Capitolo 13
Guardo fuori dalla vetrata e sorseggio il mio te' caldo. Oggi fa un po' freddo e fuori è arrivato un brutto acquazzone. Odio la pioggia. Non riesco a sorridere, sono un po' come il tempo. Sospiro rispondendo al telefono prima di sistemarmi davanti al computer e sfogliare le varie foto che mi hanno fatto nell'ultimo servizio fotografico. Sembro così diversa.
Oggi Lexa sembra pensierosa. Quando le ho chiesto se va tutto bene ha risposto che ne parleremo dopo in modo alquanto secco e sbrigativo. Quando le ho raccontato della novità di Anya è rimasta attonita e non ha fatto nessun commento dei suoi. Solitamente sprizza allegria da tutti i pori e ogni occasione è buona per una battuta e una risata. Non so cosa non va, non riesco a sopportare di vederla così triste.
Mi avvicino a lei porgendole del caffè. Scosta la tazza disgustata. Aggrotto le sopracciglia. «Mi dici cosa succede?»
Morde il labbro e alza lo sguardo. «Usciamo da qui?» domanda quasi disperata.
La seguo turbata e agitata. Sembra spaesata. Lexa non è solita essere così nervosa e pensierosa. Ricordo ancora i primi giorni dallo psicologo e rabbrividisco. Spero non sia quello che penso perché altrimenti dovrò aiutarla a rialzarsi e non sarà tanto facile.
Prendiamo posto in uno dei tavoli del ristorante e ordiniamo un dolce come scusa per allontanare la cameriera in fretta e potere parlare.
«Ho un grosso problema da risolvere», inizia agitata. Le tremano le mani sul tavolo e fissa il piattino con il dolce giocando con lo zucchero a velo spolverato sopra.
«Spara! Risolviamo subito questo dilemma così puoi tornare la Lexa di sempre. Oggi sei intrattabile e non voglio vederti così. Mi manchi.»
«Lo so, mi dispiace. Non so nemmeno se potrò risolvere questa cosa vista la gravità», si guarda attorno e avvicina il viso per bisbigliare. «Prometti di non urlare? Di non intristirti? So che ti sentirai male ma non voglio. Forse è per questo che ho cercato di temporeggiare. Per questo ho cercato di evitare ma, tu sei la mia amica e non posso non parlarne con te. Dovrebbe essere una cosa bella invece sono nel panico più totale...», balbetta.
«Lexa, fai un grosso respiro e dimmi di cosa si tratta. Mi sto preoccupando e non voglio vederti così giù di corda. Mi fa stare male, lo sai...» stringo le sue mani e le rivolgo un sorriso dolce per rassicurarla.
Lexa libera una mano iniziando a cercare qualcosa dentro la borsa. Estrae un flacone e me lo passa lanciando sguardi ovunque. Morde il labbro guardandomi come se volesse una conferma. Fisso il test interdetta e poi guardo i suoi occhi. Sospiro posando una mano sul petto. «E io che pensavo che avessi fatto rientrare tuo padre nella tua vita e ti avesse chiesto altri soldi per pagare i suoi debiti di gioco!»
Lexa sorride timida. «Lo so, ho esagerato ma solo perché non volevo turbarti o ferirti. So che questo tema è abbastanza delicato per te.»
«Sarai mamma Lexa, è una bella notizia. Non puoi pensare subito a me perché ho passato quel che ho passato. Sei la mia migliore amica e come ci sei stata per me io ci sono e ci sarò per te. Allora? David lo sa?»
Lexa riposa il flacone dentro la borsa sollevata. «Si, è molto felice. Sta già organizzando la nostra vita insieme. Ti rendi conto? Ho sempre pensato che saresti stata tu la prima a crearti una famiglia e invece...», scoppia in lacrime interrompendosi.
Le sorrido e la abbraccio. «Andrà tutto bene tesoro.»
Dentro me, ho una sensazione dolorosa. Una fitta potente e continua. Sto trattenendo a stento le lacrime e lo sto facendo per lei. In così poco tempo, due delle mie migliori amiche, sono rimaste incinte e creeranno le loro famiglie con due uomini che le amano davvero. Io me ne starò invece in un angolo a sorridere e gioire per loro sinceramente anche se dentro avrò sempre un dolore sordo che si farà sentire solo a causa del passato.
«Sicura di stare bene?» domanda ancora mentre rientriamo in agenzia.
Annuisco e separandoci mi richiudo nel bagno scoppiando in lacrime. Era inevitabile. Sono felice per le mie amiche davvero, ma sono anche triste per la mia vita che ha preso ancora una volta una brutta piega. Singhiozzo sonoramente e tappo la bocca quando sento la porta richiudersi e delle modelle chiacchierare tra loro spettegolando. Per fortuna non si accorgono di me. Piango silenziosamente seduta sul water con la testa appoggiata al muro. Sento tanto freddo, dentro le ossa, sul cuore. Rimasta sola esco dal bagno e sciacquo il viso, ripulendo tutto il trucco. Faccio un grosso respiro e torno a lavorare.
Passano due ore circa quando Lexa si avvicina. «Non eri truccata?», sembra turbata ma il suo umore è salito nettamente. Aveva paura per me, di una mia reazione ma sono rimasta tranquilla di fronte a lei. Non voglio darle alcuna preoccupazione.
«Si»
«E perché sei struccata?»
«Il mascara mi dava fastidio e l'ho tolto. Mi bruciavano gli occhi.» Apro il cassetto per evitare il suo sguardo e frugo senza motivo.
«Prova il mio», mi porge il suo mascara.
«Preferisco non metterlo oggi. Ho gli occhi irritati.»
Prima che possa rispondere una delle ragazze si avvicina. «C'è il modello per te Emma. Devo farlo entrare?»
«No. Digli che non ci sono.»
«Ha detto di dirti di non usare scuse banali perché sa che ci sei.»
Lancio uno sguardo a Lexa e abbattuta mi dirigo verso l'entrata. «Non ho tempo da perdere Parker», sospiro.
«Ti ruberò solo un paio di minuti se non parti subito in modo aggressivo.»
Incrocio le braccia e attendo che parli ma si avvicina pericolosamente e la sua mano tocca subito la mia guancia. Il suo sguardo da sereno si incupisce e la sua fronte si aggrotta. «Hai pianto?»
«No», lancio uno sguardo allarmato attorno. Spero non ci sia Lexa dietro perchè altrimenti sono fritta.
«Quando piangi di solito i tuoi occhi cambiano colore e oggi li hai un verde acqua. Perchè hai pianto?»
Noto Lexa vicina. «Non ho pianto, ho solo provato un mascara sbagliato e mi bruciano gli occhi. Allora? Perchè sei venuto?»
Parker continua a guardarmi turbato e sospettoso. «Devi farmi un grosso favore»
Spalanco gli occhi e indietreggio. «Io? Un favore a te? Mi prendi forse in giro?»
«Non te lo chiederei se non fosse necessario.» Parla tra i denti.
«Non ho tutto il giorno», sbuffo.
Lexa lo saluta chiedendo se va tutto bene. Annuisco e si dilegua. Abbasso le spalle.
«C'è una serata, con i capi e colleghi dell'ufficio. Sei invitata e non puoi dire di no. Sto cercando di riconquistare la tua fiducia e questa credo sia una buona occasione.»
Prendo l'invito ma non apro la busta. «Perchè dovrei venire?»
«Perchè non tutti sanno che ci siamo lasciati e ci sarà il mio unico capo che vuole conoscere la donna che mi ha fatto perdere la testa. Ti prego Emma.»
«E quando sarebbe questa serata?», domando balbettando.
«Domani»
Spalanco gli occhi e la bocca. «Non posso. Anche se dovessi accettare non avrei nulla da mettermi e in meno di un giorno non è possibile.»
«Penserò a tutto io. Tu dovrai solo farti bella più di quanto non sia già e farmi da accompagnatrice. Ci divertiremo.»
Rifletto un momento. Apro l'invito e fisso il foglio incapace di alzare gli occhi per incontrare quelli di Parker impalato e in attesa di una mia risposta. Forse questo può essere un inizio? E' un tentativo di redimersi?
«Ok», giro sui tacchi e torno dentro.
Arrivo a fine giornata sfinita psicologicamente. Lexa ha trovato il modo di trascinarmi in alcuni centri commerciali per scegliere qualcosa di nuovo da indossare. Per intenderci: vestiti premaman. Ho trattenuto a lungo le lacrime mentre guardava la sua pancia con un sorriso dolce e accarezzava la sua pelle come se stesse sfiorando il viso del suo bambino. Lei è convinta che sia femmina. Anch'io in parte coinvolta ne sono convinta.
Mi getto sul divano con le mani sul viso e provo a rilassarmi. Qualcuno bussa alla porta e quando vado ad aprire trovo un fattorino con delle scatole colorate in mano.
«Per lei signorina. Arrivederci!»
Richiudo la porta con il piede sedendomi nuovamente in soggiorno. Apro le scatole e trovo un abito lungo meraviglioso, di un blu scuro che sembra quasi nero con un corpetto tempestato di punti luce. Tacchi alti argento e in una scatola dei cioccolatini e un biglietto.
"Non so se accetterai quest'ultimo dono ma so che ami il fondente e non ho saputo resistere al negozio di dolciumi che ami tanto. Spero sia tutto di tuo gradimento. Ci vediamo domani sotto casa alle 20:00. Grazie per avere accettato. Per me significa tanto.
-Parker."
Alzo gli occhi al cielo e lasciando tutto sul piccolo tavolo tranne i cioccolati, mi dirigo in camera. Seduta con la schiena contro la testiera del letto, leggo un libro e mangio la cioccolata mentre la mia mente viene divorata dai molteplici pensieri.
*******
Spruzzo due gocce di profumo guardandomi poi allo specchio. Ho intrecciato i capelli e li ho lasciati morbidi lateralmente. Ho messo abbondante mascara per rendere le ciglia ancora più lunghe e indossato il meraviglioso abito blu che mi sta perfetto addosso. Sistemo lo scialle sulle spalle e prendo la borsetta. Sono parecchio nervosa per questa strana uscita. Non so cosa aspettarmi, non so come comportarmi. So solo che ancora non riesco a lasciarmi andare con la persona con la quale sono stata bene in questi mesi.
Come d'accordo scendo al piano di sotto e trovo Parker appoggiato all'auto. È bellissimo nel suo smoking dello stesso colore del mio abito. Penso lo abbia anche fatto apposta. Se non fossi arrabbiata correrei subito da lui gettandogli le braccia al collo e baciando le sue labbra morbide. Mi riscuoto dalla strana fantasia. Rimane di stucco nel vedermi e si complimenta. Arrossendo abbasso la testa, assumo un comportamento rigido, rifiuto i convenevoli ed entro in auto. Sono ancora molto arrabbiata con lui e trattarlo male o rispondergli a tono, è inevitabile e automatico. Solo chi viene deluso tante volte può capire cosa significa sentire quella strana rabbia che lacera l'anima lentamente.
Rimango distante per tutto il viaggio e lui non sembra affatto turbato dalla mia freddezza. È molto tranquillo e la cosa non mi piace affatto. Continua a fissare fuori dal finestrino mentre l'autista ci porta alla serata.
Arriviamo in una grossa villa illuminata e maestosa. Superati una serie di alberi la macchina si ferma di fronte all'enorme portone in legno scuro. L'autista apre la portiera ed esco senza attendere aiuto. Parker si affianca porgendomi speranzoso il suo braccio. Rigida lo accetto e camminiamo diretti all'entrata.
La sala è enorme e gremita di gente rumorosa. Inizio a sentirmi a disagio quando molti dei presenti si voltano a guardarci. Sono quasi tutti uomini d'affari con le loro mogli. Io mi sento una stronza infame accanto ad un ragazzo meraviglioso come Parker. Mi ritrovo a stringere la presa sul suo braccio mentre saluta con dei cenni del capo e mi conduce verso il rinfresco. La musica lenta si diffonde per tutta la sala grazie alla piccola orchestra. Mi viene offerto un calice e mando giù lentamente l'alcolico. Le bollicine bruciano passando per la gola e mi fanno distrarre mentre Parker saluta un uomo basso, pelato, con gli occhiali, dal sorriso coinvolgente e dall'umorismo eccessivo.
«Lei deve essere la tua dolce metà», la voce dell'uomo è bassa e da un senso di raffinatezza.
«Si, le presento Emma signore» Parker arrossisce guardandomi mentre l'uomo afferra la mia mano e posa un casto e delicato bacio sul dorso.
«Incantevole, davvero incantevole. Tu devi essere la ragazza che riesce a tenere testa a questo ragazzone d'oro eh?»
Il suo sguardo mi fa arrossire. Annuisco con la testa e lancio uno sguardo alla sala dove parecchie coppie stanno iniziando a ballare.
«Come riesce a trattenerlo?»
«Comportandomi in modo autoritario. Non vuole darlo a vedere ma ha paura di me!», getto così la battuta e l'uomo scoppia in una fragorosa risata facendo voltare alcuni uomini vicini. Parker mi guarda con un sorriso dolce sulle labbra e gratta la tempia.
Per fortuna chiamano l'uomo e si allontana da noi. Parker si avvicina e mi porge un altro bicchiere. «Ho paura di te eh?»
«Probabile visto che non sei venuto alla mia laurea.» Mi allontano ed esco verso il balcone. Una coppietta si sta dando da fare e non notano la mia presenza. Per non disturbarli mi sistemo dietro la fontana che manda spruzzi freschi ad intervalli.
Vengo afferrata per la vita e girata con impeto. Parker ha gli occhi infuocati e vengo attraversata da un brivido lungo la schiena. Deglutisco e provo a scostarmi ma la sua presa è ferrea. Se non lo conoscessi potrei averne paura. «Sei ancora arrabbiata e lo capisco e mi sta anche bene ma non puoi scappare, non puoi continuare a tenermi il muso anche quando ti chiedo un fottuto favore. Puoi almeno sforzarti di provare qualcosa per me?»
«Quanto è importante questa serata per te? Più di me?», domando a mia volta incrociando le braccia.
«Non rispondere con un'altra domanda! Sei proprio incorreggibile Emma. Sul serio...», sbuffa staccandosi da me nervoso. «Non sono qui per la serata o per farmi vedere. Sono qui perché volevo passare del tempo con te visto che non me ne dai modo. Sei cocciuta e continui a non capire e a non apprezzare i miei tentativi di fare tutto con calma per riconquistarti.» Sbraita dilatando le narici. «Torno dentro, fa quello che vuoi», scrolla mano e a grandi falcate sparisce.
Rimango di sasso mentre continuo a fissare la figura che si allontana da me. Questa volta sono proprio stata cattiva e insensibile. Cosa mi è passato per la mente?
Dopo un paio di minuti, alzo l'abito e torno dentro. Mi guardo attorno e noto Parker intento a parlare con un gruppo di uomini. Le loro donne stanno spettegolando ad un tavolo vicino. Mi siedo dopo avere chiesto se posso accanto a loro e scambio di tanto in tanto qualche parola. Due occhi chiari mi si puntano addosso mentre provo ad apprezzare la serata e il suo tentativo di riconquista. Sono stata davvero pessima e inizio a sentirmi in colpa.
Una delle donne mi domanda come ho conosciuto Parker e poi riconoscendomi dalle pubblicità inizia a chiedere come riesco a gestire tutta la fama e il successo senza impazzire. Rispondo che in realtà sono molto timida e non amo atteggiarmi cosa che invece ognuna di loro farebbe. Oltre allo sfoggio di ricchezza e successo, qui dentro non vedo nient'altro. Quando le donne si alzano tutte per andare a ballare, io mi sposto vicino a Parker e quando mi passa un bicchiere ringrazio timida.
«Ti va di ballare?»
Accetto senza ribattere e quando posa le sue mani calde sulla mia schiena nuda porto le mie attorno al suo collo intrecciando le dita. Ondeggiamo lentamente guardandoci negli occhi. Mi fa fare una giravolta attirandomi di nuovo a sé. Trattengo il respiro e sento caldo. I suoi occhi ardono e il suo viso si abbassa. Sfiora con il naso il mio e sorride in modo dolce. «Mi manchi», sussurra.
Mi sale la pelle d'oca. Mi allontano di qualche centimetro incapace di aprire la bocca. Non so cosa sto provando, so solo che sono piena. Sono state giornate intense. Prima le mie due mie amiche incinte ora Parker e le sue pretese. Mi sento sopraffatta e a breve se non mi calmerò darò di matto. Ho un nodo di sentimenti che fanno a botte dentro al cuore. Sentimenti che fanno stare male e mi fanno anche paura.
«Mi dici perché hai pianto ieri?»
Perché sono una stupida e nella vita non merito niente. Vedere le mie amiche felici e piene di aspettative per il futuro mi ha fatto soffrire perché non ho più un punto fermo alla quale sostenermi. Vorrei tanto potere rispondere ma scuoto la testa e mento. «Ho avuto una reazione al mascara, te l'ho detto.»
Parker annuisce pur non essendo convinto e continuiamo a ballare. «Grazie, per essere venuta.»
«Ringraziami tra poco quando mi riaccompagnerai a casa.» Brontolo.
«Chi ti dice che io voglia riaccompagnarti a casa?», il suo viso è serio. Nessuna traccia di ilarità nel suo tono di voce.
«Lo dico io perché ti ho già concesso abbastanza tempo per oggi», mordo subito la lingua ma non mi scuso.
Parker sembra essere stato colpito e il suo viso si indurisce. «È così allora? Mi offrirai solo un po' di tempo per farmela pagare? Ti vendicherai così?» Stringe la presa sulla mia schiena schiacciando il mio corpo contro il suo. Le sue labbra a pochi centimetri dalle mie. Sono senza fiato.
«Si, penso proprio di sì. Quindi devo essere a casa a mezzanotte, come Cenerentola», rispondo in fretta passando il palmo sulla sua spalla per lisciare il tessuto.
Muove leggermente i fianchi a basso di musica e mi sento avvampare. Stringo la presa sul suo collo e ricambio durante il ballo. Schiude leggermente le labbra e chiude le palpebre inspirando. La tensione sessuale è alta tra di noi ma la mia costante rabbia e confusione, continua a mantenermi lucida e non mi permette di cedere alla tentazione.
«Allora sarà meglio andare ora, se non vuoi trovare traffico.» Senza attendere mi trascina fuori ed entriamo in auto. «Sicura di volere andare a casa?», domanda dopo un momento di silenzio interrotto solo dal nostro respiro e dai rumori esterni.
«Si, voglio tornare a casa»
La sua mascella si contrae e stringe il pugno sulla gamba. Sbottona la giacca e allarga la cravatta accaldato dalla rabbia per la piega che la serata ha preso. Ordina all'autista di lasciarmi davanti al palazzo in modo secco e autoritario.
Apro bocca per parlare ma alza la mano per mettermi a tacere. «Non ho bisogno delle tue scuse o della tua pietà. Sei una fottuta stronza. Nonostante io sia arrabbiato non posso non ammettere di essere attratto come una falena dalla luce che emani e dalla tua bellezza mozzafiato. Ti lascerò dove vuoi, me ne farò una ragione», picchia il pugno leggermente sul sedile e stringe i denti togliendosi la cravatta e sbottando la camicia.
Deglutisco e domando all'autista di non fermarsi all'appartamento ma Parker ribatte che se voglio andare da qualche altra parte, guiderà lui e dovrò chiederglielo gentilmente. Accetto e ci fermiamo sotto casa sua. Saluto l'autista mortificata per la scenata a cui ha appena assistito ma credo sia abituato con un capo come Parker e poi entro in auto.
Parker si mette al volante e domanda dove portarmi. Decido per un posto tranquillo e distante. Ho tanta voglia di riflettere e prendere una decisione. Sono proprio al limite, per tutto.
Quando arriviamo, esco dall'auto e guardo la città in basso. Le luci che si fondono, i segnali degli aerei notturni nel cielo. Sospiro alzando le braccia ma non mi sento affatto libera. Al contrario sto soffocando.
Parker accende lo stereo ed esce dall'auto. Mi afferra per la vita, attende che io tolga le scarpe e iniziamo a ballare in mezzo al nulla. Mi stringe contro il suo corpo caldo, statuario, forte. Mi fa fare un casquet e rimaniamo sospesi a guardarci. I miei battiti in continuo aumento sotto il suo sguardo rovente.
Chiude gli occhi e inspira il mio profumo mentre mi abbraccia cogliendomi alla sprovvista. «Voglio fare l'amore con te, sentire il tuo profumo addosso al risveglio, le tue labbra al gusto menta o al sapore di popcorn caldi. Voglio tornare come eravamo prima di tutto questo, una piccola squadra.» Solleva i miei glutei costringendomi ad alzarmi sulle punte e ad ansimare. «Lo so che lo vuoi anche tu e so anche che provi qualcosa per me e per un altro. Non mi arrenderò...», sussurra affannato. Mi porta sul paraurti e si sistema in mezzo alla mie gambe confondendo i miei sensi con il suo profumo tenue ma deciso. Ogni mio nervo si tende mentre sfiora il mio collo con le labbra. «Lo so che cosa provi...», preme la mano sulla mia schiena e istintivamente allargo le cosce mentre scivolo contro di lui senza fiato. «Baciami», ordina deciso.
Adoro quando fa il prepotente ma non voglio cedere e resisto alla provocazione. Mi farà impazzire se continuiamo in questo modo. «No»
«No?», morde sotto l'orecchio e gemo senza controllo. Mi rimprovero per essere così debole e inizio a sentirmi in colpa e una poco di buono.
«No?», ripete e questa volta infila la mano sotto la gonna e le sue dita premono sotto lo strato delle mutandine.
«No!», stringo le cosce e spingendolo mi rialzo barcollando.
«Un bacio potresti anche darlo...», fa il finto broncio.
Alzo gli occhi al cielo e strillo quando afferra ancora deciso i miei fianchi. Il bacio scatta ed è travolgente. Mi stacco parecchio sconvolta ma non me lo lascia fare perché mi riafferra.
«Cosa provi?»
«Lo sai», rispondo a fatica mente lotto contro il suo fisico palestrato.
«No, non lo so da un mese ormai», abbattuto, arrabbiato, sfinito, si allontana come scottato.
Questo suo atteggiamento mi confonde. Salgo in auto e rimango in silenzio fino a casa. Sbatto lo sportello e salgo al piano di sopra quasi correndo. Sono agitata, non riesco a capire, non riesco proprio a decidere. Scoppio in lacrime e dopo avere aperto la porta, prendo il telefono e chiamo l'unica persona che in questo momento ho davvero bisogno di sentire.
Continua...
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