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Capitolo 8 "lo chalet"


In mezzo al Vallo degli Alburni, nascosto nella fitta vegetazione, lo chalet, che era nato per regalare istanti indelebili nel mente dei loro proprietari, "da covo provvisorio,"con il passare inesorabile dei giorni, aveva assunto l'aspetto di una tana di topi, sia nell'odore che nell'aria di asperità che lo riempiva.

Gli uomini cercavano di scacciare l'inquietudine,"che accompagna sempre l'ignoto," con ogni mezzo a disposizione, giocando a carte, sdraiati sul divano.
Ormai quella esistenza delittuosa che gli aveva uniti fino a quel momento, sembrava ora dividerli; a stento si rivolgevano una parola.
L'atmosfera si era fatta ancora più pesante dopo la morte di Mathiew.
Oltre al cappio della taglia, che penzolava sulle loro teste e gli costringeva a quella esistenza di latitanza; all'improvviso in un giorno fortuito, la vita aveva deciso d'inviare un esattore per farsi saldare gli arretrati; "il Polacco" .

Raul si alzò  gettando le carte sul tavolo,  lasciando gli altri a continuare il gioco e uscì per prendere una boccata d'aria.
Dallo chalet si poteva vedere tutta la vallata.
Intorno il vento, fendeva i rami dei carpini, portando con se  il profumo del sottobosco e una brezza fresca il sollievo, che per un istante sembrava potesse placare l'aria arida di quel sole d'agosto.
Guido uscì e lo raggiunse.
Raul era sul ciglio di una scarpata che costeggiava il dorso della montagna con lo sguardo assorto. Sotto un cielo terso, poteva scorgere la vetta del Monte Gelbison.

<< Non dovremmo neppure rispondere al telefono, >> gli disse senza voltarsi.

<< Sai cosa significa se accettiamo? >>
Continuando in una domanda alla quale entrambi conoscevano già la risposta.
<< I ragazzi cosa dicono? >>

<< Sono preoccupati e vogliono andarsene, ma anche loro vogliono chiudere il cerchio. Vediamo cosa vogliono. Se poi è una trappola, trasciniamo alcuni di loro con noi nella bocca dell'abisso >>.
Ribadì Guido alle sue spalle.

Raul si girò accennando un sorriso; e si guardarono con la complicità che gli univa da sempre.

<< Io e Daniele saliamo con loro, mentre tu con gli altri ci venite a seguito, >> gli disse Raul fissandolo negli occhi.
<< Vediamo dove è l'incontro, mandiamo Cesare con l'M14 a 300 metri, sul crinale. Se succede qualcosa sapete cosa fare! >>

Guido a quelle parole, lo colse un fremito, come se una goccia di lava si fosse materializzata all'improvviso nel suo stomaco.
Ebbe la conferma, che anche il suo amico condivideva insieme a lui lo stesso presentimento.
Erano passate le cinque del pomeriggio, e il sole continuava a spasmare ogni cosa che respirava, anche i pensieri sembravano essere  soggiogati sotto il suo peso perentorio.

Nell'ultimo anno avevano portato a segno tre rapine. Il risultato furono due borsoni neri, giganti, che ora erano posti una accanto all'altro nel sottoscala.
Due milioni di euro.
La prima fu a un portavalori presso una statale che da Napoli conduceva a Caserta, in quella occasione riuscirono a bloccare il furgone blindato e svuotarlo senza esplodere un colpo.
Poi ci fu l'agguato al Banco agricolo di Pozzuoli, dove immobilizzarono le due guardie, le quali consegnarono i contanti arrendendosi immediatamente senza opporre resistenza, ma fu l'ultima, alla Banca Nuovo Credito Campano di Via Roma, che diede inizio al preludio di una caccia alla volpe, dalla quale avevano capito subito, che ne sarebbero usciti solo attraverso un cellulare o una bara, il che significava per Raul e i suoi uomini la medesima cosa. Adesso però erano subentrati anche questi mastini, ed era una questione da risolvere subito.

Si avviarono per rientrare.
Il pomeriggio afoso aveva lasciato spazio ad una leggera brezza fresca e il frinire delle cicale anticipava l'addentrarsi del tramonto.
Raul andò verso il frigorifero per concedersi una birra, Guido rimase sul atrio a guardare quei ragazzi, che in qualche modo rappresentavano tutta la sua famiglia. Pensava a cosa era valsa quella vita, se doveva finire in quel modo.
Luca e Cesare dai volti aspri e spigolosi stavano giocando a carte, in un aere di fumo e odore di mozziconi spenti e vino scadente, mentre lo sguardo vigile e tediato di Cristiano, che aspettava di dare il turno a Igor sulla collina, a cavalcioni su una sedia, li osservava divertito.
Daniele era disteso su un divano scalcinato sotto la finestra, intento a guardare una tv 9 pollici alimentata come tutto il resto da un alternatore. Infine c'era Nicola di spalle immerso a preparare qualcosa dall'aspetto di una salsa di pomodoro che con tutta probabilità sarebbe stata la loro cena.

Lo squillo del cicalino proveniente dal cellulare di Guido, sfato' ogni previsione. Nessuna emozione trasparve a cambiare l'atmosfera in quella stanza. Infondo era comprensivo, erano uomini abituati a ben altre tensioni, stavano aspettando quel momento  e ognuno di loro sapeva già cosa fare.
Quando vide il numero 225 alla fine del numero, Guido alzò il capo verso Raul.
<< Sono loro! >>.

I ragazzi smisero di giocare, lasciando cadere le carte sul tavolo.
Daniele abbandonò lo sguardo dalla tv per guardare Raul, Nicola spense il fornello e si voltò.
Il messaggio diceva: "Fra 30 minuti in fondo alla strada".

<< Bene ragazzi, è ora! >> Disse Raul guardando Daniele.
Con il capo li fece il cenno di seguirlo. << Andiamo! >>

Daniele prese la beretta calibro 9 che aveva al suo fianco in un tavolino di legno, si alzò dal divano nel quale aveva risieduto tutto il giorno e in una frazione di niente, inserì il caricatore, arretro il carrello e
armò il cane, portandosi la semiautomatica dietro la schiena nuda, nel girovita dei jeans, si mise una maglietta nera e guardò Raul.
<< Sono pronto! >>

Cesare prese il fucile di precisione, fece un cenno con la mano di assenso verso i compagni e uscì verso il bosco.
Daniele e Raul montarono sulla berlina chiara parcheggiata nel cortile e si avviarono.
Guido e luca li avrebbero seguiti a distanza.
Avrebbero atteso il loro arrivo con largo anticipo.
Nicola andò verso la collina per avvertire Igor, Cristiano rimase a guardia del denaro.

Scesero la strada di ghiaia che tagliava il bosco attraverso due argini paralleli di terrapieno, il soffitto di rami dei castagni, alternava il percorso fra gallerie d'ombra e improvvisi spazi al cielo con prati estesi.
Arrivati ad un'area di sosta dove la ghiaia finiva per dare posto all'asfalto della strada statale, si fermarono e spensero la macchina.
Scesi dall'auto Raul si guardò attorno, da lì a breve avrebbe ricevuto un segnale della presenza di Cesare, che sceso dal crinale si sarebbe appostato per coprirli in caso si fosse messa male.
Inoltre con la ricetrasmittente, era in contatto diretto con Guido e Luca fermi a cinquecento metri dietro di loro.
Se la situazione fosse sfuggita di mano, sarebbero  intervenuti per bloccare le macchine con l'inevitabile che sarebbe seguito.
Raul cercava di riordinare le idee, nel tentativo invano di ipotizzare l'evolversi di quell'incontro.
Lo sguardo fu rapito dal luccichio di uno specchietto riflesso al sole nel versante a nord; Cesare era arrivato, appostandosi come un'aquila appollaiata fra i faggi in cerca di prede.
Se avesse visto il cenno indiscutibile di pericolo da Raul, qualcuno quel giorno avrebbe perso la testa.
Nel frattempo anche Nicola e Igor erano scesi dal versante opposto, pronti ad agire in virtù di quello che sarebbe successo.
Era una banda di ladri, ma in quanto a capacità tattiche non erano secondi a nessuno.

Non aveva mai dovuro sottostare a nessuno nella sua vita e questa sensazione di impotenza, rendeva la sua apprensione ben visibile a chi lo guardava. Per la prima volta davanti ad una forza superiore, Raul sentì che avrebbe dovuto fare ogni sforzo per raccogliere quel po' di diplomazia insita che aveva; se mai l'avesse avuta.
Se sei braccato allo stremo delle forze, ringhiare è un atto di orgoglio fine a se stesso che non porta da nessuna parte e questo Raul lo sapeva bene. Nella sua istintiva caparbietà, era capace anche di essere un perspicace calcolatore.

Daniele gli scorse con il binocolo uscire da dietro la collina che conduceva pochi chilometri più in giù al centro abitato.
Le macchine arrivarono in perfetto orario. Tre auto nere, una Bmw A8 con a seguito due Range Rover anch'esse con i finestrini oscurati.
Un corteo che avanzava lento, con l'aspetto malfido, a rappresentare perfettamente all'esterno ciò che conteneva.
Quando si fermarono a duecento metri di distanza, una delle range rover  lasciò la colonna e si avvicinò a Raul e Daniele . Uscirono due uomini in vestito scuro. 

Raul si chiese, come mai  si chiamassero Polacchi;  il loro volto truce, con lo sguardo freddo e vuoto, dava più la sensazione che quei due uomini fossero usciti da qualche ordine paramilitare Serbo, avevano l'aria di gente alla quale non puoi dire di no.
Li guardarono, poi uno di loro aprendo la portiera :
<< Salite! >>

Raul sentì un fremito salirgli su per la gola. Stava venendo meno quella padronanza labile che a fatica aveva costruito per l'occasione.
Quel invito lo aveva rilegato a un burattino senza neppure conoscere chi teneva i fili.
Avrebbe voluto fare un cenno e concludere la questione li in quel preciso istante. Incendiare quelle tre macchine con tutto il loro contenuto, affinché il fumo potesse salire tanto in alto, da farlo scorgere al suo stesso mittente, ma sapeva che con la loro fine avrebbe decretato inevitabilmente anche la sua e dei suoi uomini.
Fece un cenno furtivo con le mani lungo i fianchi avvisando i ragazzi appostati.
Prese il cellulare e scrisse:
<< Tutto ok >>.
Seguendoli, entrarono in macchina.

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