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Pov. Joshua

Parcheggiai la macchina nel garage adiacente alla casa, accertandomi che fosse tutto apposto. Infondo non c'era bisogno di dirgli del piccolo inconveniente che mi era venuto a costare abbastanza.

Chiusi il bandone del garage che emise uno stridulo metallico, per avviarmi dentro ma non prima di lanciare uno sguardo alla camera di Carlotta. Già ne sentivo la mancanza, dei suoi baci, del suo corpo accaldato o semplicemente del suo profumo la sua presenza che in questi giorni aveva rafforzato, diventando quasi una dipendenza.

Salve mi chiamo Joshua Wilson e soffro di dipendenza da Carlotta.

Distolsi lo sguardo, con un sorriso per aprire la porta di casa.
Immaginavo di trovarli così ma speravo in una camera da letto se non altro e non nel preciso istante in cui suo figlio avrebbe aperto questa dannata porta, ed evidente che non si fossero accorti del mio ritorno poiché erano intenti e non poco a fare ben altro.

Fortuna che il divano blu era girato, dandomi la visuale dello schienale, e non vedevo i loro corpi nudi, ma Vidii solo le gambe di mia madre come dire...spalancate, e degli ansimi deboli, fiochi nelle mie orecchie , ancora intasate dalle parole di Carlotta.

"Ma che cazzo?!" Urlai schifato dalla scena e con un trauma che mi sarebbe rimasto a vita. Mentre sentii un tonfo pesante a terra e delle imprecazioni a bassa voce che arrivavano nitide al mio udito.

"Joshua?!" Domandarono all'unisono, mentre mi portai l'indice ed il pollice sul setto nasale.

"Allora vi ricordate che avete un figlio" mi feci beffa di loro, con tono assertivo, vedendo sia mia madre sia mio padre spuntare, con dei volti paonazzi. Lei si aggiustò la maglia gialla mentre mio padre si sistemò la patta dei jeans. Colti in fallo, con evidente imbarazzo.

"Non credevo ecco che...Brian" incitò mio padre a proseguire rivolgendogli un occhiataccia, mentre si spostò i capelli biondi all'indietro con nonchalance.

"Saresti tornato ora. La macchina?" Cambiò volutamente discorso, facendomi dimenticare quasi delle loro effusioni, indugiando vigile su i miei occhi del suo stesso colore e taglio.

"L'ho trattata come una signora. Tranquillo pa'. Ci si." Li liquidai sornione, omettendo la ruota per salire le scale mentre sentii mia madre rimproverare mio padre che si difendeva come meglio poteva.

Mi tolsi il borsone dalla spalla, che cadde a terra con un tonfo. Presi il cellulare dalla tasca dei jeans controllando di chi fossero i messaggi insistenti che mi erano arrivati in macchina ma a cui non avevo badato. Quando ero con Carlotta il resto fuori si annientava, diventando il nulla.

Scorsi con l'indice tutti i messaggi di Madison ed alcuni di David.

Decisi di rispondere a Madison, spiegandole e rassicurandola che ci saremmo visti domani. E quando mi scrisse "mi manchi" risposi con un "anche tu". Poiché sapevo che se non rispondevo così me la sarei trovata sotto casa o non mi avrebbe più mollato al telefono. In questo momento non avevo voglia di sentire le sue lamentele e sopratutto non avevo voglia di parlarle, per restare ancora un po' in quella bolla calda e pura che ci eravamo creati, anche se c'era un albero a dividerci e dei muri.

Mi avviai verso casa di David con l'intento di passare del tempo con il mio migliore amico e di sfogarmi. Cazzo ero ridotto male, non mi sarei mai confidato prima di lei con David o qualsiasi altro parlando di ragazza ma in maniera delicata. Ero abituato a parlare di ragazze sotto l'aspetto sessuale, le loro fattezze o ciò che probabilmente avremmo fatto a fine di una serata o appuntamento.

Mi era mancato guidare la mia moto, era una Ducati rosso fiamma lucida. Il fruscio del vento e le sue carezze pungenti sulla pelle. Decisamente mi serviva tutto ciò.

Parcheggiai nel viale ghiaioso di David, andando verso la porta per suonare, quando lo vidii aprire mentre tenevo l'indice sul campanello di metallo con la targhetta dei loro cognomi affissa, sul quale ancora non avevo pigiato.

"Veggente?" Domandai sarcastico a David che mi diede una pacca sulla spalla, spingendomi dentro.

Girovagai per vedere se ci fosse sua madre, poggiando un palmo sul corrimano in ferro per salire le scale a chioccia che portavano alla sua camera.
"Cazzo amico ti ho fatto un monte di chiamate. Rispondere no eh?" Canzonò con tono di rimprovero debole, lasciando ricadere le mani lungo i fianchi.

Annuii, portandomi una mano dietro la nuca.
"Diciamo che ero impegnato" ammisi semplicemente, rivolgendogli un sorriso lascivo, e probabilmente anche i miei occhi parlavano chiaramente, poiché schioccò il pollice contro il medio, affermando con un
"lo sapevo".

Si mise seduto sul letto dove il lenzuolo che spuntava lasciava intravedere la "S" di Superman.

"Hai fatto sesso con Carlotta" aggiunse esterrefatto e contento, parlando più con se stesso che con me, ed era una constatazione non una domanda.

Lo guardai truce poiché non credevo che era sesso, certe emozioni che avevo provato lasciavano intendere beh altro nel mio cuore che sembrava scoppiare ad ogni spinta dentro di lei.

"Non direi sesso. È diverso. Cazzo" parlai confuso, inceppandosi ogni tanto sulle parole e girovagando lo sguardo su i suoi poster. Probabile che fosse rimasto ancora un bambino dentro, ed il poster di Hulk era una certezza ferma.

"Che vuoi...oh il nostro Joshua si è innamorato" mi fece notare beffardo, mentre mi sedei anche io sul letto.

"È complicato. Ma credo proprio di sì" non riuscii a contenermi, ero quasi sicuro che ciò che provavo per Carlotta andava ben oltre un'attrazione fisica.

"E con Madison?" Guizzò lo sguardo preoccupato verso di me, facendomi quella domanda scontata arrivato a quel punto.

"Le parlerò domani. Lo devo fare in qualche modo" affermai sincero sbruffando. Sentendo la sua mano poggiata sulla mia spalla, come a rassicurarmi.

"È la cosa più giusta. Sei sempre stato infatuato di Carlotta. Era inutile che fingessi. Mi ricordo che quando andavamo alle medie ogni ragazzo che si avvicinava a Carlotta lo mangiavi con gli occhi quasi a volerlo sbranare. E quando ho ballato con lei alla festa di Calum ne era la prova certa" mi spiegò ciò che aveva sempre notato, forse perché era evidente agli occhi degli altri ma nascosto dai miei, perché non sapevo cosa fosse quella gravità che ogni volta mi portava da lei anche solo per stuzzicarla.

Scendemmo giù a fare qualche tiro a canestro, finché non gli domandai di Amanda.

"Come procede con Amanda?" Gli feci quella domanda derisorio mentre mi scoccò un sorriso lascivo ed impertinente, passandosi la mano su i capelli scuri ingelatinati all'indietro, per poi passargli la palla facendo qualche rimbalzo sordo sull'asfalto.

"Diciamo bene. Ci siamo baciati di nuovo, e ho ricevuto la sua ballerina dietro la testa. Meglio del lancio del giavellotto" confessò stranito è divertito, mentre scoppiai a ridere fragorosamente piegandosi su me stesso, e ricevetti il pallone sull'addome, mentre continuavo a ridere ed imprecare.

"Lo trovi divertente?" Ribatté sopprimendo una risata, mentre annuii, spostandomi il ciuffo ricaduti sulla fronte imperlata da gocce di sudore.

"Non è facile tenere testa ad Amanda. È un tantino suscettibile" gli feci notare l'ovvio quindi corrucciò le labbra scuotendo la testa come a darmi ragione.

"Proprio per questo mi piace" affermò innalzando il sopracciglio scuri, facendo canestro di soppiatto poiché ero ancora intento a ridere.

"Hai barato" gli andai in contro, dandogli una spallata che lo fece trasalire, per innalzare le spalle.

"Eri distratto" mi rimbeccò volendo andare a parare che ultimamente ero distratto per molti motivi, uno in particolare la mia spocchiosa.

Tornai a casa, mangiando o meglio divorando un piatto di linguine al sugo, per rintanarmi in camera. Avevo voglia di scrivere, avevo la mente zeppa di note melodiche e frasi che passavano come sigle finali di un film che comunque non leggi mai.
Accordai la chitarra, e mi era mancato sentire il peso sopra le gambe, ed il plettro scorrere sopra creando dei suoni diversi ogni volta, ma sempre speciali.

Finché non Vidii una luce fioca illuminarmi metà volto, riversandosi sul muro della parete, come uno spiraglio.

Mi alzai, poggiando la chitarra sul piumino più leggero, andando verso la fonte di luce e verso la sua immagine quasi eterea.

La vidii al di là, accendere la radio e ballare qualche canzone, mentre aveva addosso solo un accappatoio rosa in spugna. Ed in quel momento sarei voluto essere nella sua camera per toglierglielo gentilmente ed assaporare il suo bagnoschiuma mischiato al sapore salino della sua pelle diafana per immergermi in quelle pieghe deliziose e calde. Al solo pensiero sentii qualcosa dentro di me risvegliarsi, anche al di fuori. Poggiai una mano sul vetro freddo, guardando la mia immagine riflessa e subito la sua. Per vedere quanto stessimo bene insieme.

Si girò lentamente, riducendo gli occhi a due fessure per poi spalancare il suo azzurro, portandosi una mano sul viso come imbarazzata ed il rossore lieve sulle gote ne era la conferma del fatto che era stata colta a ballare con un accappatoio addosso imitando una danza strana. Forse l'aveva appena inventata lei. Come aveva inventato questo sentimento e questa voglia di essere sempre e costantemente vicino a lei.

Sentii la vibrazione del cellulare sulla scrivania bianca, gettando un'occhiata al display luminoso. Notando che era Carlotta. Alzai lo sguardo su di lei che spiegò una mano portandosela sul fianco ed innalzando un sopracciglio.
Sorrisi sfacciato scuotendo la testa.

Da Carlotta

-Spione.

Mi rimproverò e potevo immaginare la sua tonalità mentre il suo sguardo divertito lo notavo dal vetro limpido.

Carlotta

-Non riesco a non guardarti. Mi hai infettato.

Le risposi sentendo un magone in gola ed il cuore battere. Anche se non la potevo toccare mi bastava vedere il suo azzurro per avvertire queste sensazioni scalpitanti.
Scivolò lo sguardo su i miei occhi, mordendosi le labbra rosse per poi rispondermi, vedendola digitare con l'indice.

Da Carlotta

-Ed è grave?

Una semplice domanda che racchiudeva molto. Voleva conferme che le avrei dato.

Carlotta

È molto grave, è un'infezione...la più pericolosa ma anche la più bella. L'unica che vorrei avere.

Le inviai il messaggio con un tamburo nella gabbia toracica, un frastuono, rimbombava per quelle pareti come una pallina schizzata che rimbalza da lato a lato. Le sue guance divennero rosse e chiuse un attimo le palpebre, per poggiare la sua mano sul vetro dove era la mia, come per toccarla quasi.
Si sfilò l'accappatoio, lasciandolo cadere a terra e lasciandomi beare della sua immagine sublime, delle sue curve dolci e morbide. Di quel corpo che era vittima dei miei sogni e causa delle mie insonnie.

Carlotta

-Immagina che io sia dietro di te nudo. Pensami bene, ed ora percorri il tuo corpo lentamente come se fossero le mie mani, ma non chiudere gli occhi, voglio che mi guardi fissa. Io sono il tuo riflesso.

La vidii afferrare il telefono, leggendo accuratamente, e strinse le gambe. Sapevo che quelle parole le stavano iniziando a sortite l'effetto che volevo.

La guardai centrare i miei occhi fatti di lei, ed i suoi lucidi in cui potevo ritrovarmi dentro. Le labbra più rosse ed accentuate, il rossore lieve sparso sulla sua pelle come delle chiazze di fragola che si permeano sulla pelle e devi strofinare per levartele. Deglutì fortemente per poi iniziare a toccarsi il collo lentamente, roteandolo. Seguì le linee del suo corpo lentamente e seducente, gustandomi ogni attimo con la voglia di penetrarla, e non mi sarebbe importato dei suoi genitori del letto che avrebbe cigolato, ma solo di farla godere.
Di sentire i suoi ansimi che erano melodia che mi avvolgeva e mi portava in posti ignoti.

Mi sfilai la maglia mentre si passò la lingua sul labbro come aride e secche. Prive di salivazione sufficiente a sopportare tutto ciò.
Una bile in gola, il suo corpo che ero sicuro stesse mandando vibrazioni leggiadre lungo tutta la figura.

Da Carlotta

-Girati un attimo. E comunque le tue mani...non posso confonderle. Ma mi basta guardare la tua espressione per arrivare dove vuoi portarmi. Mi farò guidare come se tu fossi la mia mappa, la mia bussola interiore.

Parole che mi mandavano a puttane ogni sprazzo di razionalità. Ma feci come mi chiese, lanciandole un sorrisetto increspato, mentre m'intimò risoluta con l'indice di girarmi.

Portai il braccio in alto, piegando il gomito e con il pollice all'ingiù le mostrai il tatuaggio.
Mi girai appena con il collo, vedendola con la coda dell'occhio. Si avvicinò al vetro con la bocca spalancata, alitando sopra, per far divenire una chiazza appannata. Portò in alto l'indice, tracciando i contorni del mio tatuaggio con una certezza senza eguali, come se conoscesse a memoria le linee della mia lettera, o semplicemente le stava ricopiando come se io fossi stato il disegno e lei un foglio di carta da lucido.

Quando la vidii ritirare l'indice ed ammirare soddisfatta, mi girai di nuovo.

Da Carlotta

Almeno avrò il tuo tatuaggio disegnato in modo da guardarlo prima di addormentarmi.

Alzò lo sguardo verso di me, mentre alzai la finestra senza resistere. Scavalcai vedendo il suo sguardo tramutarsi, e sgranare il mare in cui naufragavo.

Alzò la finestra, spingendomi dentro. Mi fece arretrare fino al muro premendomi l'indice sulle labbra per intimarmi di fare silenzio mentre sorrise, il suo sorriso dolce ed eccitato.

"Ciao" sussurrò melensa, strusciando il naso contro il mio, mentre l'attirai dai fianchi morbidi verso di me, iniziando ad accarezzarla.

"Ciao spocchiosa" la ripresi alitandole sul collo per lasciarle baci umidi, sentendola irrigidirsi ed ansimare piano.

Finché non mi tirai su, vedendo il suo viso ed i suoi occhi reclamare desiderio, scivolando con le mani su i suoi glutei, per congiungere in un attimo le nostre labbra. Le dischiuse facendo scivolare via un ansimo mentre gemetti contro il suo corpo nudo, accarezzandole le labbra gonfie e bagnate. Dio se la volevo scopare.

Scivolai con la lingua, incontrando la sua vellutata, mentre mi tirava i capelli schiacciando il suo seno fresco contro il mio torace bollente. Quando sentimmo la voce di Anny chiamare ad alta voce il suo nome ed i passi riecheggiare sulle piastrelle lucide, farsi sempre più vicine al nostro udito.

Ci guardammo divenendo bianchi come lenzuoli finché non sorrise, spingendomi fuori quasi a farmi inciampare.

"Ci vediamo. Io e Mr Wilson dormiremo insieme" mi riprese sardonica, infilandosi il pigiama in fretta.

"Sono geloso" misi il broncio per rientrare dentro in tempo per vedere Anny sbucare dalla porta di camera e dirle qualcosa, buttandomi sul letto, ad ammirare quelle stelle fosforescenti perché la più bella era fuori da queste mura.

Fottuto rammollito...è ufficiale!

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