Alterco - Parte 2
Un uccello,
nato in gabbia,
crede che volare,
sia una malattia.
(Alejandro Jodorowsky)
La mia giornata, in periodo scolastico o di gara, cominciava, sempre, alle quattro e mezza, a prescindere da quando andavo a dormire. Inutile dire, che il Coach, mi voleva riposato e concentrato, ma mentirei, se dicessi di non aver mai trasgredito, aggirato o infranto le regole.
Dopotutto, quale adolescente, per i motivi più disparati, non lo fa?
Per chi se lo chiedesse, le ragazze e la figa, sono al primo posto nella classifica, almeno per noi maschi!
In passato, ho affrontato molte competizioni senza nemmeno toccare il letto e senza nemmeno sentirmi stanco.
Quando suonava la sveglia, col sorriso stampato sul viso, incominciavo con grinta la mia splendida giornata.
Ogni giorno era un'opportunità in più per praticare il mio sport preferito.
Ogni giorno era un motivo per essere grato per la mia vita.
Indossavo la tuta e le scarpe da ginnastica, bevevo acqua per idratarmi e uscivo per andare a correre. La corsa non mi ha mai emozionato come il surf; sono discipline che non possono essere nemmeno paragonate, tuttavia, entrambe scatenavano in me, un piacevole senso di euforia e invincibilità, che ora non provo più.
Ultimamente mi sento disegnato con tratti di sconforto, sconfitto e tremendamente stanco. Dormo poco e quando ci riesco, il sonno non dura più di due misere ore, popolate soltanto da incubi di morte. Al risveglio, preso dall'ennesima crisi di panico, mi sento come se potessi morire da un momento all'altro: il cuore tuona irrequieto, il sudore freddo imperla ogni strato di epidermide, il respiro diventa così difficoltoso da sembrare una maledizione e tutto intorno a me sembra fluttuare sfocato.
Nonostante implori l'Universo di prendermi, resto sempre qui, ogni giorno rimuginando e colpevolizzandomi.
Ogni giorno a maledire la mia esistenza.
Ogni giorno sempre più spezzato, incasinato e squilibrato.
Ogni giorno mi ritrovo a parlare con i morti, perché non posso farlo con i vivi, poiché tutti mi evitano e mi tengono a debita distanza.
Mi sento intrappolato in una spirale di dolore, dove tutta la mia vitalità viene risucchiata via. Sento che la mia essenza si è trasformata in un manga dai tratti sottili, come una bozza in bianco e nero. Sono diventato un'ombra senza uno scopo, un angelo a cui sono state strappate le ali.
Mi sento così male che non ho nemmeno voglia di prendermi cura delle mie molteplici ferite o del mio aspetto fisico, facendo semplicemente la barba.
La felicità è stata sostituita dall'angoscia e ciò che una volta facevo con piacere è diventato solo una vuota routine, per spegnere la mente e poter continuare a fare surf.
Ma a cosa serve vivere così?
Non mi è rimasto altro se non l'oceano e la mia tavola.
Il mio cuore è arido di sentimenti e sommerso dalle lacrime.
Eppure, senza il mio amato surf, temo di non poter affrontare i miei demoni e di affogare definitivamente negli abissi della mia tristezza.
Durante le mie sessioni di jogging, alterno sempre due percorsi: il parco Kapiolani, fino a Diamond Head, correndo sulla collina, e la pista attorno al fiume Ala Wai, dove concludo l'allenamento facendo canoa.
Per potenziare ulteriormente gambe e polmoni durante la corsa, eseguo un allenamento a intervalli in cui alternare momenti di corsa normale a fasi in cui accelero e porto il mio fisico allo sforzo massimo.
Il coach mi dice sempre che è importante conoscere il proprio punto di rottura per capire quanto dolore e sforzo si possa sopportare prima di cedere. Francamente, non so quale sia il mio; so solo che il mio fisico non sempre mi permette di comprenderlo.
Giorni come questo, in cui ogni singola cellula fa male, è già tanto se riesco ad alzarmi dal letto!
Appena rientro a casa, dopo la lunga corsa di allenamento, mi dirigo immediatamente nel seminterrato, dove trovo le panche attrezzi e una piccola palestra condominiale. Qui dedico almeno quarantacinque minuti a una serie di esercizi per allenare le altre fasce muscolari.
Il Coach, mi ha dato, un elenco infinito di esercizi quotidiani, tra cui:
• lat machine o pull up (dorsali)
• panca piana (pettorali)
• croci su panca (pettorali)
• rematore orizzontale (dorsali)
• military press (spalle)
• affondi (gambe)
• squat (gambe - globale)
• stacchi da terra (gambe - globale)
• calf raise (polpacci)
• alzate al mento (spalle)
• pull over (pettorali)
• curl (bicipiti)
• crunch e crunch inverso (addominali e addominali bassi)
• pull down (tricipiti)
• sollevamento pesi
• plank (un esercizio base per allenare la funzione statica del core.)
Quando la piscina condominiale è deserta, faccio qualche vasca di nuoto, anche se ciò accade raramente. I pensionati del condominio, infatti, si riuniscono presto al mattino per fare acqua gym prima di colazione, almeno tre volte a settimana. Capisco che vogliano tenersi occupati, ma mi chiedo chi dia loro la motivazione di svegliarsi così presto, ora che finalmente sono svincolati dagli impegni lavorativi.
Io, se ci riuscissi, dormirei fino a mezzogiorno!
A volte mi chiedono di unirmi a loro, come se fossi il nipote adottivo mascotte di tutti, che deve in qualche modo intrattenerli e consolarli dalla loro vita triste e monotona. La cosa non mi dispiacerebbe affatto, visto che è risaputo quanto sia benefica una sessione di acqua gym per le articolazioni, la resistenza muscolare, la flessibilità e la circolazione. Tuttavia, questi adorabili vecchietti tendono a fare funzionare solo la bocca e non le gambe, e io francamente non sempre ho tempo da perdere o voglia di ascoltare le loro chiacchiere e rimembranze, soprattutto prima di andare a scuola, quando ho davvero tutti i minuti contati.
Non li critico affatto; anzi, trovo bello che si divertano, facciano gruppo e mantengano una vita attiva. Lo sport aiuta a mantenere la mente e il corpo giovane, e le amicizie sono preziose per combattere la solitudine. La maggior parte di loro, infatti, trascorre gran parte dell'anno da sola poiché i figli e i nipoti sono sul Continente.
Le Hawaii, con il loro clima mite e la popolazione gioiosa, sono un luogo ideale per godersi la pensione, ma la solitudine ti può trovare anche in Paradiso!
Dopo ogni esercizio a ritmo di odiosa polka, i pensionati fanno lunghe pause a bordo piscina per recuperare fiato ed energie, sorseggiando spremuta di arancia e succo di ananas.
E io, immancabilmente, ogni maledetta volta che me li offrono, declino gentilmente perché, anche se vorrei, non li posso proprio bere.
Durante queste lunghe pause, conversano animatamente tra di loro, ricordando i momenti importanti delle loro vite e sottolineando quanto fossero impegnati a migliorare il mondo in cui vivo partecipando attivamente alle rivolte studentesche, alle occupazioni e alla lotta per i diritti umani.
Ritengono che questi temi non interessino a noi giovani, poiché ci considerano superficiali e sempre attaccati ai telefonini, intenti a condividere futilità sui social media che, secondo loro, ci tracciano e ci spiano.
"Tu cosa fai, ragazzo, per rendere il nostro mondo un posto migliore per i tuoi figli?"
Io mi limito a esistere o a resistere!
Le signore, invece, indignate dal modo di vestire provocante delle ragazze moderne, parlano di moda e sobrietà, ricordando quando, loro stesse, in gioventù, indossavano minigonne e bikini senza sembrare volgari. Esprimono preoccupazione sul fatto che, a causa del look trasandato e provocatorio delle giovani ragazze, che espongono "tutta la mercanzia" in bella vista, ci meravigliamo dell'aumento dei crimini di stupro e mi chiedono, ogni volta, cosa ne penso.
Anche l'occhio vuole la sua parte!
Se una ragazza con belle gambe è un po' scosciata e mette in risalto il décolleté formoso, non vado sicuramente a dirle di coprirsi!
Rispondo restando sul vago cercando di fare capire che ognuno ha il diritto di vestirsi come vuole senza essere giudicato.
In tutta risposta, mi rimproverano:
"Se fosse la tua fidanzata a mettere in mostra tutto, saresti felice?"
OKAY! Colpito e affondato! Dannazione!
Se un'ipotetica fidanzata mettesse in mostra le sue forme per me, ne sarei entusiasta, ma se esagerasse, ne sarei infastidito e ingelosito perché NESSUNO, può vedere e toccare ciò che è mio.
Infine, immancabilmente, finiscono per parlare di argomenti come la politica e l'economia, a cui io, sono totalmente disinteressato.
"Cosa ne pensi di Biden?"
"Hai visto l'andamento del Nasdaq? Devi cominciare a capire come investire i tuoi soldi. Non si diventa ricchi solo risparmiando! Ricordalo!"
Non possiamo semplicemente fare sport e non parlare di niente?
Preferisco sentire la polka che mi massacra le orecchie, piuttosto che tutte queste chiacchiere che non portano a nulla.
"Ai miei tempi, i maschi, giravano sulle Harley ed erano circondati dalle femmine. Hai visto quei due abbracciati sul monopattino? Robe dell'altro mondo!"
Ed ecco che deviano verso l'identità di genere e la sessualità.
Mi duole ammettere che sono dei bigotti e che non capiscono né accettano le diversità.
Ognuno ha il diritto di amare chi vuole e di amarsi per ciò che è.
"Che musica ascoltate voi ragazzi?"
Cosa ascoltano gli altri non lo so, io ascolto tantissimi generi musicali.
Amo in modo particolare le parti strumentali, soprattutto gli assoli di chitarra.
"Hai mai sentito la musica dei grandi artisti come Barry Manilow, Elvis, i Beatles o i Santa California?"
Chi diavolo sono i Santa California?
Sono giovane, ma non significa che sia ignorante e che non apprezzi la buona musica. Io amo anche le sinfonie di musica classica.
"Io ho visto Manilow a Las Vegas" mi dice una signora con gli occhi sognanti.
"Wow! Io invece ho visto Harry Styles a Las Vegas."
"Ma chi è?"
"Un cantante famoso che si veste in modo un po' estroso, ma che ha una bellissima voce e scrive testi molto profondi."
Indignati, mi spiegano che i "veri" cantanti e le "vere" band musicali, quelli dei loro tempi, facevano "vera" musica con testi poetici che sono ancora un cult, a differenza dei "nostri" artisti che producono quella che definiscono spazzatura trap, che noi giovani ascoltiamo, spesso sotto l'influenza di droghe e alcol, che ci annebbiano la mente.
A me la musica trap fa cagare!
Il loro modo di vivere può sembrare preistorico, ma fa parte della nostra storia umana e dell'evoluzione sociale che ancora ci condiziona e che ci ha portato la libertà di pensiero e opinione che prima mancava. Pertanto, non metto in discussione l'importanza di tale prospettiva, anzi sono grato dei cambiamenti che ci hanno permesso di vivere liberi.
Tuttavia, i tempi sono cambiati, e ora viviamo in un'era nuova, chiamata rivoluzione digitale e sessuale, dove tutti sanno tutto di tutti grazie ai social media e ognuno è libero di esprimersi in base alla propria identità. Non posso farci niente, perché come tutti gli altri, subisco l'impatto di questa modernità. Questo loro modo di vedere noi della nuova generazione mi ferisce, perché finiscono sempre per disprezzare e generalizzare tutti i giovani. Dal loro punto di vista, ognuno di noi, è un teppista cinico, maleducato, scostumato, con problemi di identità sessuale, fannullone, drogato e pervertito. Insomma, si tratta del solito cliché generazionale sulla gioventù bruciata, che viene riproposto come un piatto riscaldato.
Io non faccio assolutamente parte di questi personaggi! Sono un ragazzo normale con la testa a posto.
Con tutte le notizie perfide che circolano su di me, mi meraviglio di non essere oggetto, da parte loro, di ulteriori critiche. La maggior parte di loro, tuttavia, mi conosce fin da bambino e probabilmente sa che non sono il mostro che i giornali dipingono.
Le offese che mi vengono rivolte sui social, per lettera o per strada, sono decisamente più gravi dei pensieri di questi anziani adorabili, anche se antiquati e sovente si trasformano in vere e proprie minacce di morte.
Dovrei averne paura, ma in verità, non temo per la mia vita, tuttalpiù per quella dei miei affetti più cari.
Nessuno può uccidermi, perché sono già morto dentro.
Eppure, gli insulti gratuiti, basati sulle fake news, anche se non dovrebbero, fanno comunque male.
"Dovresti morire, di una morte lenta e dolorosa, merda vivente."
"Spero reintroducano la pena di morte."
"Attento a cosa dici in tribunale. Sappiamo che sei stato tu, eroinomane del cazzo. Se menti sulla droga e sugli omicidi, ti veniamo a cercare. Sappiamo dove vivi."
"Spero che ti venga il cancro."
Se solo sapessero che ho già affrontato il cancro, forse, si vergognerebbero.
"Guardati le spalle."
"Assassino psicopatico, ti sciolgo nell'acido."
"Facci un favore, ammazzati."
"Ti ho spedito del veleno di ratto. Ingoialo e crepa."
"Hai mai pensato di spararti in testa? Qui, non c'è posto, per uno come te."
"Se esiste la giustizia divina, sono sicuro che uno squalo ti smembrerà mentre fai surf."
"Provo qualcosa per te: lo schifo!"
Il fatto che conoscano il mio indirizzo, gentilmente messo a disposizione, nero su bianco, da una rivista scandalistica, in un articolo completamente inventato sul mio conto, non fa che peggiorare la situazione. Sono costantemente preso di mira dai giornalisti che cercano dichiarazioni e da individui instabili, che mi augurano malattie e morte. Recentemente, ho persino l'impressione che qualcuno mi stia pedinando, ma potrebbe anche essere solo una mia paranoia. Tuttavia, dopo aver trovato una dozzina di Rattus exulans (ratti del Pacifico) in decomposizione sullo zerbino di casa, è comprensibile che inizi a sentirmi preoccupato e a diffidare della gente.
È un sollievo che Noele non sia a conoscenza di quanto accaduto, altrimenti ne sarebbe sconvolta. Tuttavia, è saggio da parte mia, non informare mia sorella delle minacce di morte che ricevo? Se fossero minacce reali e non semplice disprezzo gratuito fatto da sconosciuti che giudicano senza contesto?
Più sono vuote le teste, più sono lunghe le lingue, più cattivi sono gli insulti che feriscono e meno queste persone hanno da insegnarmi.
Non voglio rimanere prigioniero dei giudizi altrui perché le loro opinioni non rappresentano la verità assoluta. Tuttavia, ogni giudizio mi condiziona e mi fa dubitare di me stesso. La vita è breve e non posso sprecarla vivendo nella paura. Mi sento un impostore e ho l'impressione di non meritare più niente. I miei pensieri e le mie emozioni lavorano a pieno ritmo, costantemente contro di me, creando un conflitto interiore. Il dolore e la rabbia che provo verso me stesso sono come un veleno che mi consuma dall'interno, corrodendo il mio essere e le mie convinzioni. Mi sento come una lama curva che recide ripetutamente il mio cuore. Continuo a vacillare, cercando di fare finta di avere tutto sotto controllo.
Ho bisogno della mia routine per sentirmi ancora normale. Non so perché mi ostini a continuare con la mia patetica vita. Eppure, in fondo al tunnel, la mia luce è sempre e solo il surf.
Dopo aver concluso il mio allenamento, mi concedo una lunga doccia, alternando getti caldi e freddi. In passato, facevo colazione con un frullato proteico, uova strapazzate, fette di avocado e salmone fresco, ma attualmente mi capita di provare una fastidiosa nausea, dopo aver mangiato qualsiasi tipo di cibo, quindi mi limito a bere tè verde per idratarmi e a consumare mezza barretta proteica.
Lavati i denti e dopo aver indossato un paio di pantaloni e una camicia o una maglietta, mi preparo mentalmente per andare a scuola. Un tempo ero entusiasta di tutto, dall'apprendimento al poter chiacchierare con Arata tra un intervallo e l'altro, e giuro che non mi pesava affatto trascorrere tutte quelle ore lì. Il tempo volava e io ero felice, motivato e allegro. Ammetto che ogni volta che arrivavano le tanto attese vacanze, ero un po' triste perché molti dei miei amici partivano per le ferie. Arata era la mia costante, ma ora che non c'è più e tutto mi ricorda di lui e della nostra amicizia, ogni angolo della scuola mi disgusta. Sento costantemente un fastidio allo stomaco e un vuoto che mi fa stare male per tutta la durata delle lezioni. Nulla mi interessa più e non provo più quelle belle sensazioni da studente che mi rendevano felice solo tre mesi fa.
Il problema, lo so, sono io. La scuola non è cambiata, ma purtroppo io sì. Mi porto dietro un bagaglio di sofferenza e lutto, che prima non avevo.
La 'Iolani School, dista, uno virgola sei miglia in automobile (tragitto di appena nove minuti), o uno virgola cinque miglia a piedi (ventinove miniti di passeggiata), da casa mia.
Quando Noele fa i turni di notte in ospedale, le lascio sempre l'auto. Non mi sento a mio agio nel farla viaggiare sui mezzi pubblici da sola, nonostante Honolulu sia una città con un basso tasso di criminalità. Spesso Noele ha gli stessi orari di Logan, che sta completando il quarto anno di tirocinio come chirurgo, quindi vanno al lavoro insieme e questo mi tranquillizza molto.
Mia sorella, anche se forse non lo dimostro abbastanza, è tutto per me.
Per quanto mi riguarda, ultimamente, trovo particolarmente gratificante camminare, in compagnia dei miei pensieri.
Attraverso il cancello della scuola, dove già mi aspettano i miei aguzzini.
Le torture fisiche, che ormai sono diventate una parte quotidiana della mia vita, includono l'umiliazione di mettere la faccia nella latrina, subire docce gelate e botte in ogni parte del corpo, essere rinchiuso nella cella frigorifera della mensa e altre fantasiose sevizie.
Nonostante abbia imparato a portarmi dei vestiti di ricambio, i bulli ogni santo giorno mi rubano gli abiti puliti, rendendomi impresentabile e soggetto a rimproveri da parte dei docenti. Dopo le violenze, mi affretto a farmi una doccia per cancellare le tracce di piscio e sangue dal mio corpo, sperando di non essere scoperto da nessun insegnante o dai bidelli per non dover inventare scuse ridicole.
Con le mani ancora tremanti, dopo essere stato rinchiuso a meno ventidue gradi, passo le dita tra i capelli brinati e mi asciugo in modo frettoloso con la carta igienica, indossando la mia felpa nera preferita della Vans, riposta nel mio armadietto.
Con i mocassini, sempre Vans, con i teschi, che mi ha regalato Logan per la convivenza con mia sorella, e che in questo momento sono più bagnati delle spugne, attraverso rumorosamente il corridoio che mi separa dalla rampa di scale che porta all'ultimo piano, dove si trovano le aule delle classi del dodicesimo anno, compresa la mia.
Vorrei prendere un cappuccino per riscaldarmi, ma ieri mi hanno rubato tutti i soldi e non posso chiederli a Noele prima del weekend, per ovvi motivi.
Prima della malattia di mia madre, stavamo molto bene.
Non abbiamo mai vissuto da ricchi sfondati, ma eravamo benestanti.
Mamma riceveva la pensione del mio defunto padre, caduto in guerra, e aveva una clinica dentistica di successo insieme a un compagno del college.
Poi sono arrivate le terapie sperimentali, la chemioterapia e le spese non coperte dall'assicurazione, prima per me e poi per il suo tumore, che hanno prosciugato tutti i nostri risparmi.
Lei è morta e spero abbia trovato la pace.
Io, mi limito a barcamenarmi, in attesa di una rivelazione, che mi faccia tornare la voglia di vivere e di riprendere in mano, la mia vita, che sta velocemente, scivolando via.
Ma purtroppo, quella rivelazione non arriva mai.
Nonostante il nostro appartamento, il tremilasettecentodieci, al duecentoventitre di Saratoga Road, valga, in base alla valutazione del mercato immobiliare attuale, un paio di milioni, grazie alla sua posizione privilegiata ad appena dodici minuti a piedi da Waikiki, mia sorella, non ha alcuna intenzione di venderlo. I nostri genitori lo avevano comprato, da un amico architetto, nel lontano duemilatre, quando era ancora un progetto sulla carta e prima ancora che venisse costruito, nel duemilanove, per la "modica" cifra di duecentocinquantamila dollari. Purtroppo, mio padre, non ha mai avuto l'opportunità di vederlo di persona, poiché è deceduto prima dell'inizio dei lavori.
Noele sostiene che il nostro appartamento conserva i nostri ricordi più preziosi, le nostre risate e la nostra felice infanzia. Afferma che, nonostante la vendita potrebbe risolvere i nostri problemi finanziari, non potrebbe mai separarsi da esso.
Per me, quelle quattro mura rappresentano solo un luogo in cui ho vissuto momenti di dolore, disgusto e desiderio di morte innumerevoli volte durante la mia infanzia. Da adulto, durante il periodo di isolamento del lockdown, ho assistito impotente alla lenta agonia di mia madre, fino a vederla spegnersi per sempre. Non riesco a spiegare il vuoto che la sua morte ha lasciato in me e la paura irrazionale che provo ogni volta che mi avvicino alla porta della sua camera da letto. Le mie mani tremano e i miei piedi formicolano.
È su quel letto, con la testiera imbottita e la panca color testa di moro, coperta da un lenzuolo bianco che profumava di pesco, che mia madre è spirata tra rantoli di dolore. Nel mio abbraccio, accompagnato da un fiume di lacrime che non riuscivo a trattenere, ho assistito impotente alla sua agonia. Lei aveva solo me e non sono stato abbastanza forte. Noele era bloccata in ospedale da mesi e Nohea era in quarantena su una portaerei nel Mediterraneo.
Le autorità ci hanno impiegato tre giorni prima di venire a prendere il suo corpo, indossando tute anticontaminazione, e poi ce l'hanno restituito in un'urna blu. Il funerale è stato celebrato un anno dopo. Durante quei tre interminabili giorni, l'ho abbracciata senza mai lasciarla. Il suo corpo, ormai privo di respiro, diventava sempre più cianotico e freddo, eppure, lei, anche da morta, continuava ad essere la persona più importante della mia vita. Nonostante la malattia si stesse diffondendo anche nei miei polmoni, sono riuscito a sopravvivere, probabilmente grazie al vaccino. Ma con questa perdita, qualcosa in me si è spezzato. Quel qualcosa non è mai più tornato e si è dissolto definitivamente insieme ad Arata.
Kai Lokelani, è perito con lui, quella notte, mentre la superficie dell'oceano, dipinta di un tenue lavanda, si sollevava con le onde anomale dell'esplosione. L'acqua brillava come il Sole, riflettendo sfumature dorate di combustione e macchiata di un rosso scuro di morte.
Ogni volta che passo accanto alla stanza di mia mamma, provo un sussulto e un dolore lancinante mi stringe lo stomaco. Questo malessere, continua ancora adesso. Probabilmente non entrerò mai più nella stanza patronale perché sento come se avessi un blocco psicologico che me lo impedisce.
Su queste basi, non posso assolutamente affermare di amare ancora quel luogo chiamato casa, nonostante abbia dei bei ricordi, soprattutto delle risate e delle cazzate con Arata. Tuttavia, la palestra condominiale attrezzata, che nessuno utilizza mai, mi è sempre stata utile per i miei allenamenti. Il surf è l'unica fonte di felicità che mi resta. È triste ammettere che, un ragazzo di appena diciassette anni, non abbia più ragioni per vivere, ma questa è la triste realtà che mi opprime. Alla fine, prima o poi, tutto cambia: le persone, le amicizie, gli affetti, le prospettive, le passioni, i sogni e persino la vita stessa. Tutto.
Ma io non ho avuto alcuna possibilità di scelta, né mai la avrò.
Sono vittima del destino e della sua intricata trama. Sono uno spettatore impotente che assiste al crollo della propria esistenza. Tra qualche settimana, inizierà anche il processo. So già che mi considereranno colpevole.
I genitori di Arata vogliono ottenere giustizia e stanno utilizzando le loro influenti connessioni, per cercare di farmi condannare. Ero considerato come un figlio dal Signor Tanaka, ma ora sono solo il delinquente che gli ha strappato via per sempre il figlio.
"Mi dispiace."
"Sei solo uno stupido ragazzino, se pensi che le tue scuse possano lenire il mio dolore. Non è così. Nulla potrà farlo. Nemmeno vederti marcire in carcere. Queste scuse servono per alleggerire la tua coscienza sporca? Non ho intenzione di perdonarti, Kai. Mai."
"Io non..."
"Lasciami in pace. Per me non esisti."
"Vorrei non esistere. Senza Arata, fa male, fa male, fa male, da perderci la testa."
"Tu non sai cos'è il dolore, ma meriti di sprofondarci dentro, fino a impazzire."
Il mio cuore è spezzato. La mia sofferenza non diminuisce mai, anzi, aumenta esponenzialmente e non so come superarla. Vivo con questa agonia, anche se talvolta si nasconde temporaneamente dietro la mia routine quotidiana. Ogni giorno si intensifica, consumando una parte di me, e sembra che nemmeno l'eternità possa cancellarla.
Quindi credo di conoscere esattamente cosa significhi il dolore, anche se non sono un padre che ha perso il figlio, e non c'è istante in cui non cerchi di punirmi per essere sopravvissuto.
Il procuratore, spinto dal governatore, ha già dichiarato pubblicamente che, se risultassi colpevole, cercherà di infliggermi una pena esemplare che funga da monito per tutti.
"Per come la vedo io, chi si macchia di un omicidio, anche se minorenne, non dovrebbe più circolare, non solo per la elevata probabilità di recidiva, ma perché non è mai giusto archiviare la vita di una persona assassinata. Purtroppo il programma di riabilitazione obbligatorio sulla comprensione delle conseguenze delle proprie azioni e sulla responsabilità personale, non solleva questi ragazzi problematici dalle loro colpe e nella maggior parte dei casi, non aiuta nemmeno nel processo di pentimento. In quanto procuratore, non ho intenzione di lasciare un delinquente libero di muoversi nelle nostre strade. Trovo assurdo che il giudice abbia permesso all'imputato di circolare liberamente fino al processo e che non tema nella sua fuga. Io avevo suggerito una cauzione di dieci milioni di dollari, cosciente del fatto che, Lokelani, non avrebbe mai potuto pagarla. Tuttavia, in quanto uomo di legge, rispetto l'articolo quattordici della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo delle Nazioni Unite che stabilisce che "ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata". Questo principio è incorporato nel nostro sistema giudiziario e viene applicato in tutti i procedimenti penali. Il principio dell'"innocente fino a prova contraria" è un concetto fondamentale nel sistema giuridico americano. Secondo questo principio, una persona è considerata innocente di un reato fino a quando la sua colpevolezza non sia stata provata oltre ogni ragionevole dubbio. Il mio compito, durante il processo, in quanto avvocato dell'accusa, sarà dimostrare, senza ragionevole dubbio, che il Sig. Lokelani è colpevole di omicidio e merita l'ergastolo a vita come un adulto."
(Procuratore delle Hawaii Jordan Jackson.)
"Secondo la mia convinzione, l'Imputato è colpevole dell'omicidio e deve affrontare le conseguenze dei suoi atti. Non possiamo permettere che un crimine così grave venga archiviato senza una giusta punizione. Ho fiducia nel sistema giudiziario e nel lavoro dei nostri investigatori e avvocati dell'accusa, che hanno raccolto prove solide a sostegno della colpevolezza dell'Imputato. Il nostro obiettivo è garantire giustizia per la vittima e per la comunità. Sono favorevole a un processo equo e trasparente, nel quale verranno presentate tutte le prove a sostegno dell'accusa. Spero che il tribunale valuti attentamente le testimonianze e le prove presentate e decida in base ai fatti e alla legge. Se l'Imputato verrà ritenuto colpevole, chiederò che gli venga comminata la massima pena prevista dalla legge per l'omicidio colposo. La mia amministrazione sarà sempre determinata a garantire la protezione del popolo hawaiano. Durante la campagna elettorale, ho promesso un costante impegno nel difendere le famiglie che cercano un futuro promettente per i loro figli e di fornire un ascolto attento alle loro preoccupazioni. Pertanto, non ho alcuna intenzione di tirarmi indietro in questo momento."
(Governatore delle Hawaii Nathaniel Bishop.)
Forse dovrei imparare ad apprezzare ciò che ho, perché presto perderò tutto. Sarò rinchiuso in un buco con una brandina, un lavandino e una latrina. Nonostante il nostro appartamento, che in questo momento della mia vita mi ricorda solo momenti tristi, sia senza dubbio più accogliente di una prigione o di un centro correzionale per minori, mi mancherà terribilmente, così come l'abbraccio di Noele e poi, ovviamente, l'oceano. Spero che mia sorella possa costruirsi una nuova vita e riempire la casa di bambini felici, che le facciano dimenticare per sempre il suo problematico fratellino.
La mia camera da letto è sempre la stessa. È sicuramente la più grande e spaziosa, motivo per cui la dividevo con mio fratello Nohea. Ha due letti imbottiti di pelle bianca, da una piazza e mezza, separati da un comodino bianco dalla vernice lucida, su cui è posizionata una semplice ma moderna lampada a LED. C'è anche un comò di legno scuro con un televisore da sessantacinque pollici, una scrivania con una sedia ergonomica e un ampio armadio a muro pieno di vestiti, principalmente di Noele. La vista dalla finestra è meravigliosa, con uno splendido panorama sul mare.
Ricordo che, Nohea, vedendomi sempre appollaiato contro il vetro sul morbido tappeto avorio, ad ammirare l'oceano, mi aveva lasciato il letto più vicino alla finestra, per non spezzare quel legame profondo col mare, che lui però, sebbene ami surfare, non ha mai compreso.
Ricordo che quando mio fratello non era a casa, considerando il suo lavoro di militare che lo tiene impegnato in vari luoghi del mondo, Arata veniva sempre a dormire da me. Dire che dormivamo è eccessivo, visto che trascorrevamo le notti ridendo, parlando, giocando con la Xbox o salendo sul tetto per osservare il mare, mentre sorseggiavamo Coca Cola ghiacciata presa dal distributore. Ci perdevamo nei pensieri sul futuro, sull'università e sul viaggio che avremmo fatto l'estate dell'ultimo anno di liceo. L'estate del diploma. Quella quella che ci avrebbe fatto scoprire il mondo al di fuori di Honolulu. Avevamo grandi speranze e sogni di avventure che ci aspettavano oltre i confini delle Hawaii.
Sogni infranti e una vita spezzata troppo presto. È questo il prezzo che devo pagare per ottenere il diploma? Ma in questa situazione, non desidero affatto uno stupido pezzo di carta che mi permetterebbe di andare all'università. Ciò che voglio veramente è riavere indietro il mio amico e la mia vecchia vita. Potrei persino sopportare la leucemia, se solo potessi tornare indietro nel tempo.
Ora, nella sua assordante quiete, è tutta mia.
Nelle notti insonni, mi accoccolo come facevo da bambino davanti alla finestra e osservo l'immensità dell'oceano, mentre il dolore nella mia testa inghiotte tutto, urlando nel silenzio rilassante della notte. Il perpetuo movimento dell'oceano è in grado di spazzare via, anche se solo temporaneamente, ogni pensiero triste, e quindi rimango incantato e ipnotizzato a contemplarlo.
Il mare, è il mio unico amore. L'unico che riesce a darmi conforto, senza giudicare. L'unico che mi ascolta davvero e in silenzio, quieta i miei tormenti. Ultimamente, il rumore delle onde, è il solo, che riproduce la mia playlist.
L'incomparabile sussurro delle onde, pare sia la sola medicina, in grado di curarmi e di farmi battere ancora il cuore. Perché per tutto il resto, sento, di non vivere più.
Spero che, quelle quattro mura, quando non ci sarò più, tornino a riempirsi di risate.
L'aria condizionata, mentre salgo le scale, con il mosaico coi pesci, mi fa rabbrividire. Mi stringo nel cappuccio. Urto qualcuno, proprio quando raggiungo il pianerottolo. Che sfiga!
《Coglione! Guarda dove vai.》
《Sono mortificato, scusa.》
《Sai cosa me ne faccio delle tue scuse? Una sega.》
《Ero sovrappensiero, non ti ho visto.》
《Ti schiaccio come uno scarafaggio, microbo del cazzo.》
《Stai calmo! Ti ho appena sfiorato.》
Con un ghigno, che mi fa accapponare la pelle, mi placca, afferrandomi per le gambe, come se fossi un giocatore di football avversario, facendomi cadere a terra. Sbatto violentemente il sedere e la schiena sul pavimento. Un dolore indescrivibile, mi avvolge. Io, al contrario di un giocatore di questo sport, non ho nessuna protezione, ad attutire il colpo. Se il buongiorno, si vede dal mattino... il mio... è sempre pessimo. Ormai, l'ho messo in conto!
《Per essere un pezzente, hai delle belle cuffie. Dammele!》
《Non esiste proprio.》
Ringhio all'energumeno samoano, di due metri, con la giacca della squadra di Football, che mi guarda in cagnesco.
《La mia non è una richiesta, blatta.》
Questo ragazzo, che nemmeno conosco, mi sferra una serie di calci nei fianchi che mi lasciano senza fiato e mi fanno dolere le costole. Dopo l'ultimo calcio, che mi colpisce lo stomaco, soddisfatto mi strappa le cuffie Bose di mio fratello. Quando Nohea scoprirà che le ho prese senza permesso e che le ho anche perse, mi punirà sparandomi in testa con la sua pistola. È inutile raccontargli degli abusi subiti; mi rimprovererebbe indignato e si vergognerebbe a morte del suo fratellino che si fa bullizzare e non sa difendersi. Se fosse un combattimento equo e alla pari, potrei provare a contrattaccare con qualche colpo, ma solitamente vengo circondato da un gruppo di ragazzi che mi sopraffanno senza sforzo. Questo tizio, però, nonostante sia tre volte più grosso di me, è da solo, eppure, dopo i soprusi degli altri e la mia caduta appena avvenuta, mi sento troppo debole e scombussolato per provare a reagire. Inoltre, dopo dieci minuti nella cella frigorifera, completamente bagnato, sento ancora la brina sui vestiti e inizio a sentire intorpidimento agli arti. La mia pelle è in continuo fremito. Vorrei che fosse una sensazione piacevole, ma invece è un fastidioso freddo polare che si diffonde come una malattia.
《Ti prego! Non sono nemmeno le mie》mugugno, arrendevole.
《Cazzi tuoi, assassino.》
Mi fa il dito medio e soddisfatto del suo bottino, se ne va. Lo vedo rientrare nella classe di informatica dove stanno facendo Touch Typing Study, il corso di dattilografia su tastiera riservato alle ottave classi, mostrando a tutti il suo tesoro.
Eccellente! Mi sono fatto pestare, da un primino.
Quanto mi faccio schifo? Ma soprattutto, ora dove le trovo delle cuffie nuove, limited edition, da settecento dollari, prima del Ringraziamento?
A fatica, mi trascino nel bagno senza genere, dove non mi giudicano mai. Sollevo la maglia. Nuovi lividi neri, per la mia collezione. Che meraviglia! Un conato di vomito si propaga, facendomi espellere, del sangue. Decisamente, non è normale. Spero non sia...
In fondo lo sai meglio di chiunque altro che la tua oscura passeggera è sempre dentro di te, in agguato e pronta a tornare più aggressiva e letale. Se solo prendessi i farmaci...
《Vuoi del correttore, per quelli?》mi domanda una ragazza bionda, con gli occhi azzurri, indicando i miei lividi. 《Io so, cosa si prova a essere bullizzato perché mi sento una ragazza, ma sono nato col pene.》
Se non me l'avesse detto, non avrei mai potuto pensare, che prima, fosse un ragazzo. Se la osservo meglio, col senno di poi, effettivamente, alcuni tratti decisamente mascolini, si intravedono: i lineamenti duri del viso, la mascella ben definita, i fianchi, ma per il resto, per come è truccata e vestita, non l'avrei mai detto, perché, è sicuramente una ragazza a tutti gli effetti e anche se non é il mio tipo, molto bella.
《Sei gentile, ma ti finirei il tubetto. Le persone, possono essere crudeli, insensibili e ignoranti. Mi dispiace. Io non ti giudico. Ognuno, ha il diritto di sentirsi bene, nel suo corpo e merita di essere amato, per ciò che è, davvero nel profondo. Ci sono ancora troppi pregiudizi e tabù, ma per fortuna, il mondo sta cambiando. In ogni caso, immagino che il processo per accettare te stessa, sia stato difficile. Ti ammiro. Io non sono in grado di essere più me stesso da parecchio, ormai. Questo vestito, in ogni caso, ti sta molto bene. Mia sorella ne ha uno ugale, ma rosso, ma a te sta molto meglio. Ma ti prego, non dirglielo!》le faccio l'occhiolino.
Almeno a lei, torna il sorriso.
《Io sono Alex》mi porge la mano.
《Kai》contraccambio.
《Tutti, in questo istituto, sanno chi sei.》
《Ovviamente. Mi reputano un assassino.》
《Io, tifo per te, campione. Non mi interessano i pettegolezzi. Quando surfi, sei un Dio. Sono sicura, che questa stagione, farai altrettanto bene.》
《Lo spero, ma francamente, si è spenta la fiamma, che mi alimentava. Mi sento perso. Risucchiato in un buco nero, senza fine. A volte, penso pure di averlo ucciso davvero, Arata. Probabilmente, mi merito, tutta questa sofferenza.》
《Uscito dal tunnel, ritroverai la luce. Io, dopo i momenti tristi, ritrovo sempre il mio equilibrio. Non devo rendere conto di niente agli altri, solo a me stessa. Fallo anche tu, perché di una cosa sono certa, non puoi essere un assassino.》
《Perché no?》
《Perché mi stai trattando con l'umanità, che tutti mi negano.》
《Tra i due, quella speciale e forte, sei tu. Non io.》
《Ci si vede in giro, Lokelani.》
《Certo. Buona giornata Alex.》
La campanella suona e io, come al solito, sono in ritardo a causa dei bulli. La mia professoressa di storia è estremamente rigida e non posso permettermi di farla arrabbiare. Non ho davvero voglia di preparare una noiosa tesina sui Sumeri o su qualsiasi altro argomento che le sta a cuore. Già, sto inventando le stronzate più ovvie, perché giammai parlerò di come mi sento davvero, per le altre tesine, per adempiere alle punizioni e togliermi di dosso, il radar, del professore Johnson e del preside Cottrell. Tuttavia temo che, tutte quelle banalità da cliché scopiazzate in internet, potrebbero mettermi ancora più nei guai. A peggiorare la mia ansia, c'è ancora quel fastidioso compito da consegnare lunedì: chi sono io e quale è la mia visione per il futuro? Che cazzo ne so? Vorrei tanto avere la palla di vetro, per saperlo, invece, brancolo nel buio. Accelero il passo e raggiungo l'aula, che sembra semideserta. Accidenti, forse hanno cambiato l'orario o sono andati nel laboratorio di archeologia?
《Figo che la prof. non ci sia, oggi.》
《Già! Storia è una materia pallosa e inutile. Approfittiamo dell'ora buca! Ti faccio vedere la mia nuova App, per sviluppare gli addominali, quella di cui ti parlavo prima.》
《Sì. Figo! Io ne ho installata una, per trovare la figa.》
《E funziona?》
《Ovvio! Ci sono delle troiette, niente male.》
Alcuni miei compagni, parlano tra di loro. Scopro che la professoressa è assente e poi spengo il cervello. Non mi interessano, per niente, le loro conquiste sessuali e ho una tesina da finire, anzi da iniziare.
Già. Ma cosa diavolo scrivo?
Isolandomi dal resto del mondo, impugnata la biro, comincio a scrivere, ma nulla di ciò che metto su carta sembra soddisfarmi, per quanto bello, profondo e veritiero.
Ed è, per un mio foglio appallottolato sul pavimento, che cominciamo a litigare.
Leighton è furiosa.
A quanto pare, a causa del mio menefreghismo, la deforestazione è diventato un problema ambientale ancora più grave, con effetti devastanti causati dallo sfruttamento industriale dei "polmoni della Terra".
Ovviamente, mi preoccupo per il futuro del nostro pianeta e cerco di fare la mia parte riciclando e adottando pratiche consapevoli, ma non posso essere l'unico responsabile e non vivrò abbastanza a lungo per assistere alla morte di questa meravigliosa palla blu.
Oggi, poi, non è proprio giornata e discutere con lei, degenera al punto che, se non mi avessero allontanato, forse, l'avrei colpita col mio blocco.
Sono stanco di essere sempre giudicato e messo alla gogna. Stanco di soffrire. Stanco di lottare. Stanco di sentirmi, il peggior criminale mai esistito. Semplicemente stanco, perché ormai, non dormo più e sto letteralmente, uscendo di testa.
Mentre cammino lungo il corridoio, passo di fronte alla bacheca dei trofei. Lì sono esposti tutti i premi sportivi vinti dalla nostra scuola, incluso lo squalo d'oro conquistato nel torneo di surf dello scorso anno, in cui abbiamo sconfitto tutte le altre scuole superiori. In quella teca di vetro è intrappolato un sorriso su una stupida foto, un sorriso che non ho più, una felicità persa irrimediabilmente persino per le piccole cose.
È lì che si trova il vero Kai Lokelani.
Forse dovrei scrivere di tutto questo. Di come improvvisamente la mia vita sia precipitata, di come le giornate siano diventate un puro terrore e di come la mia forza, esausta per il costante tentativo di sopravvivere, si sia esaurita.
Ansia, paura, attacchi di panico e tristezza, fanno crepe ovunque, dentro di me.
Sono barricato in un muro invalicabile, che non riesco più a scalare, che non mi permette di vedere la luce del Sole e di portare la musica, penetrando i miei silenzi.
Non credo più nelle seconde possibilità, nella redenzione, nel perdono e in generale nella vita.
La mia situazione, non la si capisce, finché non la si prova, sulla propria pelle, proprio come si fa, con una maglietta.
Questa mestizia, si incolla su di te, questa paura irrazionale, a continuare a vivere, non ti abbandona mai, impedendoti di avanzare, anche solo di un passo.
Mi chiedo costantemente, se merito davvero di vivere.
La risposta, mi arriva quotidianamente, dagli sguardi schifati e interdetti, degli altri e non è piacevole sapere, che tutti, che LEI, preferirebbe non avermi tra i piedi.
È stata crudele, nel suo giudizio, tuttavia, non le ho dato modo, di conoscere il vero Kai, perché quel ragazzo, è morto.
L'ho aggredita, perdendo totalmente il controllo.
Il motivo, per cui, Leighton, più di tutti, mi irrita allo sfinimento, non lo so. So solo, che le sue parole, mi hanno ferito. Nel profondo.
Ancora, sento quella fitta, in mezzo al petto, quel fuoco, che mi fa ribollire il sangue nelle vene, quel dolore, che si propaga e mi risucchia, ma che nessuno nota, mai.
La verità?
A nessuno, interessa davvero degli altri, dei loro problemi e della loro sofferenza. Vivono, per sé stessi. Il tuo dolore, passa inosservato, finché non esplode in rabbia, e allora, diventi, il lupo cattivo, da allontanare.
Non esiste cattiveria più malvagia e diabolica, di quella che nasce, dal seme del bene, da chi, crede di avere tutte le risposte, ma non sa niente.
La cattiveria gratuita, è una luce fredda, in cui, io, sono l'unico che perde di colore.
Tutto, a parte l'oceano, ha perso di intensità.
Mi siedo sui gradini. Il cuore, ancora tamburella irrequieto.
Quando ero bambino, adoravo raccogliere le conchiglie. Non capivo, la magia che le caratterizzava e che imprigionava per sempre, al loro interno, la voce del mare, però ne ero totalmente dipendente e affascinato. Pensavo, nascondessero i messaggi segreti dell'oceano, il suo canto, i suoi pensieri, la sua essenza. Passavo ore, con l'orecchio appoggiato, ad ascoltarne lo sciabordio, a confrontare quella melodia d'onda, col rumore dell'oceano, senza capire come, una casa abbandonata da un paguro o da un mollusco, potesse racchiudere tanta meraviglia. Le conchiglie, sono carillon, che non necessitano di corda, per diffondere la loro musica soave. La natura, mi ha sempre piacevolmente sorpreso. Ovviamente, c'è una spiegazione scientifica, alla magia del canto del mare in una conchiglia, che priva però, totalmente l'incanto costruito dal me bambino. Il refolo di vento che si insinua tra l'orecchio e la conchiglia, e i rumori dell'ambiente circostante, fanno vibrare l'aria contenuta nella cavità della conchiglia, lasciata vuota dall'animale, provocando un'eco. Il carbonato di calcio, che costituisce il guscio, è infatti un materiale duro, sul quale le onde sonore rimbalzano più volte. Ciò fa sì che il suono venga ripetuto, dando l'illusione di ascoltare lo sciabordio.
Avvicino una conchiglia all'orecchio. Lo so che non è normale, averne una, a portata di mano, a scuola, per giunta, ma, ammetto di averla 'rubata', prima, nella confusione, tra gli effetti scenografici del gruppo di teatro, intenti ad allestire uno stand, per le ammissioni di quest'anno. Rubata, è inesatto, presa in prestito, piuttosto. O almeno credo. In effetti, non so se ho voglia di restituirla. Per me, le sue proprietà terapeutiche e curative, sono pari, alla cristalloterapia, della medicina olistica. Anche una conchiglia, è vita. La frequenza che emette, mi genera un senso di benessere che, temporaneamente, mi riporta su un piano di armonioso equilibrio.
Inspiegabilmente, col suono del mare, intrappolato al suo interno, ogni volta che mi sento a pezzi, riesco a ritrovare la pace interiore, che, oggi, quella fanciulla dai capelli di lava, mi ha fatto evaporare via, in un misero istante. Posso sopportare ogni offesa, ma non quelle sui miei genitori.
Di veleni mentali, che mi divorano l'anima e mi riempiono la testa, ne sono già pieno e non ambivo di certo, ad avere, anche quella ragazzina sfacciata, ad alimentare il mio odio per me stesso.
Eppure, i suoi cazzo di occhi indagatori, le sue parole pungenti, che mi avviliscono al punto di farmi annegare nell'oblio, si fanno sempre più strada, nei miei pensieri. È riuscita a cancellarmi, in un misero istante, a racchiudermi, in un giudizio affrettato e completamente errato, che penetra, in me, come se fosse una certezza.
Ai suoi occhi, innocenti e sinceri, sono il peggiore dei bastardi.
Non so perché, questa cosa mi turba.
Certe, persone, si insinuano nei tuoi pensieri, in modo tossico, si conficcano nelle tue debolezze e alimentano quel dolore nel petto, che non ti abbandona mai, distruggendoti lentamente. Un anno fa, forse, l'avrei distrutta io. Ma, non sono più in grado, di difendermi dallo schifo che mi circonda e non, dai suoi cazzo di occhi.
Quando mi guardo allo specchio, non vedo altro che un miserabile sfigato. Irriconoscibile sia fisicamente, che mentalmente. Soprattutto mentalmente. Non riesco a vivere con questa versione di me.
Vorrei tornare ad appartenere al mare, invece, non appartengo più a niente e a nessuno. Sono finito.
Comunque, devo ammettere, che Evan, sul suo fondoschiena e sulle sue tette, che sono della misura perfetta per i miei gusti, aveva assolutamente ragione.
Davvero pensava che non avessi osservato attentamente le sue curve?
L'ho fatto e ne sono rimasto deliziato! Dannazione! Ma cosa vado a pensare, con tutte le tesine che devo consegnare?
Abbasso gli occhi sul foglio e mi blocco. Quando, ho scritto questa cosa?
Sei il fuoco, che mi brucia, senza pietà. Mi fai male e non lo sai.
Perfetto! Sia messo a verbale che sto letteralmente impazzendo. Leighton, mi è entrata dentro, come la leucemia. Silenziosa e spietata, mi uccide, un poco alla volta.
Tremo.
Oggi, fa un freddo fottuto.
《Lokelani? Cercavo proprio te!》
《Coach?》sussulto.
Coach Nicholas Wilson, è subentrato al Coach Martin, dopo il pensionamento anticipato a causa di un infortunio domestico, che lo ha, temporaneamente, bloccato su una sedia a rotelle e in seguito a un anno di "apprendistato intensivo" fianco a fianco del precedente allenatore, per ottenere la qualifica di coaching professionale.
Ex campione di surf e mito indiscusso della 'Iolani, ai tempi di Nohea, di cui è ancora grande amico, non ha sicuramente bisogno della laurea, per essere il migliore insegnante di surf, che abbia mai avuto.
Il fatto che sia giovane, gioviale e alla mano, tanto da mandarti a fare in culo, senza giri di parole, facilita ogni cosa.
E poi sul surf sa davvero tutto!
Diciamo che è un po', il fratello maggiore della squadra e ha il mio completo apprezzamento e rispetto.
《Hai l'ora buca vero?》
《Esatto.》
《Fantastico! Allora vieni con me. Vorrei sottoporti a dei test.》
《Altri test attitudinali?》 sbuffo svogliato.
《Macché. Quelli li hai passati brillantemente. Intendevo veri e propri esami medici.》
《Il preside me ne ha parlato, ma non penso siano necessari.》
Cerco di prendere tempo. Non ho nessuna intenzione di farmi cavare il sangue e di scoprire spiacevoli notizie.
《Non lo sarebbero, se avessi fatto i dovuti controlli, ma mi risulta, che li hai saltati.》
Con le braccia conserte, mi guarda con disappunto.
Ho evitato le chiamate insistenti della dottoressa Kahale, perché non ho bisogno di lei, per sapere che la mia salute, ultimamente è piuttosto cagionevole e non voglio che, con gli occhi dispiaciuti, mi dica mai più, che sono malato e ricominci l'incubo chemio.
《Io e la tua oncologa, siamo preoccupati. Ricordi il nostro patto?》
《Mi permette di fare surf e gare agonistiche, solo se, continuo a monitorare la malattia, a seguire la terapia e ad assumere i farmaci.》
Tutte cose, che non faccio più, da almeno due mesi.
《Esatto. Il campionato scolastico, comincia il due settembre e voglio il mio campione in perfetta forma. Kai, te lo dico come farebbe tuo fratello Nohea, perciò ascoltami attentamente: in coscienza, e a rischio di buttare via la nostra chance di vittoria, non ti farò mai rischiare la vita, pertanto se i valori dei globuli rossi, bianchi e delle piastrine, non sono più che perfetti, ti proibirò di surfare.》
Il dolore che si propaga è paragonabile a una ferita da arma da fuoco.
Impreparato e come se mi avessero appena scaricato un mitragliatore in petto, distruggendo i miei sogni di libertà oceanica, sgrano gli occhi sconcertato.
Lo so che, quella del Coach, non è una minaccia a vuoto e che sono venuto meno alla promessa che gli ho fatto, ma...
adesso, è tutto fottutamente più complicato di prima!
《Non può dire sul serio. Il surf è l'unica cosa che mi resta. Senza, non ho motivo per vivere.》
Alzo la voce, stringendo i pugni.
Toglietemi tutto.
La dignità.
Il rispetto.
La parola.
Il futuro.
Ma non toccate il surf.
Il Coach, alla mia stupida confessione, fa una smorfia che racchiude tutto il suo nervosismo e il suo timore.
《In che senso? Mi devo preoccupare?》
Merda!
《Kai?》
《Era tanto per dire》fingo un sorriso a trentadue denti e di circostanza, a cui il Coach, fa finta di credere.
《Allora, seguimi. Farai gli esami ora.》
Neanche morto!
《Ora? Non è meglio se...》
《Mi stai nascondendo qualcosa? Droghe, per esempio?》mi fissa accigliato.
Magari fossero le droghe!
《Assolutamente no.》
《Allora, non cercare di prendere tempo.》
《È che... gli aghi, mi fanno schifo》invento sui due piedi.
《È la scusa più stupida, che potessi propinarmi》scoppia a ridere di gusto, sapendo che, coi miei trascorsi ospedalieri, gli aghi, sono la cosa meno invasiva e terribile a cui sono stato sottoposto.
《Attendimi in infermeria. Ti raggiungo tra poco. Devo assolutamente rispondere alla chiamata della tua oncologa.》
Annuisco sconsolato.
D'accordo. Non ho nessuna fobia per gli aghi. D'altronde, negli anni, mi hanno punzecchiato, così tante volte, che ormai, mi sono abituato sia al leggero fastidio, che ai prelievi di sangue o di liquido spinale.
È che ho paura, di scoprire, che sono di nuovo malato. Perchè, se non è la leucemia, qualcosa in me, comunque non va.
Non so dire cosa.
È un insieme di fattori, a farmi pensare al peggio; in ogni caso, non ho più voglia di lottare.
Mi sono arreso.
Cosa c'è di male, se ho capito, che non ne vale più la pena?
Non diciamo cazzate! Io voglio vivere!
E se non è troppo disturbo anche scopare!
Il Coach Wilson, sa delle mie condizioni di salute, praticamente da sempre, essendo appunto il migliore amico di mio fratello Nohea. Ha il classico atteggiamento apprensivo, nei miei confronti, come dovrebbe avere qualsiasi fratello maggiore, col suo fratellino (a parte il mio di fratello, quello con cui condivido il DNA, ovviamente, a cui, a quanto pare, non interesso poi molto) e tende a non nascondere molto bene, questo suo lato, quando ho un lieve infortunio, tanto che a volte, temo che mi porti d'urgenza al pronto soccorso, se lamento un qualsiasi malessere minore o mi si rompe un'unghia.
Il suo eccessivo allarmismo, più che legittimo, essendo il mio "tutore sportivo", tuttavia mi imbarazza e paventa in me il dubbio di sembrare il "cocco del prof." agli occhi dei miei compagni di squadra, che avrebbero tutte le ragioni per ingelosirsi, non sapendo della mia malattia.
Per fortuna, il Coach, non è uno che fa favoritismi e il suo rispetto, te lo devi sudare fino all'ultima goccia, leucemia o no.
Nonostante sia di famiglia, a scuola e durante le trasferte per le competizioni, come gli altri studenti, gli do del Lei, come richiesto dal Preside in persona.
Pare che, nel mondo adulto, farsi rispettare, sia la forma più elevata, di credibilità e stima.
Appena metto piede in infermeria, gli occhi furenti, di mia sorella, mi fulminano con un solo sguardo.
Mi chiedo il motivo, di questa imboscata.
Grazie di cuore, Coach!
Digrigno i denti teso e interdetto, mentre mi avvicino a Noele, con un leggero senso di terrore, che mi contorce le viscere. In fondo, so perfettamente perché è qui e prima o poi, questo confronto doveva avere luogo, solo che ora, sono totalmente impreparato.
Due delusioni in due giorni!
Ho battuto il mio record.
Non credo mi candideranno per il premio "miglior fratello dell'anno."
《Cos'è questa storia, che non hai ritirato la ricetta dei farmaci e non hai fatto i controlli oncologici, signorino?》
Con rabbia, mi trascina a sé, prendendomi per un orecchio. Il mio, primo sciocco pensiero, va alla mia povera orecchia, che vorrei evitare, diventasse come quella di Dumbo.
Sei un figo! Piaceresti pure con l'apparecchio ai denti e i brufoli!
《Mi sono dimenticato?》
Mi giustifico, sollevando una questione e cercando di essere credibile. Da qualche parte, ho letto che, rispondere a un interrogativo con un'altra domanda, spiazza e svia, l'altro interlocutore; tuttavia, mia sorella, conosce fin troppo bene i miei trucchetti e ovviamente non sembra cascarci.
《La domanda è per me o per te? Perché a me risulta, che ci fossi andato. O almeno così mi avevi detto. Come posso fidarmi ancora di te? Mi hai mentito!》
Se ti prendessi la briga di ascoltarmi, davvero, senza polemizzare o recriminare le mie motivazioni, non dovrei mentire.
《Mi hai profondamente delusa.》
Ma certo! Unisciti al club delle persone che mi detestano e che mi trovano un deludente fiasco.
Cazzo!
Se nemmeno mia sorella mi capisce, ho perso ogni speranza di essere compreso.
Adirato, le sbraito contro, come ho fatto con Leighton, perché sono stufo, di subire in silenzio, il biasimo di tutti. Sono già ricoperto del mio stabbio, fino alla gola, per ricevere altre badilate di merda.
《Ne ho le palle piene, di gente, che mi giudica continuamente e si sente delusa, dalle mie azioni e tu non sei esclusa!》
《Kai? Modera i termini e non mancarmi di rispetto. Sono tua sorella e la tua salute è la mia priorità. Dovrebbe essere anche la tua. Perché ti comporti così? Ultimamente, non ti riconosco più.》
《Che cazzo ne sai, con tutto il rispetto, Noele, di come mi fanno sentire male i farmaci o di come ci si sente, di merda, a essere costantemente considerato un moribondo? Voglio solo vivere in pace, il tempo che mi resta. Senza aghi, senza chemioterapia, senza farmaci e senza sentirmi, un morto che cammina tra i sani, ma solo un normale adolescente. Ma di normale, nella mia vita, non c'è più niente. Niente. Almeno tu, lasciami in pace!》
《Il tempo che ti resta? Cosa blateri? Così mi spaventi.》
《Voglio dire, che...》
《Non voglio ascoltare, questi discorsi assurdi. Non puoi smettere di lottare per la tua vita. Questo, proprio non l'accetto. Questi sono i farmaci. Te li ho ritirati io. Prendili. E poi, perché indossi una felpa? Oggi, fa particolarmente caldo, ti verrà un malore.》
Perché diamine, non fanno altro che dirmi che fa caldo? Io invece ho freddo. Non posso avere freddo? Mi hanno chiuso nella cella frigorifera della mensa, bagnato, dopo il solito trattamento al piscio e doccia gelata, perciò ho tutto il diritto di avere freddo. Cazzo!
Per non parlare dei sempre più evidenti lividi da nascondere a occhi indiscreti!
《Eccomi! Ora l'infermiera, ti farà i prelievi del sangue e poi, il laboratorio della clinica oncologica, passerà a ritirare le provette. Tra qualche ora, sapremo se è tutto nella norma.》
《Grazie, Coach Wilson.》
《Dovere, signorina Lokelani.》
Ma per favore! Quando fanno finta di non conoscersi, mi fanno venire il latte alle ginocchia.
《Io allora vado. Kai, per favore... assumi le compresse.》
《Okay. Okay. Faccio come dici tu》dico, buttando la pasticca in bocca, fingendo di deglutirla.
Ma mia sorella, purtroppo, mi conosce troppo bene, per cascarci.
《Non ho tempo, per i tuoi stupidi giochetti. Prendi la medicina, senza fare i capricci.》
《Ma...》
《Immediatamente!》
《Va bene》 urlo rassegnato.
Una compressa sola, che male mi farà? Le altre, finiranno nel cesso, come il pacchetto vecchio. Questa merda, che mi zombetizza, non la prenderò mai più.
《Ti voglio bene》mi lascia un dolce bacio sulla guancia.
《Anche io》anche se mi hai fatto incazzare di brutto.
《A più tardi, fratellino. Finirò il turno alle ventitré, se non ti sei già addormentato, passerò a rimboccarti le coperte.》
Il Coach scoppia a ridere. Io vorrei sprofondare.
《Ho quasi diciassette anni, Noele, per la miseria. Non è necessario. Non sono un poppante.》
《Sì sì, certo. Scusa. Ma, per me, sarai sempre il piccolo di casa! Alla cena ci pensa Logan. Va bene? Ciao tesoro.》
《Ciao, Noele.》
Mia sorella si allontana.
L'infermeria, mi fa accomodare dietro un separé bianco, su uno dei tre lettini medici. Mi chiede di tirare su la manica della felpa e io rabbrividisco.
E se mi domanda dei lividi?
Vorrei temporeggiare o darle il braccio meno malandato, ma entrambi sono messi male.
《Non ho tutto il giorno, Kai.》
《Scusi.》
Sospiro e sollevo la maglia pregando in un miracolo.
I suoi occhi scrutano la mia epidermide piena di ecchimosi e si sofferma sul polso.
So che vorrebbe chiedermi qualcosa, lo leggo nei suoi occhi grigi affamati di domande, ma si limita a passarmi l'Ematonil scuotendo la testa e bofonchiando qualcosa di incomprensibile sui giovani.
《Mettici sopra questa. Mi raccomando.》
Annuisco.
Dopo svariati tentativi falliti di trovare, in quel campo minato di lividi, sull'arto ancora mezzo congelato, le vene centrali dell'avambraccio, nella piega del gomito, l'infermiera Anderson, spazientita, opta per la vena del polso.
L'ago perfora la mia pelle delicatamente, procurandomi comunque un leggero fastidio.
Le provette si riempiono di liquido vermiglio che fuoriesce dalla vena basilica del mio polso, che si colora, in quell'unico punto in cui la mia pelle era ancora ambrata dal mio colore naturale, di un vistoso blu mammola.
Quando ha terminato di prosciugarmi come una vampira a digiuno da un secolo, mi mette sulla ferita, un cerotto con un orsetto dalla faccia imbranata.
Alzo gli occhi al cielo.
Davvero pensa, che andrò in giro con Winnie the Pooh sul braccio?
Il caldo, dà alla testa.
Io però... sto gelando!
《Abbiamo solo più i cerotti della scuola materna》si giustifica.
《Voi atleti, siete sempre qui, ammaccati e sanguinanti. Non è colpa mia, se la fornitura è finita e la consegna in ritardo. Questo cerotto non sminuirà la tua virilità maschile! Tra qualche minuto, in ogni caso, lo puoi togliere.》
《Ehm... certo. Grazie. Posso andare?》
《Assolutamente no! Come da prassi devi aspettare dieci minuti. Non vorrai svenire!》
《Sto bene!》
《Seh!》alza gli occhi al cielo.
《Non posso darti il succo come agli altri, perciò rimani qui buono buono. Io sistemo le provette e poi ti faccio il vaccino anti Covid.》
《Di nuovo?》sbuffo sconsolato.
《Chi ha patologie o è a rischio, deve farlo ogni anno.》
Questa volta, l'iniezione è intramuscolare e viene fatta nel deltoide.
《Ora rilassati.》
L'infermiera si allontana.
La sento parlare col Coach e sono terrorizzato che possa accennare ai miei lividi.
Mi metto seduto e mi sporgo più che posso per sentire meglio, ma ottengo solo un fastidioso capogiro.
Digrigno i denti irritato.
Non devo svenire o addio surf.
Appoggio la testa al cuscino fino al momento in cui vengo ufficialmente congedato.
《Bravo il mio ragazzo!》
Il Coach mi dà un'affettuosa pacca sulla spalla sorridendo.
《Lokelani, mi raccomando, evita di metterti nei guai e di fare a botte, per favore. Ci vediamo alle sedici per gli allenamenti in piscina. Poi ti porterò in spiaggia per scontare la tua punizione socialmente utile. Intesi?》
Che gran culo!
La squadra di surf, vanta la piscina con onde marine, più moderna e realistica, dell'intera isola. Qui, ci scaldiamo e perfezioniamo la tecnica. Il vero allenamento, però, è l'imprevedibile oceano. Solo lui, determina, se sei un bravo surfista.
Ogni weekend, ci alleniamo in trasferta, su al nord, dove le onde, sono muri alti fino a tre metri e dove possiamo sfidare noi stessi.
《Kai?》
《Sì?》
《Mi stavi ascoltando?》
《Certo.》
Ho capito tutto. Non sono un'idiota!
《Oggi sei più strano e silenzioso del solito. Non mi piace quando mi rispondi a monosillabi.》
《Scusa, Coach. Ovviamente ti stavo ascoltando. Ci vediamo dopo. Ciao.》
Faccio per andare via, ma Nick mi trattiene dal braccio, guardandomi intensamente.
《È davvero tutto okay?》
Sospiro annuendo.
《Uhm... Se ci fosse qualcosa, qualsiasi cosa, me ne parleresti giusto?》arriccia il naso e fa una smorfia con la bocca con fare pensieroso.
Ovviamente NO!
Esito un istante.
《Ti prego di parlarmi! Non ho la sfera di cristallo e il corso sulla comunicazione non verbale, sul linguaggio del corpo, era davvero troppo palloso, per me!》
Mi sorride divertito, facendo l'occhiolino.
《Va tutto bene, Coach. Davvero.》
《Non fai che ripetermelo da mesi, tanto che per un po' ti ho creduto, ma, so che non è così. Puoi fingere con gli altri, ma non con te stesso. Prima o poi dovrai farci i conti, Kai.》
MA CHE CAZ...
《Grazie per l'interessamento, ma come vede, va tutto alla grande》sforzo un sorriso di circostanza.
《Disse il ragazzo che, non ha fatto i controlli da cui dipende la sua intera vita.》
《È stata una svista! Può darmi tregua almeno lei? Non fanno che giudicarmi e starmi col fiato sul collo praticamente tutti. Ho perso il mio migliore amico, ho diritto a stare male e a dimenticarmi del resto per un po'?》
《Ne hai tutto il diritto, Kai.》
《Ma?》
《Ma cosa? Dimmelo tu.》
《No. Niente. Pensavo che lei volesse dire il tanto odiato ma.》
《Prenditi cura di te. E se hai bisogno, io ci sono. Sempre.》
《Ricevuto. Grazie.》
《Che sbadato! Dimenticavo! Quest'anno, per la raccolta fondi, da donare in beneficenza, ci sarà il concorso Miss Bikini e Mister Muscolo.》
《I soliti concorsi stupidi, dove si vota solo l'apparire di una persona.》
《Sono più che d'accordo.》
《Perché me lo sta dicendo? Io non mi presto a queste scemenze, ma ovviamente, donerò qualcosa, facendo la mia parte.》
《Perché te lo dico? Ovvio! Sapevo già la tua risposta, ma mi duole informarti, che per tutti gli atleti, la partecipazione è obbligatoria.》
《Ma che caz...》
《Pare, si facciano più soldi!》
《Perciò mi sta dicendo, che mi devo prostituire in costume per beneficenza?》
《Esagerato! Si tratta di una foto affissa in bacheca. Non so quale sia il problema. Sei sempre in costume o in muta, per fare il timido pudico.》
Sembra stupido, ma il problema è insormontabile. Come nascondo i lividi sul mio corpo?
E perché mi devo prestare a questa stronzata?
《Vai. La campanella sta per suonare. E ricorda, che ti sacrifichi per una causa superiore. Il vincitore, inoltre, può devolvere il ricavato, all'associazione che desidera. La ricerca sul cancro e sulla leucemia, fanno sempre passi in avanti per curare la malattia e sarebbe bello poterli sostenere. È anche nel tuo interesse. Non credi?》
Forse, nei prossimi anni, morirò a causa della malattia, ma, con il mio gesto caritatevole, mi metto nelle mani della scienza e spero che, le generazioni future non subiranno più morti.
Mera utopia!
Siamo ben lontani dallo scoprire una cura miracolosa!
Ma annuisco comunque.
《Vado in classe. A dopo, Coach.》
《A dopo.》
Il corridoio, su cui cammino, sembra ondeggiare, in ogni direzione.
Ma quanti litri di sangue mi ha cavato l'infermiera Jenny? O forse la colpa è da attribuire al farmaco per la leucemia più il vaccino?
Boh!
I brividi si intensificano e mi sale una nausea insopportabile. Ho la vista annebbiata e so solo che, mi devo sedere, o rischio di svenire.
A stento, raggiungo l'aula di chimica.
Febbricitante, mi lascio cadere, sulla prima sedia libera.
Un profumo dolciastro, di gelsomino e vaniglia, che, in una situazione normale, mi sarebbe piaciuto, mi provoca i conati.
Tutto, attorno a me, volteggia vorticosamente.
I suoni e le voci, mi sembrano fastidiosi ronzii di calabrone.
La professoressa Katzumoto, che parla a raffica e non mi sforzo nemmeno di ascoltare, è peggio di un lassativo preso in una giornata di dissenteria.
Una voce dolce, chiara e netta, in mezzo a tutto quel brusio, mi fa sussultare.
《A quanto pare, siamo compagni di laboratorio.》
Cazzo! Lei no! Alzo la mano irritato.
《Sì?》mi sorride la professoressa.
《Prof. posso avere un'altra compagna di laboratorio?》
Irritata, mi fulmina con la vista a laser.
《Mi prendi in giro, forse? Mentre parlavo, cosa facevi, Lokelani? Ho detto che non tollero lamentele, che non si cambiano i compagni di laboratorio e che li ho assegnati in ordine alfabetico, in base al vostro cognome. Iglina - Lamarre, Leighton - Lokelani, Miller - Newmann e così via.》
《Sì, ma...》
《Così è, fino al diploma. Intesi?》
《Certo. Scusi se ho disturbato.》
Abbasso la testa come un cane bastonato.
《Ora cominciate con le reazioni. Io sono stata convocata in segreteria.》
《Certo che sei proprio stronzo, fino al midollo》sussurra, sperando di non essere sentita.
Mi volto nella sua direzione e quei suoi cazzo di occhi magnetici, saettano come lampi, durante un temporale.
Non mi interessa affatto, se mi guarda incarognita e scontrosa e nemmeno che sia diventata paonazza per l'imbarazzo da figura di merda.
Non voglio proprio averci niente a che fare.
La sua sola presenza, mi turba.
《Non ho voglia, di perdere il mio tempo a litigare con te e non parlare del mio midollo osseo, che non sai un cazzo, nemmeno di quello.》
Mi guarda perplessa.
Se solo potesse immaginare...
《Allora non litighiamo. Scusa, per prima. Sono stata inopportuna. Non avevo il diritto, di parlare della tua educazione e soprattutto dei tuoi genitori...》
Parte con un tedioso monologo di scuse preconfezionate che mi lasciano basito e mi fanno irritare ancora di più.
《Ti ho chiesto scusa!》mi fa notare risentita.
Che diavolo si è messa in testa? Vuole fare conversazione? Con me?
《Lasciami in pace!》
La liquido ignorandola.
Anche a occhi chiusi, sento bruciarmi addosso, le sue maledette iridi chiare, che racchiudono la bellezza e l'impetuosità del Pacifico.
Non so come, non so perché, ma so per certo, che mi sta fissando con quel solito cipiglio inquisitorio e diretto, che mi mettono a disagio.
La guardo, per una frazione di secondi, con acredine, senza dissimulare il fastidio che mi provoca, prima di parcheggiare, la mia testa pesante, sul banco.
Perché, questa ragazza, anche chiedendomi scusa, mi fa sentire come uno straccetto?
Il farmaco sperimentale, molto presto, dovrebbe, ottenebrare ogni mio pensiero, risucchiare il mio essere profondo, spegnere la mia testa, dalle voci urlanti, trasformandomi, in una larva in un bozzolo, facendomi sprofondare in una densa coltre di assoluto nulla.
Non chiedo di meglio, adesso che c'è LEI.
É come se, la mia coscienza, venisse sopraffatta dall'oblio, come se, uno stormo di corvi, volteggiasse leggero, nella mia testa, impedendomi di formulare qualsiasi pensiero sensato.
Se per vivere, devo sentirmi così di merda, preferisco di gran lunga morire.
Mia sorella, però, non vuol sentire ragioni!
Il mio tentativo di escluderla categoricamente dalla mia vita, fallisce miseramente.
Mi sento come spogliato dai suoi occhioni schietti e glielo faccio notare con una battuta pungente delle mie.
Ma nonostante percepisca tutto il suo disprezzo nei miei confronti, non riesce proprio a smetterla di cercare quel qualcosa, che non mi appartiene più: la luce della mia anima.
Perché le interesso tanto?
Prima mi ha umiliato davanti a tutta la classe e ora vuole fare la crocerossina; peccato che, il bisturi, rotea e affonda ancora, affilato e col sapore acre delle sue affermazioni, nel mio petto dolorante.
Quando mi sfiora la fronte, con quella fastidiosa scintilla di preoccupazione, è come se mi avesse sciolto la pelle nell'acido.
Il calore, che sprigionano le sue minuscole e affusolate dita, è insopportabile.
Il bruciore si diffonde ovunque. Mi sento arso vivo, come un povero martire sul rogo.
Turbato, sobbalzo.
Come può, un semplice sfioramento di pelli, essere così dannatamente fastidioso?
È questa la sensazione che si prova all'Inferno?
Forse dovrei abituarmici. In fondo, il mio oltre, non sarà meno spiacevole del mio qui e adesso.
La pelle, dopo il suo lieve, tocco mi pizzica ancora, come se un'ortica urticante, mi avesse lasciato una scia di insopportabili e pruriginose vesciche, che vorrei strappare via grattando.
Eppure...
La fisso, ammaliato, sollevando appena la fronte dal bordo del banco.
Lei, è così, perfettamente, dannatamente bella e così, maledettamente detestabile, da farmi venire le vertigini.
Mi sa che sto per svenire.
Questa volta sul serio!
《Kai》quasi sussurra cauta.
Il mio nome, detto con quella vena di dolcezza, mista a preoccupazione e innocenza, sembra, il vibrare delicato, di una corda d'arpa.
Mai, il mio nome, mi è sembrato più armonioso e melodioso di adesso.
Mai, ha davvero assunto, il significato delicato di un'onda del mare.
Tuttavia, continuo a ignorarla, a cercare di scacciarla dalla mia testa confusa, perché, aumenta in modo esponenziale, il mio malessere generale.
I tremori, scorrono sottopelle, come lievi scosse di terremoto.
Tutto attorno a me, vortica fioco e smorzato, tanto da temere un attacco di panico.
Il mio grido d'aiuto strozzato, rimane incagliato nella gola secca, tra le mie corde vocali afone.
Sento di svanire o di svenire.
Lei, mi guarda perplessa, e io mi perdo nella complessità dei miei stessi pensieri.
Nerea...
Nerea...
Nerea Leighton, con che tossina mi hai avvelenato il cuore?
Perché diavolo, il tuo nome particolare, ricercato e unico, continua a risuonare come una filastrocca inquietante perseguitandomi?
"Il mostro che sei, non temo"
sembrano urlare i tuoi occhi, che riverberano irradiati dalla luce del fornello, che ne risalta le venature zaffiro; solo che invece, dovrebbero temermi con ogni fibra del tuo essere.
Prendo la compressa di paracetamolo che mi offre, e la deglutisco con dell'acqua del rubinetto, non potabile, come mi fa notare, completamente ignaro di ogni informazione utile relativa alle interazioni degli altri farmaci con la mia terapia "salva vita."
Sono cosciente del fatto che molti farmaci, assunti contemporaneamente possono risultare pericolosi o inefficaci , tuttavia, sto troppo male, per valutare le conseguenze del mio gesto.
Magari è la volta buona, che mi lascio definitivamente questa merda alle spalle e divento anche io polvere.
La morte, però, non sopraggiunge mai.
Osservo il disastro di provette, bicchieri e beute, creato da Leighton.
Quasi sorrido. Miss perfettina, in chimica è un vero disastro.
《Attenta, con quelle, o farai saltare in aria l'intero laboratorio.》
《So esattamente cosa faccio, Lokelani.》
《Vedo. Vedo. Tuttavia, non devi aggiungere il tetraidrofurano. La reazione con gli altri elementi, è fortemente esotermica e ha carattere esplosivo. Vorrei diplomarmi se possibile.》
《Sei tu, con la tua irritante parlantina, che mi fai sbagliare.》
《Adesso è colpa mia, se non sai una mazza di chimica?》
《Come ti permetti?》
Nel tentativo maldestro di dimostrarmi che sa il fatto suo, mischia elementi a caso che finiscono per scoppiare appena avvicina il becher al fornello.
《Ahi!》si lamenta.
Il palmo della mano, gronda liquido vermiglio.
Ovviamente, si è tagliata e ora sono costretto a soccorrerla.
Imbevuto il cotone col disinfettante, lo faccio scivolare delicatamente sulla sua pelle.
Leighton, sembra quasi trattenere le lacrime e io ne approfitto per sfotterla.
In questo momento, con lo sguardo perplesso e schifato dal sangue, la pelle sembra ancora più diafana e cadaverica del solito.
Le applico il cerotto di Frozen e lei, perfida e pungente, fa chiare illusioni al mio cerotto di Winnie The Pooh.
Non le sfugge proprio niente; ma si sa che la curiosità uccide, pertanto dovrebbe cominciare a farsi gli affari suoi.
Decido di prendere in mano le reazioni di chimica, prima che sia troppo tardi.
《Vuoi vedere una reazione fica che non farà esplodere la nostra scuola?》
《Certo.》
Mischio gli ingredienti e poco dopo, ecco l'esplosione di schiuma, che mi aspettavo, chiamata dentifricio dell'elefante.
Nerea, sorride entusiasta.
Il suo sorriso, è il più bello, che abbia mai visto. È dolce, rassicurante e solare. Più di quello di mamma.
Nel suo sorriso, è racchiuso il calore di un raggio di sole, la bellezza di una stella, la dolcezza di una goccia di pioggia e l'innocenza di un fiocco di neve.
È quel tipo di sorriso, che ti rimane dentro e che io, non so più fare.
È un sorriso a cui non mi devo abituare e a cui non mi devo aggrappare.
Le persone mi allontanano continuamente e io faccio lo stesso con loro perché, chi ha a che fare con me, muore.
Al suono della campanella, butto il materiale e il libro alla rinfusa nello zaino, per dileguarmi il più in fretta possibile da LEI.
La sua voce esitante mi blocca sullo stipite.
《Non si saluta?》
Rimanere, sarebbe l'errore più grande di tutti.
Eppure...
《Con tutto il rispetto, ho fretta Leighton, per perdermi in stupidi convenevoli.》
《Siamo a posto, noi due?》
《A cosa ti riferisci?》
Sbuffo al suo orecchio, per innervosirla. Ha così paura della mia presenza, che si è intrappolata da sola tra il banco e il mio corpo.
Decido di approfittare del suo terrore, per farle capire che mi deve stare alla larga una volta per tutte.
Sfoggio il mio lato oscuro, il fascino da Killer, che tutti mi attribuiscono e la mia presunta insensibilità, cercando di dare il peggio di me.
Da come mi guarda spaesata e impaurita, penso di essere riuscito nel mio intento.
《Continua ad avere paura di me, a starmi alla larga, come chiunque altro, e non avremo problemi, ula'ula》le suggerisco in un ringhio sommesso che sembra azzannarla.
E quando sembra trasalire e mi specchio nei suoi occhi spaventati, qualcosa dentro di me, obbliga il predatore demoniaco, che si nutre delle sue angosce, a farsi da parte.
Il Kai che brilla in riflesso, dentro quel celeste incontaminato, è ciò che non sono più e non voglio essere con lei, nonostante voglia con tutto me stesso allontanare quel sorriso e quello sguardo, per sempre, dalla mia persona.
Come se non avessi il controllo della mano, le scosto il ciuffo di capelli, dietro l'orecchio, con una delicatezza, che non pensavo di avere. Lei ha gli occhi serrati, timorosa che possa colpirla.
Ma come potrei colpire un delicato e stupendo cristallo di ghiaccio?
Per la prima volta, noto sui suoi zigomi perlati, una meravigliosa costellazione di graziose lentiggini.
Le adoro!
Il cuore sussurra lieto, dentro il petto, ma questa gradevole sensazione, che scalda ciò che rimane del mio cuore morto, non la voglio.
Non la merito.
Così non mi resta che fare lo stronzo, per allontanarla definitivamente da me e dai miei pensieri, dove prepotentemente si è fatta largo, come un tarlo mangia cervello.
《Temimi sempre, Leighton. Non cercare di cambiarmi o di sottrarmi alle tenebre; sprecheresti solo il tuo prezioso tempo e quello, è più inestimabile di qualsiasi altra cosa.》
Con un peso straziante sul cuore, mi allontano.
~Il tuo sorriso,
rivela tutte
le meraviglie
dell'Universo.
Forse,
è per questo,
che a chimica,
mi ha abbagliato,
come una Supernova.~
(Kai Lokelani)
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