Libro 1: 05) Banana ko
Il primo giorno di convivenza fu fondamentale per capire i gusti dei miei nuovi coinquilini. Linda mi offrì la colazione e avevo rimandato la spesa per poter "studiare" la cucina. Non c'era nulla di meglio della colazione per capire il vero spirito di una persona. Linda aveva una tazza con le margherite e beveva solo tisane la mattina, con qualche Frullino da inzuppare. Da quanto avevo capito era una che ci teneva a mantenere la linea, anche se le calorie e il sapore dei biscotti avrebbero fatto piangere anche Homer Simpson. Non erano la marca originale, erano la qualità più senza grassi, più senza zucchero e più insapore che avessi mai visto.
«Non è una colazione un po' troppo leggera?», azzardai mentre lei mangiava e scorreva la bacheca di Facebook con il telefonino, sempre se si poteva chiamare così quell'aggeggio e non computer portatile. Era un IPhone 6, nemmeno vendendo un rene me lo sarei potuto permettere. Ma almeno era servito per scoprire il cognome di Linda: Coda.
«Devo mangiare leggero prima della palestra. Il pranzo è fondamentale.»
«Il pranzo?», mi stupii della risposta. Erano le dodici e trenta, in effetti, e non era più tempo per fare colazione. Ma definire sei biscotti inzuppati in una tisana ai mirtilli un pranzo era una vera è propria bestemmia. "Forse mi sono perso la colazione...", pensai quando lasciò la tazza sul lavello per andarsi a cambiare in camera. Io, come minimo, consumavo una tazza di latte e caffè con i Pan di stelle ogni mattina e poi pranzavo. Di solito a casa mia a Taranto mi svegliavo alle undici e il pranzo era alle dodici. A mia madre piaceva pranzare presto. E sulla mia tazza c'era Daffy Duck. Vidi anche le altre tazze dentro il lavello. Ce n'era una verde con un Bulbasaur in bella vista e un'altra bianca e inespressiva. Entrambe non lavate.
«Direi che Andrea è proprio fissato su certe cose. Ma almeno ha scelto la tazza con uno dei miei Pokemon preferiti.»
Di che vi stupite? Tutti giocavano ai Pokemon da bambini... E Charmander era troppo mainstream per me. La tazza di Mary, invece, era fredda e inespressiva e ciò mi mise i brividi. Toglieva ogni gioia e fantasia. Qualche minuto più tardi, Linda uscì dalla sua camera con una maglietta aderente e un paio di leggings che fecero riattivare le mie ghiandole. Intendo quelle salivari.
«Ci vediamo più tardi!», disse correndo per il corridoio. Rimasto solo, feci l'unica cosa che un vero uomo doveva fare in quel momento. Scoprire la password della connessione WiFi che si trovava in soggiorno e vedere se era uscita la nuova puntata di One Piece. Comunque, la spesa l'ho fatta in quel pomeriggio stesso. Dovevo comprare un mucchio di roba e per forza riempire la mia mensola e la mia parte di frigo. In più dovevo anche comprare posate, piatti e un nuovo lenzuolo. Avevo la vaga impressione che non me ne sarebbe bastato solo uno. Però, devo dire che la prima spesa non fu così difficile e traumatica. O almeno in parte... Era facile comprare quello che mi serviva e quello di cui avevo voglia. E non mi limitai solo all'acquisto di schifezze. Non capivo perché mia madre si lamentasse in continuazione quando doveva andare all'Auchan. Certo, c'era stato un piccolo problema al reparto frutta. Avevo puntato un casco di banane mature, l'unico di quel tipo dato che gli altri erano più verdi di Hulk. Ma non fui il solo a volere quel casco.
«Mi scusi... Le potrebbe lasciare a me quelle?» Dalle mie spalle sbucò una docile ed esile signora, a occhio e croce doveva avere una settantina d'anni. Capelli bianchi, occhiali spessi, cardigan blu, gonna marrone e scarpe ortopediche nere. La sua voce era debole e sottile, feci fatica a capirla all'inizio.
«Mi dispiace, ma non vorrei prendermi quelle acerb...»
Non feci in tempo a finire la frase che mi arrivò un pugno in pieno volto. Caddi a terra per qualche secondo, inerme e intontito dal colpo. La vecchietta mi aveva messo ko e si era presa al volo il casco maturo.
«Maleducato. Rispetta l'anzianità!», mi urlò mentre scappava piano verso il reparto dei salumi. Io non credevo ancora a ciò che era successo. In tutta la mia vita ero stato picchiato da tanta gente, ma mai da una over settanta. Dal pugno inferto incominciai a pensare che quella doveva essere la nonna di Mike Tyson.
«Vecchia di merda...»
Una volta che mi fui rialzato, non mi diressi verso la signora per timore di altre mazzate. Il mio orgoglio pianse per questo. Continuai a fare la spesa per un'altra mezzora, sempre guardandomi le spalle nel timore di ritrovarmi la vecchia con un paio di guantoni da boxe. Ma non successe nulla di rilevante, almeno fino alla cassa. L'evento davvero doloroso fu il conto, anche più del pugno. Non avevo mai pagato trenta euro per una spesa. Il mio portafogli non ha reagito nel migliore dei modi, l'ho consolato ricordandogli che i soldi non erano i miei, ma quelli dei miei genitori.
«E appena i soldi saranno "ufficialmente" i tuoi, cosa farai, ti suiciderai?», disse la mia fantasia sotto forma di portafoglio parlante. Ma non ci feci troppo caso. Un altro problema fu tornare a casa con le buste della spesa. Non avevo calcolato il fatto che avrei dovuto portarle, sette in tutto, da solo. La mia nuova abitazione non era troppo distante dalla Conad, ma il peso delle buste metteva a serio rischio le mie delicate mani da videogiocatore.
«Mai più da solo!», mi urlai mentre percorrevo i seicento metri che separavano il market da casa. Con calma e varie pause, riuscii a raggiungere il portone senza rompere nulla. Un miracolo, considerando la mia goffaggine. Ma, anche lì, ci fu un ulteriore problema. L'ascensore era rotto e dovevo farmi un piano a piedi. Un piano non era un problema così grande, ma il rischio di distruggere le buste aumentava ogni secondo di più. In più le buste erano dispari e, salendo le scale, la possibilità di cadere di lato era sempre più alta.
«Equilibre... Equilibre...», mi dissi tipo mantra. Ci vollero quasi cinque minuti per salire quelle scale senza conseguenze e senza figure di merda. Poi, una volta entrato in casa e dopo aver sistemato tutte le cibarie comprate, mi accasciai sul divano di pelle nera, privo di forze e sfinito. Sembrava una cavolata, ma quella spesa mi aveva distrutto sia a livello mentale che fisico.
«Buon primo giorno Leo...», mi dissi prima di appisolarmi su quel divano da film porno.
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