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Libro 3: 11) Segatura con sugo

Tralasciando le minacce passive-aggressive della mia ex, devo dire che, dal giorno del mio compleanno, le cose migliorarono sempre di più. Eravamo entrati nel pieno delle lezioni del secondo semestre ed oramai vivevo all'interno dell'università. Un po' per paura che Andrea mi staccasse la testa con un machete alla mia prima distrazione, un po' perché avevamo un orario di lezioni impossibili. Dalle 7 fino alle 17 ricevevamo i vari professori di immunologia, patologia clinica e generale, di microbiologia e di molti altri ancora. Mentre dalle 17 in poi rimanevo in biblioteca a studiare o a scrivere qualche pagina del mio libro. Cosa ci trovo di tanto positivo in tutto ciò?

«La figa!»

La risposta era alquanto semplice. Non passavo un solo momento senza ricevere o mandare messaggi a Mirtilla durante le lezioni. In più ci incontravamo sempre per andare a mensa insieme e per studiare in biblioteca. Nonostante alla fine ritornassi stremato a casa, ero contento e spensierato, sebbene non avessi più la compagnia di Andrea o di Daniela. Quest'ultima non la vedevo manco più a causa del suo tirocinio e delle lezioni che iniziavano a diversificarsi. Come ben sapete, nel primo semestre avevamo molte materie in comune da studiare, quindi l'università ci aveva accorpato con le ostetriche per i primi mesi. Ora che le materie in comune erano solo due, la intravedevo solo per un paio d'ore e poi scompariva senza lasciare alcuna traccia di sé. Mi dispiaceva tanto aver messo fine alla nostra amicizia, ma non sarebbe stato corretto stare con lei. Soprattutto perché ora nei miei pensieri c'era solo la bella e dolce Mirtilla che, ad ogni pausa pranzo, portava un dolce da mangiare, per me e Mary, subito dopo aver finito di pranzare in mensa.

«Aspetta un momento! Abbiamo parlato per tre interi libri di te e di tutte le cazzate che hai combinato nella tua intera esistenza e non abbiamo manco sprecato una parola per la mensa universitaria?»

Chiese stupito il piccolo Wolf. In effetti non avevo mai accennato quel posto malefico chiamato "Mensa dello studentato". Partiamo dal principio, ovvero dal fatto che, prima di conoscere Mirtilla e di uscire sempre di più con Mary, non sapessi manco dell'esistenza di questo posto. In effetti non mangiavo nemmeno tanto durante il pranzo quando era all'università, un po' per mancanza di soldi ed un po' perché mi scocciava cucinare. Così si spiegano i dieci chili persi in otto mesi di università. Mica erano causati dallo stress, erano dovuti al fatto che a pranzo non mangiavo quasi nulla. Se prendevo una focaccia romana al bar, mi andava anche di culo alle volte, dato che erano abbastanza care ed i prezzi del bar dell'università sul cibo erano una cosa vergognosa. Proprio per questo rimasi sorpreso nello scoprire dell'esistenza di una mensa a pochi passi dall'università che ti dava primo, secondo, contorno e frutta a soli due euro. In teoria dovrebbe essere il paradiso terrestre dei poveri, dei morti di fame e dei tirchi. Nessuno poteva avere il coraggio di lamentarsi.

«Ma noi, che siamo sia poveri, sia morti di fame che tirchi, possiamo!»

Lo so che non ci si dovrebbe mai lamentare del cibo e che dobbiamo solo ringraziare di vivere nella parte ricca del mondo, così che non siamo costretti a morire di fame... Ma in quella mensa ci propinavano segatura travestita da cibo! Menù che cambiava in base al giorno, ma che rimaneva lo stesso per sempre. Vi faccio un esempio: se il lunedì c'era la pasta con i funghi, potevi scommetterci il piccolo Wolf che il prossimo lunedì e quelli dopo ancora ci sarebbe stata la stessa pasta con i funghi. Ma il fatto del menù fisso poteva anche esser considerata una cosa buona, così da capire bene in quali giorni si mangiavano cose buone ed in quali potevi tranquillamente digiunare. Il giovedì, per esempio, servivano tortellini con il sugo come primo e cosce di pollo come secondo. In effetti era l'unico giorno in cui si mangiava decentemente, al contrario del mercoledì che ti propinavano una pasta con gli asparagi e broccoli così disgustosa che il cianuro avrebbe avuto un sapore migliore. Per non parlare del modo di cucinare in stile esercito. Ovviamente non era un ristorante di Gordon Ramsay in cui tu ordinavi quello che volevi e ti arrivava il piatto servito e cucinato alla perfezione. No... Manco alla Cattolica o alla Bocconi ti servivano così. Il cuoco cucinava tutto dentro un pentolone e poi quello che veniva fuori te lo dovevi mangiare, non importava se la pasta veniva cruda o scotta, dovevi riempire la pancia quattro università cariche di studenti. Il metodo per ottenere il cibo era, infatti, come quello del carcere: ti metti in fila e speri che il pollo non finisca proprio quando tocca a te. Imprecando chi non ha i soldi pronti per poter pagare all'istante, bestemmiando se non ci sono i budini, piangendo se ti tocca mangiare una pizza farinosa e cruda.

«E vogliamo parlare delle signore della mensa?»

A servirci in quel lugubre posto in cui più di duecento studenti si picchiavano per ottenere un posto a sedere, c'erano tante signore Rottermaier vestite di bianco che incutevano terrore e paura non appena provavi a chiedere:

«Ancora per favore.»

Manco fossi un orfano alla Oliver Twist che piangeva per il misero pasto datogli qualche minuto prima. Credo che per ora mi possa ritenere soddisfatto di quello che ho detto sulla mensa. Era importante descrivere il luogo in cui passavo tutti i miei pranzi con Mirtilla e Mary. Ma era ancora più importante raccontare cosa successe una sera di metà aprile.

«Ti va di uscire? Ti porto in un bel posto stasera.»

Domandai a Mirtilla se volesse venire con me a prendere un tiramisù da Pompi per poter passare la serata. Se non sapete cos'è Pompi, significa che non siete di Roma o che non avete mai vissuto a Roma, quindi cerco di spiegarvelo brevemente:

«Locale in cui si vendono solo tiramisù e che ha la fama di fare il miglior tiramisù del mondo ma non è vero un cazzo perché mia nonna lo fa meglio.»

Non ho volutamente usato virgole perché volevo dar l'impressione di dirlo tutto d'un fiato e guai a chi dice:

«Te la sei portata da Pompi così a fine serata ti fa un bel lavoretto.»

Non ditelo perché... È la pura verità... Tralasciando Pompi, portai Mirtilla a mangiare il tiramisù e, durante la serata, mi accorsi che c'era qualcosa di strano in lei.

«Tutto bene?»

Le chiesi notando la sua espressione trista e pensierosa.

«Eh? No... Nulla di importante.»

Quando una donna ti dice queste parole, ti devi solo preoccupare. O hai combinato qualche guaio e tu lo devi scoprire da solo per esser degno della sua prova o ha problemi che non ti riguardano e tu devi lo stesso cercare di capirlo altrimenti nei guai ci passi tu. In ogni caso gli uomini sono spacciati. Io, da buon codardo, non toccai più l'argomento fino a che non la riaccompagnai a casa. Era ancora di cattivo umore e non ero riuscito a farla ridere molto quella sera. In più non aveva alcuna intenzione di dirmi nulla del suo problema, quindi avevo completamente le mani legate.

«Sicura che non ci sia nulla che ti dia pensiero?»

Le domandai per l'ultima volta.

«Non ti preoccupare, è solo che ho un paio di problemi con un mio vecchio amico. Abbiamo un po' discusso perché non ci sentiamo più come una volta e questo gli fa male.»

Devo dire che non ero estraneo a questo problema, infatti anche io non sentivo più i miei amici di Taranto da quando mi ero trasferito. Ma era una cosa normale che anche loro avevano capito. Ognuno ha i propri impegni e non si può tenere stretti i contatti quando ci sono un sacco di chilometri che ti separano o quando si creano nuove amicizie. Il cervello umano può gestire solo 150 contatti alla volta e non si può pensare a chi sta troppo lontano, altrimenti non pensi a chi ti sta vicino oppure trascuri te stesso. Infatti, con i miei amici di Taranto, ci sentiamo solo quando scendo per le vacanze, così che nessuno pensa allo studio o alle amicizie che hai fatto in altre città. All'inizio ci rimani male a fare ciò, ma alla fine capisci che è inevitabile. Non sentirsi come un tempo, non vuol dire che l'amicizia tra due persone finisca. Caso diverso è quello in cui le persone utilizzano la frase:

«Non ti fai più sentire da quando sei partito!»

In quel caso hai ogni permesso di questo mondo per staccargli la testa a morsi e nutrirsi del suo cuore subito dopo aver detto:

«Perché tu invece ti sei fatto sentire assai! Io sono a Roma e dovrei mandare messaggi a 200 persone per non perdere i contatti e tu non riesci manco ad inviarne uno quando stai comodamente a Taranto a grattarti il culo senza un lavoro, senza ragazza e senza esser manco andato all'università! Mi fai schifo!»

Direi che mi sono sfogato un po' troppo sull'argomento, torniamo alla storia principale dove spiegai a Mirtilla il mio pensiero sulle relazioni a distanza tra amici, parenti e fidanzati, ma non la vidi molto convinta. E, dato che sono un coglione, avevo pensato al modo perfetto per tirarla su il morale.

«Non ci pensare. So io cosa potrebbe farti stare meglio.»

«Cosa?»

Mi domandò con espressione un po' triste.

«Io.»

La mia risposta la fece un po' confondere, forse non aveva capito bene ciò che le volevo confessare da po' di tempo.

«Mirtilla, tu mi piaci.»

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