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Libro 1: 02) Preghiere esaudite

Che cosa ho fatto di male nella vita? Tra tutti i mestieri possibili e inimmaginabili, perché il mio prozio doveva essere un prete?

«Zio Carlo?» chiesi sperando in una risposta negativa.

"No, sono solo un suo amico che si diverte a vestirsi da prete. Tuo zio in realtà è Carlo Conti.", sarebbe stata la risposta migliore del mondo. Ma, purtroppo, non sono stato così fortunato.

«Don Carlo. È un piacere conoscerti, Leo.»

"Ti prego dimmi che sei un boss mafioso", pensai mordendomi le labbra e desiderando che fosse tutto un sogno causato da un ictus.

«Tua madre mi ha raccontato molto di te.»

"Strano... A me, invece, nulla di te. Poteva almeno dirlo che eri un prete", pensai sempre tra me e me.

«Mia madre parla tanto, ma tralascia sempre le cose più importanti. Purtroppo...», dissi con un sorriso così falso che avrei potuto rubare la scena a Barbara D'Urso in uno dei suoi show. I convenevoli non durarono molto e, con la sua macchina, ci dirigemmo verso la Casilina.

Lo zio prete era sempre accompagnato da un suo "amico-schiavo". Non mi ricordo il suo nome, perché parlava molto poco e prendeva soldi ogni volta che portava a termine una commissione chiesta dallo zio. Pareva che, più che un amico, fosse la sua dama da compagnia. Prima di andare verso casa, lo zio ordinò al suo "amico" di portarci in un ristorante. E li vidi qualcosa di molto strano...

«Non sarà un po' troppo costoso questo posto?», domandai cercando di nascondere il portafoglio che piangeva al sol vedere il costo di una bottiglia d'acqua.

«Non ti preoccupare. Offro io!», esclamò lo zio, che non si fece scrupoli nell'ordinare primo, secondo, dolce e caffè. Arrivò un conto astronomico pagato da lui che mi rese ancora più perplesso. "Come può un parrocchiano permettersi un conto così salato?".

Durante quella cena, scoprii che quasi tutte le sere andavano a mangiare fuori in posti abbastanza cari. Roba che mangiare a casa la sera era come dire una bestemmia. Di sicuro i liquidi non gli mancavano. "Quasi quasi mi faccio prete... Peccato che non ho voglia di rinunciare alle donne", anche se molti di loro non avevano mantenuto il "celibato" a lungo.

«Leo, ti andrebbe di svolgere qualche piccolo compito mentre starai da me?».

Lo zio non chiese nulla di particolare, giusto due o tre commissioni, come aiutarlo nelle celebrazioni o accompagnarlo in giro quando il suo amico non era disponibile.

«Credo sia il minimo, dato che mi dai vitto e alloggio gratis.»

Non mi sembrava nulla di male. Due lavori da un'ora o due al massimo e poi ozio per tutto il giorno. Sarebbe stato fantastico. O almeno così pensavo.

«Questa è la tua camera.»

La "stanza" che lo zio mi aveva dato, non era una stanza. Era un piano.

«Un intero piano? Non sarà esagerato per una singola persona?», domandai mentre nella mia testa era partita la canzone dei Queen We are the Champions per consolidare la mia vittoria sulla vita. Avevo un intero piano senza pagare una lira e con una macchina. Sì, una macchina. Lo zio mi aveva concesso di prenderla quando volevo.

«No... Tanto io non utilizzerei tutto questo spazio.»

Una volta che mi lasciò da solo, potei sfogare la mia gioia nel modo più elegante e sofisticato che conoscevo. Con la danza della canzone Asereje o anche conosciuta come The ketchup song.

«Ho vinto lotto, schedina e tombola tutti insieme!», gridai.

Quanto ero felice... All'inizio. Giuro che, dopo il primo giorno, tutto precipitò nell'abisso del Tartaro. In primis il pranzo. Se la cena era stata sfarzosa, il pranzo non poteva che essere umile. E fa nulla, non vedevo niente di male nel mangiare il cibo normale preparato dalla colf. Sì, aveva anche la colf mio zio. Il problema arrivò quando venni informato della regola d'oro della casa.

«Qui non si butta mai niente da mangiare. Si consuma tutto.»

Regola giusta. In Africa ci sono milioni di bambini che muoiono di fame e l'insegnamento a non sprecare il cibo è grandioso. Ma, purtroppo, se il cibo cucinato lunedì ti si presenta anche il venerdì, con una piccola aggiunta di verde, non è molto salutare. E non era verdura. Ma muffa... Non si poteva gettare nulla, quindi si conservava finché quello che avevi sulla tavola non veniva consumato. O finché non ti prendevi qualche infezione bella potente all'intestino o allo stomaco. Ma, finché rimanevo in camera con le mie serie televisive e con il mio League of Legends installato sul computer, questo potevo anche sopportarlo. Il limite lo raggiunsi il sesto giorno di convivenza.

«Zio, che ne dici se oggi vado a vedere la partita in qualche bar?»

Quella sera l'Italia giocava un'amichevole del cazzo, ma ero rinchiuso in casa da troppo tempo e avevo bisogno di aria pura e fresca, lontano dall'incenso e dalla puzza di muffa del cibo. E anche lontano da mio zio. Lui, però, non la prese troppo bene.

«Certo...»

Quella frase, incerta e tremante, mi fece presagire una negazione nascosta. Ma non disse nulla fino alle venti di sera, circa un'ora prima dell'inizio della partita.

«Prima di uscire, mi potresti aiutare in una commissione?»

Me l'aveva messa nel culo. Ed è brutto dirlo, quando si parla di preti. Mi chiese di sistemare dei foglietti per la chiesa, quelli che vedete ogni domenica e che servono per i salmi e per le letture. Io non gli dissi di no. Sempre per il fatto del vitto e dell'alloggio. C'era un piccolo problema, però... Avrei dovuto sistemare tutti i fogli per tutte le domeniche di quell'anno, cento per ogni domenica. Mio zio mi aveva rovinato il sabato sera, che avrei dovuto passare chino sui foglietti per metterli in ordine. O, almeno, così pensava. Misi in pratica tutti gli anni di Tetris e la mia velocità da terzino per non sbagliare un passaggio e finire il più presto possibile. Inutile dirvi che impiegai almeno quarantacinque minuti e mi persi l'inizio della partita, ma la faccia che fece mio zio nel vedere che avevo completato il lavoro così in fretta era meglio di qualsiasi partita. La mascella gli cadde distruggendo il pavimento e uscii dalla casa salutandolo con tranquillità e soddisfazione, senza che lui potesse fare nulla per fermarmi.

«A dopo, zio. La prossima volta falla più difficile.»

Ritornai verso le ventitré e vi dico che fu la prima volta che vidi un prete arrabbiato. Non aveva tollerato l'orario così "scellerato" e decise di mettere un paio di regole per evitare che lui si preoccupasse inutilmente per me.

«Il coprifuoco è alle ventidue di sera, non ti permetto di rimanere sempre in camera tua chissà a fare cosa, mi dovrai accompagnare tutti i giorni in giro per le mie commissioni e la macchina non potrai mai usarla senza di me al tuo fianco!»

Ero un carcerato. Un fottuto carcerato con meno diritti di quando ero a casa dei miei genitori a Taranto. Mio zio voleva sostituire il suo "amico" con me. Fu per questo motivo che presi a due mani la mia vita e decisi di fare l'unica cosa che un uomo avrebbe fatto. Chiamare sua madre e dirgli cosa gli ha fatto suo zio. «Inutile dirvi che mia madre decise di farmi cambiare casa e di trasferirmi sulla Tuscolana.

«Ti ho mandato a Roma per lavorare o per studiare, non per essere una badante!»

Non fu difficile trovare una casa. Diciamo che ho scelto la prima che sono andato a visitare. Cosa mi ha convinto? Beh, il salotto, la cucina, il balcone...

«Tu sei quello che ha telefonato per la camera in affitto?»

Di fronte a me si presentò una ragazza alta un metro e ottanta, con capelli biondi, occhiali da hipster e un completo elegante nero che copriva le sue lunghe gambe, il sedere celestiale e una quarta abbondante.

«Sia lodato Gesù Cristo.»

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