Capitolo 51
Il lunedì mattina è un giorno abbastanza frenetico e traumatico. Frenetico in ufficio e traumatico perché quando passi la domenica a divertirti e finisci con il fare tardi, ti ritrovi ad arrancare a metà giornata con il fiato corto e la voglia di scappare. Ho passato una domenica meravigliosa con Parker. Siamo andati in montagna e ci siamo divertiti. Abbiamo partecipato a molte delle attività presenti nel resort. Non è stata poi una cattiva idea ritornarci, insetti a parte. Abbiamo fatto corsa campestre, canottaggio, tiro con l'arco e ci siamo divertiti alla festa notturna in compagnia di turisti con la voglia di ubriacarsi e dormire sotto le stelle.
«Stanca per il weekend?», domanda Jessy sbucando nel mio ufficio mentre massaggio le tempie. Posa sulla scrivania altre fotocopie. Altro lavoro da svolgere.
«Pessima idea quella di partecipare ad una festa proprio di domenica», ribatto con un gran mal di testa.
«Ogni tanto ci vuole. Lavori troppo in questo periodo!»
«Continuate a ripetermi che lavoro troppo», borbotto. «Devo assolutamente finire con queste fottute pratiche e poi prenderò una vacanza meritata».
«Sto uscendo, vuoi che ti porti il pranzo?»
Annuisco rimettendomi a lavoro. Batto al computer alcune pratiche poi accolgo dei clienti per delle consulenze e gestisco le continue chiamate per mister Marshall che non è presente in questi giorni. È impegnato con una grossa causa assieme ad altri avvocati e non ha tempo per gestire l'ufficio. Ha affidato a me e a Jessy la gestione ma la mia collega quando può scappa lasciando a me il carico più consistenze. Non mi dispiace ma non ho più del tempo per me stessa. Lavoro davvero troppo e quando non riesco a finire qualcosa per i clienti porto il lavoro a casa. Parker non si lamenta visto che fa spesso la stessa cosa ma in questa ultima settimana ho notato un cambiamento nel suo umore. È geloso, fa dei commenti acidi quando sono troppo stanca per discutere, continua a starmi con il fiato sul collo. Preferirei che aprisse bocca ed esprimesse quello che pensa. Non so cosa sia ma sto provando davvero a farcela. Sto provando a trovare un equilibrio tra vita e lavoro. Non è sempre facile. Non sarà sempre così. Sto solo facendo del mio meglio.
Dopo pranzo continuo a raccogliere gli appuntamenti che si accavallano nell'agenda del capo. Quando non può lascia a me il compito di sostituirlo al lavoro o a Jessy quando lei non è troppo impegnata con le sue fughe. Questo non sembra dispiacere a mister Marshall e in un certo senso rimpiango i miei giorni come dipendente di Parker. Lui non avrebbe mai permesso niente del genere. Manca proprio quell'autorità qui dentro.
Chiudo l'ennesima chiamata di un cliente che disdice all'ultimo minuto e mi stiracchio ripensando alla strana serata passata da Anya.
Ormai non manca molto al parto e non vedo l'ora di vedere la bambina e di potere stare ancora accanto alla mia amica. Le cose tra di noi sono migliorate. Fino a quando nessuno parla di un argomento in particolare, va tutto bene.
Sto sorseggiando un po' di tè fresco quando in ufficio entra un ragazzo. Dice di avere un appuntamento con Jessy ma lei sembra essere sparita. Lo faccio accomodare e provo a contattarla ma lei mi supplica chiedendo di aiutare il cliente al posto suo perché tarderà ancora. Con professionalità chiamo il ragazzo e prendo le pratiche dalla scrivania disordinata di Jessy. Quella ragazza avrebbe bisogno di una bella strigliata.
Inizio a sentirmi nervosa e temo che da un momento all'altro perderò la pazienza. Sono stanca, in più dovrò andare all'ultima partita di beneficenza e temo proprio che Parker non me lo perdonerà se darò buca.
Inizio a chiacchierare con il ragazzo e prendo appunti quando è necessario per la sua richiesta. Cerco di consigliarlo e sembra avere parecchie domande a cui rispondo pronta e con efficienza. E' un tipo affabile e molto intelligente. Un piacione di prima categoria. Sotto il suo sorriso non so se c'è altro.
Si sente lo scampanellio della porta. Sbuca Parker e il suo viso si indurisce non appena nota il belloccio che siede davanti a me con un sorriso sulle labbra.
Mi alzo e raggiungo Parker prima che possa fare una scenata inutile. «Sto finendo, dammi due minuti», lo spingo fuori dalla stanza.
Il ragazzo si sta già rialzando e sorride. «Grazie, consiglierò questo posto ad alcuni dei miei amici e soci in affari. È stata molto utile signorina Emma ed efficiente. Sono grato di avere incontrato lei e non la sua collega», dice ad alta voce mentre esce dalla stanza. Lancia uno sguardo perfido a Parker che ricambia e poi stringendomi la mano mi saluta e va via con compostezza.
Credo di essere rossa in viso e accaldata. So già di dovere affrontare la furia che si sta avvicinando. Recupero le mie cose e sorrido per calmarlo. «Andiamo?»
«Tu non lavori più qui dentro!» sbraita.
Spalanco gli occhi e la bocca. «Cosa?»
«Mi hai sentito. Che razza di capo è uno che lascia incustodito l'ufficio e non sa gestire le proprie dipendenti? Eri sola, con uno che ti sbavava davanti prendendo tempo per continuare ad ammirarti. Sei ancora ingenua e nuova nel settore per capire ma mister Marshall mi starà a sentire», raggiunge la porta.
«Non puoi fare così!», urlo.
«Oh, si che posso!»
«No, non puoi! Non puoi piombare qui e trattare male i clienti. È il mio lavoro e tu non puoi decidere per me. Stai esagerando», richiudo la porta e cammino a passo spedito verso l'auto. Salgo sul sedile del passeggero sbattendo lo sportello.
Parker prende posto al volante. È una maschera di furia. «Non lavorerai più per quell'imbecille. Non te lo permetterò», preme sull'acceleratore e fissa la strada.
«Non sei mio marito!», urlo. Mi rendo conto troppo tardi della cazzata appena commessa. Merda, che cosa ho fatto? Ho gettato benzina sul fuoco ecco cosa.
«No, non lo sono e sai perché? Perché sei già sposata con una testa di cazzo che guarda caso è sparito e non ti ha concesso nemmeno il divorzio. Non hai nemmeno fatto tanto storie. Devo pensare che tu non voglia divorziare da lui?»
«No, non lo sei e anche quanto non ti avrei permesso di comandarmi. Decido io dove lavorare. Stai dando di matto senza motivo», gesticolo nervosa.
«Ti rendi conto dell'effetto che fai ai ragazzi? Ti rendi conto che quel cretino poteva metterti le mani addosso e non avresti avuto nessuno a difenderti?»
«Non ho bisogno di una guardia del corpo. So difendermi da sola.»
Scuote la testa. Ha il viso rosso dalla rabbia, le vene in evidenza, i pugni stretti al volante e gli occhi vitrei. «No, non sai difenderti da sola. Dico sul serio. Questa sera scriverai le tue cazzo di dimissioni». Posteggia, spegne il motore e punta i suoi occhi chiari addosso, «parlo seriamente», esce dall'auto.
Non mi muovo. Lo guardo mentre si allontana. Sbuffo nervosa e vado a sedermi sugli spalti, il più lontano possibile dalla gente. Mister Marshall arriva in ritardo e noto che Parker parla con lui adirato gesticolando animatamente. Immagino il suo tono autoritario, le parole giuste per intimidire anche un uomo più grande. Usa armi impari. Che stronzo!
Non seguo molto la partita e prima che possa finire con la vittoria della sua squadra, mi dileguo. Prendo un taxi. Non ho nessuna intenzione di festeggiare. Parker ha deciso per me e non doveva. Questa cosa mi fa davvero infuriare. Forse ha ragione sul fatto della mia inesperienza e su come si dovrebbe gestire un ufficio ma devo proprio ricordargli che ha iniziato lui? Devo proprio ricordargli che mi ha mandato in un altro ufficio come un pacco postale?
Se ho cambiato ufficio e capo, l'ho fatto per essere indipendente e per fare le mie esperienze senza prima essere etichettata come la "cocca del capo".
Non mi fermo a casa, cambio idea in fretta e vado dalla mia amica. Quando mi vede non fa domande. Entro in casa e per fortuna non trovo nessuno. David e sua madre sono andati a scegliere non so cosa. Sono distratta e non ascolto molto le lamentele della mia amica. Più volte mi richiama e mi scuso prima di scoppiare. Butto fuori tutto quanto e inizio anche a piangere. Sono proprio sfinita. Lexa mi abbraccia provando a calmarmi. Sono un fascio di nervi. Ho accumulato troppo stress in questi giorni.
«Sono senza un lavoro, ho litigato con il mio ragazzo/convivente, non so se tornare a casa o rompere ancora alla mia amica che ha i suoi problemi grossi da risolvere e mi sento un completo disastro!»
Lexa mi sorride. «Ammettere quello che non va è positivo. Andiamo da Luke? Ho bisogno di una sbronza, mia suocera è uno stress!»
Non appena entriamo al locale, Luke ci accoglie con dei bicchierini pieni fino all'orlo. Faccio un brindisi con la mia amica e poi ordiniamo altri shottini. Parlo con il mio psicologo preferito ma non ricordo nemmeno da dove ho iniziato. Luke non parla molto ma sa ascoltare. A volte questa cosa mi rende nervosa perchè dai suoi occhi posso leggere i suoi pensieri.
Beviamo, balliamo, chiacchieriamo con degli sconosciuti e cantiamo. Passiamo una serata come due adolescenti, in compagnia di studenti e persone in cerca di svago come noi.
«Ok dolcezze, basta bere», Luke fa cenno dietro di noi.
Lexa si infuria e sbatte cinque monete sul bancone. Mi viene da ridere ma riesco a trattenermi. «Ti paghiamo profumatamente per riempirci di alcol e di rassicurazioni. Hai capito?»
«Adesso basta!»
Ci voltiamo. Anya se ne sta con le mani sui fianchi mentre Mark sorride sotto i baffi.
Che situazione imbarazzante.
Guardo Lexa e scoppio a ridere. Una risata accompagnata da un singhiozzo e da un'ondata di nausea tremenda. È stato Luke a chiamarla? Non sa che è incinta e non avrebbe dovuto?
«Sei un guastafeste», biascico puntandogli l'indice addosso e barcollando.
Mark accompagna prima Lexa in auto poi torna dentro il locale prendendomi in braccio. Non so perché lo sta facendo. Probabilmente perché rischio di sfracellarmi al suolo ecco perché. Non sarebbe la prima volta che succede. Ho così tanti lividi che spesso dimentico anche di sentire il dolore.
Durante il viaggio in auto, io e Lexa non smettiamo di ridere e dire cose senza senso. Anya ci porta a casa sua.
«Per fortuna non vedrò quella testa di cazzo che mi ha fatto perdere il lavoro», brontolo mentre cado sul comodo divano. Lexa annuisce battendomi il cinque. «Ben detto ragazza, ben detto. Io non vedrò quella strega megera di mia suocera. Che cazzo me ne faccio di un secondo servizio da te con i fiori orribili? Dovrei chiamarle e dirgliene quattro...»
Anya ci toglie le borse e i cellulari per evitare di farci male ulteriormente. Previdente come sempre. Mark sparisce mentre io chiudo gli occhi.
«Sono stanca di tutta questa merda. Dovrei lasciare ogni cosa e andarmene in Siberia o a Bora Bora»
«Buona notte ragazze»
Quando Anya si richiude nella sua camera io e Lexa ci alziamo dal divano.
«Come stai?», le domando pur sapendo la risposta.
Fa spallucce. «Domani continuerò a stare zitta mentre vorrei staccare la testa a quella donna odiosa. Non sposarti mai», tappa la bocca e poi scoppia a ridere, «tu sei già sposata e non hai avuto una suocera che ti rompesse le palle. A proposito, non parli di lui da mesi, lo hai dimenticato?»
Mi blocco e rannicchiandomi le do le spalle. «È tutto finito. Ora devo fare i conti con mister controllo tutto io e tu non hai diritto di replica. Il cane fedele si è sguinzagliato.» Sospiro e tiro su con il naso.
Perdo conoscenza e faccio fatica a rimanere lucida. Cosa diavolo ho bevuto per ridurmi così?
Anche Lexa sembra messa male. Per fortuna non vomita o se lo fa, non me ne rendo conto perché perdo il contatto con il mondo. È una sensazione piacevole se non fosse per la testa che continua a girare e la nausea a salire.
*******
Quando apro gli occhi, non sono da Anya e Lexa non è con me. Mi agito immediatamente, poi noto la coperta borgogna e i mobili scuri. Aggrotto la fronte continuando a guardarmi stordita attorno. Come diavolo ho fatto a finire in questo appartamento?
Parker entra dalla porta con un bicchiere in mano e delle compresse. Non appena vedo il liquido giallognolo ho uno strano conato. Tappo la bocca con le mani e corro subito in bagno. Per fortuna arrivo sulla tazza prima di rigettare una valanga di alcol e imbarazzo. Quando sento di potere rialzarmi, sciacquo il viso evitando lo specchio e metto in bocca un pò di dentifricio. Torno barcollando in camera e mi siedo sul letto passando le mani sul viso e poi tra i capelli.
«Come stai?»
Lo folgoro con lo sguardo e mi preparo a caricare. «Non chiederlo, sai benissimo come sto», replico acida.
Sospira porgendomi il bicchiere. Lo scosto con la mano rischiando di fare rovesciare il contenuto sulla coperta. Non me ne importa un accidenti, sono arrabbiata e non voglio assolutamente mettere in pancia lo strano intruglio.
«Smettila di fare la bambina e bevi»
«No, sto bene così», vedo tutto girare e mi appoggio al materasso. «Inoltre, non devi più darmi ordini. Odio quando lo fai».
«Mangia almeno questa», avvicina alle labbra una barretta di cioccolata. So che non si arrenderà e lo accontento mangiandone a fatica un pezzo. Mi sto arrendendo così in fretta. Sono ridicola.
«Ecco, fatto. Adesso lasciami in pace», borbotto sdraiandomi e tirando le lenzuola fin sopra la testa.
Sospira frustrato e il letto si muove. Sento la porta che sbatte e poi vengo avvolta dal silenzio.
Quando riprendo conoscenza, non mi sento affatto in forma. Forse avrei dovuto prendere quelle compresse e mangiare tutta quella dannata barretta al cioccolato ma non volevo dare la soddisfazione allo stronzo di vedermi a terra. Dannato orgoglio.
Alzandomi dal letto mi dirigo in cucina. Lo trovo ai fornelli intento a preparare quello che sembra essere un pranzo completo. Pasta con sugo, peperoni e tonno. Filetto di pesce con cipolla e pomodorini. Insalata mista e frutta tagliata a dadini e disposta in due coppette di vetro. Attorno c'è odore di spezie e salsa e una calotta di calore sulle nostre teste. Verso dell'acqua su un bicchiere e siedo sullo sgabello. Bevo lentamente per idratarmi e intanto rifletto se sia o meno il caso di salutarlo o ignorarlo. Una parte di me vorrebbe gettare per aria tutto il ben di Dio presente sul bancone della cucina mentre l'altra parte, tenta di farmi ragionare. Mordo le labbra e trattengo le mani strette attorno al bicchiere tanto che per un momento temo si possa rompere tra le dita. Allento la presa e ritorno in camera.
Prendo la mia borsa in un angolo e recupero il cellulare. Trovo le chiamate di Lexa e dei messaggi di Anya in cui si scusa per non essere riuscita ad avvertirmi per Parker. So che non ha nessuna colpa. Sono solo arrabbiata con me stessa.
«'Giorno dormigliona!», strilla Lexa.
Stringo le palpebre e mi lamento. «'Giorno un cazzo Lexa! Non faremo più niente del genere», brontolo.
La mia amica ride. Sembra stare già meglio o se non lo è sta fingendo di fronte a qualcuno. Temo non sia sola e ne ho la conferma quando la sento parlare con qualcuno, probabilmente la madre di David. «Cosa è successo?»
«L'ho cacciato dalla stanza dopo avere rigettato sul suo costoso cesso», rispondo stendendomi sul comodo letto.
«Io ho discusso con David poi ho dovuto fingere di fronte a quella arpia di sua madre. È stato difficile. Verrai per quel servizio? Mister Marshall ti vuole assolutamente»
Faccio una smorfia. «Non ho più un lavoro e mi servono soldi per pagare l'affitto. Verrò, non posso fare altrimenti», sospiro. Non accetterò mai soldi da lui. Più volte in questi mesi ha tentato di pagare la sua metà visto che conviviamo ma non ho permesso che mettesse i suoi soldi di mezzo. Gli ho permesso di fare la spesa e di aiutarmi con altre piccole spese per le uscite ma non accetterò mai denaro da lui per la mia casa. Un giorno riuscirò a comprarla.
Lexa fa lo stesso. «Ci sentiamo dopo, spera che io non la strozzi o mi verrai a trovare in carcere e ci vedremo dietro un vetro».
Sorrido salutando la mia amica. Sbuffo e chiudo gli occhi mentre massaggio le tempie. Sento bussare alla porta e poi Parker fa capolino con sguardo quasi diffidente. Mai visto così criptico. Ha paura che possa dare di matto? Bene.
«Il pranzo è pronto»
Lo seguo in silenzio in sala da pranzo e mi siedo davanti a lui. Da quanto era dietro la porta? Stava ascoltando?
Per abitudine riempio i piatti e poi assaggio il primo. La pasta è ottima. Se è un modo per farsi perdonare, potrebbe anche riuscirci ma ciò non mi farebbe recuperare un lavoro perso. Il pensiero mi intristisce. Ancora una volta mi ritroverò con il culo per terra. Dovrò rimboccarmi le maniche.
«Ha chiamato mister Marshall, ti invierà la busta paga e un extra per gli ultimi mesi», affonda la forchetta nei rigatoni e mangia per placare il nervoso. Dovrei essere io quella nervosa.
«Va bene», rispondo in tono neutro. Per fortuna ho messo poca pasta nel mio piatto perché non sarei riuscita a mandare altro dentro lo stomaco. So che ci sarà il secondo e tutto il resto ma al momento è meglio se non ingerisco altro se voglio reagire. «Lavorerò con Lexa per un paio di giorni. Il suo capo mi vuole per delle pubblicità.»
Deglutisce e rimane con la forchetta a metà. A sguardo basso continua a mangiare. «Verrò a vederti»
Bevo un sorso di acqua e non ribatto. Prendo i piatti e porto a tavola il secondo. Taglio a piccoli pezzi il filetto di pesce e poi assaggio. Sa cucinare. È davvero bravo in tutto questo ragazzo. Mi stupisce la sua compostezza. Temo che sta trattenendo come me l'istinto di mettersi ad urlare e fare sceneggiate.
«Non ti piace? Vuoi qualcosa di diverso?»
Guarda il mio piatto ancora mezzo pieno. Sto rigirando la forchetta in mezzo al povero pesce. «No, no. È tutto buono ma ho lo stomaco ancora sotto sopra. Sto cercando di mangiare lentamente.»
«Perché hai bevuto in quel modo?»
Temevo questa domanda. Cosa posso rispondere ora? «Ci stavamo divertendo e... abbiamo commesso la cazzata di perdere il controllo.»
«Questa volta era diverso», incrocia le dita.
«Ok, vuoi sentire che mi dispiace? Si, mi dispiace. Non avrei dovuto reagire in quel modo ma avevo perso il lavoro a causa tua e la mia amica ha dei problemi con la sua futura suocera. Abbiamo bevuto e abbiamo pagato abbastanza per il nostro stupido sbaglio.»
Stringe la mano per non farmi scappare. «Io non voglio rovinarti la vita ma devi capire che ci sono volte in cui bisogna prendersi cura della persona che si ama. Si da il caso che io ti ami troppo. Sai che sono protettivo e so di essere stato un po' troppo precipitoso e geloso ma non potevi lavorare ancora in quel posto.»
Gli occhi mi si riempiono di lacrime. «E ora? Cosa dovrei fare? Altri colloqui con gente del cazzo che mi guarda come una fallita? O dovrei rimanere in casa a fare la buona fidanzata e vivere alle tue spalle e sentirmi una completa nullità? Io non sono così Parker, non lo sono mai stata. Non ho mai chiesto aiuto e non mi sono mai fermata. Ho sempre dovuto provvedere per me stessa e avevo un lavoro e mi piaceva. Mi sentivo viva e all'altezza. Ho un cazzo di affitto da pagare che è come un mutuo vero e proprio e non so quando finirò di pagarlo e ora mi ritrovo con il culo per terra e i soldi per il viaggio che avevo messo da parte per noi, si andranno a fare benedire.» Riprendo fiato e singhiozzo sonoramente scrollando le lacrime con rabbia.
Parker ascolta ogni parola con attenzione. Ha lo sguardo attento, passa una mano sul viso chiaramente in difficoltà. «Ti aiuterò io con l'affitto...»
«No, non accetterò i tuoi soldi. Posso farcela. Accetterò ogni tipo di lavoro che mi commissionerà il capo di Lexa. Si fanno tanti soldi con quelle pubblicità.»
Parker non ribatte perché sa che su questa battaglia non vincerà mai. «Prima o poi mi perdonerai».
Lo guardo incredula mentre il suo sguardo si apre in un sorriso mozzafiato. Quel sorriso che non vedo spesso ma so della sua esistenza per esperienza. Mi sta provocando, sa bene come giocare le sue carte quando si tratta di litigare o battibeccare con me. Sa come agire e come reagire ai miei attacchi. Anch'io so come andrà a finire ma sono orgogliosa e testarda per cedere così in fretta. «Non così in fretta».
Prendo l'insalata e la frutta per distrarmi e per non vedere nel suo sguardo quel lampo di sfida. Si sta preparando a rincarare la dose. «Lo so che mi ami!»
Inarco un sopracciglio e rimango con il cucchiaio pieno di insalata per aria. «E con questo cosa vorresti dire? Non riceverai nessun trattamento di favore solo perché sei il mio ragazzo e solo perché conviviamo. Devi meritarlo il mio amore e hai commesso qualche errore.»
Sembra avere ingoiato un limone con tutta la buccia. «Merito e come il tuo amore visto che sopporto i tuoi sbalzi d'umore e continuo a starti accanto nonostante tutto. Sai? Non è facile gestirti». Sembra che sta sorridendo sotto i baffi.
«Non ho mai detto che sarebbe stato facile gestirmi. Nonostante questo tu hai rischiato lo stesso. Sei ancora in tempo per tirartene fuori», lo stuzzico.
Pulisce gli angoli della bocca e beve. «Non credo proprio. Ti amo e ti voglio nella mia vita. Questo mi porta a migliorare le mie tecniche di persuasione.»
«Rischi tutto?»
«Ho imparato a farlo», alza lo sguardo, «che c'è? Non sei mai una persona sicura. Mi sono adattato e ho sempre rischiato per te. Se sei ancora qui con me significa che: uno mi ami, due vuoi stare ancora con me e», mi afferra. Non ho il tempo di reazione. Sono seduta sulle sue ginocchia. «E tre smetterai di tenermi il broncio», tocca le mie labbra con le dita.
Tento di alzarmi ma le sue braccia mi circondano e sono forti. «Quattro: se non mi lasci andare ti becchi il pugno che non ti ho mai dato», replico in tono acido ma la voce si incrina quando il suo viso si avvicina al mio tradendo le mie emozioni e intenzioni. Sorride e continua ad avvicinarsi. «Cinque: se non ricambi il bacio che sto per darti sarò costretto a legarti a me per non lasciarti scappare». La sua bocca si impossessa della mia. Quando si stacca sono stordita. È stato intenso. Domando affannata: «Sai che non basta?»
Allenta di poco la presa. «So solo che sto provando a fare pace con te e a non farti scappare come è tuo solito fare. Sembra che sto avendo successo no?»
Sbuffo alzando gli occhi al cielo e mi rialzo. «Vado a prendere il dolce, sempre che tu ne abbia preparato uno perché altrimenti, sarai costretto a dormire sul divano», lo sfido dirigendomi in cucina. Dentro il frigo trovo una torta al limone. Sorrido e soddisfatta taglio due fette portando i piatti a tavola.
Parker incrocia le braccia soddisfatto. «Lo so che mi ami».
Metto in bocca un pezzo di glassa per non rispondere. Sono ancora arrabbiata con lui ma non posso di certo lasciarlo vincere.
«Ultimamente litighiamo spesso». Sembra contrariato.
«Tutte le coppie passano momenti del genere. È la vita. Non si può sempre andare d'accordo.»
«Si, ma noi stiamo esagerando», porta i piatti in cucina. Lo seguo riordinando la tavola.
«Se tu ti ingelosisci e mi fai licenziare credo sia normale», non riesco proprio a trattenermi.
«Finalmente l'hai detto!»
Inizio a lavare i piatti per distrarmi e per tenere le mani impegnate. Vorrei proprio schiaffeggiarlo. Come fa a baciarmi e poi a ritrovare quella voglia di litigare subito dopo?
«Si, l'ho detto ed è la pura e semplice verità. Io non ti ho mai costretto a non andare ad una riunione perché c'erano delle ragazze che ti sbavavano dietro. Non ti ho mai chiesto di non fare i servizi fotografici o le interviste. Non ti ho nemmeno fatto licenziare. Ti ho sempre lasciato libero perché credo in te e perché mi fido di te.» Asciugo le mani e passo in soggiorno per riordinare. La mia è una mania ormai. Quando sono nervosa o mangio o bevo e commetto cazzate o reagisco mettendo in ordine. «A proposito: mi stupisce il fatto che tu sia rimasto a casa. Non avevi riunioni, partite o altro da fare oggi?»
Blocca i miei polsi costringendomi a guardarlo. «Sono rimasto per te. Vuoi che lo ammetta? Ok, ho sbagliato. Mi dispiace.»
«Quante volte mi rinfaccerai di avere saltato un giorno di lavoro per me?»
«Non lo farò»
«No?», lo guardo con il sopracciglio alzato. Non credo a questa cosa. Troverà un modo per farmi capire a cosa ha dovuto rinunciare per colpa della mia bravata. Questa cosa mi fa ribollire il sangue.
«Dovresti conoscermi», sembra inorridito. «Sai che farei di tutto per te. Non ho mai perso un giorno di lavoro ma per te lo sto facendo e ne è valsa la pena.» Circonda la mia vita con le braccia. «Farei di tutto per te. So che non mi credi perché stiamo litigando ma ti amo e oggi sono rimasto a casa per potere stare vicino alla persona che amo ma che si ostina a vedere il marcio sempre ovunque. Fidati di me per una volta». Alza il mio viso con le dita. «Conviviamo, litighiamo, facciamo sesso, ci divertiamo, ci amiamo. Voglio continuare ancora a fare tutto questo perché sei la mia principessa. Puoi rimanere imbronciata con me ma non cambierò idea su di noi.»
Chiudo gli occhi quando le sue labbra sfiorano le mie prima di baciarmi con molto trasporto. «Mi hai fatto stare male»
«Lo so»
«È stato imbarazzante vederti discutere con il mio ex datore di lavoro per una cosa di cui non aveva colpa».
«Sono consapevole ma sono ancora del parere che tu possa trovare di meglio», afferma con convinzione.
«Dove? In qualche buco di taverna?»
Afferra il mio viso. «Accanto a me»
Tolgo le mani dal mio viso. «Scordalo». Mi incammino verso la camera da letto e inizio a sistemare tutto quello che vedo in disordine.
«Perché? Non ti piaceva lavorare per me?»
«Non accetto perché non voglio passare come la raccomandata di turno e poi senza offesa, voglio farcela da sola ancora una volta.»
Scuote la testa e passa le dita sulle labbra. Un gesto che fa quando sta pensando e trovando una soluzione. «Posso farti lavorare da casa. Pensaci. Ho bisogno di te in ufficio ma potresti lavorare dal computer e mi affiancheresti in tribunale. Farai pratica e nel frattempo troverai un altro lavoro.»
La sua proposta mi interessa parecchio ma non voglio proprio dargli la soddisfazione di controllarmi. «Non credo sia possibile. Non voglio fare la ragazza casalinga in carriera che ti fa trovare la casa pulita e un pasto caldo a cena. Non mi comporterò da mogliettina»
Parker sbuffa. Alza le mani in segno di resa e si lascia ricadere sul materasso. Stringe i pugni sul viso poi scatta in piedi. «Sei una grandissima testona lo sai? La proposta è valida lo stesso. Me ne fotto del fatto che sei troppo orgogliosa per accettare. Non sei mia moglie e per quanto mi piacerebbe che tu lo fossi, sei soltanto la mia ragazza e convivente. Non ho bisogno di vederti in versione casalinga per amarti o per stimarti. Ho bisogno di vederti serena insieme a me.» Sbraita gesticolando nervosamente.
Giro sui tacchi e torno in soggiorno. Mi segue ad ogni passo, in attesa di una mia possibile reazione che non arriva. Siedo sul divano accendendo la tivù. Non ho nessuna intenzione di ribattere e litigare. Sono ancora stordita dalla sbronza presa con la mia amica non posso continuare a discutere anche con lui.
«Una Emma che non ribatte? Sul serio?», avvolge le mie spalle con un braccio per stringermi a sé. Tenta di provocarmi ma rimango zitta e continuo a cambiare canale.
Passano i minuti e le sue spalle si irrigidiscono. Strappa dalle mie mani il telecomando e mi inchioda contro il divano. «Non mi parli?»
«Si che ti parlo», ribatto secca.
«Perché non hai risposto allora?»
«Perché non ho nulla da dire al riguardo. Posso vedere la tivù adesso?»
«No, no che non puoi cazzo!», spalanca gli occhi, «urla, parla, gesticola, strilla, piangi ma non rimanere lì in silenzio».
Batto le palpebre poi torno con gli occhi verso lo schermo. «Ho già detto quello che avevo da dire. Non mi hai ascoltato e hai deciso per me. Se me lo avresti chiesto in modo diverso, ci avrei riflettuto e magari avrei trovato una soluzione.» Scuoto le testa e afferro il telecomando per scegliere un film.
La mia risposta non sembra avere l'effetto sperato. È proprio imbestialito. Vede rosso ovunque. Conosco i suoi modi e non sarà facile ragionare con lui nei prossimi giorni.
«Cazzo, lo so che è stata colpa mia. Sto cercando di rimediare Emma. Non continuare in questo modo.» Si alza dal divano e sparisce in cucina. Sento sbattere gli sportelli. Capisco che è meglio non trattenerlo. Inoltre è nel suo ambiente e non voglio invadere i suoi spazi. Sistemo i piedi sotto il sedere e rannicchiata sul divano continuo a fissare lo schermo. In realtà non sto poi così tanto attenta alla puntata di un telefilm perché rimango in ascolto, in attesa di un rumore che non arriva.
Parker ritorna sul divano con un pacco di patatine e due birre in mano. Posa tutto sul tavolo e sceglie un film. Di punto in bianco afferra i miei fianchi e mi trascina tra le sue braccia. Appoggia il mento sulla mia spalla e fissa lo schermo.
Questo suo strano comportamento, mi destabilizza. Un attimo prima sbraita addosso e uccide con lo sguardo mentre quello dopo sembra avere preso un tranquillante. Non so come comportarmi. Decido di smetterla con questo battibecco. Non siamo bambini. Lui ha agito per istinto io ho fatto di conseguenza. Nascondo il viso tra il suo collo e la clavicola e mi accoccolo. Chiudo gli occhi e inspiro il suo profumo tenue. Sento i suoi battiti in aumento e la sua mano trema leggermente prima di posarsi sulla mia schiena. Con due dita alza il mio mento e le sue labbra si posano vicino alla mia bocca prima di baciarmi e firmare una tregua che con ogni probabilità durerà qualche giorno. Torno nel mio angolino tranquillo e così rimaniamo fino a tardo pomeriggio.
«Vuoi che ti metta a letto?»
Dico di no con la testa. Devo essermi appisolata perché noto che dalla finestra non entra più nessuna luce. Fa caldo in casa ma non mi dispiace il calore che Parker emana e riscalda la mia pelle sempre fredda.
«Vuoi che prepari la cena?»
Rispondo ancora di no. Non ho fame. Voglio solo rimanere così ancora un po' prima che la bolla scoppi e si ritorni al punto di partenza. Quante cose vorrei poter dire in questo momento ma rimango in silenzio e nel mio silenzio provo a trasmettere quei pensieri che continuano a tormentarmi.
«Cosa vuoi?»
«Rimanere ancora un po' così», sussurro toccando il suo petto sotto lo strato di tessuto che lo separa dalla mia mano.
Parker non ribatte. Sembra un momento assorto poi si sdraia comodo e dopo avere stampato un bacio sulla mia testa si rilassa e chiude gli occhi. «Rimanere ancora un po' così», replica lentamente.
Di punto in bianco il suo petto si alza e si abbassa di continuo. Alzo il viso e lo vedo mentre tenta di non ridere. Non riesce nell'impresa.
«Cosa c'è di divertente?»
Tocca la mia guancia prima di strizzarla. «Ti amo»
Avvicino il viso al suo. «E questo ti diverte?»
Scuote la testa e continua a ridere. «No, non questo ma tu.» Prende aria e asciuga con i polpastrelli gli angoli degli occhi. Aggrotto la fronte e tento di capire.
«Mi stai facendo impazzire. Non ho mai dato di matto nella mia vita in questo modo. Tu, tu riesci ad accendere quella miccia Emma. Sei pazzesca.» Sospira, «ci stiamo comportando come dei bambini».
Alzo il mignolo. «Tregua?»
Stringe il mignolo con il suo e avvicina le sue labbra alla mia bocca. «Tregua», mormora prima di baciarmi e sorridere.
N/A:
~ Ma quanto sono dolci Parker e Emma? (Si lo so, sarebbero più belli insieme Emma e Ethan); i due stanno attraversando dei brutti momenti ma come coppia sembrano avere trovato un loro equilibrio. Per una volta Emma ha messo da parte l'orgoglio e ha deciso per se stessa. In fondo non è più la ragazza di New York.
~ Cosa succederà?
~ Cosa starà facendo Ethan?
Ho notato una domanda. Adesso non ricordo chi aveva chiesto di voi chi sia il mio preferito tra Ethan e Parker. Purtroppo non posso essere di parte. Sto scrivendo questa storia e non posso rivelare le mie preferenze. Posso dirvi che amo Parker per ovvie ragioni e Ethan per altre ma non ho una preferenza tra loro. Sono l'opposto, ognuno di loro ha una sua caratteristica.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Scusate per gli errori. Buona serata :* ~
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro