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Capitolo 26


~ Ethan's POV:

Rivedere Emma, mi ha fatto sbandare ancora una volta. Ormai la nostra è una storia piena di lotte continue e rabbia. Non so se sono riuscito a tranquillizzarla l'altra sera. So solo che vederla in quello stato, mi ha fatto stare parecchio male, per lei. Adesso comprendo molte più cose. Lei ama quel coglione. Lo ama così tanto da trascurarsi.
Ho fatto un grosso casino. Ho commesso uno sbaglio imperdonabile chiamandolo quella sera e ora lei sta soffrendo ancora a causa mia.
Non posso rimediare. Non so come fare. Non posso perché non voglio perderla. Non voglio perdere questo strano "noi" che abbiamo ora. La amo così tanto che mi manda in bestia questa situazione snervante.
Sarò anche ripetitivo ma siamo in troppi in questa storia e uno di noi prima o poi dovrà farsene una ragione e spero di non essere io anche perché non posso. Ho ancora tante cose da dire ad Emma. Ho così  tanto da svelarle. Ho bisogno di tempo anche se questo continua a passare inesorabile e ad ingigantire ogni cosa.
Reagirà male quando saprà la verità ma è giusto che lei sappia tutto e decida da sola. Si può amare così tanto una persona?
«Fratellone ci sei?»
Anya mi riscuote mentre infila dentro il carrello due scatole di cereali. Stiamo facendo la spesa per riempire i nostri appartamenti.
«Si dicevi?»
Anya mette le mani sui fianchi. «Non devi farlo! Ti odierà, la conosco!» prende due confezioni di biscotti leggendo gli ingredienti. Per ora è in fissa con i prodotti biologici.
«È già passato troppo tempo. Le passerà...», replico prendendo lo yogurt.
«È cambiata! Non è più quella che perdona. È stanca delle bugie e dei litigi e ha anche ragione su questo. Ha vissuto in modo pessimo per anni e ora che avrebbe dovuto avere una vita migliore...», scuote la testa superando il reparto.
«Senti Ethan sai che ti ho sempre appoggiato su tutto perché ho sempre voluto lei come mia cognata ma hai sbagliato, più di una volta. Ha sofferto e ora ha il diritto di vivere con un ragazzo presente e non con uno che partirà ancora per mesi!» continua a riempire nervosa il carrello.
Le sue parole mi colpiscono a fondo. Anya sa essere sempre diretta. «Mi stai dicendo che devo farmi da parte perché tanto tornerà da me?»
Annuisce. «Conosco Emma», fa cenno di prenderle il pacco di fazzoletti in alto. «Emma ha bisogno di sbatterci con la testa sulle cose. È testarda e ha bisogno di viverle e provarle sulla pelle certe esperienze e se vuole stare con Parker perché crede che sia lui per il momento il suo futuro, tu devi lasciarla decidere senza farle pressioni.» Alza subito la mano per fermarmi. «Non sto dicendo che gliele fai ma sto dicendo che indirettamente trovi sempre il modo di stravolgerle la giornata e ogni certezza. Vedrai che alla fine sceglierà! Lo farà da sola e sarà felice», gesticola.
«Dovrei aspettare che si diverta con quel cretino?» arrossisco dalla rabbia.
Anya ride posando una mano sulla mia spalla. «Dico solo che tu devi rilassarti, finire il tuo lavoro e poi fare programmi veri per il futuro!»
Sbuffo superandola con il carrello. Inizio a scegliere confetture e poi mi dirigo alla cassa. La cassiera inizia a farmi il filo ma quando nota mia sorella in dolce attesa che la fissa in tralice e sdegnata, arrossisce abbassando lo sguardo.
Potrei avere chiunque ma non voglio. Non voglio una persona qualsiasi nella mia vita. Voglio solo la mia Emma. L'unica persona in grado di completarmi.
Non voglio neanche dimenticarla perché dimenticarla significherebbe dimenticare una parte importante di me stesso.
«Per programmi veri cosa intendevi?» sto tentando di non riflettere troppo. Ho bisogno di svagarmi e parlare. Carico la spesa in auto mentre Anya si sistema comoda sul sedile. Attende che io entri in auto e mette in moto.
«Intendo un vero piano per il futuro. Una vera proposta, una vera casa, una vita vera con i suoi pro e i contro», gesticola.
«Dovrei finire e poi accasarmi? Io ho bisogno di essere felice Anya non di programmare queste cose! Ho bisogno di avere lei accanto per essere felice ed è tutto quello che mi serve per sentirmi completo!» mantengo una velocità media anche se ad Anya non preoccupa.
Ridacchia. «Voi due farete impazzire il mondo con la vostra storia. Siete a due passi e non riuscire a stare insieme, vivete lontani e trovare sempre il modo per ritrovarvi. Siete due uragani!», scuote la testa. «Emma è il tuo "fino alla fine", si capisce da come la guardi. Vedrai che prima o poi lo capirà anche lei. Per ora è solo spaventata ed insicura».

Per il resto del viaggio verso il nostro appartamento non parliamo. Ogni tanto le lancio uno sguardo per assicurarmi che stia bene e la vedo sorridere. Fa sempre così quando ha ragione. Io lo so, lo so nel profondo del mio cuore che io ed Emma siamo destinati a stare insieme ma sono insicuro e la gelosia non fa che danneggiarmi. Anya ha ragione. Devo finire il lavoro e poi sistemarmi.
L'aria attorno è fredda è piena di odori. Ormai Natale è alle porte e si respira il clima natalizio come in tutte le città.
Papà non è in casa. È impegnato con il lavoro e sembra entusiasta. Anya mi aiuta a sistemare la spesa poi la obbligo a riposarsi mentre riordino l'appartamento.
Sono sempre stato un tipo ordinato e attento. Forse a causa del mio addestramento militare. Questo avrà influito sul mio comportamento. Inoltre è bello vivere in un ambiente ordinato anche se mio padre mette sempre a dura prova i miei nervi e la mia scarsa pazienza.
Preparo due tazze di cioccolata calda portandone una ad Anya con dei biscotti. La sua pancia cresce di giorno in giorno. Sono emozionato e non vedo l'ora di vedere la mia prima nipotina e poterla tenere tra le braccia. Sono sempre stato bravo con i bambini. Un po' meno con mio fratello Tommy forse perché mi ricorda me da piccolo prima di cambiare.
«Secondo te accetterà un giorno la mia proposta?»
«Di viaggiare e poi mettere radici?» Anya ci riflette poi sorride. «Hai davvero bisogno di una risposta e di questa certezza?»
Passo una mano sul viso mentre dalla porta entra Mark. Anya si alza correndo ad abbracciarlo. Per fortuna da quando si sono sposati non hanno più litigato. Battibecchi a parte sono una bella coppia.
«Ti ha dato il tormento?» le domanda prendendomi in giro come se non fossi nella stanza.
Anya ridacchia mentre torna a mangiare biscotti. «Abbiamo chiarito un paio di cose in realtà», replica serena.
«Ah si? Tipo che ha la testa sempre e solo su una persona da quando tu sei scappata dalla gara lasciandola nelle mani di uno sconosciuto che "casualmente" era tuo fratello?»
Anya riflette sulle parole di Mark mentre io passo una mano sul viso. È vero anche se il destino mi ha fatto conoscere prima Emma, prima o poi avrei dovuto affrontare i suoi occhi. Magari le cose sarebbero andate diversamente. Magari quando le ho dato la mano non avrei mai provato quel senso di appartenenza a qualcuno come è successo quella notte. Avevo il cuore a mille e più la vedevo spaventata, insicura e chiusa più avevo voglia di proteggerla e tenerla ancora un po' con me. Il mio cuore sapeva già che era speciale. Non sapeva però che lei sarebbe diventata il mio tormento.
«Quindi ora è colpa mia se lui le ha dato un passaggio quella notte?» Anya fulmina con lo sguardo Mark che ride. Affronta sempre in modo sbagliato mia sorella. Lei è triste lui ride. Lei è felice lui è nervoso. Si completano.
«Diciamo che tutto ha avuto inizio da te», replichiamo io e Mark all'unisono.
Anya alza gli occhi al cielo. «Ok, ok! Adesso preparo la cena.»
Vado a fare una doccia poi aiuto in cucina Mark e mia sorella.
«Con chi stai parlando?» domando curioso.
Anya alza gli occhi dallo schermo prima di ghignare digitando una risposta. «Ho chiesto a Lexa se sa dove si trova Emma oggi perché non sono riuscita a rintracciarla»
«Quindi?» domando piegandomi sul bancone con i gomiti.
«È ad una cena di lavoro. Mi ha anche detto che Emma per ora è evasiva ed esce spesso all'alba ma anche di notte. Teme ci sia un altro ragazzo di mezzo...»
La guardo di scatto e lei ride. «No, non un altro!»
Anya fa spallucce. «Magari è come Eric e lei ha solo bisogno di parlare con qualcuno che non sia Lexa o io. Io e lei siamo un po' di parte non credi?»
«Si, ok! Ceniamo?»
Papà arriva con il suo carico di lavoro e progettazioni. Nel vederci sorride e ci godiamo tranquilli la cena.
«Oggi è stato sfiancante dovere spiegare a dei novellini come si avvita un bullone!»
Ridiamo. «Ma tu hai avuto la pazienza necessaria per non urlargli contro», replica Mark.
Papà lo indica con la forchetta come per dire "si, hai ragione".
«Quando ti trasferirai definitivamente?» alza gli occhi da sopra le lenti con la montatura nera.
«Quando avrò finito un ingaggio di tre mesi. Mancano solo due persone all'appello. Ormai è fatta!» porto i piatti in cucina.
«Mi aiuterai?»
«Prima voglio viaggiare per un paio di settimane e dopo deciderò se godermi la pensione per il mio operato o continuare a lavorare»
«E crearti una famiglia!» Anya bacia Mark poi tocca la sua pancia.
«Può darsi», borbotto.
Dopo cena mi richiudo in camera. Ho bisogno di un momento per rilassarmi. Purtroppo i pensieri sono sempre quelli e non basterà una promessa a farli svanire perché abbiamo tutti bisogno di una certezza.
Mi stendo sul letto e fisso il soffitto. A poca distanza, dentro una scatola, tengo tutte le lettere che fino ad ora ho scritto per lei. Spero un giorno di fargliele leggere. Spero che un giorno lei possa comprendere il mio amore incondizionato.

"I'm unstoppable
I'm a Porsche with no brakes
I'm invincible
Yeah, I win every single game
I'm so powerful..."

«Emma?»
Singhiozza sonoramente e il mio cuore rischia di scoppiare dentro la gabbia toracica. «Non ce la faccio. Non riesco a muovermi
«Cosa? Che significa? Dove sei?» scatto in piedi allarmato. Il suo tono di voce non mi piace affatto. Solo due volte l'ho sentito una delle quali sono stato costretto a portarla via da New York.
«In auto, non riesco...», replica senza fiato.
Non riesco a trattenermi. Sono già in corridoio con il cappotto in mano. «Cazzo! Dimmi dove sei. Concentrati Emma, dimmi dove sei!», strillo agitato.
Mark, Anya e papà arrivano accanto a me preoccupati.
Sento in lontananza un trambusto. Un clacson e lei che urla spaventata. La immagino rannicchiata, in lacrime e il mio cuore si contrae ancora. Barcollo appoggiandomi con la schiena contro il muro. Adesso cosa faccio? Perché si è messa alla guida?
«Emma sto arrivando ok? Ci sono io. Dimmi solo dove sei!»
Riesce a bisbigliare il posto. Interrompo la chiamata. Spiego velocemente la situazione in casa avvertendoli che la porterò all'appartamento e poi corro fuori rifiutando il passaggio di Mark. Devo affrontare io Emma. Devo vederla solo io in quello stato. Io la conosco e se ha chiamato me è solo per questo, perché sa che io la conosco più di chiunque altro.
Prendo un taxi sbraitando il posto e spero che il tassista aumenti la velocità. Ad un certo punto mi metto ad urlargli di premere sull'acceleratore perché è importante e che pagherò il doppio. Non se lo fa ripetere e finalmente superiamo la città.
Ho i nervi tesi. Ho paura di rivedere quel viso perso nel vuoto. Paura di non riuscire a salvarla di nuovo dal tunnel buio delle sue insicurezze.
Quando il taxi si ferma, pago il tassista ringraziandolo e scusandomi per i modi poi corro verso l'auto ferma in mezzo alla strada. Spalanco la portiera e senza riflettere la tiro fuori stringendola contro il mio petto. Inizio a baciarle le guance e il viso. Inspiro più volte il suo profumo sentendomi subito a casa. «È tutto ok! È tutto ok piccola! Ci sono io! Sono qui piccola, sono qui.» Agitato la stringo più forte contro il mio petto. Il mio cuore galoppa all'impazzata. Emma non si muove. È così rigida e spaventata. La faccio sistemare sul sedile del passeggero, allaccio la cintura e poi mi metto alla guida del suo bolide. Faccio inversione di marcia e premo sull'acceleratore con furia. Sbatto i palmi contro e impreco incapace di trattenermi. Perché si è messa in pericolo? Perché?
Capisco che devo calmarmi almeno davanti a lei e mi rilasso moderando la guida. Qualcosa mi dice che Parker ha fatto la sua parte.
Dopo vari giri, trovo un posteggio e finalmente esco dall'auto. La prendo in braccio e la porto nel suo appartamento. Avrei voluto portarla a casa ma so che si sarebbe sentita a disagio. Apro la porta e la sbatto con un calcio. Sistemo Emma sul divano in cui si rannicchia sistemandole un plaid sopra. Faccio un profondo respiro, tolgo il giubbotto di pelle e mi sdraio dietro abbracciandola e stringendola contro il mio petto. Accarezzo il suo viso e provo a farla sentire al sicuro.
«Volevo solo fare un giro», trema visibilmente. «Volevo sentirmi meglio...»
«Sei a casa piccola. E' quello che conta. È tutto ok!», sussurro baciando la sua testa. La sistemo contro il mio petto e sospiro.
Chiude gli occhi e piange silenziosamente fino ad addormentarsi.
La fisso mentre ad occhi chiusi raggiunge un posto lontano a cui io non ho di certo accesso. Mi perdo nei lineamenti del suo viso, nel colore chiaro della sua pelle che lascia intravedere sui polsi e in alcuni punti le sue vene. È così piccola. Così fragile. Ora più che mai sento il bisogno di portarla via da questo posto. Ora più che mai ho bisogno di proteggerla.
Mi si stringe il cuore per lei. Lei che ancora una volta è riuscita ad attraversare l'inferno e ad uscire con qualche ammaccatura. Lei che continua a lottare per avere il suo lieto fine. Lei che in pochi mesi è diventata il mio tutto.
Sfioro delicatamente le sue guance e le sue morbide labbra. Sorrido come uno stupido. Posso toccarla perché è lei a volerlo e posso starle accanto perché mi ha permesso di portarla al sicuro.
Mi sento come un ragazzino. È stupido ma sono innamorato perso di questa ragazza. Un giorno staremo insieme e tutto andrà bene.
«Andrà tutto bene piccola», sussurro. «Io e te staremo insieme e nessuno potrà più dividerci», sorrido.
«Sai? Sto mettendo da parte un po' del tuo respiro, un po' del tuo profumo, un po' del tuo dolce sorriso per quando saremo lontani e mi mancherai tremendamente. Ma, io lo so che torneremo insieme perché io e te siamo un "noi". Lo siamo da sempre. Lo siamo da quella notte. E ti dirò tutta la verità e mi perdonerai perché mi ami come io amo te.»
Faccio un grosso sospiro. «Non ti prometto che sarà tutto semplice. Non posso perché sappiamo entrambi che insieme siamo come le calamità naturali. Ma, io sono qui e sarò qui quando sarai pronta. Sarò qui quando vorrai rischiare insieme a me.» Accarezzo la sua guancia. «Io ti prometto che ci sarò. Ci sarò anche se non mi vorrai al tuo fianco. Non importa il come o il dove ma tu mi troverai sempre perché ti amo», sorrido in modo triste. Chissà se riesce a sentire anche uno solo di questi sussurri pieni d'amore. È come se le stessi scrivendo.
Mentre mi perdo tra i pensieri e le immagini di un futuro tranquillo, sento dei colpi alla porta.
Facendo attenzione a non svegliarla mi alzo. Deposito un bacio sulla sua tempia e poi mi avvio alla porta.
Mi ritrovo davanti Parker. Sembra disperato. Avevo quello sguardo anch'io in quei mesi?
Mi spinge puntando verso il divano. «Ti prego fammela vedere!»
Se la sveglia lo ammazzo. Mi paro davanti sbarrandogli la strana. «Non un passo in più!» ringhio a bassa voce stringendo i pugni in vita. Non so se riuscirò a trattenermi.
Parker passa una mano sul viso arrossato. Sembra che abbia appena litigato con il mondo. Se mi provoca risponderò con gli extra.
«Ti prego, ho bisogno di parlare con lei!» ringhia tentando di mantenere il controllo.
Contraggo la mascella. «Sta dormendo. Torna quando vorrà vederti», lo spingo verso la porta che inevitabilmente sbatte.
Entrambi tratteniamo il fiato.

Continua...

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