28
Pov. Joshua
Sentivo ancora il chiacchiericcio di mia madre giù nel salotto con mio padre. Sembrava che gli astri fossero tutti allineati per venirmi contro.
Era divenuta come il Monte Bianco, una salita sempre più difficile da scalare, mi sarei stancato ma sarei arrivato fino allo stremo.
Dovevo scrivere un'altra canzone se volevo tornare. Avevo parole e frasi impresse, mi nascevano così dal niente.
Presi di nuovo il foglio, ma mi sembrava una frase troppo spigolosa.
-Io sono un pazzo,forse anche un po' folle,scusa se a volte non trovo le parole,
Le cose in sospeso non mi sono mai piaciute,devo mettere fine alle mie paure,
Tante cose avrei da dirti,ma prima devo schiarirmi.
E dimmi che non cambierai mai,la stessa tu resterai,
Insieme con te io scapperei,da tutti i pensieri miei,
E scusa se con te sorrido,dell'altra gente io non mi fido.-
Era ciò che pensavo di Carlotta. Con lei sorridevo riuscivo ad essere il Joshua sincero, con tutte le sfaccettature del mio carattere. Positive o negative non avevo maschere che tenessero.
Così finii un'altra canzone. Un'altra dove lei era la mia musa.
Era passata una settimana, da quando era tornata da Chicago. Una settimana dove era sfuggente ai miei sguardi. Mi salutava a malapena quasi per cortesia. Nei corridoi per la scuola incrociavamo i nostri sguardi vicini ma distanti anni luce da quelli che scorrevano poco prima di quel giorno. Era scesa neve fredda su di noi, rimanendo sepolti in quel ghiaccio che quando svaniva restava una lastra dura.
Era difficile non poterle parlare, ma ogni volta che cercavo di placarla lei sviava. Fuggiva da me, da noi.
Ogni tanto mi affacciavo alla finestra, scostando la tendina e la vedevo con il suo sorriso luminoso su quelle labbra rosse di natura, mentre chiacchierava animatamente al telefono, e si annodava tra il dito i capelli lunghi che sembravano una cascata di seta lisci.
Non rivolgeva mai lo sguardo verso la mia finestra, sapeva e faceva di tutto per tenerlo davanti a se o seguire un percorso più semplice abbassandoli.
Michael ormai era una presenza costante con lei. La riaccompagnava molto spesso a casa ed anche Annalisa aveva avuto il piacere di conoscerlo solo perché una sera la riaccompagnò e si affacciò per vedere chi fosse che l'aveva riportata a casa.
Potevo sembrare ossessionato da lei, ma in realtà cercavo solo di vedere come se la cavava senza di me. E dire che stava bene era dire poco. Ma il suo sguardo celava molto di più, la conoscevo realmente io.
Il suo sorriso stirato e stropicciato, era sinonimo di una contentezza costretta. Cadeva in un'errore per non cedere ad un altro.
D'altronde anche io facevo così. Madison m'interessava, ma l'interesse poi infine cos'è?! In cosa sfocia?! Non lo sapevo. Avrebbero dovuto inventare un cazzo di dizionario sulle risposte. Perché ci poniamo continuamente domande, dove molto spesso non troviamo la soluzione.
A scuola ormai aveva fatto gruppo con Michael, David ed Amanda. Sembravano anche loro essersi legati in qualcosa di strano ed indefinito. Giurerei che i loro sguardi erano dolci. Molto spesso ci aggregavamo anche io e Madison e puntualmente ogni volta Carlotta salutava tutti e ritornava dentro. Dava un dolce bacio a Michael sulle labbra mentre la rabbia ribolliva dentro le vene, ma stringevo Madison a me. Comunque il suo sguardo non ricadeva verso le nostre mani, il suo sguardo prendeva direzioni diverse, tramutandosi in un oceano sconfinato dove non riuscivi a percepire la profondità.
La lezione del professore Dominic era divenuta noiosa e pesante.
Due ore spese a sentire cavolate sul romanticismo. Dove autori romantici non accettavano l'idea illuministica, poiché non davano ascolto alla ragione. Esploravano l'irrazionalità. Quel sentimento che tutt'oggi non sappiamo cosa voglia dire, e che ci porta a sognare a fare follie, solo spinti da un sentimento che va oltre le logiche della mente umana.
Guardai Carlotta sorreggersi il mento con la mano serrata in un pugno, ascoltando affascinata ed annuendo. Chissà che ragionamento faceva la sua testa. Probabilmente pensava al suo principe a quanto fosse romantico.
Mi grattai dietro la nuca con il tappo della penna. Ero stufo. Stavo sorbendo più di ciò che era possibile.
Gettai uno sguardo fuori alla vetrata dove una Madison stava tenendo le prove sul campetto insieme alle altre cheerleader, agitando i pon-pon.
"Signorino Wilson, lei cosa ne pensa del romanticismo?" Chiese ad un tratto il professore Dominic, risvegliandomi da un lungo sogno ad occhi sbarrati.
Sbuffai, appoggiandomi allo schienale della sedia con nonchalance, come se me ne fossi sbattuto altamente del suo sproloquio elargito fino a quel momento.
"Cosa penso del romanticismo eh?" Riformulai la domanda ad alta voce che era più per me che per il professor Dominic che aspettava impaziente picchiettandosi la penna sul palmo della mano con un rumore ovattato ma che sembravano le lancette di un orologio fastidioso.
"Che è una cazzata assurda. Perché dovremmo arrivare a fare follie, a credere in un sentimento profondo quando abbiamo il dono della ragione e del pensiero per non commettere scemenze di cui ci potremmo pentire." Rivelai asettico, poggiando il gomito sullo schienale in legno della sedia, sorreggendomi la testa.
In quel momento vidii Carlotta guizzare lo sguardo verso di me, con aria frastornata. Aveva per caso la coda di paglia?! Ma certo che l'aveva perché il suo sguardo iroso era rivolto verso di me che mi vestii del mio sorriso più insolente possibile per riportare l'attenzione verso il professore che annuii.
"Ognuno ha il proprio pensiero signorino Wilson. Solo molto spesso la ragione non arriva dove il cuore vuole andare" mi riprese pacatamente, strusciandosi i baffi brizzolati. Sembrava più una lezione di vita o un avvertimento. sentimmo il rumore assordante della campanella rimbombare tra quelle quattro mura, staccandoci dai pensieri e dai posti che avevamo scaldato, fiondando fuori dall'aula.
Seguii con lo sguardo Carlotta che si avviò con i libri stretti al petto coperto da una maglia azzurra laminata con un fiocco dietro al collo bianco in chiffon. Aprii il suo armadietto vedendo comparire dietro di lei Michael che le fece un lieve pizzicottino ai fianchi facendola trasalire, girando la testa per confermare che fosse lui scoppiando a ridere. Chiuse l'armadietto con la mano, voltandosi verso di lui e gli cinse le braccia al collo attirandolo in un bacio melenso.
Stronza! Pensai. Formavano una grande coppia.
Finché non sentii due mani che mi tapparono momentaneamente la vista.
"Madison" la ripresi con voce suadente mentre mi girò verso di se.
"Non c'è gusto se indovini subito" finse un tono offeso, mettendo su una specie di broncio per avviarci a mensa.
"Non è colpa mia se riconosco le tue mani" ribattei beffardo, tirandole un buffetto sul mento per farla sorridere di cuore ed intrecciare le dita con le mia.
Prendemmo un vassoio ciascuno entrando nella mensa, facendolo scorrere per prendere le varie pietanze. Ovviamente Madison non sfuggì alla sua insalata mentre io accettai una porzione di pasta al formaggio che puzzava di piedi.
Storsi il naso facendo una faccia alquanto disgustata ma il mio stomaco brulicava di fame e di desiderio d'interrompere la scenetta romantica che avveniva dietro le mie spalle.
Ci avviammo verso il loro tavolo vedendo Madison sfoggiare un sorriso ed accomodarsi aprendo la confezione d'insalata per condirla con le mini boccette.
Riformulai il sorriso verso Michael che non sembrava per nulla scocciato al contrario di Carlotta che alzò gli occhi al cielo, riportandoli verso la pasta che spiluccava con la forchetta. Evidente che anche a lei non piacesse la pasta e la faccia sdegnata non era solo per il fetore che emanava. Direi che era più per la mia presenza, la infastidiva?! Ovvio che si.
Non ci badai e mi sedei, iniziando a mangiare la pasta, prendendo anche cinque penne sulla forchetta emettendo un verso di piacere.
"Dovresti dimezzare i carboidrati Joshua" proruppe Madison, girando la sua triste insalata.
"Perché mai dovrei? Ho bisogno di forze per soddisfarti" ammiccai innalzando un sopracciglio vittorioso per la mia risposta, mentre Madison divenne rossa in volto confermando con un cenno della testa in maniera seducente.
Quando ad un tratto sentii il tonfo sordo della mano sbattuta violentemente contro il tavolo di legno. Spostai l'attenzione appurandomi che era la mano di Carlotta.
"Devo andare un attimo...al bagno" prese un profondo respiro per calmarsi internamente, sfoggiando un sorriso raggiante ma potevo notare quanto fosse falso al contrario di Michael che annuii.
Presi altre due forchettate aspettando cinque minuti prima di alzarmi, per inventarmi una buona scusa. Presi il cellulare posizionandolo sotto al tavolo per far partire la suoneria che avevo come chiamata, alzandomi per portarmi il cellulare all'orecchio.
"Torno subito" informai Madison che nel mentre scartava anche i pomodori ciliegini. Poteva mangiare direttamente l'erba del prato a quel punto.
Mi allontanai, posando il cellulare in tasca per scattare verso il bagno delle ragazze. Non mi curai se ci fosse qualcuno che mi poteva vedere, me ne fregai altamente, sbattendo la porta per entrare e richiuderla.
La vidii con le mani ai lati del lavabo in ceramica, con la testa china, finché non si girò debolmente incrociando i miei occhi.
"Che cazzo vuoi Joshua?" Si ridestò tirando su la testa, scostandosi i capelli dal volto spazientito.
"Ciao anche a te principessa" la rimbeccai beffardo, avvicinandomi al suo posto. Staccò le mani per indietreggiare rimanendo incastrata alle piastrelle celesti, esalando un respiro per rilasciarlo nell'aria.
"Che. Diavolo. Vuoi?" Riformulò la domanda scandendo ogni singola parola con voce mozzata ed il mento che traballava per rabbia ed emozioni che nonostante tutto ci trasmettevamo. Non lo avremmo mai ammesso. Era tutto un'errore che non portava a niente.
Mi avvicinai di più, mantenendo la giusta distanza per parlare e non cedere a tentazioni.
"Voglio sapere che cazzo hai. Perché mi eviti. E non dire che non è così Carlotta non dirlo, perché sarebbe una fottuta bugia" la rimproverai quasi con tono duro ma allo stesso tempo soffice.
Alzò un attimo gli occhi al cielo per premere delicatamente i denti sul labbro inferiore, rilasciando una risata amara.
"Davvero mi stai facendo una predica? Hai questo coraggio? Sei patetico Joshua" si staccò dal muro, tirandomi una spallata per avviarsi alla porta con un tono adirato.
La precedetti prendendole il braccio, facendola scontrare con la schiena contro la porta bianca della toilette chiusa.
"Dimmi perché" affermai assertivo fissandola in quegli occhi dove passava esasperazione pura.
Avvertivo le sue palpitazioni accelerare come le mia in una corsa a perdifiato.
"Cosa t'importa? Cosa t'importa di ciò che faccio, se non ti guardo, se non ti parlo. Tanto comunque non l'hai fatto neanche te. Non sei venuto a San Patrizio troppo impegnato a scopare con Madison, talmente tanto che non hai risposto neanche al mio messaggio. Almeno potevi evitare di visualizzarlo. Ciò dimostra che sei ancora più patetico venendo qui e chiedendomi spiegazioni. Il tuo cervello non ci arrivava evidentemente. Sei soddisfatto? Dimmelo lo sei? Eh? Ora lasciami perdere. Ti prego" gettò fuori quelle parole con voce tagliente, irosa, alterata, per poi cedere sulla parte finale in una supplica debole ed arresa.
La guardai socchiudere gli occhi girando il viso, tirando in dentro le labbra per rilasciarle con un sospiro smezzato.
"Che dici? Di quale messaggio parli?" Le domandai, prendendole il mento tra il pollice e l'indice vedendo quanto fossimo vicini, talmente tanto che avrei baciato le lacrime che non volevano fuoriuscire da quell'azzurro strapieno.
"Mi prendi anche per il culo?! Senti Joshua sono stanca delle tue provocazioni. Non sono stupida. Almeno ammetti che non volevi sentirmi e chiudiamola" mi riprese di nuovo con il suo tono ispido.
"Ma di che cazzo stai parlando. Non ho nessun tuo messaggio nulla. Ho aspettato tutto il
Giorno una tua chiamata ma non ti dirò che non ho fatto sesso con Madison. Ma la cosa non dovrebbe interessarti hai il tuo principe di là. Mi sbaglio?" Le domandai sentendo un magone formarsi nella gola. Perché per quanto combattessi volevo sempre sbagliare perché era uno sbaglio fottutamente bello.
Avvicinai di più il mio viso al suo, e sfiorai il suo labbro superiore che tremava come il mio inferiore a quel contatto che bruciava, quando si scansò deglutendo ed aprendo gli occhi di botto.
"Non ti sbagli. Ciao" mi scansò bruscamente, aprendo la porta con furia, sbattendola.
Non sono mai stato bravo a giocare, insegnami un trucco per bluffare.
Dicono che siamo distanti anche quando puntiamo gli occhi nei momenti esatti.
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