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Capitolo 9 "Il corteo"


Le macchine percorrevano spedite all'unisono la provinciale 450 nel cuore del Cilento.
Un sincronismo e tra loro una distanza millimetrica tale, da apparire come tre ingranaggi neri in un monolitico invisibile.
Nei sedili posteriori della Rang rover sedevano Raul, Daniele e uno di loro.
Da quando erano entrati, era calato un silenzio tombale, quell'atmosfera funerea definiva in modo perfetto il volto degli uomini al suo interno.
Raul continuava a osservare l'uomo che sedeva accanto al conducente, aveva una cicatrice che andava dall'angolo laterale dell'occhio allo zigomo, che raggrinzendo la pelle era l'unico segno di parvenza espressiva che usciva da quel volto vitreo.
Perché non avevano detto subito quello che volevano? perché quell'incontro allo stabilimento?, e poi questa gita verso una destinazione che conoscevano solo loro.
Le domande continuavano ad assillare la sua mente infrangendosi come onde contro uno scoglio irremovibile di interrogativi.
Si sentiva alla mercé di quella gente.
Con un niente l'avevano ricattato e con il nulla lo avevano soggiogato, un fantoccio in mano a un padrone che ignorava chi fosse. Forse era proprio questo che volevano fare intendere; e ci stavano riuscendo perfettamente.
Avrebbe voluto chiedere, domandare, ma sapeva che ogni risposta sarebbe arrivata, così come era arrivata ogni domanda.
All'interno di quella scatola di alluminio insonorizzata dal mondo esterno, cercava a stento di placare l'ardore guardando fuori dal finestrino, il susseguirsi di uliveti e tigli, per un breve istante gli apparvero qualcosa che sapeva di libertà vera.
In un'emozione fugace la vita gli era apparsa diversa.
La vera liberta e quando non devi fuggire da te stesso e lui era in prigione da sempre; e questo lo accomunava a tutti quegli uomini con il quale ora stava viaggiando, con l'unica differenza, che loro gli tenevano un coltello puntato alla gola.

All'improvviso, il diminuire della velocità, lo fece rientrare dai suoi pensieri in quella macchina.
Erano arrivati nei pressi di Massascusa, in fondo all'orizzonte, attraverso il parabrezza alla sua destra poteva intravedere i tetti del borgo medioevale.
Quel silenzio di gelo, che si era creato fin dall'inizio del tragitto, fu infranto da due parole che arrivarono come l'impeto di un punteruolo sul ghiaccio.
<< State calmi! >>
Con voce impassibile e persuasiva, quel volto che aveva mostrato fino a quel istante solo il suo sfregio su di una pelle lavica, ora si era voltato e mostrava tutta la sua oscurità.
Raul piegò il capo e scorse due macchine in fondo alla carreggiata, era un posto di blocco di due gazzelle dei Carabinieri, uno di loro, un ragazzo sui venticinque anni con addosso un giubbotto antiproiettile  aveva alzato la paletta e intimato al convoglio di fermarsi.

L'apprensione colse Raul e Daniele come un laccio intorno al collo da togliere l'ossigeno, gli uomini in quella macchina rimasero impassibili come statue di pietra.
Videro il carabiniere avvicinarsi alla Bmw di testa e subito dopo, un braccio vestito di una camicia bianca uscire dal finestrino e porgergli qualcosa simile a un tesserino, il carabiniere si voltò verso il suo collega facendo un cenno affermativo con la mano, poi voltandosi verso la macchina riconsegnò il tesserino e fece il saluto militare.

L'apprensione si trasformò in sudore gelato sulla fronte, Raul guardò Daniele, aveva gli occhi sbarrati come un bambino davanti alle fauci di uno squalo e la sigaretta che stava cadendo appesa alle labbra.
Per la prima volta conobbero qualcosa che si avvicinava a un sentimento di timore.

Davanti ai due carabinieri impassibili, il convoglio ripartì con lo stesso sincronismo con il quale si era fermato,
Quando superò il posto di blocco, quello stesso braccio uscì di nuovo dal finestrino e collocò la sirena blu sopra il tetto.
A quella scena Raul realizzò che era in compagnia con il male, un male più grande di quello che rappresentava lui e ovunque fossero andati la certezza che non sarebbe più stato come prima.
Raul mandò un ultimo sms a Guido.
<< Fermati PdB >>.

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