra occhiata al finestrino, annuì ancora.

Perfetto!

Bisbigliò tra sè e riprese il passo, fiero e ridondante. Pareva una statua marmorea vivente anche se la vita altalenava in lui.

"Das ist sehr schön, ich habe nie hier gewesen... gibt es viele Frauleine? Was sagen sie? Zumkle, ich sprache mit ihnen! (Fantastico, non ci sono mai stato qui... ci sono molte signorine? Che dice? Zumkle, parlo con Lei!)" discorreva ancora il più giovane, l'altro spostava il capo da una parte all'altra frenetico.

Sembrava quasi non gliene importasse alcunché del discorso che l'altro faceva, sembrava aspettasse qualcuno. Aveva forse già iniziato a guardarsi attorno prima che il suo amico parlasse? Conoscendolo, poteva anche darsi!

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