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Capitolo 13

Non riesco a muovermi, sento tanto freddo. Sono bloccata e c'è puzza di benzina, di asflato bagnato, di ruggine.
Inizio a percepire la paura che lenta, come un veleno, si impossessa del mio corpo. «NO!», urlo forte stringendo le palpebre per non guardare.
So dove mi trovo. So cosa sta succedendo. So cosa vedrò tra pochi istanti.
Incastrata tra le lamiere a sopportare un dolore lacerante, qualcosa di caldo che gocciola sulla mia pelle. È sangue: il mio.
«Non vedi che non riesco a muovermi?» urlo a quel qualcuno che in lontananza mi chiama.
Le lamiere si allontanano dal mio corpo. Inizia a bruciare. Sento dolore, tanto, troppo dolore. È ovunque: dentro e fuori. Non riesco a contenerlo.
Mi sento in trappola. Come quando scoppi a piangere e non c'è nessuno pronto ad avvolgerti tra le sue braccia. Non c'è nessuno a salvarti dal dolore.
«Piccolina, adesso devi provare a svegliarti», qualcuno mi scuote fastidiosamente premendo le mani ovunque. Ma, ad ogni tocco è altro dolore.
«Emma, si chiama Emma!» una voce lontana ad urlare il mio nome. Non la riconosco.
«Ok Emma, adesso devi svegliarti. Apri gli occhi e non abbandonarmi piccolina», una mano preme sul mio polso. «La stiamo perdendo!»
«No, sono qui. Non lo vedi? Sono sveglia?»
«Emma apri gli occhi!» urla un'altra voce sovrastando tutto il resto.
«Apri gli occhi», urla ancora.
«NO!»
Mi guardo attorno, sono sudata e nella mia stanza. Sono viva. Non sono dentro un'auto distrutta. Non mi trovo tra le lamiere.
Il petto mi fa così male da non riuscire a respirare. Porto una mano nel punto in cui il dolore è più intenso massaggiando la zona; prendendo nel frattempo dei piccoli respiri nel tentativo di calmarmi.
Vago con occhi appannati dalla paura dentro la stanza dove la luce è accesa e c'è qualcuno proprio davanti a me.
Metto a fuoco portando una mano sulla tempia. Ethan è sul mio letto in ginocchio, a petto nudo, la catenina che porta al collo sfiora delicatamente il mio; se ne sta qui, davanti a me a fissarmi con i suoi occhi magnetici mentre le sue mani sono ferree sulle mie braccia.
I miei occhi vagano da lui verso Scott che invece se ne sta ad una certa distanza, dietro Mark con sguardo inorridito e furioso mentre Anya facendosi avanti, sedendosi sul letto stringe subito la mia mano.
Deglutisco passando le dita sulla fronte imperlata di sudore. Le lacrime iniziano a bruciarmi gli occhi ma le trattengo dentro.
«Che cosa sta succedendo?» la mia voce esce terribilmente rauca.
«Sei sveglia, va tutto bene», sussurra Ethan spostando le mani sul viso, tenendolo tra le sue morbide e calde.
Sento il petto schiacchiarsi ed ansimo. Sto per avere un attacco di panico.
Perché sono tutti nella mia stanza?
«Emma va tutto bene era solo...» la voce di Anya si affievolisce prima di spingere Ethan per abbracciarmi con impeto.
Ci metto un secondo a ricostruire la situazione. Ho avuto di nuovo un incubo e questa volta ho urlato davvero forte spaventando tutti.
Finirà mai tutto questo?
Mi divincolo dall'abbraccio alzandomi più che a disagio. Dimentico per un momento del tutore e barcollo. Ethan, con i riflessi pronti, mi afferra prima di toccare il pavimento in legno. Le sue mani mi avvicinano al petto trattenendomi a sé. Percepisco il suo respiro ed è come una folata improvvisa di vento sulla mia pelle già percossa da una violenta serie di brividi.
«Sto bene», ripeto balbettando ormai rossa in viso e ancora senza fiato mi allontanano indietreggiando verso il bagno; dopo essermi chiusa la porta alle spalle mi appoggio alla superficie mortificata.
Lascio uscire un sospiro alzando la testa. Tremolante mi avvicino al lavandino sciacquando il viso con acqua fredda, poi apro la finestra sperando di respirare aria fresca. Mi appoggio alla lastra di marmo facendo dei brevi respiri, calmando i battiti sempre più in aumento.
Dalla stanza arrivano delle voci, ma sono troppo occupata a placare il senso di nausea in continuo aumento per andare a controllare cosa sta succedendo.
Non mi guardo allo specchio, tolgo il tutore, mi spoglio e più in fretta che posso entro nella doccia. Apro il soffione e rimango sotto il getto per un paio di minuti cercando di eliminare il senso di nausea lasciato dalla paura.
Quando gli incubi tornano, con essi portano sensazioni tenute a lungo a bada. Purtroppo escono allo scoperto facendomi sentire fragile.
Avvolta da un asciugamano morbido di un tenue grigio esco dal bagno entrando in camera. Tutti mi fissano come se potessi rompermi in mille pezzi da un momento all'altro. Non è ciò che voglio. Mi fa sentire a disagio.
Scott mi scruta e dai suoi occhi capisco che prima o poi inizierà a tempestarmi di domande o peggio: darà di matto. Ora però cerca in qualche modo di mantenere la calma standosene seduto sul bordo letto, piegato sui gomiti.
«Va meglio?», domanda Anya mentre Mark le circonda la vita dandole un bacio sulla tempia con una dolcezza asfissiante.
Sto per rispondere ma i miei occhi si posano su Ethan. Si fa avanti poi ci ripensa e scuotendo la testa quasi infuriato dalla sua stessa reazione o da qualcosa che non riesco a comprendere all'istante: se ne va dalla stanza dopo avere lanciato uno sguardo assassino verso Scott.
Il modo in cui lo guarda, mi fa rabbrividire. Il suo non è solo astio. C'è qualcosa sotto. Lo sento. Che cosa mi nascondono tutti? Perché mi sto sentendo una perfetta sconosciuta?
Annuisco ad Anya e scusandomi, senza riflettere troppo sulle mie azioni: raggiungo anche se zoppicante il soggiorno.
Trovo Ethan sul divano, piegato sui gomiti, con il viso tra le mani. Le sue dita affondate tra i capelli neri.
E' arrabbiato. Parecchio arrabbiato. Fa quasi paura dal modo in cui guarda quasi assente davanti a sé.
Mordo le guance e insicura prendo posto accanto a lui senza dire niente. Nel frattempo cerco di trattenere le lacrime che inondano i miei occhi. È sempre più difficile trattenerle; soprattutto in questo momento perché è come se avessi un muro da distruggere davanti e nessuna mazza per buttarlo giù.
«Scusa», è tutto ciò che riesco a dire spezzando il silenzio e la tensione palpabile.
Mi guarda scostando la mano dal viso fulminandomi con i suoi occhi chiari. «Per che cosa ti scusi? Perché hai accanto un ragazzo smidollato che non conosce niente di te e non sa come prenderti o perchè hai avuto un brutto incubo?»
Mi immobilizzo. «Per come ti ho trattato al parco», abbasso lo sguardo poi mi rialzo turbata dal divano. «Scusami se sono impulsiva.»
La sua mano afferra il mio polso costringendomi a sedermi. «Come fai ancora a non capire?» sibila nervoso.
Scrollo la sua presa e lui si riscuote battendo le palpebre confuso dalla sua reazione.
Mi alzo in fretta dal divano. Non posso stargli troppo vicina. Giro intorno al bancone della cucina, apro la dispensa iniziando a preparare l'impasto per i pancake.
Devo cucinare, devo distrarmi. Non posso fermarmi perché se lo faccio il panico prenderà il sopravvento.
Quando tutti si spostano in cucina raggiungendoci, Scott si avvicina con aria assente e fredda.
Mi sento in colpa. Lo so, avrei dovuto correre da lui anziché seguire Ethan, ma avevo bisogno di capire e invece non ho ottenuto risposte e forse con ogni probabilità ho inclinato un rapporto. Sto sbagliando tutto quanto, ma al diavolo!
Per una volta seguo solo il mio istinto.
«Ehi», saluta timido circondandomi con un certo possesso la vita. Con la coda dell'occhio noto che lo sta facendo guardando in direzione del divano dove Ethan ha lo sguardo di un assassino.
«Ehi», ricambio il saluto con un lieve sorriso appoggiandomi a lui, cercando un contatto sconosciuto alla mia pelle che continua a pulsare dopo il tocco da parte del ragazzo che se ne sta seduto a poca distanza adesso con occhi vuoti.
«Ci vediamo a lavoro», mi sussurra baciandomi la tempia. Non presto attenzione mentre se ne va.
Non ho il coraggio di alzare lo sguardo. Non ho il coraggio di perdermi nell'azzurro adesso in tempesta. Perché lo percepisco. Lo sento dentro che è arrabbiato.
Preparo la colazione in silenzio.
Anya sempre di ottimo umore cerca di rallegrarmi raccontandomi qualcosa. So perché lo sta facendo e in parte gliene sono anche grata perché è davvero difficile trattenere ogni istinto.
Mangiamo tutti insieme, seduti nella piccola sala da pranzo di recente sistemata dietro la colonna in mattoni rossi. Si tratta di un tavolo in stile moderno di vetro con al centro un vaso particolare rosso in ceramica e dei fiori di campo probabilmente comprati dal fioraio in fondo alla strada. Ci sono delle bellissime sedie comode colorate variano dai colori primari a quelli secondari.
Accanto alla parete una vetrina bassa in stile moderno in cui teniamo dei piatti e dei bicchieri ancora inutilizzati.
Tutte secondo il gusto e lo stile della mia coinquilina.
Per fortuna nessuno fa riferimento al mio incubo, tanto è sempre lo stesso. Non credo sia mai cambiato qualcosa nello scenario; solo una volta ho sognato i miei genitori. Ma da allora, le cose sono diverse.
Dopo la colazione silenziosa, vado a prepararmi per il lavoro. Indosso un paio di pantaloni comodi neri nascondendo il tutore, la maglietta con il logo e la scritta del locale. Infilo dentro la borsa un cambio per le evenienze e quando sono pronta arranco verso la cucina per avvertirli.
Ethan non c'è più. Il mio stomaco si contrae. Dov'è andato?
Anya sta sistemando i capelli guardandosi allo specchio posto in corridoio accanto al portone principale.
«Posso darti un passaggio», dice Mark scompigliando i capelli ad Anya che lo spinge sbuffando mentre lui sghignazza.
Gli piace stuzzicarla.
«No, grazie. Ho bisogno della mia passeggiata giornaliera e se esco adesso...», guardo l'orologio al polso. «Riuscirò ad arrivare in tempo al lavoro. Devo muovermi», sorrido tranquillizzandolo e senza attendere oltre esco dall'appartamento.
Non voglio salire su una macchina. Inoltre ho bisogno di camminare, perdermi un po' in mezzo alla gente, in mezzo al caos della città.
Cammino piano e zoppicando. Scelgo altre strade, guardo le vetrine dei negozi e ogni singola persona superarmi rilassandomi. Ci metto un paio di minuti in più perché nonostante i mesi passati a studiare cartine e mappe su internet riesco ancora a perdermi; alla fine però raggiungo il locale in tempo dando inizio alla mia giornata lavorativa.
Dentro trovo un certo trambusto, una strana aria circola attorno e capisco che Max deve essere di pessimo umore, anzi è di pessimo umore.
Allaccio velocemente il grembiule recuperando un panno pulito dal ripiano accanto al lavandino in acciaio. Accendo le due macchinette ancora spente e mi avvicino al primo tavolo pieno di briciole per pulirlo.
Non c'è nessuno a servire i tavoli, che cosa sta succedendo?
Dalla cucina proviene la voce agitata di Max. Tendo l'orecchio fingendomi disinteressata mentre ascolto la sua sfuriata.
Sta proprio urlando contro Sasha.
«Scusi, posso avere un'altra ciambella?»
«Come la desidera?» sfoggio un sorriso.
«Ai lamponi», esclama il ragazzo in divisa seduto a qualche metro di distanza dalla vetrina e dal tavolo che sto pulendo.
Viene spesso, a volte lo vedo parlare con Scott. Si conoscono.
Mi sposto verso il bancone, infilo il guanto posando su un vassoio di cartone tipico del locale la ciambella e ritorno dal ragazzo. «Ecco a lei», dico gentilmente spostandomi verso un altro tavolo appena svuotato. Questo è più vicino alla cucina e si sente maggiormente la sfuriata di Max che continua.
Ora che i miei dubbi si sono intensificati su Sasha, da quando evita il mio sguardo, non riesco più ad aiutarla o a sostenerla. Il nostro rapporto si è drasticamente inclinato.
Mi rendo conto sempre troppo tardi di essere stata buona e di essere stata sempre pugnalata da chi diceva di tenerci. Qualsiasi cosa lei abbia con Scott, riuscirò a scoprirla.
Il signor Brown, uno dei clienti affezionati nota che sto zoppicando e chiamandomi al suo tavolo chiede la ragione.
«Ho solo avuto un piccolo incidente. Non si preoccupi», lo rassicuro offrendogli una generosa tazza di latte macchiato come piace a lui e i biscotti ripieni, una delle buonissime specialità della casa.
I suoi occhi arzilli si posano su Max. «Perché lasci lavorare questa bravissima fanciulla, non vedi che zoppica?»
Apro e richiudo la bocca a disagio. Cerco di spiegare, ma Max che prima non si era accorto di niente, impegnato ad urlare contro Sasha, riprendendosi mi sposta dietro il bancone in modo tale da non camminare troppo per tutto il giorno.
Quando mi concede una pausa, entro in cucina. Sono affamata. Ho sentito l'odore delle lasagne appena sfornate e ho già l'acquolina in bocca.
Tony mi fa trovare un piatto fumante sul tavolo, mi siedo affondando i miei pensieri sul cibo.
Dopo una manciata di minuti, interrotti dai rumori presenti in sala, la porta della cucina si spalanca e Scott mi richiama. Faccio il segno di lasciarmi finire prima di seguirlo di sopra nel terrazzo.
Fuori è una bellissima giornata di sole e caldo. Alzo leggermente le braccia sciogliendo un po' i muscoli.
Per fortuna siamo soli. Osservo la strada a poca distanza, la fila di auto colorata in attesa del verde.
Quando Scott si appoggia al muro, capisco che qualcosa non va. Il suo sguardo è freddo. Distante.
Mi avvicino a lui.
«Stai meglio?» domanda accendendosi una sigaretta, fumando nervosamente. In sole tre boccate sta già finendo di fumare.
«Si, grazie», balbetto spostandomi verso la sdraio per sedermi. Inizio a sentire la gamba protestare.
«Non mi hai mai detto che hai degli incubi del genere», manda fuori la boccata di fumo e poi getta la sigaretta pestandola con il piede come se fosse un insetto fastidioso.
Passo le mani tra i capelli prima di raccoglierli. «Soffro di terrori notturni. Mi dispiace non credevo sarebbe successo ancora», gioco con una pellicina sul dito scorticato a causa della caduta.
Scott sospira prendendo posto sull'altra sdraio, afferrandomi e facendomi sedere sulle sue gambe. Appoggia la testa contro il mio petto posandomi dapprima un bacio sulla gola.
Non so come reagire. Me ne sto immobile, insicura. Cosa significa? Perché fa così?
Alza lo sguardo cercando le mie labbra. Non mi bacia come al solito e la sua calma, fa quasi paura.
Poso insicura le mani sul suo petto, non so so proprio cosa fare. Inizia a stringere la presa con forza mordendomi le labbra. Da un bacio dolce, passiamo a un bacio possessivo.
Provo a staccarmi ma me lo impedisce.
«Ti amo, lo sai?»
Mi blocco un secondo smettendo di spingerlo via e annuendo continuo a baciarlo ma con più delicatezza.
E' di questo che ho bisogno? Di tranquillità? Di avere una persona come Scott accanto che si arrabbi ma che mi perdoni o si faccia perdonare in fretta? Ho bisogno delle sue rassicurazioni? Saprei vivere senza i suoi baci, senza le sue lentiggini sul naso, senza le sue magliette con le stampe?
La risposta non è semplice proprio perché dentro la mia testa si affollano troppi pensieri e troppi dubbi. Soprattutto, si impone l'immagine di una persona. Una persona che mi fissa con i suoi maledettissimi occhi azzurri.
In questo momento, avrei bisogno di certezze, ma Scott ha detto che mi ama e non è forse anche questa una certezza?
«Emma...»
Ritorno alla realtà arrossendo. Tengo la sua maglietta abbastanza stretta da stropicciarla. Lui mi fissa con uno strano sguardo. Appoggio ancora le labbra alle sue. Le sue mani affondando tra i miei capelli dopo averli sciolti dalla crocchia scomposta.
Ci guardiamo intensamente cercando di trovare delle risposte.
La porta di colpo cigola e lui mi spinge immediatamente.
Reazione esagerata, penso subito mentre Sasha rimane immobile sulla soglia sorpresa; stringendo i pugni si concede una risatina nervosa. «Prendetevi una stanza la prossima volta. Questo è un terrazzo non un hotel».
Cerco di non riflettere troppo sulla battuta acida. Magari ieri notte ha sbagliato numero e io mi sto solo facendo troppe paranoie, mi dico.
Ma come fa ad avere il numero di Scott?
«Fatti una vita!» replica lui alzandosi rigidamente.
Lei lo guarda male andandosi a sedere senza neanche degnarmi di uno sguardo.
«Torniamo a lavoro?» chiede baciandomi sotto l'orecchio.
Mi irrigidisco. «Si», boccheggio seguendolo stordita dal suo atteggiamento.
La sua mano stringe subito la mia trascinandomi di sotto. Poco prima di uscire dal corridoio mi spinge verso il muro, tenendomi per i fianchi cerca le mie labbra.
Ci scambiamo un breve bacio e riesco a scappare tornando dietro il bancone quasi affannata.
Perché si comporta così?
Mi confonde.
«Emma, per oggi hai finito il tuo turno», con ben due ore di anticipo Max mi fa uscire prima.
Tolgo la divisa cambiandomi nello spogliatoio del personale. Stringo i lacci al tutore e alzandomi dalla panca esco dal locale senza avvisare Scott.
Prendendo dal retro decido di passare in libreria per comprare qualche nuovo libro.
Nella lista estiva, di recente, ho aggiunto delle voci:

- leggere: Orgoglio e Pregiudizio
- Fare shopping per rinnovo armadio, possibilmente con un'amica
- Nuotare "nuda" in una piscina
- Guardare la serie tv: The Walking Dead

Entro in casa con le buste. Sono soddisfatta nel complesso.
Non trovo nessuno. Attorno aleggia il silenzio. Mi avvicino al frigo dove trovo un un post-it lasciato da Anya in cui mi avvisa che sarà all'università.
Dovrei riprendere anch'io a studiare qualcosa, dovrei trovare dei corsi estivi utili per i crediti.
Decido di mettermi a lavoro dopo cena. Preparo un pò di sushi sedendomi di fronte alla tivù a guardare iZombie.
Dopo circa dieci minuti lo schermo dello smartphone vibra segnalando un messaggio in arrivo.

Scott: "Sei a casa?"

Poso il piatto vuoto sul piccolo tavolo affrettandomi a rispondere con un semplice si.
Non risponde più così decido di riprendere la visione della puntata.
Pochi minuti più tardi sento bussare al portone. Mi avvicino e curiosa senza tirare la cordicella apro.
Mi ritrovo Scott davanti, il portatile dietro. Non appena lo faccio entrare mi trascina in camera con un bacio.
«A cosa devo tutto questo?» domando interdetta.
«Mi sei mancata e ho pensato di passare per un saluto», sorride ed ecco che ritorna il solito Scott. «Non disturbo, vero?»
«No, no», sposto i cuscini dal letto dove ci sistemiamo a guardare un film.
Dopo il film, mentre lui gioca, io mi metto a cercare dei corsi da seguire per i prossimi mesi. Non mi va di passare l'estate chiusa in casa o sempre al lavoro.
Inoltre Max pensa di chiudere per due settimane o forse di più e io ho bisogno di avere dei piani per non impazzire.
La mano di Scott si posa sulla coscia iniziando a disegnare dei cerchi mentre fissa lo schermo del pc e con una mano preme i tasti per giocare.
Decido di mettermi a pancia in giù con i piedi per aria per impedirgli di stuzzicarmi. Non sono dell'umore per certi giochetti. Non voglio illuderlo.
Mi concentro su degli appunti per sottolinearli. Leggo distratta perché Scott non si arrende. Mi volto a guardarlo e sta sorridendo.
«Mi stai stuzzicando e ho delle cose da fare», lo rimprovero con un tono dolce.
Alza le spalle. «Che cosa hai da fare a parte coccolare il tuo ragazzo?»
Inarco un sopracciglio. «Vediamo un po'...», ci penso sopra.
Intanto lui ne approfitta per tirarmi a sé, così sposto il portatile e la cartella con i fogli mettendomi a cavalcioni su di lui.
Lo abbraccio strofinando il naso sul suo e dopo un momento, iniziamo a baciarci.
Mi stringe per i fianchi mordendomi le labbra con insistenza spingendomi sotto il suo peso mentre per terra iniziano a cadere i fogli su cui stavo lavorando.
Mi terrorizza il fatto di trovarli tutti alla rinfusa. Ancora di più, mi terrorizza il modo in cui Scott mi sta dimostrando il suo "amore".
Perché ho la strana tendenza a cacciarmi nei guai?
E' famelico, aggressivo, possessivo. Non riesco ad individuarne l'origine e questo basta ad allarmarmi. Non sono abituata a tutto questo e credo che non mi abituerò mai.
Prima che le cose inizino a degenerare cerco di divincolarmi dalla sua presa. Riuscendoci mi alzo accaldata sistemandomi la maglietta e i capelli scompigliati, abbozzando sorrido.
Quando lo guardo però, noto che non sta sorridendo come avrei voluto.
Il suo cellulare squilla. Lui fissa lo schermo prima di staccarlo e picchiarlo sul comodino sbuffando. Porta le dita sugli occhi stropicciandoseli.
Prima ancora che io riesca a guardare lo schermo, ricomincia a squillare.
«Non rispondi?» domando incerta e anche irritata dal suo comportamento.
«NO!», risponde secco tentando di avventarsi nuovamente alle mie labbra tenendomi ferma.
Trattengo la sua spinta. «Potrebbe avere bisogno di aiuto... chiunque sia».
Intanto il cellulare, continua a squillare con insistenza. Mi sporgo per prenderlo ma Scott blocca i miei polsi reclamando ancora la mia bocca, impedendomi di vedere chi gli sta chiamando con tanta insistenza.
Sembra nervoso, noto un balenio nei suoi occhi quando riesco ad afferrare il cellulare accendendo per pochi secondi lo schermo.
Me lo strappa dalle mani con una certa forza.
Rimango interdetta. Perchè si comporta cosi?
«Non toccare la mia roba», ringhia rialzandosi dal letto, guardandosi attorno.
«Scott ma che...» impallidisco. Ha lo sguardo furioso.
«Non devi toccare le mie cose», ringhia ancora puntandomi l'indice contro.
Il telefono ancora una volta squilla.
Con una certa rabbia lo stringe staccandolo senza mai togliermi gli occhi di dosso.
I suoi muscoli del petto si alzano e abbassano velocemente. Il mio stomaco al contrario, si contorce. So che non dovrei avere paura, ma perchè reagisce in questo modo? Andava tutto bene fino a pochi secondi fa.
«Chi ti chiama?» domando quasi balbettando e con sguardo perplesso prima di irrigidirmi. Non so come reagirà alla mia domanda.
Nel frattempo in casa si sentono dei rumori, ma sono troppo sconcertata dall'atteggiamento di Scott per preoccuparmene.
«Non sono cazzi tuoi. Io non vengo a controllare le tue chiamate!», urla. «O dovrei?»
Rimango folgorata dalla sua furia. Non riesco a parlare e la rabbia inizia ad incendiarmi il petto. Cerco di mantenere la calma ma non so fino a quando riuscirò a resistere.
Non capisco cosa l'ha spinto a scoppiare in questo modo. «Scott, perchè ti stai comportando così?» mi esce un tono stridulo. Adesso sono spaventata.
«Perchè mi sono rotto il cazzo dei tuoi continui rifiuti e delle tue insopportabili domande», urla ancora stringendo i pugni.
Abbiamo costantemente paura di ferire gli altri. Ma, puntualmente nessuno si preoccupa di non ferire noi.
Ecco come mi sento: ferita. È la parola giusta.
«Le mie domande? Non ti ho chiesto niente di così difficile. Ti ho solo chiesto chi ti chiama ogni volta che stai con me», urlo a mia volta.
«Ed io... ti ho già risposto che non sono cazzi tuoi!», sbraita rosso in viso. La vena sul collo rigonfia e le narici dilatate.
«Mi spieghi che ti prende?» domando gesticolando e con più calma. Sento le orecchie prendermi fuoco.
Questo lo fa infuriare maggiormente e scaglia il cellulare contro la parete prima di imprecare a voce altissima.
«Che cazzo ti prende a te. Un giorno mi salti addosso facendomi eccitare, quello dopo scappi spaventata... e poi da quanto tempo continua la storia con quello stronzo?»
Indietreggio di fronte ai suoi occhi rossi. «Ma cosa stai dicendo? Sei tu quello che riceve chiamate nel cuore della notte e non fa altro che allontanarsi per potere parlare con chissà chi quando dici di amare me...», alzo di nuovo la voce.
Non me ne importa di chi può sentirci, voglio che capisca che non ho paura di affrontarlo, non ho paura di sapere la verità. Ho solo paura di farmi ancora male.
Scuote la testa recuperando da terra il telefono, tenendolo stretto.
«Perchè non rispondi? Perchè non rispondi, cazzo!», urlo incapace di trattenermi raggiungendolo, spingendolo come una pazza. «Perché non hai il coraggio di farlo davanti a me? Che cazzo nascondi?»
Non ho mai detto così tante parolacce nella mia vita ma dirle in questo preciso istante: è liberatorio.
Per tutta risposta Scott mi spinge lanciandomi addosso il telefono, ma questo prende il muro andando in frantumi.
«Perchè sei una fottuta stronza! Ecco perché non rispondo. Ecco perché non ti dico quello che sta succedendo. Sei una bugiarda. Mi credi così stupido? Così cieco da non accorgermi come lo guardi, come lo desideri?»
Spalanco gli occhi.
«Che c'è? Ci sei già andata a letto? avete già scopato? Non mi sorprenderebbe, è tipico di Ethan Evans prendersi ciò che non è suo con un sorriso», urla afferrando il suo portatile. «Tipico anche di una stronza e stupida ragazzina come te!»
Sgrano maggiormente gli occhi indietreggiando inorridita mentre lo guardo scagliare tutto per terra o dove capita. Tira giù ogni singolo oggetto dal cassetto. Afferra la lampada schiantandola contro il pavimento continuando ad urlarmi contro cose indicibili.
«Sei una fottuta troia!» lancia un libro contro uno dei quadri di compensato facendo cadere giù i post-it e le cartoline.
«Ti è piaciuto?»
«Smettila Scott! Smettila, stai rompendo tutto!», urlo spaventata.
Scoppio in lacrime continuando ad indietreggiare fino a ritrovarmi contro il muro. Non so che altro fare. «Smettila, mi stai facendo paura», singhiozzo sonoramente.
Si ferma il tempo di un respiro guardandomi come un falco. «Vediamo se mi dici ancora di no», sibila scattando contro di me.
Chiudo gli occhi, vengo invasa dai flash del passato. Porto subito i palmi in avanti per evitare il colpo.
Non un'altra volta.
Non un'altra volta, continuo a ripetermi scivolando all'angolo.
«Vediamo...»
Scott si ferma a metà strada o quanto meno è ciò che riesco a vedere tra le lacrime e la confusione.
Bam.
Sento uno scricchiolio sonoro prima delle imprecazioni. Due braccia mi avvolgono e quando alzo lo sguardo noto Anya farmi da scudo mentre Ethan tiene Scott per il bavero della camicia e lo scaglia dall'altro lato della stanza con una certa furia.
«Ethan, fermati», strilla agitata. «Controllati!»
«Che cazzo le hai fatto? Sei un pezzo di merda!» urla con un gelo che mi fa perdere per un attimo la sensibilità al corpo.
Colpisce Scott al viso con una certa violenza. Scott ricambia con una forza che non avevo mai visto prima. «Stanne alla larga, Ethan. Non è la tua ragazza. Posso farle quello che mi pare», gli ringhia contro colpendolo alla mascella continuando a fissarmi con furia pronto a raggiungermi per finire ciò che ha iniziato.
«Ethan, fermati!» strilla di nuovo Anya.
Ethan dà un pugno in faccia a Scott poi un altro in sequenza senza fermarsi e i due finiscono a terra.
«Ti ammazzo. Non dovevi toccarla!»
«Ethan, basta!» tuona Mark entrando in camera pronto a fermarlo. Infatti riesce ad allontanarlo da lui mentre gli urla:
«Se le hai fatto qualcosa io ti ammazzo. Giuro che ti vengo a cercare e ti ammazzo».
Ethan sfuggendo alla presa di Mark attacca ancora senza più controllo. Non avevo mai visto così tanta furia uscire da una sola persona.
Scott ghigna con i denti pieni di sangue. Un'immagine che non toglierò più dalla testa. «Sei riuscita a portartela a letto, vero? E' stato bello ricadere in vecchi vizi?», sputa del sangue a terra. «È stato bello toccare ciò che non è tuo?»
Rabbrividisco e Anya strilla maggiormente provando a tapparmi le orecchie mentre Mark rimasto un po' in disparte, quando si rende conto della situazione cerca di farci allontanare, ma sono troppo scossa per muovermi.
«Smettetela!», gli urlo contro trovando la forza di reagire. Riesco a liberarmi dalla stretta di Anya e stupidamente corro verso i due che si stanno ammazzando di botte a causa mia.
Non è ciò che voglio. Voglio solo che questa giornata finisca.
Scott è sopra Ethan, continua a fendere colpi anche se a vuoto. Gli afferro il braccio ma vengo colpita e stordita finisco contro lo spigolo del comodino facendomi male. Sento come uno strappo, istintivamente porto la mano sul labbro per fermare il sangue oltre a quello che già esce dalla fronte.
«Cazzo no!», ringhia qualcuno.
Quando alzo lo sguardo, attorno c'è troppo silenzio. Ethan e Scott si sono fermati e Mark si frappone tra i due. I miei occhi sono spalancati e pieni di lacrime, il mio cuore galoppa troppo in fretta. Non riesco ancora a capacitarmi.
«Le hai fatto male. Sei morto figlio di puttana!» Ethan cerca di avventarsi nuovamente su Scott e lo colpisce una sola volta facendolo piegare in due.
Mark lo blocca mentre Scott rialzandosi dolorante mi fissa in modo diverso, atterrito. Mi rialzo traballante aiutata da Anya più che spaventata e scuoto la testa togliendomi le sue mani dalle braccia.
«Emma...», inizia lui con un tono flebile; Anya si frappone, afferrandomi per un polso mi trascina in soggiorno con sconcerto.
Non riesco a capire più niente. La vista mi si annebbia ed inevitabilemente cado nel vortice di un attacco di panico. Anya mi stringe sussurrandomi di respirare ma sono troppo spaventata per prestarle ascolto.
Dal corridoio intanto si sentono altre voci poi spunta Scott avvicinandosi spavaldamente, con sicurezza.
Mi ritraggo immediatamente. Lui non è il ragazzo che ho conosciuto e che stavo imparando ad amare.
Nessuno ti dà mai un motivo per credere al "per sempre".
Forse non mi aspettavo tutto questo. O forse continuavo a superare le giornate fingendo che tutto andasse liscio, che non ci fosse nessun problema. In parte, speravo di sbagliarmi.
«Emma, non volevo...»
Non lo guardo perché fa troppo male.
Nella vita bisogna imparare tante cose; ad esempio che non sempre si può aggiustare tutto. Non sempre un cuore frantumato può essere riparato.
«Vattene da casa mia», gli urla contro Anya con occhi infuocati e il disgusto nella voce. Alzandosi lo spinge, allontanandolo da me.
«Emma...», Scott sembra allarmato.
Non riesco a respirare. Cerco di riscuotermi e mi abbraccio.
Sento freddo e sono improvvisamente stanca. La gamba fa male ed il labbro brucia così come la fronte.
«Hai sentito? Vattene, subito!» Anya è spazientita e arrabbiata.
Scott rimane impalato, in attesa.
Ethan dopo avere discusso in corridoio con Mark entra in soggiorno guardandolo furioso, facendo un passo verso di lui a pugni stretti. Gli stessi pieni di ecchimosi e sangue.
Evita di avvicinarsi ulteriormente forse per non ammazzarlo di botte e avvicinandosi afferra il mio viso tra le sue calde mani. Proprio davanti a lui.
Appoggia la fronte sulla mia respirando a fatica. «Ti prego... dimmi quello che vuoi. Dimmi... dimmi solo cosa devo fare», trema.
Chiudo gli occhi inspirando il suo profumo. Intuendo il suo fremito mi allontano leggermente. «Mandalo via», dico in tono freddo, con voce rotta dal pianto. «Non voglio vederlo», singhiozzo.
Quando Scott tenta di parlare, Mark lo strattona verso la porta dicendo: «Hai capito? Te ne devi andare e ritieniti fortunato che sia intervenuta lei» poi la porta sbatte sonoramente.
E' proprio vero, la rabbia dei buoni che esplodono è quella che fa più male. Non riesco ancora a rendermi conto di ciò che stava succedendo.
Mark trascina Anya fuori dal soggiorno mentre Ethan in ginocchio davanti a me tenendo ancora mio viso tra le mani sussurra: «Giuro che lo amazzo», preme la fronte sulla mia trattenendosi a stento. Rimango rigida poco prima di scuotere la testa.
«Ti prego, di qualcosa», con voce roca mi fa sussultare.
«Ti ha picchiato a causa mia», singhiozzo sentendomi in colpa.
«No, prima o poi sarebbe successo. Quando tiri troppo la corda arriva il giorno in cui si spezza.»
«Mi dispiace. Lui...»
«Disinfettiamo queste prima, ok? Stai perdendo un po' di sangue», mi aiuta a rialzarmi portandomi in bagno dove, facendomi sedere sul bordo della vasca inizia a disinfettarmi la ferita sul labbro occupandosi poi di quella sulla fronte. I suoi gesti sono delicati e attenti. Sembra di averlo fatto già tante volte. È così pratico.
Quando inizia a disinfettare le sue che sono ben peggiori, mi sento maggiormente in colpa. Cerco di aiutarlo ricambiando mentre annego tra le lacrime e il senso di colpa. Le mie mani si posano sulle sue nocche. Le spingo sotto il getto freddo e lui non ha nessuna reazione.
Quando abbiamo finito, mi riporta in soggiorno facendomi sedere. Prende del ghiaccio porgendomelo prima di posizionare una scatola di surgelati sotto il suo occhio ormai gonfio e violaceo.
«Mi dispiace», ripeto ancora.
Ethan scuote la testa. «Dovevo avvertirti che non era il tipo da storie serie o il ragazzo che sembra. Dovevo capirlo cosa aveva in mente e dovevo... dovevo agire prima di tutto questo». Stringe il pugno.
«Lo conosci?», sono senza fiato.
Ethan annuisce ma non aggiunge altro.
Mi sento improvvisamente sporca dentro. In che situazione mi sono cacciata?
Scoppio di nuovo in lacrime. Mi rendo conto di essere stata troppo stupida. Non mi sono accorta dei segnali, non mi sono resa conto che mi stavo sbagliando.
«Ehi», prende il viso fissandomi con i suoi occhi magnetici. Fanno male, troppo male. Non può guardarmi così. Lui non può.
«Non è colpa tua».
Scuoto la testa. «Sono stata una stupida. Io, credevo...» non riesco a parlare e nascondo il viso tra le mani scostando le sue.
Non demorde stringendo la presa. I nostri visi sono troppo vicini. Così vicini da sfiorarsi.
«Sssh»
Provo a parlare ma con il pollice accarezza delicatamente le mie labbra. Abbassa gli occhi su di esse sussurrandomi. «Perché ho come l'impressione che stravolgerai tutti i miei piani?»
Ha gli occhi intrisi di voglia; quella disperata voglia di chi vuole una persona ad ogni costo.
Nessuno mi ha mai guardata così. Nessuno mi ha mai regalato così tante emozioni con un unico sguardo.
E mi tremano le gambe. Il cuore mi batte fino al collasso. Mi sento in balia delle onde.
Schiudo le labbra ma veniamo interrotti da Anya che avvicinandosi dice: «Posso abbracciare la mia amica?»
Ethan indugia un secondo stringendo le dita sul mio viso poi lasciando la presa borbotta: «Vado a fare una doccia», celando dentro ogni tipo di emozione, alzandosi esce dal soggiorno lasciandoci sole.
Anya valuta la situazione seguendo ogni passo del fratello prima di aprire bocca per chiedere: «Che ne dici di uscire?»
La guardo interdetta. Crede davvero di volere uscire con una che è stata appena colpita al cuore e fisicamente?
Non credo di essere in vena e la giusta compagna di avventure per le sue serate quindi sono tentata di rifiutare. Poi però rifletto un momento.
Io ho bisogno di uscire. Ho bisogno di lasciarmi alle spalle tutto questo.
«Uscire», ripeto.
Sorride in modo dolce, come sempre. «Si», conferma.
«Ok»,accetto. Uscire mi farà bene, soprattutto con lei.
Vado a fare una doccia anch'io indossando qualcosa di estremamente comodo e anonimo. Un paio di shorts neri, una canottiera stretta nera con il logo sulla parte destra di un cuore diviso a metà in cui in una parte nascono dei fiori, con bordi in pizzo e ai piedi le mie adorate Vans. Pettino i capelli nascondendo come meglio posso la ferita sulla fronte leggermente gonfia e ormai viola. Mentre sul labbro non posso farci niente e sconfitta lascio in evidenza l'enorme livido pieno di puntini rossi.
Anya mi aspetta dentro la sua stanza. Lei indossa un tubino appariscente e le sue adorate collane di perle nere. Cosa strana ma vera indossa un paio di Converse.
Non ho una bella cera e dal suo sguardo capisco che sarà meglio prendere una boccata d'aria.
Forse mi conosce più di quanto io conosca me stessa o semplicemente ha paura che io mi faccia male e per questa ragione intende tenermi d'occhio.
Prende la borsetta avvisando Mark che usciamo.
Inizialmente camminando lungo le zone pedonali, di fianco al traffico serale, non so dove mi sta portando; lo capisco solo quando svoltiamo a sinistra in una piccola traversa del centro per ritrovarci di fronte un locale che conosco: quello in cui lei cantava spesso.
«Serata Karaoke», annuncia battendo le mani più che entusiasta.
Sta facendo di tutto per farmi riprendere dallo shock ma non sono ancora uscita dal turbine di pensieri che continuano ad accavallarsi e a tormentarmi. Non sono ancora uscita dal senso di confusione che mi costringe a stare male.
Non mi capacito. Non mi sembra neanche vero.
Entro un po' a disagio dentro il locale, spero che nessuno noti una come me, specie se malconcia e triste.
Il locale è come lo ricordo: luci soffuse, il piccolo palco in fondo, il bar a destra e i tavoli attorno. L'aria è diversa ed è pieno di ragazzi. Capisco subito di essere ad una festa universitaria in piena regola.
Anya mi trascina tenendomi per mano ad un tavolo dove saluta due ragazze prima di passare alle solite presentazioni.
Quella con i capelli ricci scuri e voluminosi si chiama Reina, l'altra bassa con un caschetto ordinato e gli occhi dolci a mandorla è Cho.
Mi stanno subito simpatiche perché non fanno domande sul mio labbro tumefatto o sul mio aspetto trascurato e triste. Forse do loro l'impressione di una ragazza che fa a botte o hanno paura a guardarmi; ma non sembra, perché mi domandano subito cosa studio prima di commentare sarcasticamente alcuni ragazzi che fissano il nostro tavolo.
Anya ordina da bere, per se una birra per me una bottiglia d'acqua tenendomi costantemente d'occhio. So che è preoccupata, ma portandomi in questo posto non riesco a non pensare a Scott e ai suoi occhi iniettati di rabbia. Cerco subito di indirizzare i miei pensieri alla realtà. Non è il caso di piangere o disperarsi proprio davanti a tutti e fare la figura della patetica. Ormai, il danno è fatto.
«Non ti vediamo mai in questo posto», dice Cho sovrastando la musica mettendo in bocca una manciata di salatini da un sacchetto rosso.
«Non sono abituata alle feste o ai locali come questo», rispondo cercando di non urlare troppo o di non sembrare una santarellina. Non lo sono.
Ho anche la voce rauca a causa delle urla e la gola mi fa terribilmente male. Brucia così tanto, come se ci avessi passato sopra qualcosa di acuminato.
«Tipa da serie televisiva e libri?» Domanda curiosa. Annuisco e lei sorride toccandomi il braccio, «anch'io ma Reina mi ha fatta scendere dal letto», ridacchia tirando dalla cannuccia il suo cocktail.
Passiamo l'ora a chiacchierare del più e del meno anche se labbro mi fa male e sento gli occhi un po' pesanti a causa delle lacrime versate.
Anya invece si diverte a cantare davanti a tutti. È nel suo ambiente. Sovrasta la scena proprio come il fratello sovrasta il mio cuore.
Arrossisco al pensiero mordendomi una guancia.
Quando termina di cantare la sua canzone con un grosso applauso da parte dei presenti, inchinandosi ringrazia scendendo poi dal palco per tornare al tavolo da noi.
La cameriera, una ragazza dai capelli lunghi corvini, dalle ciglia finte e dal trucco eccentrico simile a quello di Moira Orfei si avvicina porgendomi un bicchiere pieno di liquido rosa.
La guardo inebetita. «Io non ho ordinato un...» sto per dirle ma lei mi sorride in modo dolce, «è stato quel ragazzo», lo indica.
Un ragazzo dietro al bancone dai capelli biondi, alto e dal sorriso bianchissimo, alza il bicchiere che sta pulendo guardandomi. Arrossisco e ringrazio con un timido sorriso.
Anya, Reina e Cho strillano come delle vere e proprie pettegole osservando la scena. Mi sento parecchio in imbarazzo perché non berrò e perchè non ho voglia di consolarmi con qualcun altro così in fretta. Mi limito ad assaggiare la sostanza e non appena sento il retrogusto alla fragola faccio una smorfia, al posto mio ci pensa Anya a svuotare il bicchiere.
Il suo sguardo vaga poi si illumina quando Mark ci raggiunge. Mi dà un affettuoso buffetto sulla guancia evitando il livido con un sorriso.
Tipico di Mark, penso subito ricambiando con una smorfia.
La cameriera di prima mi porta un altro bicchiere. Questo con con un biglietto attaccato. Non appena la guardo lei fa spallucce e si dilegua mentre Anya mi fissa per sapere cosa c'è scritto; lo stesso fanno le ragazze.

"Non devono piacerti le fragole, quindi assaggia questo e dimmi se ti piace. :)"

Arrossisco maggiormente guardando il bicchiere contenente un liquido color pesca. Annuso portando in bocca il dito pieno di zucchero che si trova intorno alla superficie del bicchiere.
«Cosa mi sono perso?»
Mi volto e vedo Ethan. Rimango senza fiato perché nonostante i lividi evidenti, è meraviglioso come sempre e lontano dal ragazzo arrabbiato che ho visto solo qualche ora prima.
Indossa jeans neri stretti e una maglietta bianca e nera che mette in risalto la sua muscolatura. Sotto il tessuto, si intravedono i suoi numerosi tatuaggi. Chiudo la bocca tornando a fissare il bicchiere.
Che faccio? Lo assaggio?
Bevo un sorso dalla cannuccia. È buono.
«Emma ha fatto colpo sul barista», afferma Cho fissando Ethan. I suoi occhi si posano sui lividi evidenti poi su di me ed il mio labbro.
Bevo un altro sorso del liquido. Non è male, sa di pesca e cocco e qualche altro strano intruglio, ma non berrò ugualmente, non sono dell'umore e non lo faccio da anni.
Mi volto e noto che il barista mi sta sorridendo ed è in chiara attesa di una mia opinione. Alzo il bicchiere come per dirgli che questo va bene. Lui pulisce il bancone scuotendo la testa con un sorriso radioso.
«Avete fatto a botte tra di voi o cosa?» Sta domandando Reina parecchio divertita.
«Si sarebbe fatto più male di così contro di me, non credi?» esclamo di getto suscitando una risata generale.
Ethan mi fissa per un momento poi legge il biglietto staccandolo dal bicchiere e infastidito lo stropiccia gettandolo sul tavolo. Togliendomi dalle mani il bicchiere manda giù il cocktail che il barista mi ha mandato. Pulisce gli angoli della bocca e abbozza un sorrisetto maligno. Anya lo fissa in modo strano distogliendo velocemente lo sguardo prima di spalancare gli occhi afferrandomi per un braccio.
«Forse sarà meglio andare», dice frettolosamente prendendomi per mano, tirandomi via dal tavolo.
Mi volto seguendo il suo sguardo e a poca distanza noto Tara. Mi si gelano le vene. Non sono in forma per fare a pugni con lei. Purtroppo ci raggiunge a grandi falcate puntando dritta verso Ethan.
«Era questo il tuo impegno?» Strilla girando la spalla a Ethan il quale cerca subito di mantenere il controllo.
«Non ora», le ringhia piano ma riesco a sentirlo ugualmente.
Tara lo fissa gelidamente, rendendosi conto dei lividi spalanca ancora di più i suoi occhi nocciola. «E che cazzo hai fatto al viso? Dio Ethan, hai fatto a botte vero? Di nuovo? Con chi questa volta?» Mette le mani sui fianchi spazientita.
E' imbarazzante la sua reazione perché tutti ci stanno fissando.
«Ho detto, non ora», ripete Ethan, chiaramente seccato per lo spettacolo messo in scena dalla sua ragazza.
Tara mi intercetta e quando mi mette bene a fuoco raggela. Sul suo viso si forma in fretta una smorfia.
Fa un passo avanti. «Tu...» diventa paonazza puntandomi l'indice contro.
«Credevo di averti avvertita quella sera. Evidentemente non hai capito di dovere stare lontana dal mio ragazzo. Cosa cazzo avete fatto?» avanza in fretta, come un gatto pronto ad attaccare.
Stringe i denti notando che me ne sto immobile, insicura sul da farsi; la mia reazione infatti le fa saltare i nervi. «Ti ammazzo!» strilla come una pazza tentando di avventarsi contro me. Indietreggio ad occhi sbarrati.
Saluto velocemente e distrattamente le ragazze scusandomi con loro ed esco dal locale. Anya mi segue con sguardo serio.
«È una stronza!» stringe i pungi.
Mi fermo a guardarla.
«Emma, meglio che tu non sappia. Inizio a credere che mio fratello sia solo succube di quella... Ho cercato di farli lasciare ma continua a tenerlo in pugno», scuote la testa indignata.
Non apro bocca. È stata una giornata troppo piena e caotica.
Passiamo il resto della serata al parco a parlare del più e del meno, a mangiare un gelato prima di tornare a casa.
Trovo la mia stanza di nuovo in ordine. Mi stupisco anche se non ho più una lampada e i quadri dove ero solita appendere i post-it per organizzarmi al meglio. Mi sento in un posto estraneo. Mi guardo attorno, faccio un grosso sospiro prima di rannicchiarmi sul letto.
Di dormire, non se ne parla, ma sono abbastanza stanca da non girare per casa.
Ogni giorno viviamo qualcosa di diverso dal precedente in grado di cambiarci del tutto inevitabilmente.
Ho passato un brutto momento oggi. Non so come farò con Scott al lavoro, ma so che non gli permetterò di avvicinarsi ancora così tanto al mio cuore. La sua reazione è stata inaspettata. Non pensavo che dietro a quegli occhi verdi, a quelle lentiggini, si potesse celare una persona totalmente diversa da ciò che mi aspettavo.
È proprio vero: certe volte bisogna prendere le decisioni sbagliate perché bisogna imparare dagli errori. E bisogna farlo adesso, magari non rifarlo più.
Bisogna sbagliare con il cervello mai con il cuore. Conoscere le conseguenze correndogli in contro.
Perché da certi errori si costruiscono grosse e spesse mura invalicabili, in grado di allontanare da se stessi e dalla propria anima ciò che è sbagliato. Ciò che non va bene.
Sento il cuore ridotto in tanti piccoli pezzi. Ognuno di questi, mi si conficca sulla carne, in profondità, facendo male.
So che ci sono cose ben peggiori di questa ma la confusione nella mia vita, regna sovrana.

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