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13

Pov. Joshua

Doveva ancora imparare molto, e mi sembrava strano non averla trovata all'uscita della scuola. Non ci credevo alla Scusa di Amanda ma comunque lasciai sorvolare.

Mi vestii con un jeans strappato ed un maglia a maniche lunghe blu scura. Tirai indietro i capelli con un po' di gel e scesi le scale.

Salutai mia madre e mio padre che avevano capito che era meglio non fare domande.
Aprii la porta con l'adrenalina a mille. Non sapevo perché ero agitato ma mi sentivo così, e tutto ciò mi mandava in bestia.

Attraversai il vialetto e suonai alla porta. Aspettai per una manciata di secondi, spostandomi da una gamba all'altra, quando finalmente vidii la porta aprirsi e rivelare una Carlotta stupita.

"Joshua? Che ci fai qui?" Domandò appoggiandosi alla porta, chiudendola appena per non farsi sentire dai suoi, controllando se Anny arrivasse.

"Avevamo un appuntamento se non erro" rivelai sincero, sfoggiando un sorriso impertinente che la portò a sgranare i grandi occhi azzurri esterrefatta.

"Un appuntamento? Con te? Questa è bella" chiuse ancora di più la porta, ridendo sonoramente.

La guardai, infilandomi le mani in tasca facendo spallucce.
"Don Antonio aspetta, ma se non vuoi..." appena pronunciai il nome della pizzeria, spalancò le labbra.

"Chi è alla porta Carly?" Annalisa interruppe per un secondo il suo entusiasmo, vedendo la sua figura attraverso la porta semi accostata, fare capolino.

Carlotta lasciò la presa sulla porta, per permettere ad Anny di vedere chi ci fosse.
"Joshua ciao. Come mai qui?" Tale madre tale figlia, pensai. Le sorrisi indicandole Carlotta. La guardò facendo una faccia alquanto stranita, alzando il sopracciglio.

"Volevamo andare a mangiare una pizza fuori" le intimò guardandomi per spostare lo sguardo di nuovo su sua madre, che annuì.

"D'accordo. Ma Joshua confido in te, non portarmela tardi, e andate piano sul motorino" mi fece le solite raccomandazione da mamma premurosa quale era e forse anche ansiosa, per tornare in cucina, mentre alzai la voce, accennandole e rassicurandola con un...

"Non preoccuparti".

"Allora andiamo" guardai Carlotta annuire, finché non si girò per prendere il cappotto mentre trattenni una risata a stento.
"Per quanto le tue babbucce a forma di piede siano graziose, credo che ti serviranno un paio di scarpe" le indicai le babbucce che portava al piede, facendolo sembrare enorme, mentre salì su per le scale, sentendola emettere un "cazzo". Scoppiai a ridere di cuore, appoggiandomi al muretto per aspettarla.

"Andiamo" guardai al mio fianco, vederla comparire con una molletta che le teneva fermo il ciuffo castano, chiudendo la porta ed aggiustarsi la borsa a tracolla nera sul trench.

Mi staccai dal muretto, avviandoci verso la mia moto, porgendole un casco.
"Sai non credevo che eri serio. A quanto pare ti ho convinto, con la mia finta telefonata" incurvò le labbra in un sorrisetto saccente, portandosi il casco sulla testa, mentre si spostò i capelli lunghi, all'indietro.

Rimasi affascinato per quel gesto semplice, riscuotendo i miei pensieri da idiota.
"Diciamo che avevo voglia di pizza, per colpa della nostra finta telefonata" la rimbeccai bonariamente, aspettando che montasse per dare gas, e sentire le sue braccia esili strette intorno a me. Mi ci sarei abituato, o forse già ero abituato e la cosa non sapevo se era sbagliata o no, ma non dovevo pensare a lei.

Arrivammo dopo quindici minuti di strada, nel quale si era stretta ancora più forte, e teneva il viso nascosto dietro la mia schiena per proteggersi dal vento. Scendemmo, posando i caschi nel porta baule, aggiustandoci i capelli.

Si parò al mio fianco mentre stavo per allacciare le dita alle sue, sfiorandoci involontariamente le mani, ma ritrassi l'idea. Stavo iniziando a fare pensieri strani su Carlotta, ed invece dovevo evidenziare che era sempre la solita, e voleva aiuto per frequentare altri ragazzi, anche se sapevo a chi mirava e da molto tempo.

Entrammo dentro al ristorante, rimanendo estasiato. Era moderno e raffinato. Un lungo bancone a curva, prendeva tutta la parte frontale, che portava ad una saletta interna con dei tavoli ed una parete rossa con quadri affissi dietro. I faretti ad illuminare il tutto ed una melodia bassa e piacevole di sottofondo.

Mi riscosse dai miei pensieri quando posai lo sguardo sul suo affascinato tanto quanto il mio, mordendosi le labbra rosse non certo per il rossetto, era un rosso naturale il suo.
"Ci sei già stata a mangiare qui, non dovrebbe sorprenderti" feci spallucce, aspettando che un cameriere venisse da noi per indicarci un tavolo.

La vidii scuotere la testa intimidita ed in difficoltà, mentre sospirai pesantemente.
"In realtà no. Ma poi scusa, non sapevo che saremmo venuti sul serio...la pizza è buona solo che è come dire..." si bloccò ma già sapevo la sua ultima parola, e la ringrazia mentalmente per non averla detta ad alta voce anche se stavo imprecando dentro.

Finché non vidii arrivare un cameriere alto e magro, con un grembiule rosso ed i capelli mori e ricci.
"Salve. Un tavolo per...due?" Ci chiese, mimando il numero con le dita, girandosi per accompagnarci al tavolo prima di poter annuire o meglio fuggire via. Ma l'espressione contenta ed il sorriso di Carlotta non l'avrei tolto.

Apparecchio il tavolo con dei sottopiatti in carta con il menù scritto sopra, tovaglioli Rossi e dei bicchieri in vetro, mentre ci togliemmo i soprabiti, appoggiandoli allo schienale della sedia in legno ciliegio lucido.

Ci lasciò soli, dopo averci dato la carta dei vini, ringraziandolo.

"Sei arrabbiato?" Mi chiese d'un tratto con voce sommessa e dispiaciuta, mentre perlustravo le varie pizze, quindi alzai lo sguardo sul suo pentito. Come cazzo pensava una cosa simile. Certo avrei trovato un'escamotage, ma arrabbiato era una parola poco consona.

"Come cazzo ti viene in mente Carly? Ovvio che non lo sono" la rassicurai, mostrandole un sorriso, mentre abbassò lo sguardo sorridendo e toccandosi la molletta sulla testa per assicurarsi che era al posto giusto. Lo era ed era perfetta.

Joshua fai ancora un pensiero simile e ti prendi a testate da solo. Mi minacciavo anche mentalmente.

Il cameriere tornò, prendendo le nostre ordinazioni. Una margherita per Carlotta ed una coca con ghiaccio, ed una salsiccia e würstel per me compreso una birra alla spina. Se non altro mi tenevo leggero.

Parlammo del più e del meno, ridendo anche. Mi confidò che aveva fatto domanda per la New York Film Accademy. Era il suo sogno seguire le orme del suo zio e sua zia Rebecca che presentava un programma a Firenze. Mentre io ancora non avevo le idee ben chiare, rimaneva poco tempo alla fine della scuola anche se eravamo appena entrati nel mese di marzo, ed ancora nessuna domanda. La mente vagava ma in realtà non sapevo cosa fare nella vita. Certo amavo suonare la chitarra ma non credevo di diventare un cantante. Sono solo sogni che hai da bambino e quando diventi grande devi capire cosa vuoi fare realmente, forse su quel punto di vista non ero ancora maturato.

"Ti piace Michael non è vero?" Le chiesi d'un tratto, per pura curiosità ed affermare la mia supposizione. Più che altro dovuta alla sua voglia di cambiamento e d'imparare a rapportarsi con ragazzi che le piacevano al quale faceva scena muta.

La guardai finire il boccone, lentamente ed a fatica, prendendo un sorso di coca quasi svuotando il bicchiere, facendo una smorfia che mi portò a sorridere.
"No...ma che vai a pensare" elargì cambiando sguardo, spilluzzicando la mozzarella della pizza con la forchetta. Ma le guance che improvvisamente le si tinsero di rosa, non mentivano.

Presi un sorso di birra, proseguendo.
"Dai andiamo Carly. Siamo praticamente cresciuti insieme. Anche uno stupido lo vedrebbe che quando passa lo guardi come tutte le altre, compresa la bava che ti cola dalle labbra spalancate" la beffeggiai, ricevendo uno sguardo truce da parte sua, tirando un morso alla pizza, quasi per divorarla ma in realtà avrebbe mangiato me, dallo sguardo di fuoco che aveva.

"Allora? Si mi piace. Ma non faccio il cagnolino come quando te vedi Madison" mi rimbeccò con aria saccente, ma prima di poter replicare, riprese parola.
"Madison vuoi venire in moto? Ok. Madison vuoi andare alla festa? Certo. Madison aspetta ti prendo io l'acqua. Madison ti spalmo io la crema sulla schiena. Madison per te mi fare schiacciare come una sottiletta Kraft, sotto un tram" mimò il mio tono di voce, con una punta smielata portandosi una mano al cuore e gesticolando. Avrei replicato ma la sua faccia buffa mi portò a gettare la testa all'indietro ridendo fragorosamente.

"Dio sei un'attrice nata. Tutte tranne l'ultima" innalzai un sopracciglio, incurvando le labbra lateralmente in un sorriso sfacciato, mentre sbruffò, portandosi il bicchiere sulle labbra e spiegando una mano in avanti, come a dirmi "lascia perdere".

Quando finimmo di mangiare, mi venne in mente un'idea folle. Mi alzai dal tavolo intimandole che sarei andato in bagno. Presi il giubbotto sotto il suo sguardo stranito, mentre mi avviai verso la porta, guardai se non mi vedeva nessuno e non ci fosse alcun cameriere nei dintorni.

"Carlotta" bisbigliai guardando nella sua direzione, vedendola scuotere la testa senza capire. Le feci il gesto con la mano di venire e prendere il giubbotto. Quando fu vicina a me, le andai incontro prendendole la mano, aprendo la porta nell'esatto momento che ci vide il cameriere, iniziando a correre a perdifiato fuori, mentre le nostre dita erano incastrate tra loro senza volersi lasciare e rafforzando la presa.

La sentii lamentarsi e lanciarmi imprecazioni, ed il lontananza il cameriere gridare "mascalzoni". Ridevo a crepapelle, con il vento contro. Quando ci fermammo distanti. Carlotta si piegò su se stessa riprendendo fiato, mentre io mi appoggiai al muro, con il fiato dimezzato e provando a smettere di ridere.

Quando si ridestò, calmando i battiti accelerati, fissandomi truce.
"Lo trovi divertente?" Mi riprese accusatoria, aggiustandosi la molletta.

Annuii ridendo ancora.
"Oh si. Ci puoi giurare. Mascalzoni" Mimai il gesto del cameriere, rubandole un sorriso, vedendola tirarmi un pugno debole sul braccio, facendo finta di essermi fatto male.

"Aggressiva. Mi piaci" mi beffeggiai, vedendo il suo viso prendere colore, distogliendo lo sguardo.

"Sei pazzo" esclamò, camminando verso la moto.

Feci spallucce, aggiustandomi il giubbotto di pelle ed una mano tra i capelli.
"Si ma tu più di me, che mi segui nelle mie idee da pazzo" proclamai soddisfatto mentre fece una smorfia accondiscendente.

Montammo sulla moto, girandomi con il volto verso il suo, allacciando i suoi occhi azzurri e splendenti anche al buio.
"Voglio portarti in un posto" le rivelai, vedendola titubante sul da farsi, ma non le diedi tempo di pensare che partii, sentendola reggersi a me.

Arrivammo in un giardino, mettendo la moto sul cavalletto, facendole un gesto con la testa. Era il giardino dove ci portavano i nostri da piccoli. Era rimasto tutto uguale. L'altalena. Il castello di legno con lo scivolo ed una fontana piccola nel mezzo con una statua a forma di pesce dal quale sulle labbra aperte fuoriusciva l'acqua.

Rimase spiazzata, fin quando non incrociò i miei occhi che la fissavano.
Toccò la panchina di legno dove si sedevano i nostri genitori, per avviarsi all'altalena e montare sopra. La segui imitando il suo gesto.

"Te lo ricordi?" Girai il viso verso di lei, che molleggiava i piedi in avanti ed indietro, senza darsi la spinta.

"Come potrei non ricordarmelo" tenne lo sguardo in avanti, vedendole un sorriso felice è pieno di ricordi formarsi sul suo volto. Appoggiò la testa sulla catena fredda dell'altalena, chiamandomi.
"Joshua".

"Mmh" pronunciai con le labbra serrate, voltandomi per guardarla.

"Ti ricordi quel giorno che feci le bizze? Volevi a tutti i costi il gusto del gelato al puffo con le stelline di zucchero colorate sopra. Tuo padre girò tutte le gelaterie per trovarlo, mentre sbattevi i piedi a terra e gridavi "voglio le stelline colorate". finché non trovammo il camioncino di Berry's che sostava su quella piazzetta vicino alla fontana. Era l'unico che aveva le stelline sopra. Da quel giorno venimmo sempre qui" mi rimembrò un ricordo del passato con aria sognante e persa, sorridendo con gli occhi velati dal bellissimo ricordo.

Cavolo se me lo ricordavo. All'ora mi bastavano delle stelline sul gelato per essere felice.
"Già. Ed il giorno in cui per rincorrerti, lo lanciai per sbaglio sul tuo vestitino nuovo rosa. Cavolo quanto piangesti. Eri una lagna" spezzai la malinconia per farla ridere, e così fece.

Scosse la testa, iniziando di nuovo ad ondeggiare sull'altalena.
"Non ero una lagna. L'avevi fatto apposta, ci godevi nel vedermi piangere e tu ridevi" mi accusò, stringendosi nelle spalle.

Risi di cuore, annuendo.
"È vero cazzo" rivelai con un sorriso.

Si alzò dall'altalena venendomi di fronte.
"Stronzo" poggiò i palmi sul mio petto per spintonarmi, ma le presi i polsi tenendola ancorata a me. Mi fissò intensamente, mordendosi le labbra, con quel gesto semplice e dolcissimo, e sentii qualcosa partirmi dalla pancia, un'emozione strana che non provavo con altre. Alzai una mano spostandole una ciocca di capelli, mentre i nostri occhi si dicevano tutto eppure niente, ed un brivido le percorse il corpo.

Mi staccai alzandomi, girando lo sguardo e maledicendomi. Non dovevo provare nulla, non dovevo. Era solo un gioco, sbagliato ma dovevo aiutarla e basta.

"Torniamo. Inizia a fare freddo" mi ripresi, girando il viso verso di lei che abbassò lo sguardo, annuendo. Ed era forse lì che mi sentivo uno stronzo ed un codardo completo.

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