Capitolo 2
53
Sconosciuto
I'm here without you baby
But you're still on my lonely mind.
È lungo il ritorno a casa quando sei solo e il tuo unico amico è il semaforo. Buca la notte silenzioso, sussurrando parole di luce.
Il silenzio sarà ciò che ti rimane, il mio ultimo lascito a questo mondo di ferro.
Attraverso la strada, gli occhi sulle strisce sbiadite, tracce di stelle sfocate, distrutte dal tempo e dalle gomme passate di qui.
La nebbia si sta alzando e fra un po' lascerà il posto al sole di fine autunno. Di nuovo. Un'altra giornata. Altra lotta contro il vuoto.
Mi stringo nella felpa, le mani in tasca a nasconderne il tremore al cuore. A ogni passo il fiato graffia meno la gola, la testa smette di urlare, il petto si svuota. Più mi allontano dal marmo freddo e bianco, più ritorno nella mia gabbia di vetro. Al sicuro.
La città mi scorre intorno, immersa nella notte. Gli edifici identici simili a tombe, le finestre spente. I portoni di legno, il marciapiede scheggiato.
Vago come un'anima in pena, consapevole di esserne una, senza una meta precisa. Sarebbe inutile averne una. Solo il peso che sento sulle spalle è in grado di liberarmi.
Scorro una mano sulla spallina. È strano come la vita di una persona riesca a stare in uno zaino. Frammenti di ciò che è stato e che si vorrebbe essere ancora.
Un clangore metallico rompe il silenzio.
Sobbalzo per la violenza con cui vengo strappato dai miei pensieri. Ho calciato una lattina di birra, abbandonata da chissà quale anima, che ora sta rotolando sul lastricato. Perso com'ero nel buio della mia mente non mi sono accorto di essere arrivato in centro.
Il sole sta per sorgere. Il cielo che spunta dagli squarci nelle nuvole è di un blu slavato, tendente all'azzurro. L'aria è umida per la nebbia.
Mi piace, la nebbia. Quando non hai voglia di far parte del mondo ti ci puoi nascondere. Il suo manto grigio è come un'armatura, resistente anche se fragile. Ti avvolge e la sensazione di bagnato è tanto intensa da farti dimenticare il resto.
Giro l'angolo, finendo nella via più trafficata, che a quest'ora è deserta se non per i bar che attirano chi, come me, non dorme. I lampioni lanciano palle di luce offuscata, simili a batuffoli di cotone dorati. Le sedie pieghevoli giacciono come lapidi vicino ai cafè, non ancora usate in questo periodo dell'anno. Una chioma verde-acqua attraversa il mio campo visivo, sparendo in una stradina laterale.
Mi blocco di scatto, il fiato in gola, incapace di respirare. Rimango pietrificato per lunghi istanti, poi, spinto da una forza sconosciuta, rincorro quello che vorrei non fosse, incapace di resistere al dubbio.
Il suono dei miei passi si mescola al respiro che ha ricominciato a graffiarmi la gola, lasciando tagli profondi che mi arrivano dritti al cuore. Non può essere, dannazione. Non dopo tutti questi anni. Me lo sono immaginato. Sto rincorrendo un fantasma. Non può essere.
Corro senza sosta, entrando e uscendo dalle vie, in cerca e in fuga allo stesso tempo. Le cicatrici mi si riaprono, nonostante gli sforzi di tenerle chiuse. Il dubbio, questo dubbio atroce mi consuma come si consuma una candela, lento e inesorabile. Tanti se e nessuna risposta. Le stelle non mi parlano più, forse perché ho smesso di guardarle.
Sarò la tua condanna, fredda come la nebbia e reale come la morte. Non puoi scappare, ti troverò sempre.
Mi fermo e mi appoggio a una fermata dell'autobus, lo zaino con la chitarra in mano. Il respiro continua a graffiarmi, irregolare. Esce ed entra, e mi riempie i polmoni di rimorsi che non so come mettere a tacere.
Mi tolgo il cappuccio e passo la mano libera fra i capelli, cercando di calmare il battito del cuore. Ho corso per un tempo indefinito e non l'ho trovata. È sparita, come la mia speranza. Persa nello spazio fra la notte e l'alba.
Non so se voglio trovarla. Sarebbe come riportare tutto a galla, quel giorno di tre anni fa, e il presente mi sembrerebbe più squallido di quel che è. Vuoto e incolore.
Gli occhi mi cadono sulla vetrina che ho davanti. Una ragazza sta fissando quello che mi sembra il mirino di una strana macchina fotografica. Alza lo sguardo e un paio di iridi azzurre e limpide come non ho mai visto mi toglie il respiro.
La mente diventa bianca e non riesco a pensare a nulla. Divento sordo a tutto. Vedo solo questi occhi che sembrano capirmi e accettarmi. E lascio che mi avvolgano, che tappino i buchi nel petto. Una calma inaspettata mi riempie.
L'incantesimo si spezza troppo in fretta, il pullman arriva. Riprendo a respirare e prima di salire lancio un'ultima occhiata al bar.
Mi sta ancora guardando, con quegli occhi che sembrano il cielo.
Sono in bilico, fra le tue iridi e il vuoto, saltare è dolce, se il tuo colore preferito sarà anche il mio.
Riluttante, distolgo lo sguardo e lascio quel porto sicuro, sparendo nell'oceano di nebbia.
«Che succede?»
Alec alza le spalle, la fronte aggrottata e un sorriso beffardo sulle labbra. «Segnalo sul calendario. Il Principe ha deciso di mescolarsi agli esseri umani».
Dominik alza le sopracciglia, più turbato che sorpreso. Mi fissa con la domanda sulle labbra, pronta a uscire.
Lo stronco sul nascere entrando nella mensa del Campus. Una marea di studenti va avanti e indietro, chi con vassoi, chi senza, alcuni con così tanto cibo da sfamare metà corso. La confusione riempie ogni angolo, tanto intensa da coprire i pensieri.
Una sensazione di sollievo mi avvolge mentre mi dirigo verso il bancone. In realtà non ho fame. Sono qui solo perché così posso osservare senza pensare. Le cinque ore di lezione sono state una tortura, troppo tempo morto per rimuginare.
Una coppia davanti a me sta litigando su chi prendere l'auto. Intuisco siano fratello e sorella dagli epiteti d'amore che si sputano addosso.
Il cuore mi si stringe e distolgo lo sguardo, cercando altro su cui focalizzarmi. Una mano sulla spalla mi riscuote. Mi volto e gli occhi grigi di Alec mi inchiodano.
«Tutto bene?»
Stringo le mani che ho in tasca. «Una meraviglia, perché?»
Cercare di nascondergli qualcosa è praticamente impossibile. È sveglio come pochi, non gli sfugge mai nulla. Convincerlo è stata dura.
La presa sulla spalla aumenta, mentre mi scruta nelle iridi, poi mi lascia andare, dandomi un paio di pacche sulla schiena. «Cosa vuoi mangiare?»
Punto gli occhi sul menù, sollevato di averla scampata. Non so ancora per quanto potrò continuare così, ma decido di non pensarci. Ho un unico problema: lei. Non me la sono immaginata. L'ho vista sul serio, i capelli verde acqua e gli occhi come il ghiaccio. Mi ha guardato, prima di sparire. E tutto mi è crollato addosso, come allora.
Cosa ci fa in città? Perché ora? Perché non prima?
Tutte queste domande mi rodono, sono come un trapano che non smette di bucarmi il cervello. Vorrei dare loro una risposta, almeno per stare in pace e continuare come ho sempre fatto.
«Daniel.»
Ritorno nella realtà, ignorando lo spillo che sento nel cuore. «Hamburger e patatine vanno bene», bofonchio avanzando di qualche posto nella fila per raggiungere i miei amici. Mi osservo in giro e noto come gli altri ci guardano. È un evento più unico che raro vederci qui fra gli studenti. Il trio più famoso dell'università non si abbassa a certi livelli. Di solito mangiamo nell'ala del quarto anno, ma oggi ho trascinato gli altri due fra la gente. Sentirmi normale non mi è mai mancato come oggi.
«Come desidera, Altezza.»
Spingo Alec per la spalla, nascondendo un sorriso, e lo faccio finire contro la ragazza davanti a noi, quella che litigava con il fratello qualche attimo fa.
Si gira bellicosa, ma quando vede chi l'ha colpita sgrana gli occhi, la risposta acida che sta per sputare le muore sulle labbra.
«Scusa, dolcezza. Sei tanto bella da avermi abbagliato», le dice con un occhiolino.
Scambio un'occhiata con Dominik e alziamo gli occhi a cielo. Fra i tre, Alec è il più donnaiolo. Cosa strana, comparata al suo essere tranquillo e sempre in osservazione, ma solo noi due conosciamo la sua vera natura. Davanti agli altri - e in particolare alle altre - è allegro e frivolo. Un vero Casanova. Non a caso è il suo soprannome.
«Da Al, stasera?»
Trattengo una smorfia. Non sono in vena, ma so che Dominik non mollerà la presa. Avanzo di un altro paio di passi e cerco una scusa plausibile. «Vorrei, ma mio padre-».
Le parole mi si incastrano in gola. Fisso davanti a me, fra lo spazio lasciato dagli studenti che sono già andati a mangiare. Un paio di occhi azzurri stanno sorridendo dietro degli occhiali troppo grandi. Smetto di ascoltare ciò che mi sta intorno e mi concentro sulla ragazza al di là del bancone.
È lei. Quella del bar. Della foto. Di stamattina.
Il mio porto sicuro.
Non mi abbandonare in questo mare d'acciaio, guidami con la mano sul cuore e i tuoi occhi nei miei.
Indossa la cuffia delle addette alla mensa, ma la riconoscerei persino con una maschera. Sta dando il resto a un ragazzo, un sorriso dolce sulle labbra. Qualcosa di indefinibile mi si rimescola nello stomaco. La osservo mentre saluta e passa al cliente successivo. Il sorriso non le sparisce, le illumina le guance di un rosso delicato e i pezzi di cielo nelle iridi. Aspetto che incontri i miei occhi, ma gli studenti in fila richiudono il buco e sparisce dalla vista.
La cosa nello stomaco protesta, come anche i miei polmoni. Riprendo a respirare come se fosse la prima volta.
Una mano mi passa davanti agli occhi. «Terra chiama Daniel. Rispondi a Riccioli d'Oro».
Guardo Dominik stralunato, non ricordando di cosa stessimo parlando.
«Tuo padre», dice, in attesa.
Giusto. «Ha invitato un paio di colleghi a cena.»
«E questo ti riguarda perché?»
Perché ho bisogno di suonare, distruggermi le dita sulle corde per dimenticare quei capelli verde acqua e ciò che portano. «Vuole che sia presente. Sai, per il futuro», rispondo, invece. La voce mi esce più spazientita di quello che voglio, ma penso solo al suo sorriso.
La coppia di fratelli sparisce e ora ci sono solo Alec e Dominik a separarmi dai suoi occhi. Ordinano e pagano, rimandando la nostra conversazione, e quando vanno a ritirare il pranzo rimango davanti a lei.
Mi fissa, finalmente le sue iridi nelle mie. Non dice nulla, mi guarda e basta. Per un secondo spero che mi riconosca, ma non ci confido molto. La felpa nera e i jeans strappati sono spariti. Con il vestito formale e la cravatta sono un altro.
«Cosa ti do?» mi chiede dopo lunghi secondi. Il sorriso è ancora sulle labbra, ma sembra essersi congelato. È sparito dal suo sguardo, ora confuso e velato da qualcosa che non riesco a decifrare.
«Hamburger e patatine.»
Digita sullo schermo, distogliendo gli occhi, la fronte aggrottata. «Da bere?»
«Acqua.» Fredda. Possibilmente in testa.
«Contanti o carta?»
Non mi guarda più, il sorriso ora è sparito del tutto. Al suo posto, una linea stretta e sottile.
Le mostro il polso sinistro, dove un orologio digitale è l'insegna del mio status sociale.
Annuisce e mi porge un lettore per il pagamento. Ci passo l'orologio e confermo, poi ignoro lo scontrino che ha in mano. Non voglio andarmene. Voglio perdermi di nuovo nei suoi occhi, sentirmi al sicuro, compreso.
Un braccio mi circonda le spalle. «Vedo che il nostro Principe ha fatto colpo ancora». Alec sorride malizioso e lei risponde con un leggero incurvamento di labbra, le guance di nuovo rosse. «Come ti chiami, bellezza?»
Sposta lo sguardo su di me e ci leggo l'indecisione. Non sembra volercelo dire e capisco di morire dal desiderio di saperlo.
«Ehi, voi due. Andiamo che ho fame.» Si infila anche Dominik, circondandomi dall'altra parte. Mi sento in trappola e imbarazzato come non mai, ma lo nascondo. Il Principe non può esserlo.
«Mi sa che è lei ad aver fatto colpo», dichiara sorridendo ad Alec.
Me li scrollo di dosso e prendo lo scontrino, infilandomelo in tasca. Le nostre dita si sono sfiorate per un momento, ma è bastato a lasciarmi turbato.
«Sono io a fare colpo e lo sapete», affermo con un sorriso malizioso. «Nessuna può resistere al Principe.»
La guardo un'ultima volta e incasso la sua occhiata di fuoco con nonchalance. L'ho chiaramente indispettita, ma non mi dispiace come dovrebbe. Tutta la sua attenzione è su di me, e questo mi piace.
«Buon appetito», dichiara a denti stretti e sposta gli occhi sullo studente dietro di noi, un sorriso smagliante in viso. Ma so che vorrebbe lanciarmi addosso la pinzatrice che ha vicino alla cassa.
Seguo Alec e Dominik a un tavolo libero, circondato da altri pieni di ragazze e ci sediamo.
«Niente male, eh?»
«Fossi in te, non me la lascerei scappare.»
Lancio loro un'occhiata di vittoria. «È già caduta ai miei piedi.»
Guardo verso il bancone, che è solo a un paio di tavoli da qui, e la becco a guardarmi. Stringe gli occhi azzurri e giuro di vedere lo sbuffo che le esce dal naso. Gira il viso e continua il suo lavoro.
Sorrido, la sensazione di vuoto un po' meno fredda.
Angolo autrice
Ecco il secondo capitolo. Da come avete capito, abbiamo cambiato punto di vista. Chi sarà mai questo ragazzo misterioso? Restate in onda per scoprirlo. ;P
Vi fornisco qualche dettaglio su come si svilupperà la vicenda. Ogni capitolo sarà dal punto di vista di uno dei due personaggi: Coly - la nostra eroina - e lo sconosciuto, Daniel - il figo della situazione, come lo chiamo io. Perciò, il prossimo capitolo sarà dal POV di Coly. E così via, fino alla fine.
Spero che vi sia piaciuto, se no, va bene lo stesso, fatemelo sapere nei commenti.
Al prossimo lunedì, guys.
Bye-bye.
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